Gio, 17 Lug 2014
Da alcuni anni Jf svolge il ruolo di Sokan, ovvero Direttore dell’ufficio europeo del Soto shu, delegazione off shore del braccio amministrativo del buddismo Soto zen giapponese. In quell’alto soglio ha la possibilità, spesso il dovere, di osservare da vicino come nei vari “centri” zen europei venga coniugata la pratica religiosa col denaro.
Dopo l’ennesima esperienza, senza citare alcun luogo particolare, ci ha inviato l’articolo che segue, diretto a tutti i luoghi dove si pratica lo zazen. Ma potrebbe altrettanto riguardare tutti i luoghi di pratica, indipendentemente dalla religione di appartenenza.
In una recente occasione, ho avuto modo di discorrere del tema dei costi di partecipazione ai ritiri spirituali zen (sesshin) e più in genere alle attività dei vari centri di pratica zen esistenti ormai un po’ ovunque in Europa. Ne ho ricavato alcuni spunti per una riflessione che desidero partecipare pubblicamente, perché credo si tratti di un argomento d’importanza cruciale. Nel discorrere, è emersa una questione così posta: ci sono persone che, pur non essendo in particolari ristrettezze economiche, e che non badano a spese se si tratta di acquistare l’ultimo smartphone in commercio, si sentono in dovere di risparmiare sulle spese di partecipazione alla pratica spirituale, per una sorta d’ideologia pauperistica. L’argomento mi ha dato da pensare, e quanto segue è il prodotto della mia riflessione.
Il problema non è, io credo, l’atteggiamento delle persone che vogliono risparmiare o l’offerta di una spiritualità a prezzi abbordabili. La questione, essenziale, è completamente su un altro piano: non si può “risparmiare” sulla spiritualità, per il semplice motivo che la spiritualità non ha un prezzo, non la si può pagare. Se c’è da pagare, non si tratta di spiritualità, che non è un bene né vendibile né acquistabile: quindi non può avere un prezzo. Quello che si paga, se si paga, non è la spiritualità, è il vitto e alloggio, non l’attività spirituale (zazen, insegnamenti, partecipazione al culto…): se è questo che si fa pagare, se si pensa di far pagare questo, non si tratta più di pratica religiosa, perde il suo carattere spirituale e diventa un bene commerciale. Anche se si fa e si fa fare zazen, cerimonie, insegnamenti, con rigore e intensamente, non sono più forme di spiritualità, divengono forme della mondanità. Si tratta di una mutazione, di una trasformazione alchemica, se così posso dire: pur mantenendo la forma esteriore, la sostanza muta completamente: l’oro ridiventa piombo. Noi non abbiamo il potere di trasformare il piombo (la terra, la merda…) in oro: è dono gratuito, qualcuno direbbe la grazia. Ma abbiamo, senza dubbio, il potere di trasformare l’oro in piombo (in terra, in merda…). Sappiamo bene che non è in virtù dei nostri sforzi che zazen, i riti, gli insegnamenti sono pratiche religiose spirituali, quando lo sono: ma possiamo certo, con un solo pensiero, trasformarli in prodotti del nostro interesse, della nostra superstizione, della nostra vanità intellettuale: in una parola, della nostra malafede, più o meno consapevole.
Credo che questo debba essere molto chiaro quando si offre alle persone la possibilità di partecipare a un ritiro, chiedendo nello stesso tempo un prezzo stabilito e non, semmai, un’offerta libera: bisognerebbe spiegare in modo esplicito, in un modo che non possa lasciar adito a dubbi, che il denaro che si chiede non ha nulla a che fare con la pratica che si farà insieme, è solo il prezzo di vitto e alloggio e solo a quello scopo viene utilizzato, per dare da mangiare e un tetto a coloro che vengono. Altrimenti tutto l’impegno e lo sforzo, sia di chi organizza, sia di chi partecipa, saranno vani e il prezzo non varrà la candela, alto o basso che sia, per il semplice fatto che la candela è spenta, anche se par far luce.
Aprire e amministrare un luogo di pratica religiosa dove vivere in modo santo e condurre dei ritiri, non è un obbligo, è una libera scelta, un lusso, in questo mondo in cui la libertà di scelta del proprio stile di vita è così negletta, e chi sente questo desiderio, fosse anche come imperativo morale, dovrebbe realizzarlo e mantenerlo a sue spese. Credo che qui valga il principio e lo spirito dell’elemosina, ricevendo ciò che è spontaneamente donato senza sollecitare o provocare il dono; accettando solo il necessario per la vita più sobria possibile dei praticanti presenti. So di che parlo, per aver anch’io “gestito” per vari anni luoghi di pratica (dojo) e una comunità di residenza e accoglienza, e dunque conosco per esperienza personale gli errori che si possono commettere in questo ambito, per averne anche a mia volta commessi.
