Lun, 17 Dic 2012
Continuano in Tibet le autoimmolazioni. Persone -per lo più monaci e monache, ma non solo- che si danno fuoco per manifestare in modo estremo, ultimativo, tremendo, la loro protesta per il modo in cui le autorità centrali cinesi amministrano la loro terra, la loro vita. Ieri Enzo Bianchi, priore del
monastero di Bose, ha pubblicato su La Stampa di Torino un articolo che affronta il tema in modo diretto, colto e -imho- ben equilibrato. Subito, il giorno dopo, sono entrati in campo i panzer vaticani, il cardinal Martino e lo scrittore Messori. Che però tromboneggiano puntualizzando e ripetendo ciò che Enzo scrive, quasi a metterlo in guardia a non discostarsi dalla semplice constatazione che non si può far di ogni erba un fascio, senza mostrar di capire che cosa intendeva dire.
Riflettere, coinvolti, attenti, sulla rinuncia estrema non è “cosa” da cardinali.
76 Commenti a “Una questione seria”
Se volete, lasciate un commento.
Devi essere autenticato per inviare un commento.
18 Dicembre 2012 alle 1:29 pm
Ringrazio Mym per aver proposto il tema. Quanto scrive Enzo Bianchi e soprattutto la risposta Vaticana mi suscita alcune riflessioni.
1) Tenendo presente la situazione del Tibet, è probabile che una dimostrazione di dissenso non violenta e pacifica (come quelle condotte dai monaci birmani in occasione della rivolta popolare di qualche anno fa) avrebbe innecato una risposta repressiva brutale ed indiscriminata da parte delle autorità cinesi. Quindi il gesto dei monaci tibetani potrebbe essere visto come una forma estrema di resistenza passiva, volta a ridurre al minimo i danni.
2) la considerazione di Messori riguardo all’arretratezza del Tibet prima dell’invasione maoista mi sembra fuori luogo. L’invasione cinese resta comunque una prevaricazione che lede il diritto dei Tibetani ad autodeterminarsi ed i metodi repressivi impiegati non possono essere in alcun modo giustificati (in nome di che, del progresso delle condizioni materiali e sociali?). Trovo curioso che uno scrittore che si definisce cristiano utilizzi questo tipo di argomento. Potrei capire un marxista-leninista…
3) se vale il principio che “se uno se la va a cercare non è un martire”, allora perchè Santo Stefano è considerato tale? Il discorso riportato negli Atti è di una tale aggressività che la conseguenza pare inevitabile…
18 Dicembre 2012 alle 1:34 pm
Eppoi il gesto di Apollonia che si getta nella fornace “anticipando” i suoi torturatori a me sembra semmai una prova ulteriore si santità, perchè evita che si commetta un omicidio.
18 Dicembre 2012 alle 1:52 pm
Ciao aa, grazie.
Penso che il cardinale e lo scrittore abbiano inutilmente rimestato l’acqua nel paiolo, non val la pena aiutarli in quell’impresa.
Mi dedicherei più appassionatamente ad altri aspetti: che ci azzeccano con il buddismo le autoimmolazioni? Il Sutra del Loto, citato da Enzo Bianchi, quando ne parla (p.349 e poi 352 e 354 della versione Meazza, BUR) che cosa intende dire? Che rapporto c’è tra questi discorsi e il codice dei samurai? E con i kamikaze? E con la pratica dell’automummificazione (in vita!) come la mettiamo?
Quello che ne pensano i cardinali, con tutto il rispetto, non è in cima alla lista dei miei interessi.
18 Dicembre 2012 alle 3:30 pm
La mia impressione, di persona non esperta ne di buddismo ne di storia giapponese, è che il buddismo ed il codice dei samurai, i kamimaze ecc. non c’azzecchino per niente, ma che si sia creata una fusione-sovrapposizione tra i due elementi dovuta a fattori storici contingenti. Siccome il buddismo, e in particolare lo Zen, in giappone si diffuse soprattutto tra i bushi, che già avevano una cultura di un certo tipo (culto dell’onore, ricerca della morte in battaglia, obbedienza assoluta ecc) si venne a creare una commistione tra buddismo e militarismo che in Cina non esisteva. Su come intendere le “immolazioni” del Loto al momento non saprei, ma tenendo presente il carattere immaginifico ed “allegorico” dell’opera, tenderei a pensare che le interpretazioni letterali siano francamente delle forzature.
Forse vado un pò off topic, ma vorrei ribadire un concetto che ho già espresso in altre occasioni: per il cristianesimo il valore del martirio non stà nella sofferenza, nella morte, nel sangue versato ecc. ma nell’aver reso testimonianza della fede per quanto alto fosse il prezzo da pagare (anche l’articolo di p. Bianchi lo evidenzia). L’estetica della sofferenza e del dolore fini a se stesse derivano da interpretazioni erronee della croce.
