Generali


Ho ricevuto da fratel Matteo, coautore del post precedente e che ringrazio per il regalo, la recensione che qui sotto propongo alla vostra lettura. L’autore del testo recensito, Tiziano Tosolini, missionario saveriano, vive a Osaka da molti anni e, dopo la laurea in teologia e pedagogia a Parma e un dottorato in filosofia all’Università di Glasgow, è ora ricercatore presso l’Università Nanzan di Nagoya dove da alcuni anni dirige l’Asian Study Centre, una delle realtà più interessanti a livello mondiale sia per

gli studi buddisti sia per il dialogo inter-religioso. In Italia, oltre al testo recensito, ha pubblicato la traduzione con introduzione di: Nishida Kitarō, La logica del luogo e la visione religiosa del mondo, a c. di T. Tosolini, Palermo, L’Epos, 2005. Si dice (qualcuno dice?) che non vi siano cristiani che sappiano DAVVERO fare zazen… Non so se padre Tosolini sappia sedersi in zazen ma la sua comprensione e resa in italiano del pensiero di Nishida (scuola di Kyoto) sono rigorose e interessanti.
Tiziano Tosolini, Controstorie dal Giappone, Asian Study Centre, Izumi Sano (Ōsaka) 2006.
Edito in Italia come:
Tiziano Tosolini, Interno giapponese. Tracce di dialogo tra Oriente e Occidente EMI, Bologna, 2009.

Ritorniamo su un testo cui abbiamo già accennato nei commenti ad un post precedente: Senza Buddha non potrei essere cristiano, di Paul Knitter. Un libro importante anche se, tutto sommato, modesto. La modestia del libro dipende dalla modesta capacità di penetrazione dell’autore sia in campo cristiano che buddista. Oppure, ed ai fini di questa critica è lo stesso, dal non eccelso livello al quale l’autore prende in considerazione le due religioni. Il valore perciò non sta nell’apporto e fruizione culturale del testo (sul buddismo scrive anche vere e proprie sc…onsideratezze) ma nello spirito nel quale Knitter si è mosso.

A mio parere un buon esempio di dialogo. Non amo pensare al dialogo come “incontro parlato”, tavola rotonda tra persone di appartenenze diverse, che si incontrano per raccontarsi l’un l’altro; lo sento sterile. Per usare una metafora cristiana direi che dialogo esiste nel percorrere un tratto di strada assieme. Questo implica studio, pratica, umiltà. Soprattutto mettersi in gioco sinceramente, essere disposti a rischiare le proprie sicurezze e le proprie credenze. Allora si manifesta la parte più viva del dialogo, tra me e me secondo diverse prospettive di pari dignità. Proprio questo riesce a fare Knitter: sperimentare -almeno in qualche misura- una doppia appartenenza. Ed è questo, l’atteggiamento interiore veramente dialogico, che da valore al suo libro.
Dicevo che, tuttavia, vi sono alcuni gravi abbagli a proposito del buddismo. Direi che i principali sono due: in primis fraintende completamente il senso di śūnya (vuoto). Pensa infatti (o almeno così pare) che śūnya sia il nome di “qualcosa”. Non ha colto che śūnya indica la condizione dei fenomeni (o del “mondo”) esistenti pur in assenza proprio di un “qualcosa” che ne costituisca l’anima, il sé o una vita intrinseca indipendente dalle parti che contribuiscono a formare e a far esistere i fenomeni (cfr. per es. p. 18, 22, 23 s.). Perciò il percorso proposto da Knitter per “leggere” Dio con l’aiuto del buddismo, ovvero śūnya->Vacuità->Interessere->Dio porta a concludere che Dio pare ci sia ma in realtà non c’è. Non credo intendesse dire ciò. Il secondo grave abbaglio nei confronti del buddismo, Knitter lo evidenzia in tutta la parte in cui parla di una fantomatica “dottrina buddista della rinascita” (cfr. per es. p. 106, 112, 113, 116) intendendo proprio “qualchecosa che rinasce dopo la morte”. A me pare sempre strano sentir parlare di “dopo la morte” (cfr. Knitter 103, 106, 108, 117) perché chi ne parla non dice mai né che cosa intenda per “morte” né quanto duri la morte di cui parla, durata necessariamente limitata in modo da permettere un dopo. Comunque, non esistendo alcuna “dottrina buddista della rinascita/reincarnazione” bisognerebbe piuttosto far capo ad antiche credenze indiane -e dal XII sec. anche tibetane- che si sono “agganciate” ad alcune scuole buddiste. In ultimo notiamo che la sua possibilità di passare davvero attraverso la porta senza porta del buddismo si arena di fronte ad una irriducibile e -almeno in senso religioso- del tutto superflua fede nell’io (cfr. p. 117) che pare derivare più da un legame culturale che da un lascito cristiano. Il libro è corredato da una pre-prefazione di p. Luciano che, purtroppo, non è adeguata al testo: incomprensibilmente si limita ad enumerare luoghi comuni del buddismo meno edificante senza entrare per nulla nel merito di un’esperienza di vita che appare autentica e stimolante.
Ho avuto occasione di discorrere di questo libro con un amico, monaco di Bose, che mi ha cortesemente permesso di pubblicare qui le sue parole (in pdf).
Trovate qui il testo completo in formato normale.

