Sab, 4 Apr 2015
Dopo 5 anni di servizio, un anno più del previsto, Jiso Forzani ha terminato il suo mandato come direttore dell’Ufficio Europeo del Buddismo Sotozen.
Un incarico dove la molteplicità, la diversità e la specificità delle sedi obbligano ad un continuo e, a volte, estenuante lavoro di mediazione.
Dal primo aprile u.s. è nuovamente libero di partecipare alle attività della Stella, senza problemi di conflitto di interessi.
Bentornato!
Qui è possibile leggere la sua lettera di commiato ai membri europei del Buddismo Soto Zen.
43 Commenti a “Bentornato alla Stella”
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5 Aprile 2015 alle 6:31 pm
Bellissima notizia!! Sarei curioso di sapere se e quale è stato il seguito dato alla lettera di commiato. Molti mesi fa (credo un paio d’anni, forse tre) qualcuno spiegava i suoi modi di fare con “sai cosa vuol dire il colore di questo Okesa?”
5 Aprile 2015 alle 6:41 pm
Ciao Max.
Eee, bei tempi quando bastava sventolare un okesa colorato e pànfete, tutti a rosicare… 😛
Aspettiamo il ritorno di Jiso per avere lumi sulla tua domanda ma temo di conoscere la risposta: l’okesa colorato me l’hanno dato e guai a chi me lo tocca.
Pensare che i colori degli okesa (come pure dei koromi e dei cordoni) furono decisi in base a regole cinesi (valide anche per le altre religioni, compresi i cosidetti cristiani nestoriani) stabilite secoli or sono dal potere politico cinese per definire i ranghi e le gerarchie dei preti, non in senso più o meno religioso, ma nel sistema dei funzionari. Nulla a che fare con la religione.
7 Aprile 2015 alle 10:13 am
Grazie!
7 Aprile 2015 alle 10:24 am
Caro Massimo, è presto detto. Sul piano personale, qualcuno è stato così gentile da scrivermi parole di saluto e persino di ringraziamento, il che certo mi ha fatto piacere. Sul piano di una discussione del tema da me accennato, cioè riguardo alla deriva del Soto Zen europeo, nessun seguito. Quanto al colore dei kesa, la cui genesi e funzione mym spiega, il fatto che qualcuno lo esibisca come segno di “superiorità” di qualsivoglia genere dice tutto sulla miseria dello spirito di chi si nasconde sotto quelle vesti, agli antipodi della povertà di spirito su cui magari intesse sermoni.
8 Aprile 2015 alle 2:21 pm
Dopo leggere la lettera di Jiso, e confidando (egoisticamente) che il suo ritorno alla Stella sia buono per tutti ed in primo luogo per lui, mi sorgono 2 domande, chiedendo in anticipo scuse per il mio italiano:
1) Se non mi sbaglio le strutture organizzative di carattere istituzionale che tradizionalmente il Buddismo ha adottato sono stati sempre di carattere nazionale, benché possa che sia male informato. Ho letto in qualche lato che Kosho Uchiyama raccomandò una volta ad alcuni giovani occidentali che ritornavano all’Europa che, al suo giro, essi dimenticano di cose come Rinzai e Bosco, lasciando i problemi dei giapponesi per i giapponesi. Essendo il Soto Zen una chiesa giapponese ed essendo chiaro che nella sua espansione ad Occidente non è stato capace di smettere di essere una chiesa giapponese, mi chiedo: non sarebbe venuto il tempo di dimenticarsi di quello e cominciare a costruire qualcosa di nuovo, qui, da zero?
2) Sono convinto che, sebbene è certo che in definitiva su ciò che conta la religione è personale e intima, è anche certo che la dimensione collettiva, spesso imprescindibile, serve da orientazione e stimolo agli singoli praticanti. Ma mi chiedo se questa dimensione collettiva, per sopravvivere nel tempo senza stravolgere il suo impulso iniziale, deve necessariamente essere fortemente ritualizzata, professionalizzata per alcuni e di natura gerarchica. Ci sono alcuni modelli, come ad esempio è il caso dei quaccheri, che senza rituali o gerarchie sono sopravvissuti già quasi 4 secoli. In questa “Chiesa”, a quanto pare, l’evento centrale dei praticanti per quanto riguarda la Comunità è una riunione settimanale di gruppi locali, fondamentalmente silenziosa, interrotta solo quando un partecipante si sente ispirato per comunicare qualcosa di utile agli altri (tradizionalmente si diceva “ispirato dallo Spirito Santo”, sebbene oggi, a quanto pare, c’è anche la possibilità di essere “agnostico quaker”).
