Mar, 15 Apr 2008
Un commento a caldo, spero non troppo di parte :-).
A mio avviso la situazione italiana attuale si può misurare con la distanza, etica, morale, culturale, che vi è tra la vittoria di persone come Berlusconi, Bossi e Fini e la scomparsa (politica) di una persona come Bertinotti.
Graditi i vostri commenti
mym
19 Commenti a “The day after”
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15 Aprile 2008 alle 12:55 pm
Ho letto in queste ore, girovagando tra i blog, che molti paventano involuzioni autoritarie nel nostro paese. Furono già preannunciate con eclatante evidenza a Genova nel 2001. Avete sentito le dichiarazioni di Fini in merito? Fini: mai un inchiesta su Genova. Iersera nel salotto di Vespa siedeva tra i vincitori Scaiola che all’epoca era il ministro dell’interno.
15 Aprile 2008 alle 1:58 pm
Sulla distanza culturale da Bertinotti, che ieri sera in TV discuteva in maniera più che civile con personaggi quanto mai distanti dalle sue idee (es. Fini), vorrei citare per contrappunto un altro dei vincitori: “…manderemo Veltroni in Africa, ma forse è meglio di no perchè anche gli africani meritano un futuro”…(Maurizio Gasparri, ieri 14 aprile in TV)
15 Aprile 2008 alle 3:33 pm
Personalmente avevo scommesso — non dei soldi, per fortuna! — che TUTTI i partiti “piccoli” sarebbero emersi: quelli di tutte le connotazioni politiche, dalla Destra ai Socialisti.
Abbe’…
Se non altro mi ha fatto piacere sia per l’Udc che per Di Pietro.
La scomparsa di Bertinotti, come notazione sociologica, in effetti colpisce molto. E’ vero che quando era al governo ha dimostrato di non saper governare (non si fa opposizione contro se stessi) però è anche vero che aveva onestamente detto, in campagna elettorale, che desiderava tornare a fare opposizione come ai vecchi tempi. Ci si aspettava che raccogliesse parecchio malcontento.
Quanto a Berlusconi, guardiamo le cose in faccia: Veltroni è stato disgustoso quanto lui: il populismo e il gregarismo della peggior specie.
Bossi? Non l’ho (mai) votato, eppure dal punto di vista sociologico è forse il più autentico “politico” d’Italia (Indro Montanelli l’aveva notato fin dagli anni ’80). Incasellarlo sotto la voce “xenofobia” significa voler evitare la questione. Anche Giulio Cesare e Napoleone, dai loro contemporanei, erano considerati dei beceri agita-popolo, ma la politica “rampante” fin dall’antichità è proprio questo, è carne e sangue, è una forza che sale dall’interno. L’idea che il politico debba essere un intellettuale illuminista è, appunto, un’idea degli intellettuali illuministi (che finirono con il tagliarsi la testa a vicenda).
In definitiva, i due leader dei partiti maggiori rappresentano esattamente il tribalismo, il sentimentalismo e il mammismo dell’italiano medio, che vincesse uno o l’altro. Su quali basi antropologiche “sognare” una classe dirigente diversa?
d.r.
15 Aprile 2008 alle 3:33 pm
come voleva titolare (e non ha fatto) stamattina un noto giornale…
“E’ una Walterloo!”
15 Aprile 2008 alle 3:44 pm
ragazzi, i voti li hanno dati gli italiani. le scelte erano tristissime e tutte ampiamente impresentabili, ma in fin dei conti la scelta l’hanno fatta gli italiani che hanno deciso chi tra i vari candidati meglio li rappresentava. evidentemente il risultato e’ cio’ che loro stessi hanno chiesto (e quindi che si meritano).
non parlerei di distanza tra i candidati. quella era ovvia fin dall’inizio. la distanza l’hanno marcata gli italiani col voto.
amen
15 Aprile 2008 alle 5:15 pm
A proposito di “tribalismo”, menzionato da dr, ecco come ci vedono da fuori: http://vistidalontano.blogosfere.it/2008/04/elezioni-le-reazioni-allestero-attenti-e-tornato-berlusconi-liberation.html
16 Aprile 2008 alle 12:55 am
La questione, come la pone mym, suggerisce già una risposta. Temo che questo sia un modo cristallizzato di analizzare le cose, il terremoto che ha investito la politica italiana.
Forse sarebbe meglio sospendere le abitudinarie categorie di giudizio ed osservare umilmente la realtà dei fatti.
