Dom, 22 Giu 2014
Tanto tempo fa, in quel di Monza, Massimo e Giovanna, due baldi e (allora) giovani zazenisti ebbero la splendida idea di tradurre in italiano una piccola opera, dal titolo Lo zen di Dogen come religione, scritta da Kosho Uchiyama, abate di Antaiji sino al 1975, quando il monastero era ancora situato alla periferia di Kyoto.
Erano tempi, quelli della traduzione, in cui il PC era ancora un oggetto quasi misterioso, posseduto solo dai precursori. Così il testo nacque su carta e tale rimase per molto tempo. Sino a quando Marta, nomen omen, lo copiò nel suo PC rendendolo così facilmente accessibile per correzioni e aggiornamenti. Si rendeva necessaria una copertina e, naturalmente, fu il Doc a prestare la sua matita mentre Ahr trasformò il tratto di quella matita in segni digitali, componendo l’insieme della copertina. Intanto Jf correggeva le parole giapponesi aggiungendo gli ideogrammi, Marta rifiniva il testo, controllava e ritraduceva d’accapo le note… e mym, come sempre, rompeva le … Cioè: coordinava il lavoro con grande pignoleria.
Un lavoro che siamo lieti di offrirvi in un agile e-book in formato pdf, in attesa che il nostro immensurabile webmaster, entro la fine del mese di tetlicatepec ce lo trasformi in formato e-pub.
Il testo originale nacque nel 1977, due anni dopo che Uchiyama aveva lasciato a Koho Watanabe la guida di Antaiji, proprio mentre il monastero rinasceva sulle montagne dove si trova tuttora, seppur molto cambiato.
Non ostante siano trascorsi quasi 40anni dalla sua composizione, il testo rimane attuale, evidenziando così la sua valenza religiosa.
In formato pdf:
Lo zen di Dogen come religione
Lo zen di Dogen come religione, di Kosho Uchiyama
19 Commenti a “La Stella Edizioni”
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23 Giugno 2014 alle 4:17 pm
Grazie.
Ho letto e scaricato “LA VIA LIBERA” e la tua parte mi è piaciuta molto mentre quella di Iorio no.
Di questo ultimo testo che proponi ho l'”originale” italiano dei due traduttori, adesso vado a vedere come è oggi. Ciao e grazie ancora per le sempre ottime pubblicazioni.
23 Giugno 2014 alle 5:24 pm
Grazie Nello.
Anche se mi preoccupi un po’: una volta eri la coscienza del blog, trovavi da ridire su tutto, ci tenevi attenti sul pezzo, altrimenti… poi lo senti Nello!
Sarai mica invecchiato? O, peggio, innamorato/sposato/ingabbiato.. insomma, quella cosa lì? 🙂
Ciao
PS: se tu volessi dire, anche brevemente, perché la parte di Iorio non ti è piaciuta, daresti una mano a migliorare. Grazie.
25 Giugno 2014 alle 5:28 pm
La “coscienza del blog…” forse non sono io ad avere cambiato posizione!
Il mio commento sull’8 per mille non era delicato…
La parte di Iorio non mi è piaciuta perché è troppo fratta tra i vari aspetti che avrebbe voluto trattare mentre ci sono solo accenni che non dicono nulla e si risolvono in un meta linguaggio sul soggetto in oggetto che risentono troppo di personalismo che ai limiti è valido per lui medesimo (Iorio). Nelle sue pagine c’è il tentativo di raccolta, di didascalia, di agiografia che non precisa e chiarisce o pone le premesse perché questo possa avvenire. Forse sarebbe stato meglio trattare pochi aspetti fondanti la materia e lavorare su quelli per quelli, vale a dire senza occhieggiare a oriente perché quello lo avevi già fatto tu. E aveva a disposizione la grande scuola greca ed europea…
Episteme, stare, essere, “sul pezzo”, questo manca.
Sono andato così a braccio, non ho un pc e sono qui in quello pubblico della biblioteca per cui non ho il testo sotto mano per entrare più nello specifico.
25 Giugno 2014 alle 5:43 pm
“forse non sono io ad avere cambiato posizione”: touché! 🙁
Grazie per la critica sul pezzo di Iorio. Apprezzo molto.