8 Aprile 2015 alle 2:23 pm
Scusi. Bosco=Soto
8 Aprile 2015 alle 4:19 pm
Ciao Roberto, bentornato.
Belle domande e bello il refuso bosco per soto.
1)Noi, certamente io, vorremmo dimenticarci del Giappone (in quanto istituzione soto zen) ma la stragrande maggioranza dei cosiddetti monaci soto zen non solo non vuole dimenticare ma vuole mantenere saldi i rapporti. Fondamentalmente è una questione di certificati: i giapponesi, più di 40 anni fa, hanno convinto gli europei che se avessero dato retta a loro, prima o poi avrebbero ricevuto il certificato di “maestro zen”, così sono ancora lì che gli danno retta…
2) Riguardo alle riunioni settimanali, in silenzio, sono parecchi anni che le pratico. Con la differenza che tali riunioni sono due alla settimana, non una sola.
8 Aprile 2015 alle 5:06 pm
Un caro saluto a Jiso.
La lettera è molto chiara, precisa, gentile ma ferma e senza fronzoli. La apprezzo moltissimo. Grazie.
I rilievi che pone sono quelli classici. Ora, il monachesimo zen europeo, li riconosce tali o no? Se fossero rilevati ci si attiverebbe per innescare un processo di superamento dei medesimi. C’è qualcosa in atto in questo senso? Se no, il problema non è rilevato. Se così fosse, per quali cause? Attiene, il non rilevare le problematiche dello zen europeo, a una imprecisa formazione dei monaci europei?
L’imitazione, permette di penetrare la sostanza o si ferma al puro formalismo? Stando alla posizione della Stella, no. Tuttavia, lo zazen, può ritenersi una imitazione? E’ manipolabile lo zazen? Per me no. Certo, il problema è, forse, la scarsa pratica dello zazen…I secoli risponderanno comunque.
Qui ora, cosa facciamo?
8 Aprile 2015 alle 5:19 pm
Ciao Nello. Penso che sulle questioni generali ti possa rispondere Jiso meglio di me.
Solo due battute: laddove usi il termine “imprecisa”, imho, sei generoso.
Ora cheffamo? Come s’è sempre fatto, lasciamo che i secoli facciano la loro parte.
8 Aprile 2015 alle 6:15 pm
Hola, Roberto. Senz’altro dimenticarsi del Giappone, visto quello che rappresenta in questo caso (l’istituzione Soto Zen) sarebbe a dir poco opportuno e consigliabile. E penso che non pochi fra coloro che siedono in zazen e studiano il buddismo come riferimento religioso per la propria vita non solo se ne dimentichino allegramente ma proprio non se ne interessino fin dall’inizio. Io mi sono rivolto alle persone con cui ho avuto a che fare per il mio lavoro appena terminato, e qui invece quasi nessuno intende dimenticare, anzi, non gli basta mai. Perché? Secondo me perché per questioni che nulla hanno a che fare con il dharma (beghe personali, insicurezza, vanità, bisogno di riconoscimento, spirito imitativo, desiderio di potere…) hanno pensato e pensano che esista un certificato da esibire che assevera la loro maestria e che il Soto Zen giapponese detenga tale papiro. Non c’è che da augurarsi (per loro e per chi li segue) che la cosa pian piano si esaurisca per manifesta insipienza, facendo nel frattempo meno danni possibile.
8 Aprile 2015 alle 6:48 pm
No, caro Nello, il monachesimo zen europeo non rileva il problema, se per monachesimo zen europeo intendi le persone che considerano il Soto Zen giapponese un’istituzione religiosa di riferimento al punto di volerne importare qui le modalità di affiliazione. I giapponesi sanno bene che il Soto Zen giapponese è un’istituzione che di religioso ha ben poco oltre a degli slogan, è più che altro un ente amministrativo che gestisce circa quindicimila templi piccoli e grandi. Non ha un modello di formazione monastica da proporre, ma solo un iter per diventare responsabile di uno di questi templi. Il non rilevare le problematiche cui accenni ha certo a che fare con la formazione e l’esempio ricevuti.