Siccome ritengo l’argomento attuale, importante e pertinente, e di pubblico interesse per ogni esperienza religiosa e non solo per il passato, presente e futuro del buddismo zen in Europa, mi permetto qui di esporlo in questi termini. Grazie.
41 Commenti a “La pratica religiosa e il denaro”
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17 Luglio 2014 alle 10:24 pm
Come sempre, ottimi gli spunti de La Stella del Mattino e del sempre lucido Jf. Corretta l’autocritica finale, il compito non è facile e si commettono molti errori.
Opinabile che aprire e amministrare un luogo di pratica religiosa dovrebbe essere realizzato a spese di chi lo fa. Chi lo dice?
La cura di un posto del genere, delle persone che lo frequentano, delle loro esigenze, e pure delle loro periodiche crisi motivazionali che inevitabilmente ricadono sul malcapitato “missionario” sono assai onerose, sottraggono tempo, spesso a impegni di carattere professionale e IMHO non credo sia sbagliato siano sostenute dai devoti, dai praticanti che usufruiscono di qualcosa di più ampio del solo “vitto & alloggio”.
A meno che il prete in questione non goda di prebende, donazioni o sostegni di altro genere o non sia, oltre che pio, pure benestante,
Naturalmente non parlo dell’attività spirituale (zazen, insegnamenti, partecipazione al culto…) citata dall’autore.
18 Luglio 2014 alle 12:03 am
Grazie a te Jf, quel che scrivi mi pare assai pertinente, oltre che vivida indicazione, soprattutto per chi fa, della propria vita, un campo coltivato a zazen.
18 Luglio 2014 alle 8:26 am
Bentornato adm.
Forse anche per la lodevole intenzione di esser breve, Jf nel rappresentare “Aprire e amministrare un luogo di pratica religiosa dove vivere in modo santo e condurre dei ritiri” pone assieme situazioni che possono essere molto diverse, sia nella dimensione (quantità) sia nelle intenzioni (qualità). Se sono a casa mia e organizzo uno spazio per me è un conto (anche in senso economico), se accetto che qualcuno -saputolo- si unisca a me è un altro conto, se faccio “pubblicità” affinché si uniscano è un altro conto ancora. Se, da solo o in compagnia, organizzo un posto nel quale possano convergere o convenire “tutti” coloro che si vogliono sedere secondo la mia (o nostra) accezione di sedersi (ecc.), è un altra modalità ancora. Certo è che se in ognuno di questi casi lo zazen viene fatto pagare (nel primo caso, per es. viene imposto alla famiglia) siamo comunque fuori dal seminato. Servire Dio e mammona, dicevano gli antichi…
18 Luglio 2014 alle 10:05 am
Mi pare il caso di rimarcare che le mie considerazioni prendono spunto dall’osservazione di situazioni in cui viene pubblicamente offerta a tariffa prestabilita la possibilità di partecipare, in un dato tempo e luogo, ad attività il cui fulcro è la pratica religiosa: in cui varie componenti dell’esperienza spirituale (meditazione, preghiera, insegnamento, assistenza spirituale, lavoro…) sono presentate e/o proposte, in modo più o meno surrettizio, come beni fruibili in quel luogo e in quel tempo, anzi, sono l’anima del pacchetto. Questo le snatura, non sono più quello che promettono di essere: a livello commerciale, si tratta di pubblicità ingannevole. Quanto mai opportuno il rilievo di Mym, che le forme e le monete dei costi imposti possono essere molteplici e non solo pecuniarie.
Continuo a pensare che fare il missionario, l’assistente spirituale, l’organizzatore di centri di spiritualità (?) non siano mestieri o professioni, ma libere scelte di vocazione. Constato che numerosissimi sono i casi in cui viene aperto un “centro” con la buona volontà di offrire un posto per sedersi in pace, e poi il problema diviene poco a poco il mantenimento anche economico del suddetto luogo, che dunque da spazio di libertà si trasforma in luogo di dipendenza.
