L’arte del buddismo (quarta parte)
Il paradosso si compone se comprendiamo che l’intero corpo dell’insegnamento del Buddha è volto ad innescare un processo, non uno qualsiasi ma proprio quello e proprio in quel modo. Allora, siccome i sutra si pongono al servizio del Buddha (quando non sono, come in alcuni casi, versioni testimoniali delle sue parole) anche questi componimenti sono strumenti adatti ad accendere quel tal processo oppure a mantenerlo vivo, a confermarlo e ad irrobustirlo.
Inutilmente cercheremmo in essi la notizia o concetto che siamo abituati a trovare in ogni frase dei componimenti sapienziali a noi noti. Quella notizia in molti casi non c’è e quello che possiamo fare è solamente leggere con cura percependo attentamente che cosa succede in noi proprio grazie allo stimolo della lettura. Né più né meno di quello che è opportuno fare nell’apprezzare una statua o un dipinto, la percezione del cui senso sarebbe offuscata, preclusa dalla nostra autonoma e arbitraria attività razionale. Quando penso alla musica non ascolto la musica.
Il Sutra del Loto rappresenta, nella letteratura buddista di ogni tempo, l’apice dell’idealismo unito ad una capacità artistica altrettanto apicale. Buona parte della poetica buddista successiva trae spunto o appoggio dalle forme di quel componimento e dalla novità del contenuto implicito alle sue parabole ed iperboli. La rappresentazione dell’aspetto eterno ed insieme cosmico del Buddha è realizzata con una serie di effetti speciali che disintegrano il tempo e lo spazio alla presenza affollatissima di ogni genere di essere vivente, vegetale animale o sovrannaturale. Assistiamo ad una piena partecipazione all’assemblea del Buddha delle figure mitiche della cultura hindu, spiriti, deità e fantasmi assieme a principesse, semplici curiosi e grandi re accompagnati da migliaia di servitori con elefanti e baldacchini multicolori, poi, più vicini al centro della scena, i grandi discepoli e i bodhisattva più famosi, mentre lo spostamento nello spazio tra miriadi di galassie e sistemi planetari di innumerevoli universi accompagna uno svolgersi del tempo che si estende su una vastità dove le centinaia di miliardi di anni non sono che dettagli.
La fantasia ne è così abbagliata che la dimensione divina che implicitamente acquista il Buddha, in una scena tanto vasta diviene un dato quasi secondario. Dimensione eterna ed infinita e perciò divina, rappresentata dall’immensità dei fenomeni. Metafora, indicazione obliqua di un oltre suggerito. Con una vena di umorismo sottile e leggero, che scorre nel testo come un sentore che non arriva ad essere profumo.
Vi è solo un’altra forma artistica appartenente al panorama buddista che nelle sue rappresentazioni si discosta dai canoni ora esposti, sostituendo all’allusione un linguaggio rigorosamente simbolico e codificato. A partire dal sesto secolo d.C. il tantrismo (7) si propagò al buddismo dalle forme religiose induiste, sopratutto legate allo shivaismo ed al visnuismo. Inizialmente questo metodo, che è un insieme di pratiche potenzianti lo spirito la mente ed il corpo, interessò le forme più popolari di questa religione, legate alla ricerca di vantaggi e difese nell’ordine mondano: salute, guarigioni, pienezza dei raccolti, protezione dai pericoli.
Note:
7) Il termine deriva dal sanscrito tantra, trama, di radice etima prossima a sūtra, filo.
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