Quanto al che fare, direi di continuare tranquillamente a fare quel che facciamo, con gli occhi ben aperti.
14 Aprile 2015 alle 10:05 am
La lettera di addio di Jiso trova eco in altre lingue ed in altri luoghi. Sta bene. Già solo manca lo più difficile: che si legga, si rifletta, si capisca e si agisca in conseguenza.
14 Aprile 2015 alle 10:15 am
Ciao Roby, grazie per il link.
14 Aprile 2015 alle 11:52 am
Ciao Mauricio, grazie per la gratitudine… ma io non ho nessun centro, non sono il gran Roberto, bensì solo il piccolo Roberto 🙂
14 Aprile 2015 alle 11:57 am
Aaaaa! Scusa Roberto. Stavo scambiando mails con il tuo omonimo e ho pensato… una volta di troppo.
Oramai la frittata è fatta, le uova sono rotte: buon appetito.
15 Aprile 2015 alle 5:22 pm
A proposito della domanda di Nello @8, ho ricevuto una lettera di risposta, cui ho a mia volta risposto così: nel caso qualcuno fosse interessato al “dibattito”…
16 Aprile 2015 alle 9:53 pm
Grazie, Jiso. A me il “dibattito” mi interessa. Perfino può che troppo: questa mattina, durante zazen, ho dovuto prestare abbastanza attenzione affinché il mio pensiero non si vedesse colonizzato per questa questione.
Il problema che tu esponi è cruciale per il futuro (o il non futuro) del Buddismo in occidente. E non suolo per quelli che si situano in qualche modo all’interno della scuola Soto, bensì, credo, per qualunque buddista occidentale, inclusi quelli che non praticano all’interno di nessun quadro istituzionale importato di oriente o perfino che praticano soli.
Questo blog, oltre italiano e pertanto europeo, è una blog buddista. Potrebbe supporrsi pertanto che chi qui accorrono sono, siamo interessati nel Buddismo; che è fondamentalmente una pratica individuale, ma che è anche suscettibile di essere condivisa con altri e di avere pertanto un’espressione, una forma pubblica, condivisa, comunitaria. E ciò, credo, che è spesso utile e buono per molti, perché serve da stimolo per non svenire in questo cammino di vita. In realtà in questo stesso blog esiste una pagina il cui nome è “La comunità”, nella quale possiamo trovare 6 gruppi che integrerebbero quella “comunità” e perfino un sezione denominatao “la via della Stella”… suppostamente, perché dopo risulta che gran parte dell’informazione lì raccolte è obsoleta, senza nessuna nota che indichi che è obsoleta né nessuna spiegazione addizionale di perché è obsoleta. Chiarimenti che credo non sarebbero del tutto vane.
Tuttavia, in un’entrata anteriore sul monoteismo ci sono 258 commenti, mentre la continuazione in un’altra entrata dell’entrata sul monoteismo ci sono 84 commenti addizionali, quando né il monoteismo, né il politeismo sono questioni propriamente buddiste.
Certo, so che in realtà la questione in gioco non era il monoteismo, ma l’idolatria. Ma anche nella lettera, nelle lettere scritte per Jiso è anche quello la questione. Tuttavia sembra che ora tutto il mondo sia rimasto praticamente muto. E non mi riferisco né a Mauricio né Jiso, che sì si sono espressi abbondantemente su questa questione, qui ed in numerosi luoghi, ed ai quali, per lo meno io, sono grato per ciò, per darmi orientazioni utili per non perdersi, ma bensì al resto di intelligenti, formate e spesso loquaci persone che normalmente compaiono per questo posto.
Perché questo silenzio? È vero chi è più facile criticare gli idoli altrui che staccarsi dai propri idoli, dei propri sonni. Ma, per caso, non vale la pena fare questo sforzo?
Chiedo perdono, a chi sia stato capace di leggermi fino a qui, per la semplicioneria del mio pensiero e per la tortura del mio italiano.
17 Aprile 2015 alle 8:20 am
Caro Roberto, grazie per la segnalazione dell’invecchiamento della pagina “La via della stella”: era calibrata sulla situazione della Stella precedente a quella attuale e non è stata più aggiornata. Lo farò al più presto.