16 Aprile 2008 alle 10:17 am
Concludo (per ora?) questo giro di commenti. Il mio post nacque non da una valutazione politica ma etico morale, ovvero un’area che -per poco o tanto- si sovrappone alla zona che chiamiamo religione. Da almeno 5 anni Bertinotti ha espresso principi la cui lettura, a mio avviso, li colloca nell’area di cui sopra: la difesa dei deboli, la giustizia sociale, la dignità del lavoro inteso come parte costituente della vita (e perciò non solo come parte dell’equazione lavoro=reddito), i diritti, la sicurezza sul posto di lavoro, la pace, il rifiuto della guerra come sistema ecc. ecc. La distanza tra lui e gli altri (è la mia proposta) va misurata proprio su questi temi: non è un sacerdote della religione della “Crescita” o del “Mercato”, i nuovi dei che tutto possono. Per chiarezza aggiungo che siccome la mia cerca di non essere una valutazione politica, non ho preso in considerazione il “come” Bertinotti proponga di avvicinarsi a quelli obiettivi.
Grazie, mym
16 Aprile 2008 alle 11:32 am
Provo rabbia, disgusto e tristezza per gli esiti di queste elezioni. Mettevo in conto l’ennesima vittoria di berlusconi, ma ero ben lontano dall’immaginarmi un’ecatombe di queste proporzioni per la sinistra. Lo dico senza mezzi termini, non mi riconosco nelle scelte compiute dal popolo italiano o per meglio dirla, nel suo modo di essere e di agire!! Abito in terra di Toscana e non pochi amici e colleghi di sinistra non sono andati a votare, perchè delusi o traditi dai partiti che in questi anni li hanno rappresentati. Così mi hanno detto…
16 Aprile 2008 alle 11:39 am
Caro Max, non ti angustiare. Se la giustizia è tra i vincitori: benvengano! Se non c’è … be’, è normale: la giustizia non è di questo mondo.
Shanti
mym
16 Aprile 2008 alle 3:37 pm
Il commento di mym dice un’aspetto della questione, una faccia della medaglia. Può essere condivisibile, ma ritengo indispensabile girare la medaglia e guardare anche l’altra faccia che la compone, senza la quale non sta su neppure la prima. In quell’altra metà io leggo che stiamo parlando di politica, della situazione italiana da un punto di vista politico: e non della filosofia politica ma della politica “attiva”, la quale ha dei parametri che la connotano. In particolare in Italia la politica attiva in cui Bertinotti è impegnato con onore da una vita ha le fattezze della democrazia rappresentativa sostenuta dal suffragio popolare. Bertinotti non è solo un portatore di idee, è (per sua scelta) un rappresentante votato sia per le sue idee sia per rappresentare le idee di chi lo vota. La responsabilità di dar voce a chi rappresentiamo, se ci poniamo nella posizione di rappresentare qualcuno, non è un optional della politica: è una conditio sine qua non. Se io presento le idee che rappresento in modo tale che non mi votano neppure quelli che intendo rappresentare (e che non hanno certo tutti cambiato idea, ma non si fidano più di me come loro rappresentante) questo è un fallimento politico gravissimo perché significa che nonostante la bontà delle mie idee io non so più interpretare il sentimento neppure di chi le condivide. Il fallimento è rappresentato dal fatto che quelle idee non hanno rappresentanza politica proprio là dove mi sono impegnato a portarle (in questo caso il parlamento italiano). Imputare quel fallimento alla “situazione italiana” è un ragionamento impolitico, che un politico non si può permettere. Il dovere di un politico “attivo” è starci dentro, alla situazione, e se si presenta alle elezioni per (ri)diventare un rappresentante parlamentare del popolo deve trovare il modo di esserci in parlamento, anche se la puzza è insopportabile: questo è il suo lavoro, per cui ha chiesto fiducia. Bertinotti dice bene, e probabilmente pensa bene: ma non è un filosofo morale, è un politico italiano che rappresenta(va) milioni di persone: il risultato che ha ottenuto è stato che ha parlato tanto lui e ha tolto voce ai tanti per cui credeva di parlare. Penso che in politica si debba valutare un politico dal binomio “intenzioni-risultati” e non da uno solo dei due fattori. Ottime intenzioni – pessimi risultati è politicamente parlando non meno grave di pessime intenzioni – ottimi risultati: questa mi pare sia la situazione italiana. Lo stato etico che prescinde dallo stato della realtà (o meglio, che impone l’etica alla realtà) è appannaggio dei regimi etico-totalitari (al giorno d’oggi Iran, Talibani e compagnia): Bertinotti mi sembra passato da quella tentazione “bolscevica” (cui meritoriamente ha resistito, anche perché in Italia non funziona) a quella opposta, di far sermoni etici senza sapere interpretare e incanalare la volontà di coloro per conto dei quali li esprimeva. Molto male: ha sbagliato completamente i conti, facendo fallire la sua “impresa”: se imputasse questo alla situazione italiana, o al fatto di non essere stato capito, sarebbe un doppio tradimento. Gli va dato merito di avere il buon gusto di non farlo e di ritirarsi in silenzio.