25 Giugno 2014 alle 6:19 pm
Il testo de ‘Lo zen di Dogen come religione’ mi piace assai, ma temo che quelli dell’UBI non abbiano la convenienza di leggerlo o di capirlo…
Siccome Nello latitava, ho pensato bene di scrivere una critica al testo di Iorio sperando di fare cosa gradita. Mi ha ispirato una frase di Kosho Uchiyama: “Nell’era della tecnologia, il significato di religione deve cambiare e noi dobbiamo chiaramente capire che l’autentica religione diventerà sempre più importante in futuro”.
Iorio si prefissa l’obiettivo di “penetrare nella storia… dell’etica della cultura occidentale”, ma non lo centra perché identifica l’etica cristiana con l’etica tout court. La sua analisi è viziata dal tentativo di conservare il cristianesimo mostrando una straordinaria cecità nei confronti della storia. Invece di prendere atto della parabola fatalmente discendente del cristianesimo, e del suo superamento a favore di una nuova e autentica religione, quella laica, tira l’acqua al mulino della Chiesa.
Sostiene, ad es., che non siamo padroni di disporre liberamente delle nostre vite perché generati da un principio creatore (pagg 132 e 154); mentre tutto il secondo capitolo è una fenomenologia e apologia della compassione, disconoscendone però il fondamento utilitaristico e interessato. La parte più debole, secondo me, è quella dedicata alle neuroscienze. (Segue spiegazione).
25 Giugno 2014 alle 6:21 pm
Iorio scrive a pag 174 che l’anima, ossia la mente, è immateriale, dunque deduce, in maniera arbitraria, “una sua immortalità e… origine trascendentale”.
Posta questa premessa, sostiene che la metafisica non può dare una spiegazione esaustiva e definitiva del male, per cui deve essere integrata dall’etica cristiana mediante un atto di fede.
In verità, la metafisica ci offre una spiegazione definitiva del male, e apre la strada ad una etica svincolata dai dogmi cristiani.
Occorre fare una premessa. Quella forza sconosciuta e inconoscibile, che tutto muove, e che ci ostiniamo a chiamare Dio, nella realtà non si dimostra un Dio di bontà. Del resto, se è Dio, non può aver caratteri umani, né positivi, né negativi. Ma questa è la cosa più indigesta per chi crede e per chi vuole credere. In altri termini, bene e male sono la stessa cosa: siamo noi che li separiamo per comodità di analisi, ma nella vita il bene non è mai puro, ma saldato con quello che per noi è il male.
La (nostra) vita, secondo il Dio dell’amore, è sacra, dunque è il bene; la morte è il male. Ma la morte sopraggiunge per dare spazio ad altri esseri, per cui il bene viene dal male, coincide con il male. Il nostro destino di deperibilità e miseria non consegue ad un decreto di condanna di un demiurgo maligno, ma dalla struttura positiva, creativa della realtà.
In conclusione, il problema concreto dell’etica (occidentale) è quello di vivere come santi, ma senza Dio; ovvero di esercitare una laicità autentica e problematica che significa tradurre il linguaggio mitico-antropomorfico, “fumettistico”, della religione, in linguaggio critico.
25 Giugno 2014 alle 6:38 pm
Grazie, HMSX, sottoscrivo quasi tutto. Non mi convince però che la morte sopraggiunga per dare spazio ecc. Son più dell’idea che non ci siano idee valide a proposito. Si nasce si muore, nel frattempo un mare di guai. Che non sono guai: sono quel che sono ma spesso li pensiamo così.
Riguardo all’UBI, al dialogo interreligioso et alia ho postato una foto che vale un Perù
Con tutto il rispetto, naturalmente; soprattutto per fratel Tenzin Gyatso XIV che è ‘nu bravo guaglione.
29 Giugno 2014 alle 4:38 pm
La parte che non ti convince del commento 6 è una interpretazione della massima 1251 di Goethe:«La natura riempie con la sua sconfinata produttività tutti gli spazi. Consideriamo soltanto la nostra terra: tutto quello che chiamiamo cattivo, infelice proviene dal fatto che essa non può dare spazio a tutte la creature, e ancore meno può conferire loro durata». Prendiamo il problema del male. Un terremoto è un assestamento interno di questa sfera che è la nostra terra nel ruotare su se stessa e intorno al sole a velocità vertiginosa, quindi è una cosa «buona», funzionale per la terra, per la natura. Ma chiaramente non per le vittime del terremoto.
