Generali


Non è Capodanno se non c’è BuddaZot!

La grande novità è che abbiamo un nuovo BuddaZot: dopo più di quarantanni di onorato servizio Paolo, noto al nostro pubblico come Doc, ha passato la mano ad un giovane virgulto che risponde al nome di Federico, in arte: Fago. Nel passaggio di mano qualcosa è cambiato, qualche cosa no, ma il brand è lo stesso.
Sperando che anche questa nuova forma sia gradita, ringraziamo Fago per essersi accollato la non facile eredità e gli auguriamo di ‘durare’ almeno quanto il suo predecessore. Che immaginiamo alle Maldive, con una piña colada in mano, mentre si gode il meritato riposo: grazie Doc.
E grazie a Px che ha ‘montato’ la scena in modo che si possa ingrandire con un clic e ha creato (nel mondo virtuale dio è lui) il video con la musica: cliccare per credere.

Buon anno a tutti dalla Stella e la sua troupe

Parliamo oggi di due libri particolari: uno è un libro parlato, un audio libro, l’altro, invece, è di carta. Questo, uscito nel marzo del 2018 edito da Servitium, s’intitola L’altra riva, ed è scritto da Henri Le Saux. Iniziamo parlando proprio di quest’ultimo. È inusuale, su queste pagine, recensire in home un libro che non sia della ‘casa’ almeno nella redazione. Se questa volta facciamo un’eccezione è perché vi abbiamo trovato qualche cosa e vorremmo condividerlo. Il titolo è ambizioso: questa riva è la nostra, nel samsara quotidiano, che tutti -ognuno a suo modo- conosciamo. L’altra raramente è argomento di conversazione, per limiti oggettivi: si trova in un’area, per così dire, inaccessibile alle parole, vissuta -o solo sbirciata- più o meno di frequente, da chi si arrabatta tra l’inizio di uno zazen e la fine di un altro. Frate Henry ci prova e riesce a trasmettere

la sua voglia di paradiso ma, parlandone, usa quasi solo le parole della tradizione delle Upanishad o dei Veda; poco o quasi nulla ci dice del suo nirvana. L’ideale è bello, entusiasma, ma chi pratica vorrebbe anche ascoltare qualche cosa di più … casalingo, se mi concedete il termine.
La vita di Henri Le Saux (1910-1973) è un interessante e profondo esempio di dialogo tra le religioni: monaco benedettino, sacerdote, nel 1948 dalla Francia si trasferisce in India dove entra in contatto con la mistica hindù e, dopo una lunga riflessione interiore, senza rinunciare alla fede cristiana diviene un sannyāsī, “colui che rinuncia”, con il nome di swāmī Abhishiktānanda e si ritira, sino alla fine della sua vita, in un eremo presso le sorgenti del Gange. Il libro non è scevro da difetti (quale libro lo è?) e l’assenza di bibliografia crea non pochi problemi nell’identificare i testi abbreviati in nota, ma al suo interno cristianesimo e induismo o, più correttamente: il vangelo di Gesù e il sanātana dharma, trovano un’accoglienza non solo equilibrata ma così partecipata e profonda che viene quasi da rimpiangere che tra i cristiani nessuno, sino ad ora, abbia saputo vivere e soprattutto dire il buddismo in una maniera altrettanto competente e profonda. A p. 57, citato da le Upanishad, troviamo: “attraverso se stesso, in se stesso, raggiunge se stesso”, che ricorda molto da vicino il detto attribuito a Kodo Sawaki roshi: “il me, in me, fa me”, o: “me, da per me, fa me”.
Ed eccoci all’audio libro: anche questa è una novità per la Stella. S’intitola Il cercatore della Via, discorso d’addio ad Antaiji ed è una nuova versione, tradotta direttamente dal giapponese, dell’ultimo sermone tenuto da Kosho Uchiyama roshi (1912-1998) ad Antaiji nel febbraio del 1975.
Su progetto iniziale di Paolo, vi hanno lavorato Jiso -per la traduzione dal giapponese e la voce narrante- e Carlo che ha curato la registrazione e tutta la parte tecnica. Lo trovate in fondo a questa pagina, con tutte le indicazioni sul testo -già noto ai lettori del blog della Stella- e sulla sua genesi.