18 Luglio 2014 alle 1:51 pm
Chiedendo in anticipo scusa ma so soltanto volare rasoterra. Come ci si comporta con chi non è “in regola con i pagamenti” fa capire lo spirito di quel che si fa. Dal lato “organizzativo puro”, le proporzioni, i modi e le decisioni nel discutere i punti dell’interesse collettivo (struttura, partecipazione, economia, iniziative) … forse anche, ma un po’ meno. Difficile regolarsi in merito alla prebenda. Sostenere l’assistente spirituale dovrebbe essere naturale, e quest’ultimo capire che ecc ecc … e organizzarsi di suo.
18 Luglio 2014 alle 2:10 pm
Grazie per il suo post, mi sembra molto equilibrato. Vorrei fare un esempio concreto. Sarebbe molto utile se Lei potesse dare delle linee guida per poter capire che cosa ci si aspetta da qualcuno che vuole partecipare ad un ritiro per praticare la meditatione. Sto pianificando la mia partecipazione ad un ritiro in settembre. Oltre agli ovvi costi “indiretti” dovuti alla richiesta di ferie, viaggio, etc. Mi viene richiesto un fisso per pagare vitto e alloggio e una offerta libera agli speakers. Il tutto potrebbe costarmi tra i 1000 e i 1500 euro. Poichè gli speakers sono “prominenti autori internazionali” cio’ implica che la mia “libera offerta” sia all’altezza della loro notorietà? Grazie
18 Luglio 2014 alle 8:19 pm
Condivido i timori di jf @4, i rischi di “snaturare” la proposta spirituale sono a portata di mano, basta un fraintendimento, un momento di stanchezza di un amministratore o di un insegnante e emergono subito le falle di un sistema di sostegno che dovrebbe essere spontaneo, naturale e misurato.
Condividi che fare il missionario, l’assistente spirituale, l’organizzatore di centri di spiritualità (???) non debbano essere professioni ma svolgere questi compiti è spesso oneroso, l’impegno, deve esser totale, senza soluzione di continuità, oserei dire stoico, mica un giochino, adesso apro un centro per la pratica e poi se non mi va lo rompo.
Discuto sul fatto che un simile impegno debba essere tutto sulle spalle di chi lo offre.
Nella comunità buddhista tradizionale, il Sangha monastico riceveva e riceve tradizionalmente offerte, non per il vitto e l’alloggio che offre, non certo per l’attività spirituale ma proprio per sostentarsi poichè dedica il proprio tempo alla ricerca e all’insegnamento del Dharma.
Certe cose in Oriente sono date per scontate, qui un po’ meno…ma non credo che in Oriente non ci siano abusi, anzi.
A Massimo @5 posso dire solo che ritengo qui si stia parlando di Dharma, assurdo pensare che la pratica possa essere preclusa a chi per necessità o per egoismo non può o vuole contribuire.
18 Luglio 2014 alle 11:29 pm
Appunto, succede. Tra l’altro succede anche che venga suggerito di allontanare questo o quello per divergenze di opinione. Tutto il mondo è paese, e non per tutti “i dojo” i “requisiti necessari” per potersi togliere le scarpe sono gli stessi.
19 Luglio 2014 alle 9:23 am
La metto così (adm @6 e prec.): il dharma non si insegna, sulla Via (nella vita) non ci sono (siamo) che apprendisti, ciascuno col suo bagaglio sulle sue spalle. Se te ne do (te ne arriva) un po’ del mio, diventa il tuo, se me ne dai (me ne arriva) un po’ del tuo, diventa il mio. Gratis. Tutto il resto (e anche questo) è modo di dire, di descrivere il panorama, in modo più o meno stoico o lamentoso.
Non evocherei la “comunità buddhista tradizionale, il Sangha monastico” in relazione al nostro presente. Oggi tutta la realtà del buddismo Zen, in Occidente e in Giappone, (salvo ipotetiche isolate anonime eccezioni) è laica e/o clericale, quale che sia il nome o titolo che gli attori si danno. Niente Sangha monastico, nessun bhikkhu, allo stato, secondo la concezione tradizionale. Se lo Zen occidentale si mettesse l’anima in pace, riconoscendosi laico come dato di fatto e comprendesse che laico non equivale a mondano, impegnandosi a scoprire perché e come, sarebbe un dignitoso punto di partenza, credo.
19 Luglio 2014 alle 7:12 pm
Ma certo jf, sono concettualmente e fattivamente concorde su tutto.
