Mi ha colpito molto quello che è successo in Germania (e altrove) la notte di Capodanno. La violenza di gruppo terrorizza, ancor di più se -come pare sia stato- è pianificata e organizzata. Penso che, così come occorre far sì che Charlie possa pubblicare quelle che a volte sono vignette sciocche e insultanti, così pure è indispensabile che le persone, uomini o donne, possano circolare e festeggiare per le strade senza venir assalite, umiliate. Su questo occorre non transigere.
Però, se accendo la televisione, se mi soffermo in un edicola davanti alle copertine esposte, se guardo (anche d’inverno) come sono (s)vestite il sabato sera, durante le feste in piazza, in discoteca, molte giovani donne, sento che c’è qualche cosa che non va. L’esibizione del corpo come richiamo sessuale è (quasi) la norma. I modelli di comportamento che strati sociali meno difesi dalla cultura acquisita traggono dal cinema e dalla televisione, vanno (quasi) tutti verso la medesima direzione.
Da giovani è difficile convivere con la propria acerba e sfuggente identità. Lo stereotipo permette di identificarsi, riconoscersi e quindi avere identità. Tutti quei corpi scoperti mi disturbano perché sanno di… bestiame. Di persone ridotte a corpo. Spesso un corpo al servizio della funzione del sesso come stereotipo, senza erotismo né coscienza.
Immagino che, per chi viene da culture dove le donne sono coperte sino agli occhi, tanta carne scoperta sia addirittura scioccante, disturbante, innaturale.
Noi chiediamo rispetto per il nostro “stile di vita”.
Qualche volta pensare, anche, a non dare scandalo può essere un pensiero di libertà, quando non è figlio di una costrizione o di un abuso.
Inoltre, un pensiero su quel che si sta facendo (s)vestendosi in quel modo non può che giovare.