Generali


Giovedì 18 febbraio 2010, alle ore 18, presso la sede dell’Unione Culturale “Franco Antonicelli”, via Cesare Battisti 4, Torino,

Giuseppe Jisō Forzani
(Direttore dell’Ufficio Europeo del buddismo Soto Zen)
terrà la conferenza sul tema
La pratica Zen tra laicità e religione

Presiede:
Paolo Sacchi, del Soto Zen Dojo di Torino
Introduce:
Tullio Monti, Coordinatore della Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni

La conferenza è organizzata da Soto Zen Dojo di Torino, in collaborazione con la Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni.

Porto all’attenzione del dotto pubblico che frequenta questo sito, un breve testo da me composto su un tema non più eludibile. Qualche cosa di così potenzialmente distruttivo per la comunità buddista e così evidente

da aver attirato l’attenzione anche della cultura non buddista: lo scrittore Giampiero Comolli se n’è occupato di recente nell’articolo La crisi della spiritualità orientale, che -al di là delle conclusioni e delle analisi- vi segnalo per l’aver colto dall’esterno (Comolli è un valdese) quello che non molti dall’interno hanno percepito. Come sempre pacatamente, ma senza risparmiarci nulla, potremmo commentare.

Mandarini buddisti

Nella geografia dei buddismi giunti in Occidente, è noto che il buddismo zen proviene dal Giappone, sede di una cultura il cui tessuto sociale è organizzato su basi confuciane. In quel Paese le gerarchie, i ranghi, le cerimonie formatisi nei secoli -soprattutto alla corte imperiale cinese nella casta detta dei mandarini (1)- accompagnano lo zen come il guscio dell’uovo.

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Scrive Nietzsche in un suo frammento del 1887: “Volontà di verità è una parola che sta per volontà di potenza”
Lettere da Repubblica delle Donne
(Risponde Umberto Galimberti)

Alcuni dati indicano come circa l’80% degli italiani, come unica fonte di informazioni sul mondo, non abbia che la televisione. L’uomo pericoloso è l’uomo che ha letto un solo libro, diceva un vecchio adagio. Figuriamoci se non ne ha letto nessuno. Un curioso episodio capitatomi in una tabaccheria del centro di Venezia, città antileghista e antifascista – ancora per quanto? – è più rivelatore che tanti studi sociologici su questa povera patria. Una signora avanti con gli anni stava giocando il lotto ed io ero dietro di lei, in attesa del mio turno. Con il proprietario parlavano di un argomento a caso dell’Italia televisiva: il presidente del Consiglio. Dai loro discorsi evincevo che l’attuale presidente del Consiglio è un uomo del fare, a differenza di altri suoi predecessori che evidentemente avevano fatto poco. Lo ammetto, non sono riuscito a rimanere distaccato e mi sono tradito con una smorfia dubitativa.

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Un solo giorno
vissuto consapevoli
della natura fugace della vita
ha più valore
di cento anni
inconsapevoli di nascita e morte
Dhammapada, 113

Alcune settimane addietro pubblicammo la provocatoria proposta da parte di un padre -nonché professore della Luiss- che invitava il proprio figlio a lasciare l’Italia per organizzare il proprio futuro.

Da parte della generazione a cui quella lettera era indirizzata ricevo ora, e vi propongo, un’altra lettera che ritengo particolarmente importante. È un modo molto pragmatico di affrontare “lo stato delle cose”, di un privilegiato se volete, ma -a ben vedere- è una domanda radicale a proposito di che-cosa-stiamo-a-fare-noi-qui.
Se avete risposte: ben vengano.