Qui non parlavamo dei massimi sistemi, ma delle lamentazioni di chi offre uno spazio e il suo tempo in cui condividere ‘sta pratica.
Poi, si, il dharma non s’insegna, non tiriamo in ballo i bhikku e lo zen “de noantri” si metta l’anima in pace!
Io credo, ma non sono manco tanto sicuro di avere una giusta opinione, che il dignitoso punto di partenza è lo sforzo dei tanti che provano a impiantare (con tutto quel che ciò può significare) questa pianticella in occidente, sbagliando, riprovando, cercando soluzioni e confrontandosi, come stiamo facendo qui.
I balordi, i profittatori e i vari maestronzi si smascherano da soli, non credi?
Se non è così e li smascheriamo noi, non c’è necessità di fare denunce, basta tenersene lontani, non farci il passamano con le coppette di fronte ai butsudan, non porgergli incensi, non avvallare con la nostra presenza la loro autorità.
Però, se mi scrivi di nuovo che tutto è modo di dire o che non c’è niente da impiantare non gioco più a meno che le regole non siano scritte.
Mi scuso con l’amministratore per gli O.T..
20 Luglio 2014 alle 4:06 pm
Non è la prima volta che si ragiona attorno alla problematica centri, gestione dei centri ecc. e ogni volta sorge in me un senso di disagio che ho cercato di capire guardandolo un po’ con attenzione. Provo a dirlo scusandomi fin d’ora della improprietà che emergeranno.
Un primo motivo di disagio è la sensazione che invece di proteggere questa piccola piantina che si chiama buddismo zen in Occidente si tenda a togliere terra e humus mettendo, in questo caso, a nudo manchevolezze e difficoltà , senza che si intraveda, in modo chiaro, un’ alternativa fattibile;
il secondo motivo è legato all’ abitudine di agganciare anche le forme di religiosità laica a qualche istituzione cioè a qualcosa che ‘appare’ più solida della buona volontà di trovarsi assieme. Dopo secoli in cui la religione è stata veicolata soltanto da chi ne è ufficialmente autorizzato è quantomeno difficoltoso immaginarsi qualcosa di diverso;
un terzo motivo di disagio è la difficoltà di sganciarsi dall’ ideale monastico.
Un ultimo motivo, che è conseguente ai primi, è la radicalità del cambiamento che si viene a prospettare nel momento in cui sembra che scompaiano i punti di riferimento.
Detto questo, a mio parere, rimane comunque da ringraziare questi ‘fastidiosi’ (proprio perché tali) pungoli e ‘richiami’, affinchè la piantina, se è dato che attecchisca, lo faccia nel modo più ‘pulito’ ( non mi viene un altro termine) possibile.
20 Luglio 2014 alle 5:22 pm
Un paio di precisazioni mi paiono opportune: “l’articolo” che ho inviato e da cui questa discussione trae spunto, è, dal secondo capoverso in poi, il testo integrale e integro di una lettera che il giorno precedente avevo inviato al presidente di una delle più grandi (la più grande?) associazione zen europea, con sede in Francia, che organizza nelle sue varie diramazioni centinaia di ritiri Soto Zen all’anno, molti dei quali a tariffa fissa: questo per dire che si tratta di un testo mirato, che ho poi, come anticipato al destinatario della lettera, reso pubblico perché mi pareva potesse interessare un più vasto uditorio, oltre a coloro che le mie considerazioni chiamano direttamente in causa. Su quel fronte non ho finora avuto riscontro di sorta, ma non è una novità. Questo per dire che, come faceva notare Mym @3, non è di ogni erba che intendevo far fascio, per bruciare insieme grano e zizzania. Né mi arrogo il potere di detenere il vaglio.
La seconda considerazione è che, per prassi, cerco di dire agli altri quello che prima e contemporaneamente dico a me stesso. Non mi considero indenne da nessun vizio, in potenza e/o in atto, dunque invito a far attenzione riguardo a ciò cui penso di dover fare attenzione io: sono prete, ma non fino al punto di guardare gli altri con occhi diversi da quelli con cui guardo me.
Avrei ancora qualcosa da dire sia a adm @9, che a Marta, di cui comprendo il disagio. Ma si fa lunga, oltre che sera: domani, forse, oggi è domenica.
