Dom, 19 Dic 2010
Nel post precedente, prendendo spunto da un articolo di giornale, abbiamo posto un problema che poi ho compendiato (@ 39) con le parole: “possibile che i buddisti, gli zen, con tanta voglia di pontificare, insegnare, aprire centri, far vedere quanto sono bravi, illuminati e svegli non sappiano dire una cosa che fanno tutti i giorni cento volte al dì, ovvero: come si distingue il bene dal male? Su quali basi appoggiamo (appoggi, appoggio) la nostra etica? Senza affrontare questo punto “dirsi”, “sentirsi”, “viversi” come buddisti è aria fritta”. I motivi per cui continuo a porre il problema etico all’attenzione di chi ci legge, sono di carattere generale e contingente.
Ritengo che un uomo, una donna di religione non possa prescindere dall’etica, cosa che invece pare possibile nel panorama buddista europeo dove circola un malinteso senso di superiorità dello zen nei confronti dell’etica. I motivi contingenti, già ampiamente premessi nell’articolo citato dal post precedente, sono elencati con toni estremamente forti ed espressioni anche sopra le righe nell’articolo di don Farinella che vi proponiamo oggi, e che trovare qui di seguito. È un esempio che riguarda la contingenza ed è anche di parte, ma è un coinvolgimento etico. Dallo zen, -non tanto su una qualche situazione come l’attuale italiana che è e resta un caso particolare- sull’etica, che suggerimento possiamo trarre?
Sig. Cardinale,
speravamo che lei non fosse andato al pranzo governativo del mercato dei cardinali o, meglio, vi fosse stato escluso dal segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, per il quale ormai abbandoniamo ogni velleità di conversione. In ambedue i casi, lei appariva un gigante, seppure in miniatura, …