«Lei alla mia eta non si sentiva “fregato”? nel senso: ho 21 anni, sono giovane e forte, ho voglia di fare, non ho i mezzi per essere indipendente. Non li avrò prima di altri 5-6 anni.
Quando li avrò sarò comunque senza una casa e, a meno di essere un’eccezione, avrò poco denaro. Passerò la mia restante giovinezza

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Dopo l’invio del testo La Pantomima tramite mail list, si è sviluppata un’ampia discussione che qui prosegue tutt’ora. Pubblichiamo oggi un contributo al “discorso” che pare alieno sia per la sua collocazione religiosa sia per un’apparente contraddizione con il testo de La Pantomima. Dico “pare” alieno e “apparente” contraddizione perché a mio avviso è una parte dello stesso discorso. Ovviamente mutatis mutandis: vi si parla di Dio, di Gesù, del Cristo,

dello Spirito santo, persino di una pratica comunitaria che pare assumere il ruolo di veicolo salvifico proprio in quanto comunità e che, quindi, in qualche modo si contrappone al singolo, a chi segue la via nella quotidianità senza appartenere, almeno fisicamente, a gruppi o comunità particolari.
Il testo, pubblicato sul n. 49 della Lettera agli amici – Qîqājôn di Bose è estrapolato dalla

Omelia di fr. Enzo nella veglia della Trasfigurazione:

[…] Noi monaci non abbiamo una particolare missione o funzione nella chiesa: siamo semplicemente uomini e donne insieme, da un punto di vista umano, quasi per caso. Siamo qui, siamo là, nei deserti o nelle selve, sui monti o nelle valli, per che cosa? Per stare davanti a Dio insieme, in una vita comune, niente più. Non facciamo nulla di particolare se non rimanere davanti a Dio

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Spartacus a Rosarno

Noi non viviamo a Rosarno. E proprio perché non viviamo a Rosarno siamo legittimati a parlare di Rosarno e degli schiavi di Rosarno, che lì sono tenuti in schiavitù. Siamo legittimati a parlarne perché non abbiamo l’alibi delle problematiche quotidiane, delle puzze, delle pisciate, della negritudine che disturba l’omertosa consuetudine, perché non siamo noi a usare quei neri come schiavi per il nostro tornaconto, salvo poi schifare per la merda in cui gli italiani di Rosarno, per indifferenza o complice interesse, li hanno lasciati a vivere per anni.

Siamo legittimati a parlarne perché non siamo né partecipi, né succubi, né complici, né parenti, né amici, né simpatetici con nessuna mafia e mafietta, con nessun caporale, con nessun piccolo o grande proprietario di campi o di frutteti, di alberi di arancio o mandarini, perché non abbiamo mai fatto lavorare nessuno come una bestia per pochi euro al giorno lasciando che vivesse peggio dei nostri animali, né siamo amici, parenti, conoscenti di nessuno che abbia mai fatto o lasciato che si facessero simili porcherie. E dunque per nulla ci commuove oggi la situazione dei bianchi di Rosarno, come non ha commosso loro, in soverchiante maggioranza, la condizione degli schiavi che oggi si ribellano e domani perderanno ancora e morranno per la vostra indifferente comodità. La sporcizia sta qui, non nei tuguri dei neri. Spartacus perderà, arrivano i romani, anagramma maroni, faranno piazza pulita dei neri, riporteranno l’ordine per la festa continua delle mafie che amministrano questo moribondo paese. Spartacus morirà, le croci staccate dai muri delle scuole su cui fino a ieri le avete difese come simbolo d’amore getteranno di nuovo la loro ombra oscena sulla strada per Roma. Tornerà l’ordine a Rosarno, e la merda nostrana continuerà a puzzare indisturbata nelle vostre coscienze avvelenate e nelle vostre strade ripulite.

JF

L’associazione La Ginestra, col patrocinio dell’Università di Urbino, propone una iniziativa teatrale multietnica:

“Il laboratorio teatrale FUORILUOGO nasce dall’intenzione di costituire un gruppo multiculturale, formato quindi da giovani provenienti da diverse culture (anche da differenti regioni italiane), che prepari una rappresentazione teatrale su testo inedito. Si cercano pertanto giovani (studenti e non) che, accanto all’interesse per il teatro, abbiano voglia di confrontare e raccontare le proprie esperienze e la propria cultura di provenienza all’interno di un laboratorio. La rappresentazione finale sarà messa in scena al teatro Sanzio di Urbino.”
Per informazioni: 3400915373 – 3476034751 – simona.ruvolo at hotmail.it

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