Riguardo al problema “Soto zen in Europa (nel mondo?)” temo tu compia un errore, anzi, un duplice errore: il primo riguarda l’importanza che tu dai alla questione. Il secondo riguarda la possibilità di cambiare le cose parlandone. Certi fiori attirano le farfalle, altri le api (forse non è così ma passami la metafora per piacere). Le farfalle che si sono radunate attorno a certi fiori non sono lì per sbaglio, sono lì perché volevano proprio quelli. Anche se gli indichi dove stanno gli altri “fiori” dicendo che sono migliori, più sani, autentici ecc. forse diranno “sì sì” ma rimarranno dove sono perché … a ciascuno il suo fiore. Come mai, non ostante i tanti templi, centri, monasteri in stile Soto Zen in Spagna e in Europa tu non sei diventato un manichino Soto Zen? L’importante non è tagliare i fiori “sbagliati” (lo so lo so, non esistono fiori sbagliati!) ma coltivare gli altri.
17 Aprile 2015 alle 8:52 pm
Salve a tutti.
Mi pare che anche coltivare gli altri fiori sia piuttosto complicato di questi tempi.
Se uno vuole praticare con più intensità lo zazen senza fronzoli si trova bene o male costretto a ingerire tutto lo sbrodolame giappo semplicemente perchè è pressochè impossibile trovare un posto che non lo proponga. Con posto intendo un “monastero”/centro residenziale di pratica. E la nuova generazione di “preti zen” non se ne rattrista affatto (in Europa come negli USA). Parlo di persone sotto i trenta.
La vedo grigia!
17 Aprile 2015 alle 9:01 pm
@Roberto 5:
“Cominciare a costruire qualcosa di nuovo qui da zero” secondo me è estremamente rischioso, nel senso che a mio avviso il “lignaggio” può essere un buon setaccio (per la grana grossa quantomeno). E negando l’importanza di una “continuità nella trasmissione” si spianerebbe la strada ai gurugiullari “mi sono fatto da solo”
18 Aprile 2015 alle 8:09 am
Ciao Fago, bentornato.
@19: coltivare è difficile solo se pensiamo difficile, ovvero se costruiamo difficoltà nella nostra testa. Sedersi ogni giorno, fare i bravi ragazzi e studiare un po’ non è la fine del mondo. Molto più difficile è mantenere una famiglia con figli e lavoro precario. È il pensiero che qualcuno ci possa insegnare qualcosa che ci fa vedere le cose difficili. O che si possa praticare zz con più intensità in un luogo invece che in un altro. La normalità spaventa.
@20: l’importanza del lignaggio e della continuità della trasmissione sono proprio parte di quello che chiami sbrodolame giappo: la sicurezza di aver trovato il maestro “giusto”, che ti darà la dritta “giusta”. Il maestro giusto lo trovi davanti al muro. Ma … troppo normale per noi maschietti con grinta. E quindi: questo non va quell’altro nemmeno, ah se avessi questo, se avessi quello… E gli anni passano.
18 Aprile 2015 alle 9:34 am
Non ho esperienza e farei meglio a tacere. La mia è solo una opinione e non vale (da) sempre e per tutti. Il lignaggio imho non sempre è una garanzia, sono le persone singolarmente a “garantire”. Però solo per una certa funzione: ad esempio se qualcuno mi deve correggere la postura quando appoggio le natiche sul cuscino, è meglio che sia uno che lo fa da anni .. ma non può dirmi come fare, lo devo scoprire , anche se ricevere aiuto da qualcuno è fondamentale deve essere appunto aiuto, sostegno e non regola. La garanzia funziona solo poi imho entro certi limiti: ad esempio il maestro non mi può imporre un “perchè”, o un modo, neanche un vestito ( se non nella liturgia, ma io essendo un laico … ). Nella risposta di jf @16 dice qualcosa che non so in quanti preti italiani condividano, ma non credo sia poi questo il punto, che secondo me è invece cosa metto in gioco, personalmente, nella vita di tutti i giorni. Questo può passare da zz.studio e “fare il bravo” oppure da qualcosa d’altro. Definire il “buddismo” “zen” “vero” “quello” “fatto” “così”, è una cosa che si ascolta qualche volta nella sicurezza della certificazione del lignaggio di buoni maestri. “Se la cosa vada bene o no è una scelta personale” è l’unica posizione credo che si può sostenere senza grossi danni. Scegliere dovrebbe la seconda cosa da fare, dopo aver capito che tutti siamo dei gran pirloni, ciascuno a modo suo. Non so se c’entra, ma oso: Uchiyama quando parla di voto e pentimento “risuona” parecchio. Scusate la poca chiarezza e l’arroganza
18 Aprile 2015 alle 9:49 am
Ciao Max.
