Lun, 9 Giu 2014
Veni, vidi, locuti sumus!
Inizio con un poco di latinorum, in risonanza con le numerose citazioni in tedesco, in greco, in francese, in aramaico, in spagnolo, in inglese, in latino naturalmente e qualcosina pure in sanscrito, suoni che dopo tre giorni di full immersion ancora mi sfarfallano tra un orecchio e l’altro.
Incontro di grande interesse, sia religioso che antropologico.
Un dotto gesuita, p. Fausto Gianfreda, ha tenuto tre conferenze magistrali di alto livello. Raramente, forse mai, ho sentito parlare così bene, e con tanto
entusiasmo, di concetti così difficili, per di più rimbalzati da un autore all’altro, da un secolo all’altro. Questo ha fatto risaltare, più del solito, la mia scarsa cultura.
La parte più interessante è stata quella finale, il terzo giorno. Il programma era di parlare delle differenze che ciascuno di noi riscontrava nella “compassione” secondo l’accezione della religione dell’altro. Ho iniziato io, ho parlato un quarto d’ora e… è successo di tutto. Ad un certo punto, il moderatore -sacerdote anch’egli e monaco di Camaldoli- si è spogliato del suo ruolo super partes ed è intervenuto con una veemente predica, di parte, di quasi mezz’ora. La cosa curiosa è che la completa assenza di volontà (attitudine?) di considerare un punto di vista (in questo caso: il mio) insolito ed eccentrico rispetto alle consuete visuali teologiche, è stata poi definita “un dialogo molto interessante e onesto”.
Riconosco senza difficoltà che in un convegno in casa dei monaci camaldolesi, dialogando con un erudito padre gesuita, mettere in dubbio, in alcuni episodi della Scrittura, la capacità di esprimere compassione da parte di Gesù e in particolare del Dio di Abramo, non è stato un atto di accorta diplomazia. Mi avevano chiesto di dire quello che pensavo su un argomento preciso, l’ho fatto in modo rispettoso e chiaro.
Purtroppo questa parte, più animata, dell’incontro, non la trovate nel testo scritto del mio intervento (un testo che contiene due novità) perché è stata improvvisata. La trovate nell’ultima parte, la n°7, del CD (a pagamento) che potete richiedere a: foresteria@camaldoli.it
Nella quale però manca più di mezz’ora del confronto (duello? 🙂 ) finale. In particolare è stata tagliata tutta la “predica” del moderatore, p. Joseph. Peccato: ricordava che al Dio di Abramo, sino a quel tempo -seppur raramente- si offrivano sacrifici umani. Il senso dato infatti da p. Joseph alla storia di Abramo e Isacco era che, fermando la mano di Abramo, Dio volle dire, anche, che lui rifiutava il sacrificio di esseri umani.
18 Commenti a “A Camaldoli la Stella andò…”
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10 Giugno 2014 alle 2:29 pm
Qui trovate un primo feedback del convegno (assieme alla mia risposta).
10 Giugno 2014 alle 4:18 pm
va bene l’elettronica, ma certe scene sarebbero da vedere in diretta, accidentaccio! quand’è che torni a fare sfracelli da queste parti?
10 Giugno 2014 alle 4:30 pm
Sfracelli, insomma, un filino di agitazione, nulla più.
Se posso dirlo… Posso dirlo: un monaco dell’eremo, vecchio amico, seduto in prima fila, al termine dell’incontro ha detto: “Mi sono divertito un mondo!”
10 Giugno 2014 alle 10:20 pm
il tuo capolavoro resta probabilmente quella volta che te ne sei uscito con: affermare che Dio è “uno” è una forma di idolatria 😉
a proposito del Dio trino e quattrino, sto diffondendo la campagna anti-8 per mille. mi spiace per loro, ma Ubi Maior…
10 Giugno 2014 alle 10:37 pm
Che gioventù scapijata! E rivoltosa. Vi benedico perché siete meglio pure d’un bicchierotto di rosso.
11 Giugno 2014 alle 10:17 am
Certo, affermare che Dio è uno è idolatria: contare Dio è contare dio, perbacco.
Del tipo: quanti so’? Booh, ammemmepare uno…
Con tutto il rispetto, naturalmente.
11 Giugno 2014 alle 10:35 am
Mi è piaciuto moltissimo il tuo intervento.
C’è una misura, un rispetto dell’altro che si precisa in un registro lunguistico e semantico chiari quindi estremamente comprensibili.
Veramente, ben fatto, gassho.
