Lun, 3 Dic 2007
La notizia è confermata anche da fonte vaticana: Benedetto XVI non incontrerà Tenzin Gyatso, noto come XIV Dalai Lama.
Ovvero colui che, “per diritto ereditario” e vita natural durante, sarebbe il capo politico monocratico di quel vastissimo altipiano che la Cina, dal 1965, considera una sua provincia, chiamata Xizang, mentre molti continuano a considerarlo e chiamarlo Tibet, un nome occidentale nato dall’errata pronuncia di Tō-bod, o Tō-pōt, “alto Bod”, dove Bod è il nome locale dell’intera regione. Tenzin Gyatso è monaco eminente della scuola di buddismo vajrayāna chiamata Gelug, in Occidente spesso erroneamente creduto essere “papa dei buddisti”. I quali in 2500 anni non hanno mai avuto papi né, ad oggi, ne hanno sentito bisogno.
Jisō Forzani ci offre un commento su questo mancato incontro
Dialogo e scarafoni
“Ogni scarafone è bello a mamma sua”
dice un proverbio dialettale italianizzato.
Il senso immediato è che, per la sua mamma, ogni figlio è bello, per brutto che sia: scarafone infatti è lo scarafaggio, per antonomasia un po’ repellente, ma gradevole e gradito al cuore e all’occhio di mamma. In senso lato l’aforisma ci informa che ogni mamma stravede per ogni suo figlio e antepone il suo affetto a qualsivoglia giudizio critico, per lampante che appaia. Il proverbio mi è venuto in mente leggendo nel giornale la notizia che il papa non riceverà il dalai lama durante la prossima visita in Italia di quest’ultimo, nonostante l’incontro fosse, a quanto si dice, praticamente deciso e concordato. A far cambiare idea al pontefice cattolico romano, sconsigliandolo dal ricevere nel suo palazzo il leader buddista tibetano in esilio, è stata certamente la preoccupazione di nuocere ai cattolici cinesi in Cina: le autorità politiche cinesi si innervosiscono tutte le volte che un capo di stato riceve il dalai lama e minacciano ritorsioni: in questo caso non si tratterebbe di ritorsioni economiche, non avendo lo stato del Vaticano rapporti di tal genere con la Cina, ma di possibili vessazioni contro i cattolici cinesi, la cui situazione è assai delicata: uno sgarbo da parte del papa potrebbe dar adito a persecuzioni vere e proprie. Comprendo e giustifico il comportamento del papa: la salvaguardia dei propri figli (quale che sia il titolo di paternità) viene prima della buona educazione. Mi interessano alcune considerazioni che fanno da corollario a questa piccola vicenda. Prima di tutto, così si smaschera l’ipocrisia del cosiddetto dialogo interreligioso. Se l’incontro fra il papa e il dalai lama fosse veramente una questione religiosa, non si porrebbe il problema di soppesare i pro e i contro: una cosa è religiosa anche perché non soggetta al mondo del calcolo. Se s’ha da fare, si fa e basta. Se invece un calcolo (anche a fin di bene) sconsiglia di fare una determinata cosa, allora siamo nel mondo del calcolo, nel quale è evidente che occuparsi dei propri fedeli è più importante che ricevere un collega di un’altra parrocchia. Il previsto incontro non era dunque a livello religioso: era diplomazia formale. Ben venga dunque la decisione vaticana che aiuta a fare chiarezza sulla favola del dialogo interreligioso istituzionalizzato. Il dialogo di carattere religioso non può avvenire a livello istituzionale. L’istituzione sarà disposta a dialogare fino al punto in cui non sono messi in gioco i propri interessi: un’istituzione disposta a derogare dai propri interessi non persegue i propri fini, fra i quali è primario quello di proteggere i suoi membri: è dunque una cattiva istituzione quella che per amore del dialogo rischia di compromettere i propri aderenti. Ma un dialogo in cui non si mettano in gioco i propri interessi, non è, in senso religioso, un vero dialogo: che, per essere religioso, deve essere totale, aperto a qualunque esito, non sottoposto alla legge del calcolo. Un dialogo siffatto è possibile, se e quando lo è, solo a livello interpersonale, fra persona e persona: mentre il dialogo istituzionalizzato tende a portare sotto il proprio controllo il dialogo interpersonale e quindi lo menoma e lo blocca. La saggia decisione vaticana è un buon esempio di come il dialogo interreligioso istituzionale impedisca di fatto il dialogo religioso personale. Infine cade qui anche la pretesa di intendere il termine cattolico secondo etimologia, cioè come sinonimo di universale, un giochino di parole che spesso si sente fare: cattolico vuol dire universale, e quindi universale significa cattolico. Ma qui il papa cattolico mostra di aver a cuore i cinesi cattolici più dei tibetani buddisti: preferisce non rischiare di danneggiare i suoi piuttosto che dare un aiuto morale agli altri: questo non sembra un atteggiamento universale ma di parte – i suoi scarafoni son più belli di quelli del dalai lama, per dirla secondo il nostro proverbio. Cattolico dunque è un aggettivo determinativo, la cui universalità è inscritta nella determinazione di appartenenza. Anche di questo implicito chiarimento sono grato a papa Benedetto e al suo staff.
