Mar, 17 Dic 2013
Ma checcos’è il Natale?
Eppoi, esiste un Natale buddista?
O, mamma mia!, un Natale zen?
Quando ci fermiamo, anche poco, vedendo dentro di noi, ed è chiaro che tutto quel che pensiamo e percepiamo è qualche cosa che la mente costruisce, allora …
Simone Weil, raro esempio di profondità religiosa al femminile, temo non avesse mai visto ciò. Tuttavia, con intelligenza, aveva intuito. Scriveva infatti: “Ciò che è sacro, ben lungi dall’essere la persona, è ciò che, in un essere umano, è impersonale”.
Buon Natale da Bz
e da tutta la Stella
e da tutta la Stella
Grazie a Doc per la tavola natalizia
46 Commenti a “Bz: Natale anno zero, dietro le quinte.”
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25 Dicembre 2013 alle 10:12 am
“costruito con la mente”?? avercela!!
insomma , vedo che il Natale rende ottimisti anche in casa zen.
AUGURI A TUTTI!
25 Dicembre 2013 alle 10:59 am
Ottimisti… dici; visto quel che si costruisce…
Ciao, uomo.
26 Dicembre 2013 alle 2:07 pm
Ciao dhr, che piacere risentirti. E mym, permetti una domanda dettata dall’ambiguità, in questo caso, della lingua italiana: dicendo “uomo”, intendi “appartenente al genere umano” oppure “persona di genere maschile”, cioè frequente esempio di profondità religiosa? Natale non mi ha reso più buona, tuttavia voglio inviare il mio “bacio al mondo intero”, come ha scritto Schiller e Beethoven ha messo in musica. Fortunatamente sono entrambi maschietti e quindi non accusabili di ragionare con l’utero – come si dice, o almeno si diceva fino a pochi anni or sono…
26 Dicembre 2013 alle 5:01 pm
Indubbiamente, così detto, quel ‘raro esempio di profondità religiosa al femminile’ dà luogo a fraintendimenti..
penso si intendesse ‘esempi’ che hanno lasciato una traccia scritta..
ma anche così.. qualcosa attorno a cui riflettere rimane..tipo : anche nel buddismo la ‘profondità religiosa’ viene ritenuta tale, nel momento in cui la persona di cui si parla sa ben esprimersi in concetti, parole scritte o dette?
Non è che, chi sa fare questo è semplicemente ‘anche’ un buon scrittore o relatore…?
Cosa di non di conto, ovviamente, ma non garante, di per sè, di profondità religiosa penso.
La risposta potrebbe essere ovvia e banale ma si porta dietro un mucchio di cose….
26 Dicembre 2013 alle 5:28 pm
Poffarbacco, una miriade di esseri umani dal nome femminile bussa e interroga… Bene, è raro su questo blog. Anzi, penso sia la prima volta che due commenti di seguito siano firmati al femminile. Cominciamo col primo: fra gli uomini, intesi come maschi della specie umana, gli esempi di profondità religiosa sono rari. Molto rari. Dicendo “uomo” quindi, in ogni caso, non faccio distinzioni di quel tipo, sia che intenda “il maschio” sia che intenda “appartenente al genere umano”: rari nantes….
26 Dicembre 2013 alle 5:55 pm
@ 4: Ciao Marta, la risposta (o l’argomento) non è per nulla banale. Inanellare belle frasi non è molto difficile e, soprattutto, non è indice sufficiente di profondità religiosa. Anzi, a volte accade che proprio per apparire profondi, epperciò quando non lo si è, si costruiscano (o si citino) belle frasi ad effetto. Veniamo al caso specifico. La frase della Stein non è particolarmente bella: non l’ho scelta per quello. L’ho però tolta da un contesto (Sabina Moser, Il “credo” di Simone Weil, p. 34) dove la Moser spiega come la Stein parli della natura cristica. In particolare cita quella frase in relazione a due passi di Matteo dove si indica l’intimità segreta col Padre: 6,4 “perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.” e 6,18: “perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”. Ho trovato significativo (non esteticamente bello: si può far di meglio) quel suo commento a proposito: secondo me centra il bersaglio.