Non esistono garanzie di nessun tipo. Men che meno quella del lignaggio, fola carrieristica importanta in Occidente dal Confucianesimo giapponese (altrove: tibetano). Prova, sbaglia e impara è un buon modo. Deve valere anche nel valutare se una persona è affidabile o no. Certo, conta anche il curriculum, come no. Ma la parola finale nasce da “prova, sbaglia e impara”
18 Aprile 2015 alle 4:16 pm
@ 22: Ancora una cosa: “conta cosa metto in gioco, personalmente, nella vita di tutti i giorni” questo è esattamente il punto. Perciò è la stessa cosa che occorre guardare per trovare “garanzie”. Aver chiaro quello che si cerca e guardare con chiarezza che vita fa chi si propone come guida. Non solo per un giorno o due: un po’ di scena e poi alé a fare i grandi baba, ma nel giorno per giorno. Per anni e anni. Se c’è chi pratica seriamente sinceramente, da una vita, quello che noi stessi cerchiamo, può essere più o meno simpatico, intelligente o meno, ma conosce la faccenda. Se andiamo a farci strapazzare da chi fa il “prete soto zen” è molto stupido andarsi poi a lamentare. O, addirittura, a pretendere che lui/lei cambi orientamento per far contenti noi.
19 Aprile 2015 alle 1:21 am
@mym21:
“La normalità spaventa”: got it, grazie.
In ogni caso penso che sia necessario che qualcuno ci insegni che “siamo tutti dei gran pirloni”. Forse basterebbe zazen in cameretta ecc.. ma guardacaso chi solitamente dice che non è necessario trovare un posto che supporti la pratica “intensiva” è stato minimo una decina d’anni appollaiato 10 ore al giorno su uno zafu (lo dico in modo rispettoso eh!)
Quindi se è necessario per capire che non è necessario..pare sia necessario alla fine.
E poi ok, un posto vale l’altro, ma è come dire che è la stessa cosa sedersi in uno zendo o in un night club.
Ci sarebbe anche l’alternativa: zendo vicino a night club!
19 Aprile 2015 alle 1:28 am
Avrei ancora una domanda:
cosa vuol dire “fare il bravo”?
19 Aprile 2015 alle 8:30 am
Ciao Fago,
@25: rendersi conto che “siamo tutti dei gran pirloni” è l’indispensabile, grande, preliminare illuminazione, senza la quale si rischia di dover, prima o poi, tornare alla casella iniziale. Se vuoi stressarti l’anima per 10 anni per scoprire quello che sai già (40 anni fa in Italia nessuno lo sapeva: niente sapevamo) chi te lo impedisce? Antaiji è ancora lì, le regole sono pressoché le stesse… O sarà mica che vuoi il monastero sotto casa, cappuccino brioche ecc.?
@26: fare il bravo? È facilissimo, basta essere rapidi nel compiere il bene e ritrarre la mente dal male. Se si esita a compiere il bene già stiamo andando dall’altra parte (cfr. DHMPD 116).
Per questo dicevo (non so se l’hai colto) che, oltre a sedersi ogni dì e fare il bravo, bisognerebbe studiare un po’.
Per “studiare” intendo: leggere, capire e rapidamente mettere in pratica.
19 Aprile 2015 alle 10:18 am
Comunque, prima o poi anche in Italia sarebbe bene che ci fosse il posto adatto.