20 Luglio 2014 alle 5:47 pm
Benvenuto Mintorcia @ 6. Le rispondo con un rilancio: per 1000-1500 euri di ritiri gliene organizzo due. I “prominenti autori” si trovano a due lire per cui non c’è problema… 😉
Allo stato, ovvero oggi in Occidente, direi che le linee guida dovrebbero essere che l’insegnamento della pratica e il praticare non si pagano. Se ci sono (e di solito ci sono) delle spese andrebbero indicate minuziosamente come giustificativo delle richieste di denaro. Tutti (tutti) dovrebbero essere in grado di mantenersi col proprio lavoro. Casi particolari sono sempre possibili: se domani un santo (hei! ci sono santi in ascolto?) mi manda un centomila euri smetto immediatamente di lavorare per denaro. Un domani si potrebbe anche discutere di far vivere alcuni professionisti del dharma (Gesù!) grazie alle offerte (con tutte le incertezze del caso, non con l’obbligatorietà delle donazioni). Oggi penso sia meglio di no (parlo della confraternita zen). Se poi un gruppo di persone si accorda liberamente per garantire la sopravvivenza di qualcuno affinché quest’ultimo possa dedicarsi full time a un centro di pratica… mah, con l’esperienza del passato direi di tener d’occhio con molta cura i conti, però non ci sarebbe nulla di male.
21 Luglio 2014 alle 10:17 am
PS: mi terrei alla larga dal pensare (@9 e @10) che vi sia un dharma che non si insegna. La radice del problema che ha portato in Occidente alla situazione attuale della confraternita zen si è nutrita di simili assunti. Per cui: io ce l’ho e tu no, se lo vuoi lo paghi. Ma siccome ce n’ho sempre un altro po’ che tu non hai: lo paghi per sempre.
21 Luglio 2014 alle 10:34 am
PPS: non credo di aver capito bene @14; e probabilmente non mi sono spiegato bene @9. Nel dire “il dharma non si insegna” intendo che non è una “materia” di insegnamento che io ho (so) e tu no, per cui se ne vuoi imparare mi paghi l’insegnamento. E siccome ce ne avrò sempre un altro po’ che ti manca, dovrai pagare per sempre.
21 Luglio 2014 alle 10:37 am
Mi pare semplice: pensare a, parlare di un dharma che non si insegna è la fonte principale del problema.
22 Luglio 2014 alle 10:54 am
“Il dharma non si insegna”
mi pare richiamare quel “a chiunque fin dalla nascita è dato con pienezza il principio della condizione in cui la persona vive il sé originale genuinamente.” (Bendowa, p.25 vostra traduzione 1990) e, in riferimento alla guida, “la persona che ha questo modo di vivere senza confini, illimitato , volutamente non dà adito, in alcun ambito, alla consapevolezza di star vivendo una vita illimitata..” (come sopra p.26).
Quindi mi chiedo e chiedo: non è proprio nel pensare di avere “qualcosa” da insegnare, l’errore, l’illusione (magari in buona fede) che porta poi alla costruzione di quelle sovrastrutture che constatiamo?
Oppure possiamo dire semplicemente che ci troviamo di fronte ad interpretazioni diverse per cui si arriva anche alla
Teo-logia buddista?
http://www.fudenji.it/it/seminario/seminario.html
http://www.shaolintemple.it/buddhismo-chan/teologia-buddhista/
ES
22 Luglio 2014 alle 11:11 am
Ciao Dario. Non so praticamente nulla della teologia buddista, può anche essere che sia una cosa buona. Purtroppo a me il termine stesso mi innervosisce, per così dire, per cui ho delle resistenze. Limiti culturali, penso.
Concordo con l’uso che fai delle citazioni del Bendowa e con le tue conclusioni, per questo sono stato molto netto: è proprio “di lì” che parte il problema che ha creato la situazione attuale.
Ovviamente sarebbe altrettanto un errore pensare e sostenere che il dharma non esista tout court, solo perché non c’è alcun dharma che si possa insegnare. Ma questo errore è pericoloso solo per chi lo compie, non dà adito a strutture di sfruttamento della miniera/dharma.
25 Luglio 2014 alle 10:34 am
E’ un tema che va chiarito e concordo con quanto precisato sull’argomento sia da jf che da mym.
E’ evidente che se si parte da basi sbagliate, su un piano scorretto, poi è molto, molto difficile riorientarsi nel modo corretto e qualcuno paga un prezzo molto, molto alto e non solo traducibile in monete ma in vita…che va in direzione altra
27 Luglio 2014 alle 6:56 pm
L’occasione/vita è una sola. Sprecata quella dietro a un fantasma o l’altro… si chiude.