26 Dicembre 2013 alle 6:53 pm
Grazie a Yushin per la citazione e auguri a tutta la Stella.
Con un consiglio di recente lettura “natalizia”, per chi fosse interessato alle riflessioni di e su Simone Weil.
Di Marco Vannini ne la Repubblica del 24 dicembre 2013: “Natale mistico”, agevolmente scaricabile in rete.
P.s. “Mistica” è un termine abusato, Vannini lo sa, ma, per seguire il latino di Yushin, nomina nuda tenemus….
26 Dicembre 2013 alle 7:21 pm
Ciao Giorgio.
Grazie: letto ora. Ben centrato.
Riporto solo una frase: “Il senso vero del Natale non va dunque cercato all’esterno ma in se stessi, non in una costruzione teologica, ma nel vuoto, nel distacco”.
26 Dicembre 2013 alle 8:33 pm
Visto che evidentemente stiamo percorrendo lo stesso sentiero, a proposito del distacco, sembrerebbe che una traduzione aderente della locuzione, per vari motivi abusata, “rinnegare se stessi” (Mc 8,34) sia “prendere distanza dall’affermazione del proprio sé”.
Ma, se la lezione è corretta, per proseguire sul passo citato, se chi segue deve scomparire, chi resta a seguire?
E, d’altra parte, come farebbe a essere seguito chi ammonisce gli inseguitori che è bene per loro se se lui ne va (Gv 16,7)?
Forse che il seguire sia uno stare in un modo diverso?
Un sempre nuovo imitare?
O che il fuori sia un dentro?
O meglio, che in un mondo di causeffetti che non si perdono, come dice qualcuno di mia conoscenza, non ci sia un fuori dove rotolare, e quindi ci sia solo “questo qui” che è un andare e venire?
Auguriamoci quindi questo Natale ventoso!
26 Dicembre 2013 alle 8:48 pm
In latinorum (anche in Lc 9,23) suona abrenuntiare se ipsum, ma non conosco l’originale (greco? Aramaico? Mah. Studia! Mi dicevano, studia!…).
Il problema [verbale, per dire] “chi resta” quando io scompaio è parimenti dibattuto dai buddisti. Dogen per esempio ricorre al pronome interrogativo “chi?”, per dirlo. Il punto, al solito, per i buddisti, è farlo, più che dirlo.
Colui che è da seguire non è lo stesso che se ne va.
Ma “colui” stroppia a non finire.
“Fuori” e “dentro” sono modi di dire molto grezzi.
Ma… nomina nuda tenemus….
26 Dicembre 2013 alle 8:54 pm
In greco “aparnao”, salvo errori post cenone…
26 Dicembre 2013 alle 8:56 pm
Adesso sì che sappiamo tutto 😛
Scherzo: è solo invidia!
26 Dicembre 2013 alle 8:58 pm
E se no, dove sta il bello dell’inseguimento? 😉
26 Dicembre 2013 alle 9:46 pm
Scherzi a parte, leggo così da:
Aparneomai, forma medio riflessiva (il soggetto che riflette su di sè), che scompongo in:
Apo, con il significato di distanza da,
A, privativo-negativa, del verbo arneomai, negare, dalla radice v-er ( da cui il latino verbum), er (eiro, dico, affermo in greco).
Da qui leggo: non affermare distaccandosi (da se stessi, nel testo).
Grazie e ancora auguri.
26 Dicembre 2013 alle 10:12 pm
Grazie a te!