Negli anni trascorsi ad Antaiji, un fratello con il quale ho condiviso la stanza (la “cella” si direbbe di un monastero cristiano) per più di due anni, fu Daichi Higashikage, ora responsabile di Ryūgenji, piccolo tempio di montagna nell’isola di Shikoku. Successivamente, assieme a Jisō Forzani e a Daidō Strumia, fui ospite della sua famiglia, nel periodo dedicato alla questua, nella città di Osaka. Infine, alcuni anni fa, sono stato suo ospite al Ryūgenji. Questa frequentazione, oltre al suo buon carattere e al senso dell’umorismo, ha favorito il sorgere tra noi di un legame che continua tutt’ora, quasi

quarantanni dopo il nostro primo incontro. Inizialmente ci scambiavamo i tradizionali auguri di buon anno poi, assieme agli auguri, una frase che riassumeva la nostra vita e il procedere della pratica. Da qualche anno, anche grazie all’uso di internet, ciascuno cerca di esprimere all’altro come viva la propria esperienza nello zazen e siccome i nostri mondi sono differenti, è bello vedere il gioco delle differenze che, da un lato, permangono, dall’altro si stemperano sempre più, a mano a mano che il discorso si fa più profondo. La sua vita, ora, è quella di un prete buddista e la sua cultura religiosa è profondamente immersa in quella giapponese, mentre io sono un laico, italiano, formato nella cultura di questa parte del mondo. Ma quando il discorso si fa più stretto ed è lo zazen in quanto tale ad essere mostrato, i nostri mondi scompaiono e rimane l’esperienza comune.
Ho pensato che potesse essere interessante mostrarvi uno stralcio dei nostri scambi. Penso che -assieme al post Un chiarimento storico sullo zen giapponese– possa contribuire ad inquadrare meglio la quarta parte del testo La Realtà della Vita, di Uchiyama, che abbiamo da poco ripubblicato.


ここに 東影老師 の メール の 日本語の 翻訳が ありますので, どうぞ

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Nella foto -del novembre ’86-, Daichi Higashikage rōshi, in piedi, in primo piano, con la tuta blu

Nei decenni precedenti, molti si sono interrogati sul perché il buddismo zen diffuso in Occidente dai primi anni sessanta, abbia avuto e continui ad avere una forma prettamente e quasi unicamente giapponese e, in qualche caso, cinese. Questo dubbio o quesito nasce dalla consapevolezza che lo zen è la continuazione dell’esperienza buddista delle origini, dove non esiste una forma determinata nella quale debba manifestarsi nel mondo la realizzazione del vero modo di vivere: quello che si sviluppa fuori dalle fantasie e dalle dottrine dogmatiche e realizza passo dopo passo una vita che scioglie ogni tipo

di sofferenza.
Ciascuno di noi, dal momento in cui decide di coinvolgere la propria vita nell’insegnamento buddista, inventa da capo il proprio modo di vivere. Il buddismo nasce con la nostra pratica e in essa si manifesta: non c’è una forma determinata, pronta, da imitare. E pur inventando tutto, nulla è inventato: nasce nuovo perché nuova è la vita che vive ciascuno di noi, non perché gli diamo quella forma secondo la nostra volontà. Ognuno a suo modo nell’unico modo. Ma, se così stanno le cose, perché la forma giapponese pare irrinunciabile?
Ho tentato di dare una risposta storica a questa domanda. Vi propongo la prima parte di questo tentativo con il titolo La genesi delle religioni del Giappone. La seconda parte, che comparirà in seguito assieme ad un testo attualmente in lavorazione, indaga su un altro “retroscena”: la sinizzazione del buddismo, operata dai cinesi a partire dal III-IV secolo, adattandolo ad una diversa visuale religiosa e modificandone uno dei punti più importanti: l’astenersi dal definire la natura dell’essere, un’astensione sostituita (a volte solo integrata) con il legame alla spiritualità confuciano-daoista dello “spirito del Cielo”. Occorre rammentare che il buddismo non è una metafisica o un tentativo di stabilire “come stiano le cose” né, tantomeno, il loro perché: è “solo” la via che conduce alla liberazione dalla sofferenza, indipendentemente dal come e dal perché così stiano le cose.


Siamo lieti, anche quest’anno, di offrirvi gli auguri di Budda Zot e per suo tramite gli auguri della Stella.