19 Aprile 2015 alle 11:04 pm
@mym27:
In realtà più che cappuccino e brioche mi interessa la presenza del bidet, che pare però non aver varcato i confini nazionali! E quindi mi trovo costretto a star nelle vicinanze 🙂
A parte gli scherzi, un’ultima cosa e poi giuro che taccio:
Il mio scetticismo nei confronti di “si può benissimo portare avanti una “buona” pratica senza andarsene chissà dove” deriva dalla constatazione che per riuscire a “fare i bravi” (ma soprattutto per riuscire a capire “cosa” fare per farlo) è necessario essere moooolto ben radicati nello zazen. E questo radicarsi è possibile (quantomeno inizialmente) solo in un ambiente “studiato apposta”. Perchè pare che “star giù” sia l’ultima cosa che vorremmo fare. Ma forse non tutti hanno resistenze così forti alla pratica, non so
20 Aprile 2015 alle 3:43 pm
Caro Fago, non so che età (anagrafica e di zz) tu abbia. Il fatto è che per i primi 7-10 anni non c’è ambiente studiato apposta che tenga: non ci si acchiappa abbastanza da … “capire che cosa fare per farlo”. A volte diamo responsabilità della nostra volatilità alla mancanza dell’ambiente adatto, per lo più -invece- è questione di età, sia anagrafica sia di zz.
Vero è che tagliarsi i ponti alle spalle aiuta. Se, perché “rinchiusi”, si riesce ad arrivare a doppiare capo Trentanni di vita e ad attraversare lo stretto Diecianni di (solo) zz allora inizia la pianura, prima della discesa finale…
23 Aprile 2015 alle 7:54 am
Buongiorno.
A Milano, ciò che doveva essere fatto lo è stato. Ciò che doveva essere detto: idem.
Ho usato, concentrati, alcuni degli argomenti che somministro agli studenti dell’Uniurb. Ma a un pubblico molto più adulto (non ero tra i più anziani…) e colto. Interessante la diversità di accoglienza, ricettività, tipo di interesse e comprensione che si nota nel paragone tra i due ambiti, quello universitario e … l’altro.
Trovate qui il testo scritto del mio intervento.
Se trovate dei refusi o delle incongruenze e me li segnalate concorrerete al “premio Stella 2015”. Grazie.
4 Maggio 2015 alle 10:19 am
Ho appena scaricato il tuo intervento, lo leggo e poi, eventualmente, commento. Grazie per averlo postato.
Ho appena letto “The Zen teaching of homeless Kodo” (ultima edizione con il commento di Uchiyama e Okumura), l’ho trovato bellissimo e lo consiglio alla grande.
Ho anche ricevuto l’ultimo testo edito da Steven Heine “Dogen and Soto Zen”, di cui ho appena finito l’introduzione, aspetto anche il vostro commento al riguardo.
4 Maggio 2015 alle 10:52 am
Ciao Nello, grazie per il consiglio. Tutti (si fa per dire…) dicono che Sawaki qui Sawaki là ma ben pochi ne hanno letto alcunché. Sia perché non scriveva sia perché è più comodo far riferimento alle sue frasi/battuta. Penso che il suo merito maggiore, oggi, sia quello al quale -forse- lui stesso non diede importanza: è la dimostrazione vivente del fatto che “la linea ininterrotta della trasmissione”, almeno come viene intesa solitamente, è una bubbola: quella cosa c’è ma non nelle persone. O, da un altro punto di vista, ciascuno si collega a quella invisibile cremagliera non attraverso una (altra) persona.
Se si espandesse la coscienza di ciò parecchi “maestri” rischierebbero di finire disoccupati.
Questo non vuol dire che una persona non serva, ma è come il padre: la sua necessità è tanto imprescindibile quanto fugace.
Riguardo a Heine…
Se vai avanti tu poi leggiamo il tuo, di commento 😉
6 Maggio 2015 alle 10:18 am
Ciao mym, perchè dici (@33) “la linea ininterrotta della trasmissione”…è una bubbola, riferendoti a Sawaki? E anche “il padre”: “è tanto imprescindibile quanto fugace” come tutto l’impermanente…! Quindi, imprescindibile e fugace corrispondono quasi alla reale sostanza delle cose…
Okumura è stato discepolo, o studente, di Uchiyama che a sua volta ha trascorso la vita con Sawaki e penso possa parlarne a giusto titolo, essendo suo successore nel Dharma. Chiarisci un pò meglio, grazie.
Ho letto il tuo intervento di Milano e mi è piaciuto e tuttavia, a p.12 affermi: “E il fenomeno non è terminato, ancora oggi, volendo avvicinarsi ad una pratica autentica dello zazen, il pericolo di finire in mezzo ad una rappresentazione teatrale è elevato”.