27 Dicembre 2013 alle 1:42 pm
All’unico scopo di contribuire alla dotta discussione, a me risulta che il testo di Luca (9,23), che scriveva in greco e che leggo nell’edizione di Merk e Barbaglio (EDB1990) dica αρνησασθω εαυτον (al netto di spiriti e accenti che mancano al programma di scrittura che utilizzo) ovvero in caratteri romani “arnesastho eautov”, dove il verbo “arvesastho” dovrebbe essere la terza persona dell’imperativo del verbo αρνεομαι (arneomai) [ho qualche dubbio sul modo, il mio greco è un ferrovecchio, attendo smentite o precisazioni]. Comunque il verbo è quello e significa negare, dire di no, rifiutare, respingere, rinnegare, si trova anche altrove nei Vangeli (es. Pietro quando “nega” di aver conosciuto Gesù: “egli negò di nuovo” Mt.26,72; Gesù stesso quando dice “chi mi rinnegherà davanti agli uomini anch’io lo rinnegherò davanti la padre mio” Mt.10,33). Dunque il significato pare letterale come da contesto: “Se uno vuole venire dietro a me, neghi sé stesso e prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. Qui “croce” ha una strana eco ante-litteram: in origine è “palo” (qualcosa che si erige, si innalza) usato anche come “palo della tortura” e poi “croce” come forma di supplizio. Pare semplice: resta un quesito: chi nega se stesso, nega il negatore? E allora chi la porta ‘sta croce? Ognun lo sa, ma chi lo dice?
27 Dicembre 2013 alle 1:54 pm
Qui l’ambiente si sta elevando: l’è rivà la cultùra!
Grazie.
27 Dicembre 2013 alle 7:36 pm
Povera me, a queste cose non resisto.Come è bello sentirvi parlare in greco… e vedere che l’altra femminuccia intervenuta finora si è già ritirata dalla conversazione!
27 Dicembre 2013 alle 7:47 pm
“Femminuccia” quando ero bambino in tempi remoti e impolitically incorrect, si diceva ai maschietti…
Va da sé (e poi la chiudo qui col greco millantato, prima di scivolare) che quando dico la terza persona dell’imperativo del verbo αρνεομαι (arneomai) intendo dire imperativo aoristo (grazie Bignami!)
27 Dicembre 2013 alle 9:26 pm
Ciao Cristina, non ho capito il senso del tuo intervento ( se era riferito a me )…
Sicuramente il greco non è il mio forte, neanche il latino ( penso che il massimo voto che ho preso sia stato un 5 e pure copiato )e neanche la letteratura in genere…
Non sono quindi a mio agio in queste conversazioni e spesso neanche in altre…
Ascolto però volentieri soprattutto quando le argomentazioni contestualizzano, in modo diverso da quello che si trova nei libri, aspetti della pratica che mi interessano…
28 Dicembre 2013 alle 11:10 am
Cara Marta, ti ringrazio per aver fatto, elegantemente, quello che avrei compiuto in modo certamente più scomposto: anche a me il nozionismo erudito fine a sé stesso sta poco simpatico. Spero sempre che, gli eruditi, arrivino al dunque e mi dicano, al netto dell’esibizione, come comprender meglio il linguaggio di cui dottamente eccepiscono…
28 Dicembre 2013 alle 12:07 pm
Giusto, jf 19. C’era però anche la contrapposizione: maschietti da una parte, femminuccie dall’altra. La terminazione
-uccio/a non è di per sè spregiativa: pensa ai cantucci… magari col Vin Santo!
Marta 20: era riferito a te solo nella misura in cui mi sembri capace di una conversazione ad alto livello quale quella tenuta abitualmente su queste pagine, non in merito al latino o al greco, ma all’argomento specifico delle pagine stesse. Fatti sentire!
28 Dicembre 2013 alle 3:36 pm
L’erudizione è la forma deteriore del sapere, ammoniva un mio insegnante di quei tempi. Qui però c’entra poco, mi pare, anche perché come erudito so di far ridere. L’intenzione era quella di partecipare qualche informazione sul significato letterale di quella espressione greca, visto che era stato richiesto. Può darsi che mi sia allargato, era per gioco ma evidentemente non ha divertito, se tacciato di esibizione e di poco simpatico nozionismo erudito fine a se stesso: mi pare un po’ eccessivo, ma un gioco che non diverte tutti coloro con cui si gioca non è bello e me ne scuso.
