Generali


Nei decenni precedenti, molti si sono interrogati sul perché il buddismo zen diffuso in Occidente dai primi anni sessanta, abbia avuto e continui ad avere una forma prettamente e quasi unicamente giapponese e, in qualche caso, cinese. Questo dubbio o quesito nasce dalla consapevolezza che lo zen è la continuazione dell’esperienza buddista delle origini, dove non esiste una forma determinata nella quale debba manifestarsi nel mondo la realizzazione del vero modo di vivere: quello che si sviluppa fuori dalle fantasie e dalle dottrine dogmatiche e realizza passo dopo passo una vita che scioglie ogni tipo

di sofferenza.
Ciascuno di noi, dal momento in cui decide di coinvolgere la propria vita nell’insegnamento buddista, inventa da capo il proprio modo di vivere. Il buddismo nasce con la nostra pratica e in essa si manifesta: non c’è una forma determinata, pronta, da imitare. E pur inventando tutto, nulla è inventato: nasce nuovo perché nuova è la vita che vive ciascuno di noi, non perché gli diamo quella forma secondo la nostra volontà. Ognuno a suo modo nell’unico modo. Ma, se così stanno le cose, perché la forma giapponese pare irrinunciabile?
Ho tentato di dare una risposta storica a questa domanda. Vi propongo la prima parte di questo tentativo con il titolo La genesi delle religioni del Giappone. La seconda parte, che comparirà in seguito assieme ad un testo attualmente in lavorazione, indaga su un altro “retroscena”: la sinizzazione del buddismo, operata dai cinesi a partire dal III-IV secolo, adattandolo ad una diversa visuale religiosa e modificandone uno dei punti più importanti: l’astenersi dal definire la natura dell’essere, un’astensione sostituita (a volte solo integrata) con il legame alla spiritualità confuciano-daoista dello “spirito del Cielo”. Occorre rammentare che il buddismo non è una metafisica o un tentativo di stabilire “come stiano le cose” né, tantomeno, il loro perché: è “solo” la via che conduce alla liberazione dalla sofferenza, indipendentemente dal come e dal perché così stiano le cose.


Siamo lieti, anche quest’anno, di offrirvi gli auguri di Budda Zot e per suo tramite gli auguri della Stella.

Un giorno, forse, Doc scriverà la storia delle vere origini di Bz: quando (1976?), come, dove è nato e perché. Chissà che, da qualche sottoscala, non saltino fuori i primi album con le prime piccanti avventure …
Forse, un giorno.

Grazie a Doc per i disegni, ad Alex per la musica e a Pierinux per la messa in opera.
Con i potenti mezzi posti in opera da Px, potete vedere Bz a schermo intero e, addirittura, lo potete scaricare sul vostro PC.


Non so se mi spiego

Tra martedì 10 e giovedì 12 ottobre a Urbino, nel monastero delle Clarisse, si è tenuta la riunione annuale del DIM Italia, sezione italiana del MID-DIM (di cui qui trovate la storia e la struttura). Erano presenti circa trenta persone, appartenenti a quattro religioni diverse: Cristianesimo, Islam, Induismo e Buddismo.

Il Buddismo era rappresentato dagli appartenenti alla scuola Zen, provenienti da quattro diversi gruppi, e dalla tradizione Vajrayana con gli appartenenti all’Istituto Lama Tsong Khapa di Pomaia. Gli induisti provenivano dal Gitananda Ashram di Altare (SV). L’Islam era rappresentato dal COREIS, Comunità Religiosa Islamica Italiana, l’associazione nazionale dei musulmani italiani. Il cristianesimo era rappresentato da monaci e monache appartenenti a 12 monasteri italiani e ad uno francese, oltre alle Clarisse di Urbino, a cui va un ringraziamento particolare per la limpida e serena ospitalità.

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La giornata di mercoledì 11 è stata in buon parte occupata da due interventi della Stella, uno al mattino ed uno al pomeriggio, e dalla discussione ad essi dedicata.
🍁Il primo intervento, intitolato L’esperienza della Stella del Mattino, era articolato in quattro parti:
-La storia, -L’evoluzione che ha portato alla forma attuale, -Gli obiettivi, -La forma interna o profonda della comunità.
🍁La seconda parte, dedicata al dialogo religioso, era articolata in cinque punti:
-La testimonianza e la sua condivisione, -Il dialogo come esigenza personale, -Il dialogo come attività intellettuale o accademica, -Il dialogo come filosofia politica, -Suggerimenti e proposte rivolte agli attori del dialogo

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Ecco i testi dei due interventi


È la prima volta che la Stella del Mattino pubblica e distribuisce un testo cristiano. Fra le ragioni a sostegno della decisione di pubblicare questo libro di Simone Weil, mi pare opportuno menzionarne tre. La prima non differisce da quella che motiva la pubblicazione di tutti gli altri testi: la convinta speranza che la lettura del libro offerto sia di beneficio a chi lo riceve, come lo è a chi lo propone, per la propria esperienza spirituale ed esistenziale.