Ecco, per mio conto, “la rappresentazione teatrale”, finisce nel momento stesso in cui si pratica zazen. Per esempio, se Hitler si sedesse in zazen, mentre pratica partecipa del processo dello zazen, quindi è un buddha, poi, torna ad essere magari “rappresentazione teatrale”…
Questo per dire che lo zazen non è manipolabile, se lo fosse, cadrebbe tutto il buddhismo. Quindi, anche il “lucrare” come “maestri” ha le gambe corte…non credi?
Un altro punto che proponi è il dialogo quale esperienza pratica e adesione all’altro per capirne precisamente il portato. La vedo dura che un cattolico praticante possa “dialogare” aderendo al buddhismo, forse è meglio dialogare con la coerenza nel proprio quotidiano.
Infine, sulla tua conclusione sono perfettamente d’accordo, sarebbe opportuno applicare il “federalismo” anche nelle comunità cattoliche, per cui, è la comunità che sceglie la propria guida ecclesiastica e non il vertice (Roma), ma la base.
Ciao
6 Maggio 2015 alle 7:44 pm
Ciao Nello, ho bisogno di un poco di tempo per rispondere, poni varie questioni, pesanti. Spero domani di potermici dedicare. Grazie.
6 Maggio 2015 alle 9:03 pm
Ciao Nello. Il federalismo, in realtà credo che esiste già nello Zen, benché possa che mi sbagli perché non sono esperto in quelli temi, concretamente nello Zen coreano, nel quale la comunità di monaci può abrogare gli abati e scegliere altri nuovo. In qualsiasi caso, posti a proporre modelli per organizzare la comunità dei praticanti e per facilitare il reciproco sostegno, io, invece di un modello politico piramidale, benché ammorbidito, sarebbe più a favore di qualcosa di più ugualitario, più simile al modello quacchero. Mi sembra di essere più in linea con ciò che dice Mauricio nel suo testo sul “dialogo interreligioso come riconquista della propia religiosità”, ma soprattutto più in sintonia con lo spirito dei tempi.
http://it.wikipedia.org/wiki/Quaccherismo
8 Maggio 2015 alle 10:14 am
Ciao Roberto,
Forse, ma spero di no, prima o poi sarà necessario o opportuno stabilire una forma organizzata e generalizzata (ma perché?) per le comunità zen. Io mi auguro che ciascuno e ciascuna comunità si organizzi al meglio secondo le condizioni in cui si trova a vivere. Stabilire una forma è, di fatto, renderla obbligatoria o (ed è lo stesso) proibire le altre. Mi viene l’orticaria solo a pensarci.
8 Maggio 2015 alle 11:49 am
@ 34. Comincio a poco a poco, a rivedere i punti che Nello propone.
1) Dicendo che “la linea ininterrotta della trasmissione, almeno come viene intesa solitamente, è una bubbola” riferendomi a Sawaki, pensavo soprattutto a prima di Sawaki. Sia dal punto di vista umano che religioso Sawaki non ha avuto padre, si è arrangiato da solo. Certo, un padre biologico, come fugace presenza (rimase orfano di padre a 6 anni), lo ha necessariamente avuto, ma niente più. Così pure per ciò che riguarda lo zz: qualcuno, fugacemente, deve avergli detto (potrebbe anche averlo letto, la prima volta, ma dubito perché … “aveva” la quinta elementare…) che esiste lo zz e dato delle istruzioni di massima. Ma, così come fece come figlio, così fece come discepolo del Buddha: prova sbaglia e impara. E tenne duro per 69 anni senza, mai mollare. Non si è collegato ad una catena iniziatica “fatta” da persone. Si è agganciato a quell’altra, quella vera. Nessuno gli ha trasmesso nulla, almeno nel senso in cui si vocifera vanamente tra i preti zen nostrani riguardo alla “trasmissione della mente”. Anche se può apparire strano, ma indispensabile affinché ci sia autenticità, la stesso è successo a Uchiyama: grazie a Sawaki ha avuto un ottimo esempio per vedere che solo lui, Uchiyama, poteva fare ciò che andava fatto. E lo fece.
Il Buddha c’è già stato, ha già detto quello che c’è da fare, per cui ora, anche grazie ai mezzi di comunicazione di massa, non occorre che mettere in pratica. Un padre (qualcuno che ti dica: siediti, fai il bravo e muori in silenzio) ci vuole. Il resto sono bubbole.