11 Giugno 2014 alle 10:52 am
Grazie.
Purtroppo non son riuscito a far capire (o a far accettare la legittimità del pensiero) che, nella finzione letteraria della Scrittura, se Abramo ha creduto che fosse Dio (e non, per es. un demone) colui che gli chiedeva di sacrificare il figlio, vuol dire che Abramo credeva in un Dio in grado di, o legittimato a chiedere sacrifici umani. Per cui se oggi i cristiani credono nello stesso Dio…
Purtroppo l’unico che l’ha capito lo hanno censurato (nel CD).
11 Giugno 2014 alle 7:32 pm
A gentile richiesta…
Offro al vostro ascolto la parte finale (il duello! 🙂 ) dell’incontro di Camaldoli.
La proprietà del file è del santo eremo ma pubblicandone solo un pezzetto penso di non danneggiare (troppo) gli incassi relativi al CD.
12 Giugno 2014 alle 3:57 pm
Ho letto e molto apprezzo il testo del discorso di mym, che va più attentamente studiato ed esaminato. Qui mi concedo un paio di considerazioni che la lettura leggera mi stimola fino a esternarle. La prima è più importante, e riguarda il “tema” della fede che è basilare nel discorso: averlo affiancato ai tre tradizionali “ambiti” (sila, prajna, dhyana – etica comportamentale, conoscenza cosciente, pratica dell’assenza presente) è una “novità” fondamentale, perché senza la fede come è indicata i tre altro non sono che esercizi di bravura. La seconda è meno centrale, per me, e riguarda il discorso delle religioni comparate, le due automobili che vanno in differenti direzioni: è un discorso ambivalente. Se i dialoganti lo prendessero sul serio, come metodologia, invece di partire dal presupposto che per incontrarsi bisogna andare tutti dalla stessa parte (anche le tombe sono differenti e, azzardo dire, anche le morti, visto che la mia non coincide mai con la tua) forse ognuno potrebbe riflettere più seriamente sulla propria meta.
Secondo me, comunque, questo della compassione è uno specchietto per le allodole: ai buddisti non serve, è già compreso nel pacchetto, come si evince chiaramente dal discorso di mym, i cristiani non li riguarda, hanno la misericordia, che è altra cosa: il samaritano, il padre del figliol prodigo sono misericordiosi, non compassionevoli: il bene lo fanno da fuori, non per identificazione.
12 Giugno 2014 alle 4:20 pm
Grazie di averlo letto.
L’analogia dell’automobilista la considero il punto più.. basso? debole? del discorso.
Però molto utile, da due parti. Primo: mi è servita per mettere con le spalle al muro la solita pappina del volemmosebbene con gomitate ammiccanti: siamo tutti nella stessa barca vediamo di non far polemiche ecc.
Non siamo nella stessa barca/automobile, non vado dove andate voi. Punto.
Secondo: mi ha evitato di dover spiegare davvero perché preferisco il buddismo: imitare Dio, investire nella vita eterna e simili, seppur spesso consista nel far cose simili a quelle che già faccio (ecco l’auto dello stesso modello), non mi interessa.
12 Giugno 2014 alle 5:01 pm
Bene, allora ho “beccato” il punto più alto e quello più basso…
Non sono sicuro sia questione di “perché preferisco il buddismo”. Forse “all’inizio” sì, ma poi direi che diventa una questione di necessità, per restare alla terminologia della cara Simone. Come tu dici, la religione non si sceglie, e certo non per comparazione: prende una vita e ne abbiamo una sola. Forse si può dire preferisco il buddismo perché il buddismo ha preferito me, parla una lingua che sento e consento, ascoltandola – è sempre impreciso ma dice (ci prova) anche quella parte che il semplice “preferisco il buddismo” non dice. Mah…
12 Giugno 2014 alle 5:06 pm
Uso “preferisco il buddismo” perché, almeno nominalmente, son nato cristiano e nel santo eremo lo misi avanti. In ogni caso, nella realtà, il buddismo sono andato a cercarlo, perciò l’ho scelto.
PS: Mai detto che “quello” fosse il punto più alto.
Sarò off line per un paio di giorni.
15 Giugno 2014 alle 3:35 pm
Mi è piaciuto l’intervento di mym. Tra le tante cose, ho apprezzato la formula ‘cuore fidente’. Credo sia una conquista dell’età matura che si realizza quando non non si ha più l’energia per praticare lo scetticismo: la cosa più contronatura per l’uomo.