28 Luglio 2014 alle 2:20 pm
Cosa si può intendere per ‘sprecare una vita’…
è difficile essere nella condizione di valutare quando una vita è sprecata…
Quello che, a mio parere, si può dire quasi sicuramente (?)è che ognuno di noi ha criteri abbastanza diversi nel giudicare la propria e l’altrui vita…
30 Luglio 2014 alle 3:50 pm
Provo a dire, arbitrariamente, la mia rispetto a marta @21.
“Sprecare”, per me, è quando si è nell’inautentico rispetto alla natura originale dell’essere umano.
Sorge la domanda: come si realizza la nostra natura autentica?
Il buddhismo propone un suo modo.
30 Luglio 2014 alle 4:12 pm
Però ragazzi almeno d’estate potreste andare sul leggerino… 😉
Su piani diversi concordo con tutti e due.
Nello è sulla stessa linea di quello che volevo dire.
Marta è irriducibile nel difendere la libertà di principio.
È vero, correre dietro a un fantasma o all’altro non può essere definito, in modo oggettivo, sprecare la vita.
Ma in senso buddista lo è.
La natura originale dell’essere umano si realizza quando cessiamo di seguire un fantasma o l’altro.
31 Luglio 2014 alle 4:52 pm
Aderisco con convinzione a quanto dite, ma mi rimane un quid sul tappeto: cosa ne faccio di tutti quei tempi ‘sprecati’ che comunque, (che me ne accorga o meno) continuano ad accadermi nel vivere quotidiano?
Mi auguro che la vita sia più ampia di come la posso pensare e che, in qualche modo…da qualche parte, ‘recuperi’ anche quella parte di tempo che, per inseguire qualche fantasma, non ho vissuto (pienamente).
31 Luglio 2014 alle 5:12 pm
Non mi ero mai posto il problema. I tempi, sprecati o no, comunque oramai sono “andati”; e non si sa neppure dove. Penso che non si possa farci nulla, perciò ci si può anche rilassare.
Su una cosa penso di poterti dare assicurazione: la vita è più ampia di come la si possa pensare.
Sulla faccenda dei recuperi, però, ho dei dubbi. Il secondo principio della termodinamica esprime bene la situazione, secondo me. Che espresso in parole povere recita: tutto va in malora naturalmente, senza alcun bisogno del nostro aiuto.
6 Agosto 2014 alle 10:54 am
Sì, però a volte, non so per qual principio, tutto sembra tornare in equilibrio…
mi è sempre piaciuta questa frase “SOLO DAL CAOS PUO’ NASCERE UNA STELLA DANZANTE…” (Nietzsche, Cosi’ parlo’ Zarathustra)
6 Agosto 2014 alle 4:33 pm
Marta sei una birbante.
Stelle danzanti purtroppo se ne vede pochine ma son d’accordo: la meraviglia di un ampio cielo che si rannuvola mi rassicura sul fatto che “va tutto bene”.
Questo non toglie che siamo in un mondo che si sfalda davanti ai nostri occhi.
Non si conserva nulla del presente che passa né vi è un futuro dove sta crescendo lo scenario che sarà.
7 Agosto 2014 alle 7:06 pm
Temo che questa volta i nostri saggi vegliardi mistifichino il “valore” del denaro.
Il denaro è fatto della stessa materia dei sogni, ovvero giovinezza e disponibilità economica.
Oppure è il monocoso che piace tanto ai gesuiti per cui si dannano la vita.
Il commento di dario @17 mi ha fatto venire in mente Marguerite Yourcenar, Mischima o la visione del vuoto, Bompiani 2005.
“forse lo scrittore giapponese ignorava la teologia buddista” (p. 87). L’autrice non si spiega perché Honda, protagonista de “La decomposizione dell’Angelo”(天人五衰’), abortisce la cospirazione mentre Mishima va fino in fondo nonostante i suoi mezzi finanziari siano modesti, se paragonati al terrorista della finzione.
Insomma, ne so meno di mym.
Come dice Nello, bisogna ‘stare’ nello zazen…
Quando siedo a gambe incrociate difronte al muro ho solo il desidero di prenderlo a testate. Fortuna che sono pigro.
Marta, invece, ha ragioni da vendere. 🙂
7 Agosto 2014 alle 7:10 pm
Esempio.
Ho sprecato un pomeriggio a leggere il libro di Gennaro Iorio quando avrei potuto giocare ai videogames.
