Generali


In questi giorni, mentre una strana agitazione pare contagiare i più portandoli, tra l’altro, ad accendere lucine

colorate un po’ dappertutto, DHR ha invece tempo da dedicare a legger libri quieti e a raccontarceli. Questa volta si tratta di Omelie delle feste del SignoreTempo ordinario, di don Giuseppe Dossetti. Vi offriamo la sua recensione, ringraziandolo per la cortesia.

Luce da luce

Un libro che si apre con un lampo di luce e si chiude nella luce ineffabile.
Sarà un caso, ma sono proprio questi i temi della prima e della ultima predica di don Giuseppe Dossetti contenute nella raccolta Omelie delle feste del SignoreTempo ordinario appena pubblicate dalle Paoline. La prima, risalente alla solennità

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Mentre qui, noi -chi più chi meno- lasciamo scorrere tante parole non sempre ben meditate, nel silenzio e nell’anonimato c’è chi alimenta le caldaie che fanno navigare il nostro sito tra i primi del web nel “genere” buddista, e non solo in Italia.
La pagina Testi buddisti antichi molto anonimamente introduce ad una

 

galassia in continua espansione. Oltre a fornire il link con tutti i testi del canone pali in lingua originale, completi di traslitterazione, vi trovate la traduzione di tutte le migliaia di opere del Tipitaka e di quasi tutti i testi del “canone mahayana”, sia indiani che cinesi che giapponesi. E l’intero Tipitaka in coreano. In particolare, le pagine che contengono i testi della scuola Madhyamaka e della scuola Yogacara sono veramente a livelli mondiali. L’Autore di tanta meraviglia, occorre dirlo, non è arrivato ora tra questi lidi. È il più anziano praticante della Stella: era già lì seduto, quando sono arrivati gli altri. Non penso me ne voglia se rivelo che è detto “il Senatore” e che non si riesce a stanarlo neppure con… le lusinghe più sottili.
Grazie cdm!

È tornato! L’unico, vero, inimitabile Buddazot. L’unico fumetto del web certificato come buddista. Perché? Aaaah, cari miei: perché Buddazot è tutto tutto niente niente.
Ed ecco a voi il Buddazot n° 18, il dhamma della pazienza (paziente fermezza?) senza il buonismo italico 🙂
Grazie Doc!

La forza della pazienza
è la risorsa degli esseri nobili:

possono venire incatenati,
sopportare attacchi fisici e verbali
senza abbandonarsi alla rabbia.

Dhammapada, 399

L’impulso moraleggiante dentro di noi va domato. Più siamo intelligenti, più dobbiamo essere cauti. Più la nostra parola è eloquente, più abbiamo bisogno di contenimento. Solo quando sappiamo di poter dire “no” a noi stessi, quando sappiamo di non dover sempre essere il vincitore possiamo apprezzare il potere trasformante della paziente tolleranza.

Con metta
Bhikkhu Munindo

(Ringraziamenti a Chandra per la traduzione)

Vi sono libri che nel “nostro ambiente” cadono come sassolini in uno stagno e sollevano onde che, raggiunte le sponde, tornano varie volte a manifestare quell’emergere del pensiero che chiamiamo interesse. Il libro di Paul Knitter Senza Buddha non potrei essere cristiano è uno di questi. Lo dimostra lo spazio che si è conquistato tra queste pagine, con le centinaia di commenti -anche aspri- che ha suscitato ed ora anche

con questo nuovo scritto che vi propongo, ad opera di aa. Dove però commentare il testo di Knitter è anche l’inizio di un percorso personale, la testimonianza di un cristianesimo che trova ossigeno nel buddismo, in particolare nello zazen. Aa evidenzia una differenza tra cristianesimo e buddismo da un punto di vista insolito. Di Gotama, dice aa, almeno a livello di leggenda agiografica, si conosce, si sa come e perché secondo quale percorso sia “diventato” (le virgolette son mie…) il Buddha. Invece non sappiamo secondo quale percorso Gesù divenne il Cristo.
Qui sotto, a seguire, trovate il testo completo di aa, che in pdf trovate anche qui