A Camaldoli, nel Casentino, il fine settimana successivo a quello dei referendum, ovvero il 17, 18 e 19 giugno, per la serie di incontri pentecostali in dialogo con le fedi viventi, si svolgerà l’incontro intitolato La preghiera nell’Islam. Tra sottomissione e prossimità divina.
Il monastero di Camaldoli è noto da tempo per queste

iniziative a cui, in più di un’occasione, ha partecipato anche la Stella del Mattino. In un mondo in cui tra fedi diverse non è raro che la guerra sia la conseguenza dell’incontrarsi, l’approfondimento sul senso della preghiera islamica in un luogo di pratica cristiana è una testimonianza preziosa. Per informazioni:
Foresteria del monastero, 52010 CAMALDOLI (AR)
Tel. 0575 556013 – Fax 0575 556001
E-Mail: foresteria@camaldoli.it
oppure: direttamente qui

Nella tradizione buddista, in Cina e poi in Giappone per cui a seguire l’Occidente orecchiante al Sol Levante, s’usa dire che “ogni giorno è un buon giorno”. Di vaga ispirazione daoista, la frase è, a volte, usata come saggio insegnamento da ammansire a chi enumera le sue difficoltà nel vivere da parte di chi -invece- vuol così mostrare di aver trasformato “le difficoltà in opportunità”. Come

s’usa dire oggi nel mondo degli squali di finanza. Il fatto è che il dito in questo caso -se è un dito buddista- non mostra certo come incassare anche quando tutti perdono. Ma come star bene anche stando male. Insomma, non è vero che “ogni giorno è un buon giorno”, piuttosto ogni giorno è un mare di guai: anche quando pare non succeda nulla “quel giorno” ci avvicina di 86400 secondi alla morte. Se questo non è chiaro rischiamo di augustiarci perché, NON OSTANTE la nostra splendida pratica la vita pare sempre più difficile. Ogni giorno è un giorno speciale, praticamente unico. Ma è così sempre, per cui: nulla di speciale.
*Per “l’immagine zen” ringraziamo http://www.manifatturadisigna-shop.it/

O(n)dina di maggio

Amico mio
nascere a maggio
non chiede forse
maggiore coraggio
di quanto serve
a venire al mondo
ognaltro mese del girotondo.
Dove piuttosto il faut du courage
è nel diuturno vivre comme un sage,
è nel procedere appresso alla via…
Que no te falta la valentia
la mano aperta e la mente salda
è una fiducia che il tempo rinsalda.
Per cui non resta all’amico un po’ antico,
nel genetliaco lento ed aprico,
che formulare l’augurio sincero
di vento terso, costante, leggero
piena la vela, placida l’onda
con la salute che sovrabbonda.
JF

Verso la fine di marzo vi fu, ad Urbino, una tavola rotonda dal titolo: Etiche della terra: l’educazione ambientale in una prospettiva interculturale organizzata dagli studenti dell’associazione Openhouse di Urbino e dall’associazione Time for Peace and Development di Pesaro, con il contributo della Provincia di Pesaro e Urbino e dell’ATS IV.

Vi parteciparono tre relatori: Salvatore Frigerio, monaco camaldolese, Mouelhi Mohsen, rappresentate sufi e Paolo Sacchi, della Stella del Mattino. Su queste pagine annunciammo l’evento con un post. Alla kermesse parteciparono un centinaio di studenti dell’università e della scuole superiori. Ora sono disponibili le relazioni scritte dei tre oratori. Ve le offriamo in pdf:

Mouelhi Mohsen: Dio è Bellezza ed Egli ama ciò che è bello

Paolo Sacchi: La chiara visione della realtà

Salvatore Frigerio: Il giardino consegnato

Dopo la pausa invernale a poco a poco viene alla luce il tempo passato, sottoforma del ricordo dei libri letti nella quiete dell’inverno. Ora, tra i tanti fiori umidi di questa lunga primavera anche le recensioni fioriscono.
Questa volta DHR ci invita a rileggere un teologo

laico, quasi spiandone gli ultimi istanti di vita prima del supplizio: Tommaso Moro. Raro caso in cui qualcuno è venerato come santo sia dalla chiesa cattolica sia da quella anglicana. Rispetto alle sue capacità di teologo o alle vette di santità, Thomas More è forse più famoso per aver introdotto nel linguaggio mondiale il termine utopia con cui battezzò un’immaginaria isola dotata di una società ideale, che descrisse nella sua opera più famosa, L’Utopia appunto, pubblicata nel 1516.
Thomas More, Gesù al Getsemani, Ed. Paoline, 2011.
PS: a mia parziale discolpa, il titolo del post è quello indicato da DHR, 😉

Il nostro recensore ufficiale (nel senso che le recensioni le fa lui quando il libro l’ha letto lui… ) ci presenta una scheda su un libro che è un ossimoro: parla del silenzio. Insomma, la recensione parla di un libro che parla del silenzio e io qui parlo di una recensione…

Questo caso mi ricorda la storia dei tre eremiti votati al silenzio. Quando gli eremiti erano ancora due arrivò il terzo che dopo qualche anno chiese: “Da quanto tempo siete qui?”. Passati alcuni anni uno dei due rispose: “Son qui da dieci anni”. Al che il terzo sbottò: “Se avessi saputo che qui c’era tutto ‘sto baccano non ci sarei venuto!”.
Il recensore, vulgo JJ, con il suo stile tranquillo ci accompagna a visitare il testo, senza disturbare.
Sabino Chiala, Silenzi. Ombre e luci del tacere,Qiqajon, Bose 2011.

« Pagina precedentePagina successiva »