Credo anche che il dialogo con i cattolici sia impossibile perché sono sleali. Il dotto gesuita p. Fausto Gianfreda, per es., cita Timore e tremore di Kierkegaard dove si descrive l’episodio di Abramo ignorando (?) che questo libro – come tutta l’opera dello scrittore danese – è un attacco alla Chiesa ufficiale. Il paradosso di Abramo è che egli non può dire a nessuno quello che deve compiere perché non verrebbe capito per cui il personaggio funziona solo se si assume un “rapporto assoluto con l’assoluto”, senza la mediazione etica (il rapporto con gli altri). Inoltre l’atteggiamento di Abramo è dubbioso, esitante, distante dalla sicumera dei “paladini della fede” che di quella fede (quella di Abramo) sono solo una parodia. Bisogna considerare che l’opera di Kierkegaard è sterminata, che io l’ho studiata tutta (!), e che per ‘fede’ deve intendersi qualcosa di molto complicato che suona come ‘conoscenza’. Ma queste sono questioni dotte che non piacciono al gesuita. Temo, tuttavia, che la semplicità non gli converrebbe.
15 Giugno 2014 alle 3:36 pm
Domande semplici.
– Si può credere che Dio ha creato il mondo per l’uomo, centro e signore dell’universo?
– Che dopo milioni di anni ha deciso di rivelarsi, casualmente in un certo punto della storia e della terra e non in un altro?
– Che è importante pregarlo perché ci salvi da malattie, guerre etc, che non cessano di funestarci nonostante le preghiere?
– Che bisogna rimettere a Dio il giudizio che incombe a noi nella problematicità di tutte le cose?
– Che dobbiamo illuderci e accecarci nella fede quando non c’è alcun segno che le cose credute siano vere?
– Che il nostro destino sia diverso da quello dei «bruti», ossia dei nostri fratelli animali, dei quali ci cibiamo senza scrupoli e i cui comportamenti, anche aggressivi, sono lontani dalla malizia umana?
– Che solo per noi esiste l’immortalità e addirittura la resurrezione della carne, alla bella età di trentatré anni, e che questa carne dura poi in eterno senza tutti gli accidenti della carne?
Le risposte, secondo me, sono semplici, così come è semplice, per me, constatare che l’ «esperienza» su cui basa la fede il nostro gesuita è quella della psicopatologia, ovvero della malattia mentale, per dirlo in modo semplice. Il cristianesimo è solo una favola, ossia, per usare le parola di Kierkegaard: “il cristianesimo non esiste” (cfr. L’Ora: atto d’accusa al cristianesimo nel regno della Danimarca, Roma, Newton Compton editori, 1977).
15 Giugno 2014 alle 4:35 pm
Grazie HMSX, proprio di età matura si tratta.
Di Kirkegaard non so praticamente nulla perciò mi astengo. Leggendo le tue domande e la conclusione che ne trai, mi vien di pensare che tu sovrapponga cattolicesimo e cristianesimo. Senza pretendere che esistano cristiani “puri”, voglio dire che quel giovanotto che faceva seccare gli alberi di fico (succede, ne ho fatte di peggio…) non solo era ‘nu bravo guaglione, ma le cose che diceva erano molto interessanti, per vivere meglio. Occorre anche rendersi conto che cosa doveva essere, in fatto di cultura (religiosa e non), quella parte del mondo 2000 anni fa.
15 Giugno 2014 alle 5:18 pm
Premesso che le differenze tra cristianesimo, cattolicesimo etc., secondo me, consistono esclusivamente nel modo di spartirsi il bottino, anch’io penso che Gesù si stato ‘nu bravo guaglione.
Gesù, in quella parte del mondo di 2000 anni fa, cioè nella fase storica in cui le civiltà antiche erano giunte alla sazietà, alla sterilità e all’impotenza, infiammò e provocò l’esplosione della catasta di valori esausti fondati sulla aristocrazia introducendo valori inediti e democratici (l’attenzione verso gli umili e gli oppressi). Proprio questa sua funzione storica dimostra secondo me l’umanità – geniale al sommo grado – di Cristo e non la sua divinità.
La Chiesa, invece, come istituzione spirituale e secolare, è ormai incamminata sulla strada della corruzione e il suo tramonto coincide con la sua inarrestabile perdita di credibilità.
15 Giugno 2014 alle 5:28 pm
Mi pare un buon punto di partenza, o di contatto, o di arrivo.
Le chiese sono un problema di tutt’altro genere.