Generali


Quando ero bambino uno zio mi diceva spesso che “da grande” avrei dovuto fare il prete. La giustificazione che ogni volta portava a sostegno di quel consiglio era sempre la stessa: “È pur sempre meglio che lavorare…”. Mi son tornate alla mente quelle parole quando giorni addietro ho segnalato l’uscita de Fare il prete non è un mestiere. Una vocazione alla prova.

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Lasciare la casa, rinunciare ad una famiglia ed a tutte le responsabilità, le sofferenze, le gioie e le complicazioni che questo comporta è difficile. La vita da “soli”, che è più solitaria di quella del semplice single, specialmente attorniati da persone che sono circondate dai loro famigliari, ha dei momenti di sofferenza veramente acuta. Il rischio, sempre incombente per chi ha la responsabilità di una famiglia, di trovarsi a terra, magari senza neppure una casa, è una spina tremenda.
Ecco, da parte di dr, la recensione al libro sul mestiere del prete. Che non è solo un mestiere.

Per recensire queste interviste a sacerdoti di oggi, partirei da un’“intervista che non c’è”: quella a don Cesare, nostro parroco di famiglia su al paese. Quando si va a salutarlo, ti accoglie in una di quelle canoniche ciclopiche rispetto alle esigenze attuali. Ampie stanze dietro ampie stanze, mobili scuri e silenziosi,

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L’amico dr ci ha inviato la seconda tornata degli haiku di Alan Lasting. “Siamo” sempre a Dover ed ora il tema pare più esplicito: il risveglio. Ma la brevità del testo ancora non permette di vedere oltre l’accenno; al modo di alcuni dipinti cinesi del tempo che fu dove il tremolio di un filo d’erba cela e non cela i baffi del drago in agguato…

Dover, morning
So just keep my wake
In sight before the water
Closes ’n’ flats again

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La pagina Libronline si è arricchita di un nuovo testo. Breve, intenso, inusuale. Si tratta del racconto redatto da Kosho Uchiyama roshi, già abate di Antaiji negli anni ‘60 e ’70, sulla sua vita da monaco, a Kyoto, sostenuto unicamente dalla questua. Il periodo narrato è quello dei difficili anni immediatamente successivi all’ultima guerra mondiale. Ma il vero senso dello scritto del roshi risiede nel tentativo di comunicare la sua personale comprensione -che è pratica quotidiana- del significato di “retto sostentamento”, uno degli otto rami dell’Ottuplice Sentiero. È strano ma l’argomento “denaro” non viene quasi mai affrontato nei moderni testi buddisti. Si discetta di sottigliezze, ci sono forum e siti web dove si arriva a minuzie incredibili riguardo alla dottrina buddista. Si pubblicano libri su ogni aspetto della pratica e della caccia all’illuminazione. Ma come i singoli interlocutori sbarcano il lunario… è sempre nell’ombra. Eppure l’unico mezzo di cui il Buddha ha dato esempio per vivere è la questua. Quando il racconto di Uchiyama è stato pubblicato sulla rivista della Stella un membro autorevole della medesima mi ha comunicato le sue “perplessità circa la pubblicazione di un testo sulla questua, ora, proprio da noi, in Italia”. Chissà perché. Non sarà che, sotto sotto, non possiamo non dirci (demo)cristiani?

In attesa che qualcuno lo legga e ce lo recensisca, anticipiamo -sarà in libreria a fine mese- l’uscita di un testo che promette bene. Ecco la scheda di autopresentazione:

Fare il prete non è un mestiere. Una vocazione alla prova
di Laura Badaracchi, Ed. Gli asini (www.gliasini.it), Roma 2009

Esiste il mestiere di prete? Essere sacerdote è solo una vocazione o anche una professione? Domande provocatorie per far pensare che, in fondo, ogni lavoro dovrebbe avere un’anima, nascondere in sé una sorta chiamata.

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Tenendo presente che anche per diventare presbitero, come per altri “mestieri”, occorre una formazione specifica, lunga e complessa. Non si tratta di una scelta estemporanea o a cuor leggero: il seminarista, o aspirante prete, ha a disposizione molti anni per scandagliare la sua vocazione, con l’aiuto del direttore spirituale e del confessore, di compagni di strada e amici con cui confrontarsi.

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L

o stesso è ciò che è vivo e ciò che è morto, che è desto e che dorme, che è giovane e che è vecchio: queste cose mutando sono quelle, e quelle di nuovo mutando sono queste” (88 DK). Così scriveva Eraclito, “l’inventore” del logos, tòpos dell’anima e di questa il fondo. La sapienza dell’era assiale pare echeggiare nelle sue parole, quasi un ponte tra Cina, India ed Hellas.
Di questo e di più ne I Confini dell’Anima, la nuova puntata de All’ombra del Partenone, come sempre a cura di CR.

I confini dell’anima

“I confini dell’anima non li puoi trovare andando, pur se percorri ogni strada: così profondo essa ha il logos.” (Eraclito, 45 DK).
Eraclito, soprannominato dagli antichi skoteinos, l’Oscuro, era evidentemente di difficile interpretazione anche per loro, i quali disponevano del testo completo della sua opera.

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Un caso incredibilmente delicato, in questi giorni, tiene banco in Italia, accompagnato da una sguaiatezza da parte della Presidenza del Consiglio e della Chiesa cattolica -nonché da sostenitori dei due- degna delle dispute da bar.
Luciano Mazzocchi ne scrive con pacatezza, delicatezza e acume. Pubblichiamo il suo scritto, del quale uno stralcio è apparso l’8 febbraio tra le “Lettere” de La Repubblica

sia che viviate sia che moriate

Il caso Eluana, come ci è commentato dai mass media, sembra essere vissuto con partecipazione solo da chi si schiera in due posizioni: i favorevoli e i contrari a staccare il sondino dell’alimentazione. Purtroppo, ai due gruppi vengono date denominazioni di comodo e sommarie: contrari i cattolici, favorevoli i laici. Questa faciloneria amareggia molti, tra i cattolici come tra i laici. Oggi si discorre sul caso Eluana un po’ dappertutto: in treno, sul lavoro, ovviamente anche in chiesa coi fedeli e anche tra sacerdoti. La gente, per fortuna, non deve salire sul podio dell’una o dell’altra parte per ripetere frasi ufficiali, e per questo parla di Eluana senza arroccarsi in definizioni; anzi, le evita quasi percependo che in questi casi non ci sono parole esaustive, né soluzioni esemplari. La gente parla dei casi pregni di dolore quasi in silenzio. Non dà ragione né all’una né all’altra parte; o, forse, dà ragione a tutte e due. Così, dopo aver discorso, il discorso riconduce al silenzio.

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L’ amico dr mi scrive: Caro mym, se sei d’accordo, interromperei almeno momentaneamente le rubriche in corso per una “new entry”. Il termine inglese s’impone: un redattore di una piccola casa editrice anglosassone infatti mi ha appena inviato una raccolta di haiku di un certo Alan Lasting, che era… il suo ex farmacista.

Farmacista per costrizione, si era appassionato al buddismo (di che scuola? va’ che l’esperto sei tu) e raccoglieva le sue riflessioni sotto forma di brevissimi componimenti poetici. Mi sembrano carini da presentare “in esclusiva per l’Italia sulla Stella del mattino, ta-daaan”. Fammi sapere. Di ogni haiku fornirei

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