Prendiamo la vita sprecata di un Gennaro Iorio. Ha collaborato con Pannikkar per fraintenderlo completamente. Vabbè.
Voliamo un po’ più su. Prendiamo la vita sprecata di un Diego Fusaro. Il paladino del turbomarxismo-come-se-fosse-antani, ha curato la traduzione di Also sprach Zarathustra per Bombiani (2010).
A Catania prendiamo la vita sprecata di un quarantenne che è “letteralmente” contro la musica, cioè non l’ascolta. Però vuole tanto bene a Gesù.
Ora prendiamo mym, una vita sprecata a non leggere Kierkegaard.
7 Agosto 2014 alle 7:23 pm
Devi sapere, caro mym, che Kierkegaard è lo scoglio che affonda i soloni della chiesa: da Ravasi in giù.
Il problema con Kierkegaard è che si ha sempre l’impressione che Dio sia altro. Egli ammicca che non è così come abbiamo capito e non capiremo mai.
Siccome è agosto, una lettura estiva: Soren Kierkegaard, Esercizi del cristianesimo, Piemme 2000. L’autore distingue il cristianesimo dalla cristianità (l’imperium della Chiesa).
“La bestemmia è propriamente una proiezione dell’empietà” – Soren Kierkegaard (ibidem p.129)
7 Agosto 2014 alle 8:04 pm
Grazie HMSX, mai letto Kierkegaard (per scrivere il nome devo fare un copia-incolla altrimenti…). C’è il caso che lo faccia ora, le tue opinioni letterarie non sono banali.
8 Agosto 2014 alle 12:48 am
PS.
Considera che K.f u un lettore appassionato ma critico di Schopenhauer, contemporaneo e gemello spirituale di Nietzsche. Morì due mesi dopo la pubblicazione de “L’Ora: atto d’accusa al cristianesimo nel regno della Danimarca”.
L’11 novembre 1855 dichiarò bancarotta. Stramazzò nella pubblica via e fu ricoverato al Friedriks Hospital di Copenaghen dove visse i suoi ultimi 41 giorni. Morì all’età di 42 anni.
L’ironia è che…
«Solo un’impossibile impresa può liberare l’uomo nell’infinito» è proprio una frase alla Kierkegaard!
16 Agosto 2014 alle 3:29 pm
«Venite a me, voi tutti che siete affaticati, e oppressi, e io vi ristorerò» Mt 11,28.
Si immagina l’odio come un sentimento pericoloso. L’anticamera della violenza: ma l’odio del neikosofo non è violento. È un odio mite, tranquillo, sereno. Quasi annoiato. (…) Ci vuole calma per odiare con stile, per questo il neikosofo approda alla placidità delle filosofie orientali. Tuttavia è l’odio per la realtà che ci trascina a pensare. Il mondo che ci circonda è orribile, in me stimola nobili pensieri d’odio.(*)
(*) Il Vangelo dell’Anticristo, p.13, inedito scritto da me medesimo.
Continuate pure a far pubblicare i libri dei monocosi eh!, cari i miei editori…
PS: a volte penso che per quello che ho scritto meriterei un fantamilione di dollari, ma anche due settimane in un centro zen vista mare mi andrebbero bene. Happy Madonna day.
17 Agosto 2014 alle 6:45 pm
Fantamilioni, fantamilioni. I fantamilioni come non fantamilioni sono stati insegnati. Per questo son detti fantamilioni.
Penso che ultimamente quella rappresentazione di Dio che possiamo chiamare “dio di Abramo”, quella che chiese ad Abramo fede cieca e assoluta in cambio di terra e folta discendenza, stia mostrando tutta la sua tragica assurdità.
30 Agosto 2014 alle 12:47 pm
«Sai che i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole?» (Mt 15, 12)
Dio è il sistema dell’uomo. Non nel senso che l’uomo si identifichi con Dio o viceversa: all’uomo non va tolta nessuna debolezza o grandezza che gli viene dal suo essere umano. Ma nel senso che Dio è la proiezione geometrica necessaria della forma spirituale dell’uomo. Il fatto che l’uomo sia uomo postula automaticamente il sistema Dio. Questo postulato, all’uomo non è dato negarlo. Se lo nega, o s’inganna o si imbroglia. Ne discende che cercare Dio significa cercare sé stessi. Alla fine Dio, mondo, sé stesso, vuol dire la medesima cosa.(*)
Tuttavia…
L’ateismo del buddismo non è aggressivo. Il suo sistema esclude un Dio onnipotente, ma non le innumerevoli divinità della mitologia popolare giacché, tra gli indiani, l’ortodossia non è definita dalla credenza in una divinità personale, ma dalla venerazione dei Veda: raccolte di inni, preghiere, formule magiche e riti. «Dio non può aver fatto il mondo per interesse, perché non abbisogna di nulla; né per bontà, giacché nel mondo c’è la sofferenza. Dunque, Dio non esiste».(**)
(*) Il vangelo dell’Anticristo, inedito scritto da me medesimo, pag.3
(**) ibidem, pag. 23.