La seconda è inerente a un elemento costitutivo di questa comunità, il dialogo religioso con il cristianesimo. Ascoltare la voce dell’altro, con il suo timbro, la sua terminologia e le sue argomentazioni, senza togliere né aggiungere né modificare, è parte non alienabile del dialogo religioso, affinché non divenga il monologo di un solo attore, che interpreta entrambe le parti di un canovaccio in cui l’altro è un tu su misura per me, e non un vero altro io. La terza ragione diviene evidente con la lettura del libro. La Pesantezza e la grazia, rappresenta una buona introduzione al mondo religioso secondo Simone Weil. Si presenta in forma di brevi pensieri, che nella maggior parte catturano immediatamente l’attenzione, credo, di chiunque sia personalmente coinvolto dal discorso religioso, e richiedono poi una lettura ripetuta e una lenta assimilazione. Il pensiero nitido e il linguaggio essenziale di Simone Weil esprimono un cristianesimo fedele, privo di accenti consolatori e di ripari identitari, che nasce da un’esperienza spirituale e intellettuale tanto inimitabile quanto profondamente comunicativa: sono convinto che la coerenza disarmata fra pensiero, parola e comportamento che è la trama della sua vita e che questo piccolo libro riflette chiaramente sia una fonte d’ispirazione anche per chi abitualmente ascolta e parla altri linguaggi spirituali e religiosi.

Come d’abitudine, proponiamo il testo in due formati, .pdf ed .epub, per l’utilizzo a stampa o digitale. In questa pagina potete trovare e scaricare liberamente ambedue le versioni del testo.

È trascorso un anno dalla scomparsa di Watanabe roshi.
Nato, nel 1942, ad Aomori, nel freddo nord del Giappone, non aveva potuto conoscere suo padre, abbattuto da un aereo americano sull’Oceano Pacifico poco prima della sua nascita. Terminato il liceo, avrebbe dovuto iscriversi all’università ma, senza avvisare la famiglia che sapeva contraria, si recò a Daijoji -monastero situato a Kanazawa, nel Giappone centrale-, dove chiese di essere accolto come novizio. Daijoji era uno dei luoghi in cui periodicamente si recava Kodo Sawaki per soprintendere alla pratica dei monaci. L’incontro con Sawaki fu fondamentale: indicò infatti al giovane Watanabe di lasciare Daijoji

Antaiji: al centro la tomba di Watanabe, a destra quella di Uchiyama, a sinistra quella di Miyaura

Antaiji: al centro la tomba di Watanabe, a destra quella di Uchiyama, a sinistra quella di Miyaura

e recarsi ad Antaiji, di cui Sawaki era priore e dove lo stesso Sawaki, molto anziano, si ritirò alcuni anni più tardi. Ad Antaiji Watanabe, poco più che ventenne, incontrò Sodo Yokoyama e Kosho Uchiyama, i due principali discepoli di Sawaki. Yokoyama nel 1957 aveva lasciato Antaiji per trasferirsi nel parco di Komoro, dove divenne famoso come “il monaco che suona con le foglie“. Watanabe, divenuto discepolo di Uchiyama, nel 1975 succedette al suo maestro alla guida di Antaiji e trasferì il monastero sui monti del Giappone sud occidentale, un luogo allora impervio, difficile da raggiungere, letteralmente in cima a una montagna. Dal 1987 al 1992 risiedette in Italia, dando vita alla Stella del Mattino.
In questa pagina potete trovare un’intervista a Watanabe roshi realizzata nel luglio del 2004.