Credo che l’espressione evangelica “negare se stesso” sia foriera di complicazioni superflue: negare è speculare ad affermare, e quel se stesso resta d’ingombro. Direi che il buddismo non propone di affermare e/o negare un sé stesso, ma di vederne la natura, cosa fra le cose, tramite la pratica. Quel negare a parer mio ridonda.
28 Dicembre 2013 alle 3:52 pm
Non vorrei deludere nessuno, tanto meno un’appartenente al mio ‘genere'(!) ma devo ammettere che le conversazioni ad alto livello mi fanno girare la testa con conseguente ‘nebbia’ ( abito in Val Padana quindi mi è proprio connaturata!
ma.. per stare in compagnia questo ed altro!
Non so a quale argomento tu ( Cristina ) faccia riferimento. Se è la contrapposizione maschi -femmine ( in ambito religioso e non ) non sono molto ferrata, anche se .. ci sarebbe qualcosa da dire…
In questo periodo sta accadendo che, almeno dalle nostre parti, si stanno avvicinando allo zen ( nella pratica dello zz) più donne che uomini. Alcune provengono dal mondo dello yoga e altre, soprattutto ragazze, vengono per il ‘silenzio’.
L’ atteggiamento di quest’ultime ( parlo di quelle. poche, ovviamente, che conosco personalmente perchè frequentano lo stesso dojo dove vado anch’io)è decisamente in controtendenza con quello che viene veicolato dai mass media senza però sfociare nella ‘mascolinità’.
Questa cosa( cioè la loro
frequenza) mi ha stupito inizialmente, ma poi mi ha fatto fare alcune riflessioni più o meno condivisibili..
Il messaggio del Buddha, si dice, è rivolto a tutti, ma forse, sotto sotto, si tende a pensare che, magari, qualcuno è più adatto di altri…
Alcuni ‘miscugli’ di uomini, donne, di varie età e professioni, che si trovano unicamente per la pratica, mi sembra rendano bene l’ idea di che cosa possa essere l’ universalità del messaggio buddista e di come l’ individualità ( con tutte le caratteristiche che le sono proprie ) cessi di essere fonte di separazione.. chissà..
forse è anche un ‘modo’ che costringe a ridurre all’ essenziale ( chissà poi quale sarà?!) l’ insegnamento o anche no.
L’ argomento su cui volevo riallacciarmi non era questo, ma ormai ho superato il limite di parole consentite ( faccetta ) ..
28 Dicembre 2013 alle 4:09 pm
jf 23 che strano come girano le parole,..
ad un certo punto seguono traiettorie tutte loro ..
per quel che mi riguarda, nulla di più lontano da me di tacciarti ‘di esibizione e di poco simpatico nozionismo erudito’,…
di tacciar nessuno, peraltro..
mi spiace se ho dato quest’ impressione..
28 Dicembre 2013 alle 4:34 pm
Cara Marta, non ho mai pensato che tu fossi una tacciatrice, e non mi hai dato per niente quell’impressione.
E’ interessante quello che scrivi delle donne e ragazze che si recano al dojo per la pratica, per il silenzio. In quasi tutti i dojo, centri, monasteri che in passato ho visitato mi pare che la componente femminile sia maggioritaria: non di rado, però, mi è parso si tratti di donne che vorrebbero essere uomini. Se nella tua esperienza ci sono invece persone di sesso femminile che aspirano solo a praticare in silenzio insieme a persone diverse, mi pare un segno incoraggiante. Certo l’insegnamento di Buddha è rivolto a tutti, il che non ha impedito che il buddismo, come religione storica asiatica, non faccia eccezione rispetto alle altre religioni quanto a maschilismo, per semplificare. Questo è particolarmente vero nello Zen giapponese, da noi importato spesso senza discernimento.
28 Dicembre 2013 alle 6:00 pm
La citazione della Weil, con la provocatoria frase “raro esempio…” vuol essere -anche- un invito alla presenza dell’altra metà del cielo.