Giuseppe Jisō Forzani
4 Commenti a “Nessuno può servire a due padroni…”
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3 Dicembre 2007 alle 2:54 pm
Molto chiaro ed esplicativo il ragionamento di Jiso. Quello che non si evince chiaramente è, però, come il difetto stia (anche o soprattutto) nel manico: infatti la veste con cui il Dalai Lama si propone e presenta ad un incontro di questo genere è comunque sempre duplice, e cioè quella di guida spirituale di una comunità ormai transnazionale e contemporaneamente quella di capo politico di una regione o nazione che dir si voglia. Quando è l’uno e quando è l’altro?
Come si può essere credibili sul piano del dialogo religioso, nell’accezione di Jiso, se contestualmente si incarnano le istanze politiche di centinaia di migliaia di persone? Se tu operi a difesa degli interessi del tuo popolo, anche io opero allo stesso modo per il mio: mi pare ovvio.
Quando Cesare e Dio parlano per bocca di una sola persona, dovrebbe essere specificato ad ogni frase se si tratta di una o dell’altra opzione. Oppure, parlando con Bush bisognerebbe indossare’giacca e cravatta’ e parlando col Papa l’’abito talare’; ma sarebbe una ridicola messa in scena. Una teocrazia è per definizione e sua propria natura inscindibile, i suoi rappresentanti ne incarnano l’unità e l’ambiguità ad un tempo. E quando poi la teocrazia non è più espressione di una dottrina di pace – come nel caso del buddismo – ma di ‘guerra’ (comunque la si intenda) allora le cose si fanno tragiche….
L’idea stessa di potere politico-religioso (teocrazia) è oggi anacronistica prima che pericolosa.
La battaglia per la laicità non è solo un velleitario tentativo di affrancarsi da superstizioni ‘religiose’ o di liberarsi da imbarazzanti quesiti etici: proprio per quello che Jiso dice e che il voltafaccia Vaticano dimostra, appare sempre più come un indispensabile cammino da percorrere per potersi incontrare con trasparenza, con franchezza, senza ambiguità e finzioni.
doc
3 Dicembre 2007 alle 4:56 pm
Un appunto tecnico: il tipo di potere incarnato dal dalai lama non si chiama teocrazia (forma di governo in cui il potere civile e politico è esercitato da un’autorità, una persona, una casta o un’istituzione che si ritiene essere stata investita da Dio) ma è più simile alla ierocrazia -o gerocrazia- (ordinamento politico fondato sul potere della classe sacerdotale). Più prossimo al potere teocratico è quello papale: i cardinali che lo eleggono sono ispirati dallo Spirito Santo ed il suo ruolo (in questo caso religioso) è “vicario di Cristo”.
Anche secondo me l’ambiguità è duplice: sono ambedue monarchi (il papa lo è, oggi, più in piccolo ma in modo più reale), sono ambedue appartenenti al clero. Se al dalai lama, ed al suo entourage, spiace per il mancato incontro è certo a causa di un calcolo politico. Un tipo di calcolo simile a quello che muove l’altra parte.
Concordo sul fatto che il dialogo abbia poco o nulla a che vedere con le istituzioni: sono ambiti formali adatti a simboleggiare atti (per questo incontro sì/incontro no ha importanza) e non a compierli. La titolarità dell’azione religiosa è altrove, nel normale aprir la porta a chi suona, senza chiedere certificati di battesimo.
mym
11 Dicembre 2007 alle 11:24 pm
Già, gli scarafoni… Personalmente sono molto scettico nei confronti di quel dialogo interreligioso che si realizza a livello di istituzioni, come anche sull’efficacia ed i risultati che esso possa raggiungere; mi sembra ormai una attività formale, una “moda” avviata verso il tramonto, con i relativi esperti in materia destinati a doversi reinventare.
Quando un’esperienza di fede finisce con l’ istituzionalizzarsi, perde una grossa fetta della propria autenticità, diventa meno libera, si incontra e si imparenta con il potere temporale (politico, economico, ecc), il quale impone di essere difeso ed accresciuto. Ecco allora la necessità del calcolo, del muoversi secondo quanto più opportuno e l’uomo è sufficientemente intelligente per inventarsi tutte le motivazioni e le scuse del caso, a prescindere anche dai ruoli e formalismi religiosi dietro i quali si nasconde. E poi, esperienza quotidiana di ognuno, non è neanche facile entrare in relazione con chi ritiene di essere inevitabilmente nel giusto e pensa all’altro come uno che si trova nell’errore, per dirla in termini occidentali. Ben venga allora il dialogo vissuto a livello informale, tra persone che non abbiano molto da difendere e forse, proprio per questo, più capaci di ascoltare…
12 Dicembre 2007 alle 10:27 am
Grazie per il commento Max. Nel caso specifico (incontro tra capi di stato detentori di alte cariche clericali) non penso che il dialogo -che comunque non c’è stato- avrebbe avuto profondo senso religioso. Sarebbe stato prima di tutto un atto di sensibilità nei confronti della situazione civile, politica dei tibetani. E avrebbe avuto anche ricadute inerenti al dialogo religioso: il fatto che il “capo” dei cattolici incontri il presunto (e in qualche misura “sedicente” visto che il titolo di “sua santità” compare accanto al nome del dalai lama anche nel suo sito ufficiale) “capo” dei buddisti sarebbe almeno un segnale di accettazione della religione buddista a livello paritetico: se i due “capi” si incontrano e si omaggiano quantomeno si riconoscono…
Più interessante il discorso del dialogo religioso di base. Al di là del superamento delle intolleranze e delle discriminazioni (ottimo motivo per dialogare), ha anche un senso religioso? Quale?
Un saluto
mym