Un giorno, forse, Doc scriverà la storia delle vere origini di Bz: quando (1976?), come, dove è nato e perché. Chissà che, da qualche sottoscala, non saltino fuori i primi album con le prime piccanti avventure …
Forse, un giorno.

Grazie a Doc per i disegni, ad Alex per la musica e a Pierinux per la messa in opera.
Con i potenti mezzi posti in opera da Px, potete vedere Bz a schermo intero e, addirittura, lo potete scaricare sul vostro PC.


Non so se mi spiego

Tra martedì 10 e giovedì 12 ottobre a Urbino, nel monastero delle Clarisse, si è tenuta la riunione annuale del DIM Italia, sezione italiana del MID-DIM (di cui qui trovate la storia e la struttura). Erano presenti circa trenta persone, appartenenti a quattro religioni diverse: Cristianesimo, Islam, Induismo e Buddismo.

Il Buddismo era rappresentato dagli appartenenti alla scuola Zen, provenienti da quattro diversi gruppi, e dalla tradizione Vajrayana con gli appartenenti all’Istituto Lama Tsong Khapa di Pomaia. Gli induisti provenivano dal Gitananda Ashram di Altare (SV). L’Islam era rappresentato dal COREIS, Comunità Religiosa Islamica Italiana, l’associazione nazionale dei musulmani italiani. Il cristianesimo era rappresentato da monaci e monache appartenenti a 12 monasteri italiani e ad uno francese, oltre alle Clarisse di Urbino, a cui va un ringraziamento particolare per la limpida e serena ospitalità.

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La giornata di mercoledì 11 è stata in buon parte occupata da due interventi della Stella, uno al mattino ed uno al pomeriggio, e dalla discussione ad essi dedicata.
🍁Il primo intervento, intitolato L’esperienza della Stella del Mattino, era articolato in quattro parti:
-La storia, -L’evoluzione che ha portato alla forma attuale, -Gli obiettivi, -La forma interna o profonda della comunità.
🍁La seconda parte, dedicata al dialogo religioso, era articolata in cinque punti:
-La testimonianza e la sua condivisione, -Il dialogo come esigenza personale, -Il dialogo come attività intellettuale o accademica, -Il dialogo come filosofia politica, -Suggerimenti e proposte rivolte agli attori del dialogo

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Ecco i testi dei due interventi


È la prima volta che la Stella del Mattino pubblica e distribuisce un testo cristiano. Fra le ragioni a sostegno della decisione di pubblicare questo libro di Simone Weil, mi pare opportuno menzionarne tre. La prima non differisce da quella che motiva la pubblicazione di tutti gli altri testi: la convinta speranza che la lettura del libro offerto sia di beneficio a chi lo riceve, come lo è a chi lo propone, per la propria esperienza spirituale ed esistenziale.

La seconda è inerente a un elemento costitutivo di questa comunità, il dialogo religioso con il cristianesimo. Ascoltare la voce dell’altro, con il suo timbro, la sua terminologia e le sue argomentazioni, senza togliere né aggiungere né modificare, è parte non alienabile del dialogo religioso, affinché non divenga il monologo di un solo attore, che interpreta entrambe le parti di un canovaccio in cui l’altro è un tu su misura per me, e non un vero altro io. La terza ragione diviene evidente con la lettura del libro. La Pesantezza e la grazia, rappresenta una buona introduzione al mondo religioso secondo Simone Weil. Si presenta in forma di brevi pensieri, che nella maggior parte catturano immediatamente l’attenzione, credo, di chiunque sia personalmente coinvolto dal discorso religioso, e richiedono poi una lettura ripetuta e una lenta assimilazione. Il pensiero nitido e il linguaggio essenziale di Simone Weil esprimono un cristianesimo fedele, privo di accenti consolatori e di ripari identitari, che nasce da un’esperienza spirituale e intellettuale tanto inimitabile quanto profondamente comunicativa: sono convinto che la coerenza disarmata fra pensiero, parola e comportamento che è la trama della sua vita e che questo piccolo libro riflette chiaramente sia una fonte d’ispirazione anche per chi abitualmente ascolta e parla altri linguaggi spirituali e religiosi.

Come d’abitudine, proponiamo il testo in due formati, .pdf ed .epub, per l’utilizzo a stampa o digitale. In questa pagina potete trovare e scaricare liberamente ambedue le versioni del testo.

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