Insomma, ci sono cose che sono come guai… e poi ci sono i selfie.
Fratel Tenzin Gyatso XIV ha rilasciato un’intervista al Corriere della sera il 15.06.2014. La notizia è che il Dalai Lama non ha mai letto quel libro di Beppe Severgnini in cui spiega che il cervello italiano è diverso da quello degli altri. Spero che l’omaggio spontaneo dei trafficoni dell’Ubi sia stato più rispettoso. La foto è bella. Non distinguo i confini tra il buddismo cosmico e il buddismo comico.
29 Giugno 2014 alle 5:32 pm
Grazie Hmsx, ho capito. Mi pareva strano che tu, dalla parola misurata, ti lanciassi -di tuo- in certe affermazioni.
La foto è bella nella misura in cui è “bella” la famiglia Addams… 😉
Purtroppo Iorio dice di essere troppo indaffarato in questo periodo per poter trovare il tempo di rispondere alle critiche di Nello e Hmsx. Se un giorno qualcuno farà un censimento delle occasioni perse non dimentichiamoci di questa.
30 Giugno 2014 alle 9:11 am
“Se un giorno qualcuno farà un censimento delle occasioni perse”: un catasto non meno vertiginoso della borgesiana Biblioteca di Babele, sempre meno capiente, comunque, di quello delle occasioni da lasciar perdere e invece sventatamente colte.
30 Giugno 2014 alle 10:17 am
Autoriflessiva? 😛
O si gioca a misurantis il noster col voster? Allora ti dirò che c’è n’è uno ancor più grande, pensa mo’ che ci cade di tutto ed è sempre vuoto, ne esce di tutto e non c’è mai nulla.
Tze!
30 Giugno 2014 alle 11:45 am
Brame del mio specchio, tu dici… Chissà
Ma “quello” cui accenni non concede censimento.
30 Giugno 2014 alle 11:53 am
In effetti contare sino a uno non è quel gran censire. Ed è pure meglio non farlo: c’è chi -invece che a tutto- pensa subito al mono, al monocoso lì; poi arrivano i gesuiti ecciao.
30 Giugno 2014 alle 11:55 am
Iorio, di fatto, non potrebbe dire nulla di più di quanto già abbia detto.
Lui, l’occasione l’ha avuta prima. Ora, a posteriori…
30 Giugno 2014 alle 12:29 pm
Non resta che una parola: amen.
1 Luglio 2014 alle 10:35 am
Quando si potrà avere una traduzione e commento di Uji e del Taidaiko gogejari ho?
E, quale è la tua posizione rispetto al Taidaiko….? Io lo trovo molto educativo e profondo.
1 Luglio 2014 alle 10:46 am
Su Uji lavorò Carlo, mono-stellato di Bg, alcuni anni or sono, e pubblicammo. Il Taidaiko mi fu… imposto dal Boss come studio per un inverno intero ad Antaiji. Chissà perché… 😕
Sinceramente non ne ricordo molto, se non che vi era posto in risalto l’aspetto confuciano della faccenda. Penso, spero, che tale confucianità fosse per funzionalità di marca buddista, ma -come detto- la memoria non mi aiuta.
Per Shobogenzo e dintorni prova a chiedere a Jf, lui si diletta di Dogen e limitrofi. Recentemente si dedicò al successore di Keizan 😯 per esempio.
5 Luglio 2014 alle 10:24 am
Vedo e condivido
http://www.internazionale.it/immagini/birmania/2014/07/04/foto-403341/
Lo Zen di Dogen come religione (Zen Soto Monza 1991):
forse ci dice anche che non c’è una religione Giusta, ma un “giusto” approccio alla religione
7 Luglio 2014 alle 10:46 am
Ciao Dario.
Non c’è proprio religione, intesa come qualche cosa.
Ci siamo noi e il nostro, eventuale, procedere verso il bene su uno sfondo di gratuità. L’eventualità, il procedere, il verso, il bene, lo sfondo di gratuità, nella loro variabilità singola e combinata sono poi ciò di cui si parla.
Tralascio appositamente “noi e il nostro”, o per dirla come piace (?) a Nello: wasururu nari. Dimenticarsi.