Contemporaneamente, tramite la Weil, volevo mostrare un caso particolare di ciò che la mente costruisce, ovvero la percezione e l’idea della differenza tra maschio e femmina, riportata poi a “uno” da quel “impersonale”.
SVP: non mi dite che maschio e femmina SONO differenti. Cerchiamo di capirci sul perché non lo sono.
Forse ha a che vedere con il miscuglio di uomini e donne del silenzio, di cui Marta @ 24.
28 Dicembre 2013 alle 10:16 pm
Non so perché, ma ragionare per categorie mi sembra fuorviante..
date per conosciute le ragioni per cui i rappresentanti del genere maschile hanno imposto la loro presenza nei vari ambiti, mi sembra che l’ essere maschio e femmina, per quanto riguarda la pratica, possa rientrare in quell’ insieme di ‘ruoli’ intesi come modalità di esistere, che vanno lasciati cadere nel loro essere definiti, pensati, catalogati…
Una volta che son caduti, forse emerge ( per un po’..) quell’ ‘elemento’ ( non mi viene un altro termine ) unificante che è la vita senza attributi ..
E poi ci saranno mille altri motivi che dicono la non- differenza…
29 Dicembre 2013 alle 11:20 am
Sono d’accordo, Marta. Penso che sia un punto di vista molto saggio.
Mi rammenta la visuale paolina in Gal 3,28 «Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù».
Invece, porrei tra “le conosciute ragioni” altri passi di Paolo, per esempio le esortazioni alla sottomissione e al tacere della donne (le trovate qui, nella loro incredibile indifferenza): Paolo era figlio del suo tempo.
29 Dicembre 2013 alle 11:38 am
Ancora due parole (parole parole parole…) sulla mia uscita @21, dalla quale, mi pare, Jf si sia sentito esageratamente bistrattato: nel caso mi scuso, se così si sente posso aver sbagliato.
E seguendo il trent dell’antipatico, lo fo usando una frase di Jf. Laddove dice “… ma di vederne la natura, cosa fra le cose, tramite la pratica.” @23. Se “l’elemento”, per citare Marta @28, è “cosa” (virgolettato) mi rimanda a un’esperienza in cui “quella” cosa è unica, senza né uguali né somiglianti. Se invece è “cosa tra le cose”, è un’altra storia, si parla d’altro e mi piacerebbe saper di “cosa”.
Non ritengo, sempre, come dice Paolo (2 Cor 3, 6) che “la lettera uccide” ma che occorra usarla come mezzo, non come fine. Altrimenti c’è il caso che abbia ragione lui, l’Apostolo.
29 Dicembre 2013 alle 1:20 pm
Nella mia frase @23 “il buddismo non propone di affermare e/o negare un sé stesso, ma di vederne la natura, cosa fra le cose, tramite la pratica”, cosa fra le cose si riferiva a un se stesso, intendendo che quel se stesso da negare, secondo il Vangelo citato, non è che una cosa (senza virgolette) fra le altre, inconsistente e di passaggio, che si riconosce nel differenziarsi, non nell’eguaglianza unificante cui accenna, con apprezzabile sobrietà, Marta. Il mio argomento era che l’invito a negare quel se stesso rischia di essere un modo per dargli una fisionomia speciale che non merita.
29 Dicembre 2013 alle 4:14 pm
In questo caso penso che sarebbe stato più chiaro se “cosa tra le cose” fosse stato dopo “sé stesso”, perché dalla posizione pare che quel “cosa tra le cose” si riferisca alla natura (del sé stesso).
29 Dicembre 2013 alle 4:47 pm
Capisco, effettivamente ci ho pensato un po’ su, ho cambiato posizione delle parole un paio di volte poi ho scelto per l’opzione che ho scritto. Almeno è diventata un’occasione di chiarimento.