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Alcuni ricordi personali

🌱Nel maggio del 1978, con altri tre italiani, mi recai ad Antaiji per la prima volta. Degli altri tre compagni di viaggio uno abbandonò dopo una settimana per la severità della regola e gli altri due, Gianni e Daido, non ci sono più. Watanabe roshi era giovane, dotato di grande energia, incuteva timore. Ci colpì la sua capacità di “scomparire”: un momento prima era lì, accanto a te, alzavi gli occhi e non c’era più. Solo tempo dopo capii che questo era dovuto alla quantità di sogni, pensieri in cui eravamo presi, distratti, quindi con i tempi allungati: ci pareva fosse stato lì sino a “un attimo prima”, ma per lui di attimi ne erano trascorsi tanti e aveva avuto il tempo di andare altrove. Ora sento la sua mancanza soprattutto come interlocutore: ci son cose che non so a chi dire. mym
🌱Una sera ad Antaiji ci disse: “Anche se questo progetto dovesse fallire, ho in mente varie altre possibilità”. Rimasi interdetto, certo che il compito immenso che volontariamente si era assunto, non avesse alternative. Aveva da poco trasferito il monastero, una rivoluzione inaudita nel morto mare dello zen giapponese, stava impostando una vita nuova di zazen, lavoro e studio, che richiedeva dedizione completa a una ventina di persone giovani, piene di entusiasmo ed energia. Lui era all’opera incessantemente, presente in ogni momento della vita comunitaria con attenzione ferrea. E la responsabilità continua e l’impegno totale non gravavano sulla sua mente, che manteneva sgombera. Così è stato sempre, nell’alternarsi delle vicende della vita. Un uomo a volte terribile, mai opprimente, capace di accollarsi enormi pesi senza diventare pesante. gjf
🌱Watanabe roshi trascorse il primo anno della sua permanenza in Italia presso la comunità dei Missionari Saveriani di Reggio Calabria, di cui allora io facevo parte. Ogni giorno condividevamo lo zazen, la preghiera e l’ascolto delle scritture cristiane e buddiste. All’ascolto seguiva spesso un breve scambio di considerazioni. Era il giorno di Pasqua e Watanabe roshi mi disse. “La Bibbia per pagine e pagine narra l’insegnamento di Mosè e dei profeti. Ma poi ad annunciare la risurrezione fu scelta una donna della strada, la Maddalena, la quale aveva una sola via per annunciare la risurrezione: risorgere lei stessa.” Di Watanabe roshi ricordo la sobrietà del discorso, e la domanda di comportamenti reali: annunciare la risurrezione risorgendo. Luciano Mazzocchi, s.x.

Il 29 marzo, presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Padova, vi sarà la terza e ultima giornata dedicata al tema Nascere e morire: il mistero della vita.

Segnalibro 2016

In quell’occasione il professor Benedict Kanakappally, teologo indiano, terrà una lezione su vita e morte nella traduzione induista. A seguire sarà il turno di parlare, ahinoi, de La questione del nascere e morire dal punto di vista Zen.
A volte ci si chiede perché si accetti di porsi in tali situazioni. La vanità, certamente. In questo caso ha giocato il fatto che il punto di vista Zen su quella tal questione m’interessa proprio e ho voluto dedicarvi tempo per riflettere e vedere che cosa sarei riuscito a tirarne fuori. Non tanto dallo Zen ma da me stesso. Ed ora è quel tempo, e occorre andare.
Comunque, per non sprecare l’occasione, ho approfittato per mettere nero su bianco le ragioni i tempi e i modi che hanno portato alla nascita dello Zen. Un inedito.
Per non rovinare la sorpresa ai padovani, metterò on line il testo al mio ritorno. Lo aggiungerò qui, sotto al PS.

PS: il titolo del post, “Padovani gran dottori”, è il secondo verso di una filastrocca con cui i veneti, pare da secoli, descrivono se stessi

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Come promesso, ecco il testo del seminario del 29 marzo presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Padova

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Quando, nel 1990, la Stella pubblicò il Bendōwa, presidente della Marietti era don Antonio Balletto. Amico e sodale di don Gallo, fu tra i primi in Italia a lavorare in favore del dialogo interreligioso. Forse anche per questo accettò di pubblicare il testo di un allora pressoché sconosciuto buddista giapponese del XIII secolo, tradotto da un’improbabile gruppo italo-giapponese: la sua non fu certo una scelta di tipo speculativo. Purtroppo la collaborazione con lui non potè continuare: poco tempo dopo fu estromesso dalla Marietti. A Genova, si sa, l’attenzione all’economia è importante.

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La traduzione del Bendōwa fu un lavoro difficile: avevamo pensato, primo errore, che prima di redigere il testo italiano dovevamo essere tutti d’accordo sia sul significato che sulla forma di ciascuna frase e, secondo errore, pensammo di mantenere questa linea sino alla fine. L’assenza di esperienza complicò ancora le cose ma tutto questo lavorìo produsse anche risultati: rivedendo ora il testo è evidente che le frasi, le singole parole sono state pesate accuratamente e per questo sono ancora valide. Ciò che è fatto con criterio, di solito, dura. Vi riproponiamo quindi il testo sostanzialmente senza variazioni, solo abbiamo aggiunto alcune note esplicative che speriamo siano d’aiuto al lettore. In tutto il lavoro si sente l’influenza di Kohō Watanabe che trasformò il giapponese del XIII secolo di Dōgen in quello dei giorni nostri e che ci sostenne per tutto il tempo che dedicammo alla traduzione. Questa nuova edizione è anche un modo per ricordarlo, a quasi un anno dalla sua morte. Si percepisce con grande vitalità il continuo paziente richiamo allo zazen.

Anche questa volta vi proponiamo il testo in due formati, .pdf ed .epub, per un diverso utilizzo, a stampa o digitale. In questa pagina potete trovare e scaricare liberamente ambedue le versioni del testo.

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