30 Agosto 2014 alle 12:48 pm
PS: «Amici, non ci sono amici!» gridò il saggio morente. «Nemici, non ci sono nemici!» grido io, il pazzo vivente. Federico Nietzsche.
NB: Siccome ho una diversa scala di valori, do molta importanza al denaro, mi secca oltremodo che un Gennaro Iorio, per dire, un qualsiasi gesuita, mi legga aggratis. L’inedito resta inedito. Ciao.
31 Agosto 2014 alle 7:42 pm
Ciao HMSX,
@35 Questa cosa della proiezione geometrica la trovo molto interessante. Però, penso, il problema non è se negare o meno Dio, il problema è se postularlo o meno. In effetti il buddismo, o il sistema detto buddismo, non esclude Dio. Affronta il problema della vita dell’uomo secondo un percorso che non postula, non afferma l’esistenza né la non esistenza di Dio. Penso che si possa essere buddisti e credere in Dio, purché non si affermi, creda o pensi che si crede in Dio perché si è buddisti. A quel punto il problema diventa non immaginare Dio, altrimenti quel “essere buddisti” non si da.
@ 36: Il denaro ha importanza, mannaggia, penso però che occorra funzionare secondo una scala di valori in cui il valore del denaro non sia al primo posto.
6 Settembre 2014 alle 4:57 pm
@ marta, 26
Prima del Big Bang il tempo non esisteva. Il tempo è il risultato dell’espansione dell’universo stesso. Quando il tempo smette di espandersi il movimento si inverte e si ha il Big Crunch. Significa che vivremo per sempre le nostre vite: esse ritorneranno in eterno. Tuttavia per ogni vita sono possibili infinite variazioni.
Dunque il principio per cui tutto sembra tornare in equilibrio pare essere l’eterno ritorno del divenire (cfr. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, libro III, Della visione e dell’enigma).
6 Settembre 2014 alle 5:01 pm
@mym, 37
Mi viene da dire: «Ha ragione, hai ragione, lo so che c’hai ragione!»
Perché Dio quando basta un sasso? Il fatto è che ereditiamo dalla nostra tradizione questa parola, Dio per l’appunto, e dobbiamo farci i conti. Credo di esserne venuto a capo ma non interessa al mercato. Men che meno ai cattolici.
Una volta un filosofo veniva onorato, oggi è considerato alla stregua di un Fantozzi, a meno che non vada in TV a sparare minchiate. È che il mercato produce demenza. Le vittime di questa demenza, con la complicità di una casta sacerdotale davvero “empia” nel senso loro (evadono le tasse e vivono in attici da mezzo milione di euro), sono incoraggiate a iscrivere nel concetto di Dio le più assurde fantasie.
Hare Krishna Hare
7 Settembre 2014 alle 6:29 pm
Hare Krishna Hare!
@38 Sì, me lo ricordo il B.B., quello fu un momento davvero con i controcosi, non si sapeva ancora che cosa ne sarebbe venuto fuori, speranze, aspettative, entusiasmo. Poi… Insomma, lo sapete com’è andata. Mo’ aspettiamo il crunch, e speriamobbène!
@39 Forse è banale dirlo ma il mercato ha bisogno della demenza. Basta guardarsi attorno: senza demenza (ovvero avendo ben calcolato le conseguenze) la stragrande maggioranza delle cose attorno a noi non le avremmo comprate. Il concetto/parola Dio ce la passano già all’asilo, ma anche l’uomo nero, gesùbbambino e la cicogna. Un po’ di reset (formattazione?) è possibile.
9 Settembre 2014 alle 12:25 pm
La cicogna la terrei, in corso di reset. Ha il pregio di esistere con ragionevole certezza, almeno lei, seppur non nella funzione da levatrice attribuitale, ed è pure molto bella e sapiente.