31 Dicembre 2013 alle 2:46 pm
Un’ultima considerazione: rileggendo gli interventi e ripensando ad altre occasioni di vita mi sembra che (almeno per quanto mi riguarda) la nostra presunta, parziale, libertà raggiunta sia molto fragile..
Chi per un motivo chi per un altro, facilmente (più o meno sempre?) ‘reagiamo’ a ciò che incontriamo seguendo schemi che, in qualche modo e da qualche parte, abbiamo interiorizzato e di cui spesso siamo inconsapevoli contenitori..
A volte ce ne accorgiamo e rimaniamo lì a guardarci dentro, un po’ stupiti di questa cecità..
A quel punto, un po’ mi rendo conto che sovente invece di ‘ascoltare’, tendo a rivestire quello che accade con i miei bisogni, i miei pregiudizi e quant’altro
e un po’, ci rimango male..
chissà se mi sono spiegata..
un buon anno a tutti..
31 Dicembre 2013 alle 5:52 pm
Direi che ti sei spiegata.
Tra l’altro il Bz di fine-inizio anno è una … mattonata proprio su questo, visto dal lato buio.
Se ho capito, descrivi lo zazen “lontano dal cuscino”.
In questo caso penso che sia il meglio che un uomo (ooops!) possa fare. Il tornare continuamente a bomba smascherando ogni personaggio rinforza e perpetua la “fragile” libertà.
Il “rimanerci male” puoi evitarlo (o smascherarlo), se vuoi, è un personaggio anch’esso, di solito figlio del mea culpa mea culpa, un bagaglio un po’ pesante.
1 Gennaio 2014 alle 6:03 pm
Grazie…
1 Gennaio 2014 alle 6:12 pm
… E per poco o per tanto siamo (spesso) tutti lì far vivere un personaggio, figlio di uno stereotipo o di un cliché. Sino a che non vediamo che è il gioco; all’interno del quale siamo cascati come burattini, che si muovono sull’aria dei “signora mia”, “dormiamoci su”, “buon anno” ecc.
1 Gennaio 2014 alle 6:34 pm
Già, è il gioco ..
e magari non lo vediamo finchè non arriva ‘bhairava’ ( sono andata a vedermi cosa o chi era) che, patapum, ti rompe tutti gli steccati ( almeno per un po’ )..
chissà se ognuno ha un ‘bhairava personale’…
1 Gennaio 2014 alle 6:46 pm
Certo! Gli indiani sono furbetti: Vijnanabhairava, ovvero “la conoscenza/coscienza del tremendo” è uno splendido testo, una guida tantrica e saiva (cioè inerente a Siva) verso “l’inondazione divina”. Tremendo è scoprire il senso personale di impermanenza.
Il bhairava personale è quello che qualcuno ha chiamato “l’elemento”, quando non fa più paura, grazie a lunga frequentazione.
1 Gennaio 2014 alle 7:17 pm
Mi fido dello ‘splendido’ e provo a leggermi qualcosa…
1 Gennaio 2014 alle 7:20 pm
Be’ sì, uno splendido testo, ma non ho detto “facile”.
1 Gennaio 2014 alle 7:23 pm
Ahi ahi, cosa significa, non è facile per una ‘del genere femminile?’
Scherzo naturalmente.. Grazie per l’ indicazione
1 Gennaio 2014 alle 7:30 pm
Volendo, per far contente le femminucce (absit iniuria…) si può ricordare che il Bhairava è completo al momento dell’unione con la Shakti (simbolizzata da Kali), il lato femminile o “potenza”.
Maaa, chettelodicoaffà… 🙂
1 Gennaio 2014 alle 7:41 pm
Perchè le femminucce dovrebbero essere contente di ciò? Magari preferiscono mantenersi la ‘potenza’ per sè medesime!
Però ..chissà se è possibile la scelta..
1 Gennaio 2014 alle 7:45 pm
La potenza è tale solo con l’unione.
Almeno nella dottrina tantrica.
Nello zen… ognun per sé e lo zz per tutti.
1 Gennaio 2014 alle 7:54 pm
E va bene così.. ( almeno per me )