8 Maggio 2015 alle 12:49 pm
@ 34:
2) Se qualcuno cerca zazen e incappa in una rappresentazione teatrale è escluso che possa fare zz, almeno all’interno di quella scena. Perché in quel caso lo zz è usato come esca, per farti entrare nel gioco del maestro-discepolo, ovvero la pantomima nel quale qualcuno lucra (sicurezza, prestigio, ruolo, a volte pure quattrini…) sulla vita di altri. Certo si potrebbe dire che, comunque, siamo in una rappresentazione teatrale, ma in questo caso l’inesistente Regista non è un fessacchiotto che sventola un okesa colorato come fosse il segno della sua grande illuminazione. O una Colt.
Perciò, vero che “la rappresentazione teatrale finisce nel momento stesso in cui si pratica zazen”, come dici. Il problema è che, generalmente, dove c’è l’una non c’è l’altro.
8 Maggio 2015 alle 4:08 pm
@ 34:
3)Scrivi: “La vedo dura che un cattolico praticante possa dialogare aderendo al buddhismo”: molto dura, soprattutto agli inizi quando ti trattano da povero scemo che vorrebbe ficcanasare nella religione dei grandi…
Ma poi le cose cambiano: sono esseri umani anche loro, sai? 🙂
Poi aggiungi: “Forse è meglio dialogare con la coerenza nel proprio quotidiano” certo farsi i fatti propri è un’opzione. Penso che noi e il mondo al momento faremmo meglio a scegliere l’altra, più difficile, faticosa, irritante. Capire come diamine fa, lui, a dedicare la propria vita ad una religione come la sua… Mentre lui tenta di fare lo stesso con me.
4) Sul federalismo penso sia sufficiente quello che ho scritto sopra, cfr. @ 37. Grazie.
13 Maggio 2015 alle 5:45 pm
Per quanto possa non essere molto importante, mi sento di ridire che “l’esca” (@39), resta una cosa viva, proprio la cosa.
Se uno si siede in zazen è un buddha, in qualsiasi luogo e in qualunque compagnia. Capisco, la posizione della Stella e mi sento affine a questa modalità di pratica, tuttavia, il Dharma, qui ora è diverso per ognuno…Da una prospettiva si vedono danni e perdita di tempo, che è vita, ma chi ci si trova dentro alla modalità oggetto di critica, probabilmente avrebbe comunque “perso del tempo”…
Ho avuto una morosa svizzera e per un pò ho frequentato il Canton Vaud, quando ci sono stato io festeggiavano 200 (duecento) anni di federalismo, ovvero, la comunità tutta decide le proprie regole comuni e si respira bene…come anche tu indichi in @37.
14 Maggio 2015 alle 6:34 pm
Di fronte alle parti in movimento di un verme tagliato in due un monaco chiese: in quale parte si trova la natura-di-buddha? Il maestro rispose: non farti illusioni.
Penso che “il dialogo” sia tutto il tempo e non lo nego a priori, tuttavia, con i bergogliocattovaticanisti andrei immediatamente in conflitto…siamo molto ma molto lontani…e la loro intrusione nella politica la trovo assolutamente indigeribile. Un esempio, la visita di Bergoglio a Lampedusa, le radio e TV africane trasmettono quel discorso a nastro, da mesi, e gli sbarchi in questa terra fallita e corrotta sono aumentati dell’800X100!!! Un intervento come quello di Lampedusa dimostra che quell’uomo vive già nel suo Paradiso, non ha i piedi per terra…e poi, loro vogliono assolutamente realizzare il Libro dei libri, quindi l’Apocalisse e io non sono d’accordo, ovviamente.
Come li redimi alla logica questi qui? Hai voglia a dialogare…
14 Maggio 2015 alle 7:44 pm
… E nessuno spese una parola per le sofferenze di quel povero verme. Che non c’entrava nulla, l’esempio si poteva fare usando qualsiasi altro essere o cosa.
Redimere alla logica? … Son parole grosse. Per lo più mi accontento di non litigare. In uno stadio successivo arrivo sino ad esprimermi “senza peli sulla lingua” ma la parte che conta riguarda me. Il dialogo è una pratica, anche qui “non farsi illusioni” è per nulla facile.