Ven, 27 Lug 2007
Un poco perché fa caldo, un poco perché mi è stato ricordato da una mail, un poco perché non sempre i validissimi collaboratori del sito forniscono materiale con cui tenere fresca la home di questa pagina, questa volta non pubblico un inedito.
E’ un articoletto già uscito sulla Stella cartacea un paio d’anni orsono. In origine era nato come collaborazione ad un lavoro sulla morte elaborato da alcuni amici del dojo di Torino, poi mi è parso divertente e così eccolo qui.
Il ritardo della morte
I buddisti (gente idola, già diceva Marco Polo settecento anni or sono) spesso sostengono che il futuro non esiste poiché, al pari del passato, è solo immaginato. Atteso. Sperato. E quando si presenta lo può fare solo in quanto presente; quindi lui, il futuro, è comunque estraneo, non ha un permesso di soggiorno nella realtà agìta e vissuta; quella vera, fatta di sudore e di fatica. Però, se ci fate caso, per dire tutte queste belle cose, dobbiamo essere vivi: non so voi, ma io non ho mai visto né sentito di nessuno che, non vivo, ossia già bello che morto, andasse sproloquiando di futuri e di presenti.