Il Buddha parla di silenzio sacro, utilizzando la stessa parola di quando, nel giardino vicino a Vārānasī, egli parlava delle quattro nobili verità e del nobile silenzio. Ma il nobile silenzio non consiste nel tacere perché non si dice tutto quello che si avrebbe da dire o perché si vuol nascondere il segreto e la pietra filosofale che si è trovata. Il nobile silenzio è silenzio perché non ha niente da dire, e siccome non ha niente da dire non nasconde niente, né dice niente, né tace, ma placa le inquietudini che potrebbero sorgere da noi. Se domandiamo perché, è perché cerchiamo di trovare una risposta, ma questa risposta, a sua volta, genera un altro perché. Finché non distruggiamo la radice che ci fa domandare il perché, semplicemente finché domandiamo, non sorgerà la risposta adeguata. Ogni risposta è sempre informazione di seconda mano, risponde ad un problema che ci siamo formati, risponde a una domanda, non la risolve, non la dissolve, non fa che la domanda non sorga più.
Il mondo di Buddha è il mondo della spontaneità, della libertà, dell’estrarre la freccia senza chiedersi il perché, non perché non ci sia, ma perché qualsiasi domanda è un modo di far violenza all’esistenza, è domandare quel che c’è dietro, è fare quel che fanno le bambine quando si domandano che cosa c’è dentro la bambola e allora la rompono. E questa non è la cosa peggiore, il peggio è che non giocano più con la bambola che hanno rotto. Quando cerchiamo le cause non lasciamo più che gli effetti ci rallegrino la vita. Questo è lo spirito del buddismo. Tutto il resto è sorto da quest’uomo che non voleva niente, che non voleva fondare niente, che non voleva nemmeno riformare il brahmanesimo.
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