Di non solo Zazen

Il titolo del libro di Knitter Senza Buddha non potrei essere Cristiano (ed. Fazi, Roma, 2011) è forte, provocatorio, forse anche paradossale. Colpisce soprattutto l’accostamento tra il Buddha

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Come abbiamo annunciato nei

Crema - Via XX Settembre

Crema - Via XX Settembre

post precedenti, nei giorni scorsi si sono svolti due eventi nei quali la Stella ha dato il suo contributo: il primo ad Assisi, dedicato a Raimon Panikkar ed il secondo a Crema dedicato all’attenzione nei confronti di chi vede la fine della propria vita avvicinarsi a velocità crescente.
Trovate qui l’intervento di Jiso ad Assisi e qui l’intervento di Paolo a Crema. Ambedue gli argomenti, e gli interventi che li interpretano, sono interessanti. L’accostamento tra zazen e capacità di vita che comprende la morte non è una novità assoluta. In Giappone, nell’XI e XII secolo molti tra i samurai stabilirono legami stabili con lo zazen e con lo zen di scuola Rinzai. In quel caso però possiamo parlare, penso, di una situazione particolare: per “mestiere” i samurai ponevano la loro vita in gioco in combattimenti spesso mortali per cui lo zazen era un ponte attraverso il quale avventurarsi lasciandosi alle spalle la paura della morte. Al convegno di Crema, invece, Paolo pone il problema in termini più ampi, così come è ampia la platea di coloro che sanno che moriranno. Un altro punto che emerge in quell’intervento, anch’esso non per la prima volta, è l’ipotesi di uno zazen completamente slegato dal terreno buddista nel quale è stato allevato. Penso sia un aspetto da approfondire, quantomeno la domanda: che cos’è lo zazen privo di un retroterra buddista?
Il convegno di Assisi, invece, era dedicato a Panikkar: penso sia giunto il tempo di iniziare un esame della vita e delle opere di quell’uomo distinguendo l’aspetto meramente culturale e quello religioso, o con altre parole: distinguere l’uomo dai suoi libri. Soprattutto con occhi liberi da una scontata apologetica. L’intervento di Jiso, esteta nella parola, è un primo piccolo passo in quella direzione.

C
ome promesso, ecco una nuova visitazione del libro di padre Tiziano Tosolini, giovane missionario saveriano, ora in Giappone. Diciamo subito che il libro val davvero la fatica d’esser letto con attenzione, anche se non tutti i motivi che mi spingono a dirlo sono di apprezzamento per il suo contenuto. È ben scritto, documentato sui vari aspetti della vita di un popolo e la sua storia. È un testo complesso, articolato, con un ottimo lessico, vario, dove religione, antropologia, psicologia e

sociologia si equilibrano e si intrecciano. Il Giappone ed i suoi abitanti vi sono rappresentati con occhio attento, seppure questa attenzione a volte si arresti, non giunga sino in fondo. In ogni caso la quantità di spazio che vi stiamo dedicando testimonia, penso, del fatto che non si tratti di un libro irrilevante. Trovate qui l’articolo che state leggendo in formato pdf, completo delle note che non hanno trovato posto nel testo che segue.
Il punto di maggior criticità -ed anche l’unico sul quale mi soffermerò- è quello che riguarda l’atteggiamento di padre Tosolini (d’ora in poi p. T.) nei confronti del buddismo e del “dialogo” religioso. Usando alcuni degli esempi possibili mi servirò delle sue parole per spiegare ciò che voglio dire; sono cosciente che citare un testo puntando il dito è spiacevole: me ne scuso con l’Autore e con i lettori, ma con questo mezzo di comunicazione mi sarebbe molto difficile operare diversamente.
Cominciamo non dall’inizio ma da p. 73, dove p. T. cita una frase del Prajñāpāramitāhṛdayasūtra, noto come Sutra del cuore. Non importa che consideri scritta in giapponese la versione citata quando è invece scritta in cinese…

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