* Considerazioni nate a margine del libro Non lasciarmi, di Kazuo Ishiguro, Einaudi 2005
Questo libro può essere letto su più piani: è un racconto di iniziazione, è un racconto fantastico, è un racconto fantascientifico alla P. K. Dick, in cui si immagina un futuro che trova nell’oggi possibili radici.
La storia è semplice e complessa insieme.
Kathy parla in prima persona e racconta la sua storia e quella dei suoi amici Tommy e Ruth.
Sono amici d’infanzia, hanno vissuto insieme in un collegio ed insieme hanno scoperto l’amicizia, l’amore, la solidarietà, i dubbi le paure del passaggio dall’infanzia all’adolescenza, all’età adulta.
Su questo piano il romanzo è ben scritto, ma non avrebbe elementi di interesse particolari, ciò che lo rende inquietante è l’ontologia di questi tre amici: non sono esseri umani procreati ma creati, clonati per poter essere utilizzati come riserve di organi. Ma non sono solo questo, sono anche inseriti in un esperimento fortemente voluto da alcuni scienziati: piuttosto che “allevarli” in sterili cliniche, vengono “cresciuti” in un collegio dove è permesso loro di vivere tutta l’infanzia e l’adolescenza come se fossero “figli di mamma”.
I tre amici sanno di essere destinati a donare organi, ma quest’informazione rimane sottotraccia, i ragazzi vivono una vita normale, gioiosa e dolorosa come è la vita di tutti gli adolescenti; tuttavia crescendo colgono distorsioni nell’atteggiamento degli insegnanti verso di loro, li sentono a tratti pietosi, a tratti leggono nei loro sguardi l’orrore.
Il libro sviluppa la storia dei tre ragazzi, ma senza entrare nei dettagli. Alla fine sapremo che il collegio è stato chiuso, l’esperimento è fallito: era intollerabile per gli esseri umani la presenza tra loro di cloni così “uguali”, con emozioni, sentimenti, cultura, dubbi.
Leggere questa storia mi ha creato inquietudini e riflessioni.
Cos’è il progresso, come si può- se si deve- coniugarlo con l’etica?
C’è un limite che si può porre alla ricerca?
E come mi pongo io- di formazione scientifica (sono medica e psichiatra), mentre cerco di percorrere una via religiosa buddista zen- davanti a temi così attuali come la clonazione, la “riserva d’organi”, la procreazione assistita?
La mia posizione su questi temi è esitante, dubbiosa, sono combattuta tra la mia formazione scientifica, e l’idea religiosa che ho della vita.
La mia formazione mi porta a credere nella ricerca, nella possibilità della medicina di poter migliorare le sue capacità diagnostiche e terapeutiche. Tanti sono stati i progressi che hanno reso più accettabile la vita dei malati, ed hanno reso meno invasive tante malattie. Ma, si sa, la ricerca non sempre trova “quello che cerca” e quello che trova non è sempre esente da rischi. A volte poi la direzione della ricerca è determinata da interessi che non hanno nulla di etico.
Ma la soluzione, da questo punto di vista, può essere possibile: si fanno protocolli precisi, ci si dà una regolamentazione, si legifera. Ma chi decide i confini? L’ultima legge sulla procreazione assistita è un chiaro esempio di queste difficoltà. Come si vede, già dal punto di vista “semplicemente scientifico” le implicazioni sono tante.
E che cosa succede, invece, se ascolto la parte di me che ha una visione religiosa della vita? L’uomo è una parte di un tutto (è interdipendente), ma la nostra cultura è assolutamente antropocentrica- l’uomo è misura di tutte le cose- ed in questo è aiutata anche dalla visione cattolica. Non è di tantissimo tempo fa l’obiezione che non si potrebbero riconoscere diritti giuridici agli animali perché sarebbe come riconoscerne una “soggettività” che solo l’anima dà.
La mia comprensione del buddismo mi porta a sentirmi, rispetto a tutto ciò che vive, una parte di un tutto che vive oltre me, ed ha “leggi” che io non conosco né capisco: è un mistero. La pratica dello zazen mi porta a sostare nel vuoto, nell’incertezza e, per qualche breve momento a “vivere” l’interdipendenza. Se dovessi seguire questa parte di me avrei un atteggiamento molto critico sia sulla ricerca scientifica sia sull’idea di progresso così come è attuata.
Un contributo decisivo per uscire dal possibile empasse che può derivare da un atteggiamento come il mio viene forse dall’ecologia, in tutti i suoi aspetti, da scienza ambientalista a ricerca di rapporto tra uomo e natura; il principio di precauzione, vale a dire non rendere attive ricerche se non si riesce a prevederne gli effetti. Non sempre le scienze economiche permettono di seguirlo.
Questo sul piano normativo, ma come si esce dall’inquietudine che nasce dalla difficoltà di integrare le proprie appartenenze? Forse la via indicata dal buddismo è un continuo tentativo di creare e percorrere un crinale?
Tutte queste riflessioni leggendo il libro di Ishiguro, che pure contiene molto più di tutto ciò.
Rosaria