Gio, 10 Gen 2008
Forse perché “le grandi potenze”, quelle che fanno le grandi schifezze, ottengono già il massimo dalla situazione di sottomissione di quel continente e non hanno così interesse a metterci sotto il naso il disastro che sta avvenendo? Mille morti in Africa non valgono molto alla borsa delle notizie che conviene mantenere calde. Valgono meno di una lacrima di Hillary.
L’articolo è di Wangari Maathai – Premio Nobel per la pace 2004.
La situazione attuale del mio Paese, il Kenya, provoca sgomento e preoccupazione. Dobbiamo agire subito al fine di bloccare le violenze e gli omicidi insensati. Abbiamo visto tutti con orrore e profondo rammarico l’evolversi degli eventidevastanti della settimana passata. La situazione continua a peggiorare e tutti i keniani che abbiano una coscienza devono continuare a chiedere ai nostri due leaders, il Presidente Mwai Kibaki e l’On. Raila Odinga, di dialogare e porre fine agli sfollamenti, agli omicidi e alla distruzione dei beni privati.
All’origine delle attuali violente esplosioni etniche vi è l’annuncio da parte della Commissione elettorale del Kenya della vincita da parte del Presidente Kibaki delle elezioni presidenziali del 2007. E’ tuttavia necessario risalire al malcontento pregresso e al sostrato di sospetto tra le diverse comunità etniche, sentimenti che sono stati alimentati da generazioni di politici in modo da essere poi facilmente utilizzati strumentalmente non appena se ne fosse presentata l’occasione. L’annuncio della Commissione elettorale ha rappresentato una simile opportunità.
Per capire la situazione attuale, è necessario ricostruire l’evoluzione dell’attuale opposizione negli ultimi 5 anni. Bisogna risalire a quando l’allora Presidente Moi si dimise per motivi costituzionali nel 2002 e nominò Uhuru Kenyatta suo successore nonché leader del partito allora al potere, il Kenya African National Union (KANU). In quel momento, alcuni politici di lunga data i quali contavano di succedergli, decisero di rendersi autonomi dal KANU e di formare un nuovo partito, il Liberal Democratic Party (LDP); decisero inoltre di unirsi alla squadra dell’On. Mwai Kibaki, quest’ultimo candidato Presidente – nel 2002 –per l’opposizione di allora, il National Alliance Party of Kenya (NAK). Queste due forze, insieme, diedero vita ad un nuovo partito, il National Rainbow Coalition (NARC); una simile mossa mutò le sorti del NAK e probabilmente contribuì alla sconfitta del partito al potere, il KANU, alla vittoria del NARC nonché all’elezione di Kibaki come Presidente.Prima della formazione del NARC, i due partiti costituenti (LDP e NAK) firmarono un Memorandum d’intesa al fine di accordarsi sulla divisione del potere politico una volta ottenuta la vittoria. Si raggiunge sì la vittoria, ma purtroppo il Memorandum d’intesa fu disonorato quasi immediatamente; si registrarono allora pubblicamente voci di profondo malcontento e di disapprovazione. Questo stesso risentimento si trasformò quindi in una divisione percettibile già nel corso della conferenza organizzata al fine di dare ai keniani una nuova costituzione. In seguito, la stessa divisione si sarebbe espressa con riferimento al Referendum costituzionale, il quale vide la sconfitta della proposta di costituzione appoggiata dal Governo.
Durante entrambi tali processi, le due componenti del NARC rimasero su posizioni distanti, ma tale divisione si fece esplicita nelle Elezioni del 2007. La parte guidata da Kibaki promosse una campagna elettorale sotto il Party of National Unity (PNU), mentre la parte guidata da Raila Odinga si mosse sotto l’Orange Democratic Movement (ODM). Entrambi i partiti cominciarono la campagna su posizioni nettamente autonome, con i principali protagonisti fortemente sostenuti dalle rispettive comunità etniche ed un senso di radicato sospetto l’uno nei confronti dell’altro.
Prima che i risultati delle elezioni presidenziali fossero diffusi, proteste e accuse di irregolarità e brogli furono sollevate dall’ODM e da almeno un membro della Commissione elettorale. L’On. Odinga dichiarò pertanto di avere vinto le elezioni e chiese al Presidente Kibaki di ammettere la sconfitta.
Tuttavia la Commissione elettorale emise un comunicato ufficale e dichiarò il Presidente Kibaki vincitore delle elezioni presidenziali del 2007. Poco dopo, il neo-eletto giurava nella sede del Governo alla presenza di alcuni ospiti e di Ministri, nonché di numerosi parlamentari uscenti che pur non videro riconfermato il loro mandato. La cerimonia del giuramento fu talmente affrettata che si dimenticò persino l’Inno nazionale. Un simile giuramento non fece che alimentare il sospetto che i brogli fossero effettivamente stati estesi.
Dopo che la Commissione nazionale ebbe dichiarato il Presidente Kibaki vincitore, osservatori elettorali (locali ed internazionali) ed altre parti, compresi membri della Commissione elettorale ed il suo Presidente, ammisero alcune irregolarità nel conteggio dei voti. L’ODM protestò, affermando di essere stato scippato della vittoria.
