Generali


Dopo aver riflettuto ed atteso alcune settimane, Jisō ed io abbiamo deciso di pubblicare integralmente in questa sede il testo delle motivazioni che hanno generato la linea della conferenza tenuta il 9 giugno al symposium internazionale della Gendronnière. Ve lo proponiamo qui, senza altri commenti.

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Inauguriamo una nuova pagina: Monografie. Contiene articoli, testi di conferenze, lezioni, commenti e traduzioni che consideriamo adatti a costituire una raccolta, la cui unità interna è data non dall’argomento che volta per volta appare, ma dalla direzione che il testo nel suo complesso indica.

Quella che segue è la versione scritta del discorso tenuto da Giuseppe Jisō Forzani in occasione della festività del Vesak, a Roma

Identità e dialogo

Roma – Vesak – 26 maggio 2007

Il titolo del ciclo di incontri che si conclude oggi, nell’ambito della celebrazione del Vesak 2007, è “Lezioni dall’alfabeto buddista all’illuminazione” e l’incontro che ci coinvolge ha per tema: “Identità e dialogo”. Mi sembra opportuno iniziare dal rapporto fra il titolo generale del ciclo e quello particolare della “lezione” che mi compete, per evitare che le parole scivolino via prima ancora che abbiamo cercato di afferrarne il senso.

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23 Giugno
TO A CHILD DANCING IN THE WIND
(William Butler Yeats – da “Responsibilities”, 1914)
Dance there upon the shore;
What need have you to care
For wind or water's roar?
And tumble out your hair
That the salt drops have wet;
Being young you have not known
The fool's triumph, nor yet
Love lost as soon as won,
Nor the best labourer dead
And all the sheaves to bind.
What need have you to dread
The monstrous crying of wind!
A una bambina che danza nel vento
(Versione di Angelo Branduardi da “Branduardi canta Yeats”, 1985)
Ora danza là, danza sulla sabbia;
e non ti curare del vento,
non ti curare se fa rumore il mare,
che bisogno c'è?
Ora danza là, asciuga i tuoi capelli,
gocce di sale li hanno bagnati;
tu sei così giovane e ancora non conosci,
ora danza là.
Tu il trionfo dello sciocco non sai,
o la perdita dell'amore appena nato,
né perché mai il migliore se ne va
e lascia il grano da legare.
Ora danza là, danza sulla sabbia,
tu non ti curare del vento;
non devi temere se ora vuol gridare,
che bisogno c'è?

“Potente dea e non senza fama tra i mortali e in cielo, ho nome Cipride (Cipride è uno degli appellativi di Afrodite). E quanti abitano tra il Ponto e le colonne d’Atlante vedendo la luce del sole, quelli che rispettano il mio potere li proteggo, rovino quelli che insuperbiscono davanti a me. Anche nella stirpe degli dei c’è questo: godono di essere onorati dagli uomini. (…)

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E per le colpe che ha commesso contro di me punirò Ippolito questo stesso giorno. (…) E Fedra, lei di bella fama, ugualmente è perduta: non terrò il male di costei in maggior conto che il non pagarmi i miei nemici il fio, tanto quanto mi sta bene.” (Euripide, Ippolito, vv:1 – 50).

Così nella tragedia di Euripide Afrodite presenta se stessa…

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Tutte le religioni in un Corso di laurea: l’indirizzo “Antropologia delle religioni” nel secondo anno del Corso di Laurea Specialistica “Sociologia della Multiculturalità:

Qui una presentazione del corso di laurea

Una veduta di Urbino

… e pesci fuor d’acqua.

La Gendronnière, 10 giugno 2007.

Speriamo che il Cielo ci perdoni.

(Ringraziamo Eric, Philippe e Zen Road per la fotografia)

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Precursore e Messia dell’arte rinnovata

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ontainebleau (Francia), anno di grazia del Signore 1537.

La scena si svolge su un terrazzo della reggia, una limpida sera d’estate. In cielo brilla la luna piena. Un uomo in piedi osserva la luna; un gigante dai riccioli rossi, con un

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volto fascinoso e una corporatura perfetta. Ha qualcosa dell’Autoritratto di Albrecht Dürer, ma non è ovviamente Albrecht Dürer, morto nove anni fa. Accanto al Rosso c’è una dama di corte, seduta; indossa un prezioso abito giallo oro, la sua pettinatura è formata un complesso incrocio di trecce. Anche lei è intenta a fissare il satellite, ma spostando periodicamente lo sguardo sull’uomo.

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— È una notte meravigliosa, non trovate? — sussurra la dama.

Senza rispondere, lui si china a raccogliere una pigna caduta sulla terrazza. Drizza di nuovo il suo corpo maestoso, torna a guardare il cielo, poi, con un mezzo sorriso, palleggia per qualche secondo la pigna nella mano. E la scaglia con violenza contro la luna.
— M… ma, ma che fate?
— Voglio uccidere il chiaro di luna.
La dama ridacchia. — Avete sempre delle curiose invenzioni!

Di nuovo, l’uomo non risponde. Forse pensa alla sua prossima avatar, quando avrà tratti più mediterranei; in complesso, un po’ meno bello ma altrettanto irruente e fascinoso. Allora, potrà gridare ai quattro venti di voler uccidere il chiaro di luna, e troverà gente disposta ad applaudirlo. Potrà passare da una “maniera” all’altra ancora più facilmente di adesso, da nervose forme geometriche a pennellate guizzanti come serpenti. E permettersi trasgressioni che, attualmente, lo farebbero finire al rogo. Chissà, una Madonna che sculaccia Gesù Bambino.

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— A che pensate? All’amore? — sospira lei, che sperava in un minimo di attenzioni in più.
— Pensavo a quante opere d’arte si potrebbero realizzare con le parole.
— Vi dilettate anche di poesia?

— Noli me tangere! No, niente poesia, Madeleine. Ma voi non rimarreste profondamente colpita da nuove parole come… sì… “espressionismo”, “sur-realismo”… Molto meglio della “maniera” di cui tanto si ciancia oggidì, non vi pare?
— Se proponete un gioco, Jean-Baptiste, allora io conio “futurismo”.

Lui annuisce, ridendo all’idea di quel nome da precursore che si ritrova; anche se quasi nessuno lo chiama così, a parte la sua compagna di questa notte.

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— Vi burlate di me?

— Nient’affatto, Madeleine. Anzi, vi andrebbe di posare per me? Nella parte della vostra omonima in una Pietà? Riserverò a me il ruolo peggiore, quello del morto.
— Oh sì, ne andrei fiera.
— Bene, si comincia domani all’alba. Nel frattempo…
— Signore!
— Abbiamo ucciso il chiaro di luna: chi potrebbe vederci?

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