j
16 Aprile 2008 alle 3:47 pm
Un poco insolitamente, per lui, J si dilunga. Però nel suo rovescio della medaglia si vede solo il politico Bertinotti. Che ha sbagliato e perso, lo sanno tutti. La misura che proponevo aveva due estremità: con una sola ci si può “misurare” solo… l’infinito
mym
16 Aprile 2008 alle 5:22 pm
E’ scritto in quale Sutra che il dibattito “buddista” sulla situazione politica italiana debba ruotare intorno a Bertinotti?
Va bene: personaggio importante nel panorama ecc., che ha detto anche tante belle PAROLE, e non ci si aspettava che ecc. ecc., però adesso basta, addio, ciao ciao, “la strada è aperta in avanti” (Teilhard de Chardin).
dr
16 Aprile 2008 alle 7:53 pm
Da ex iscritto e simpatizzante ed anche fortunato nel conoscerlo personalmente Bertinotti non mi piace più. Snob frequentatore di salotti romani,da sfoggio di una cultura e di un intelligenza di cui nutro forti dubbi .Ci ha messo otto anni a finire l’istituto tecnico . Non mi sono piaciuti i suoi interventi sull’Alitalia ne sulla fiera del libro di Torino . Troppo ideologico e forse e opportunista nel prendere prima una carica istituzionale per poi rigettarsi in campagna elettorale contro tutti.
Credo proprio che se la siano voluta e non vedo tutta questa superiorità morale .
Continuiamo a lottare con quello che ci resta cioè il PD , nella speranza che questi cinque anni non siano un disastro
16 Aprile 2008 alle 8:45 pm
A questo punto mi pare proprio che DR abbia colto il punto. E a capo.
mym
17 Aprile 2008 alle 5:14 pm
Il risultato delle elezioni poteva andare persino peggio e se è vero che le difficoltà aguzzano l’ingegno, per la sinistra, ahimè, qualche anno fuori dal parlamento forse potrà essere utile per riconsiderare i problemi reali degli elettori e formulare proposte concrete per tentare di risolverli accantonando per ora i sogni e le nostalgie.
carlo
17 Aprile 2008 alle 5:21 pm
meglio accantonando che accattonando, imho.
20 Aprile 2008 alle 11:41 am
Mi stupisco del mio stupore, meglio dire “stizza” di fronte a questi risultati elettorali.In fin dei conti,mi sento di dire, non hanno vinto loro, persone quasi indefinite dal punto di vista politico, hanno vinto le loro maschere dietro alle quali ci stanno molti italiani ( anche noi forse? ) che hanno delegato ad altri il loro “non coragggio” di sbattere la porta allo straniero, di risolvere i problemi ambientalii ( senza toccare i propri privilegi ) e che non vogliono sentire prediche che possono compromettere il loro benessere personale ( che questo sia a scapito di altri, pazienza….basta non dirlo). Speranze zero, quindi? Ma, mi viene da dire che forse,proprio questi motivi, guardati da un’ altra parte,dal punto di vista dei rapporti personal, quotidiani, possono farci pensare che, dopo aver dato fondo alle cose ( e quante ce ne sappiamo creare ) si vedrà che non è per questo che ha senso vivere e quindi neanche morire. ( Quanta resposabilità e quanta strada per le chiese del nuovo millennio )Forse toccare con mano la “povertà” di quelli che sono i deboli, ma anche la possibiità con-vivere in modo diverso, può far cambiare idea riguardo a chi deve darci le leggi necessarie a farci superare le nostre angustie mentali.
20 Aprile 2008 alle 12:29 pm
Grazie Marta. Se ho capito quello che vuoi dire, una volta provato che le cose non danno la felicità… “loro” rinsaviranno. Se è così temo sarai delusa. Se una cosa non mi dà la felicità è perché non è abbastanza grande, costosa, alla moda, griffata, coordinata… la strada è infinita. L’uomo più ricco d’Italia non ha mica smesso di cercare felicità nel soddisfare i suoi desideri. Temo occorra una “cura” molto più radicale e perciò da non doversi neppure sperare: non bisogna augurare disastri all’umanità. Sarà sempre che là dove ci si accontenta di nulla, o almeno ci si prova, non ci sarà la fila per entrare…
Un saluto, mym