Desideravano infatti che il Presidente Kibaki ammettesse l’irregolarità del procedimento e si dimettesse. Tuttavia, il Presidente aveva già assunto il potere, dal momento che aveva giurato e si considerava eletto regolarmente. Questo fatto irritò ulteriormente l’ODM ed i suoi membri, creando ulteriore frustrazione.
Quasi immediatamente, membri delle comunità che principalmente sostennero l’ODM, rivolsero tale irritazione e frustrazione contro le comunità percepite come elettrici del Presidente Kibaki. Le comunità colpite furono soprattutto quelle dei Kikuyu, dei Kisii e dei Luhya. Centinaia di persone furono uccise, migliaia gli sfollati e le proprietà distrutte, incendiate o saccheggiate.
Da una simile situazione di partenza, che fare? Propongo un approccio basato su quattro punti:
- In termini prioritari, se teniamo al futuro del Paese dobbiamo necessariamente puntare alla verità e alla riconciliazione, riconoscendo lo svolgimento delle recenti elezioni Presidenziali. Capisco la frustrazione ed il dolore nell’ODM e dei suoi sostenitori, i quali ritengono di essere stati privati ingiustamente della vittoria. Tuttavia, ci troviamo ad avere una frattura cosi importante nel Paese che la situazione può essere risolta solo attraverso la verità e la riconciliazione. Considerata la constatazione, da parte del Presidente della Commissione elettorale, di cinque membri della Commissione e di osservatori locali e internazionali, delle avvenute irregolarità nel processo di conteggio dei voti, dovremmo esplorare le seguenti possibilità: il ri-conteggio dei voti da parte di un’autorità indipendente attraverso i formulari 16A autenticati potrebbe essere un’opzione. Un’altra possibilità sarebbe la convocazione di nuove elezioni da tenersi tra un minimo di sei mesi sino ad un massimo di un anno. Si avrà una vera guarigione nel momento in cui la verità sarà accertata. Aspettarsi che i keniani accettino dei risultati palesemente scorretti sarebbe ingiusto e non democratico.
- Un passo altrettanto importante è rappresentato dal fatto che i due leaders si impegnino nel dialogo. Possono farlo in maniera diretta o altrimenti ricorrendo ad un mediatore. Mi rendo conto di quanto sia impegnativo per alcuni doversi contenere in questo frangente, ma la grandezza si misura in momenti come questo. Il futuro del Paese dipende da come i dirigenti dell’ODM definiranno la loro posizione e da come il governo reagirà a sua volta. Facciamo appello alla maturità politica, alla giustizia, al patriottismo e al rispetto per le leggi che abbiamo creato. Facciamo appello ad entrambi gli schieramenti affinché guidino questa Nazione verso la pace, la guarigione e la riconciliazione. Facciamo inoltre appello al rispetto e all’umiltà.
- Come soluzione alternativa, vi sarebbe la previsione di un accordo per la condivisione del potere. Tale soluzione ci riporterebbe sotto diversi punti di vista al Memorandum d’intesa, mai applicato, del 2002. Al fine di eliminare ogni timore da parte dell’ODM, tale accordo dovrebbe essere costituzionale e posto in essere dal Parlamento. Se questa dovesse essere considerata una soluzione percorribile, un simile accordo sarebbe sostenibile ed efficace, permettendo alla vita politica ed economica del Paese di ritornare alla normalità nel più breve tempo possibile.
- Fintanto che i leader politici agiscono, i cittadini si devono astenere da atti di violenza e di distruzione. E’ doloroso pensare che nel momento in cui i leaders si stanno battendo per il potere e la reciproca influenza, i wananchi si stiano scambiando espressioni di astio e frustrazione. Tutte le 42 comunità keniane sono chiamate dalla geografia e dalla storia a vivere in questo Paese in un rapporto di vicinato. Purtroppo uccidere, distruggere i beni privati e costringere i nostri fratelli e le nostre sorelle a sfollare dà origine ad una maledizione che verrebbe ereditata dai nostri figli e dai figli dei nostri figli per gli anni a venire. Spezziamo questa catena e portiamo la violenza e la distruzione ad una fine. Prendiamo posizione assieme, l’uno nei confronti dell’altro, senza considerare le etnie.
Pertanto, nella situazione odierna, a prescindere dalle rispettive convinzioni politiche, è fondamentale che tutti i keniani si impegnino per la giustizia e la legalità. L’ingiustizia nei confronti di uno è ingiustizia nei confronti di tutti. Se non siamo noi, individualmente e collettivamente, la coscienza del nostro Paese, allora chi? Dobbiamo parlare al potere con il linguaggio della verità.
In un momento come questo, desidero ricordare le parole del Pastore Martin Niemoeller, il quale – sfidando la Germania nazista ebbe ad osservare:
In Germania vennero prima per i comunisti, ma allora non parlai in quanto non comunista,
Vennero poi per gli ebrei, ma non parlai, perché non ero un ebreo,
Vennero per i sindacalisti, ma non parlai, perché non ero un sindacalista,
Vennero infine per ME, ma allora non era rimasto più nessuno che potesse protestare.
Wangari Maathai
Premio Nobel per la pace 2004
Traduzione a cura di Davide Zaru, Bruxelles.
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