18 Dicembre 2012 alle 4:16 pm
“Libertà va cercando ch’è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta”. Più che una ricerca, nel gesto estremo di cui qui parliamo mi pare ci sia una testimonianza di libertà. Un “I would prefer not to” (Preferirei di no) spinto alle estreme conseguenze. Del resto anche il Bartleby di Melville si lascia morire, ma questo non è un bel racconto simbolico, sono gesti reali di valore simbolico. Ci azzecca col buddismo? Non so. Una parabola buddista parla del Buddha che in forma di tigre si dà in pasto ai suoi piccoli, per sfamarli. Forse qui c’è il nutrire con il sacrificio del proprio corpo il bisogno di libertà dei propri fratelli e sorelle. Il fenomeno kamikaze è tutt’altra cosa, non fosse che per il fatto che procura morte e dolore ad altri, tramite la propria morte.
18 Dicembre 2012 alle 5:08 pm
Una questione seria | La Stella del Mattino…
Continuano in Tibet le autoimmolazioni. Persone -per lo più monaci e monache, ma non solo- che si danno fuoco per manifestare in modo estremo, ultimativo, tremendo, la loro protesta per il modo in cui le autorità centrali cinesi amministrano la loro te…
18 Dicembre 2012 alle 6:21 pm
Sì, penso che la storia della tigre sia attinente. E, purtroppo, anche i kamikaze penso che lo siano (un po’ meno il codice dei samurai): il Sutra del Loto in Giappone è “passato attraverso” Nichiren e la sua visuale aggressiva della religione.
Come ha detto Benigni ieri sera, è la chiesa (in senso lato) a dover essere nella mani di Dio e non viceversa.
A proposito: se in Cina vi fosse la possibilità che qualcuno, di fronte ad un quinto dell’intera popolazione facesse un discorso come questo, da quelle parti non ci sarebbe “bisogno” di persone che si danno fuoco.
18 Dicembre 2012 alle 6:58 pm
Comunque una parola di simpatia verso l’iniziativa di Enzo Bianchi la dico volentieri. Leggo il suo intervento come il senso di responsabilità di una persona famosa verso la propria fama: invece dei soliti discorsi per far vedere quanto uno è bravo, si è infilato di sua spontanea volontà, in un ginepraio per testimoniare (come piace tanto fare ai cristiani) una vicinanza umana. I cani da guardia hanno subito cominciato a latrare, senza sentire il bisogno di dire una parola di solidarietà verso l’altrui dolore. Un esempio lampante di come la religione possa essere balsamo e veleno.
La questione di cui stiamo parlando mi pare politica, proprio nel senso in cui ieri Benigni ha usato il termine. E in questo caso politico è anche religioso.
18 Dicembre 2012 alle 7:51 pm
Certo, la vicinanza umana. Si è sentito toccato, come uomo “la coscienza ci impedisce di lasciar tacere” e come monaco: “vale allora la pena lasciarci interrogare da questo monaci disposti a consumare la propria vita tra le fiamme”. Una doppia identificazione. Ed ha scelto di uscire allo scoperto, ben sapendo che ci sarebbe stato qualcuno che avrebbe provato ad impallinarlo.
18 Dicembre 2012 alle 9:06 pm
@ 7: in rete ci sono diversi siti anche in italiano che si richiamano a Nichiren; assomigliano molto a quelli di CL e di certi gruppi pentecostali. Ci sono degli aspetti delle persone che vengono molto prima della religione.
@ 8: Se la politica fosse quello che dovrebbe essere, ossia se fosse intesa come servizio della collettività, sarebbe una delle massime espressioni della religiosità. E direi che la denuncia e l’opposizione al totalitarismo politico si possono considerare alte espressioni di religiosità – Bonhoeffer (giusto per restare in zona di martiri) è stato un grande esempio, secondo me una delle più grandi fonti di inspirazione religiosa del secolo scorso.
19 Dicembre 2012 alle 5:04 am
“Je préfère détruire que m’habituer à la laideur”
I giovani si uccidono per romanticismo, non per stanchezza della vita. Il suicidio rituale è come l’accendersi di una candela fioca nella stanza buia della Storia: lascia intravedere qualcosa che di tanto in tanto si capisce di più. (Alle volte non è altro che il modo narrativo che un giovane ha per capire la vita e guardare oltre se stesso). La cornice teatrale-massmediologica ci mette di fronte a tutto quello che non vorremmo vedere. E lo fa nel suo modo consueto: ripercorrendo i corridoi duri della perdita, della paura, della morte, dell’amore, della crudeltà, dell’incapacità di leggere fino in fondo i sentimenti delle persone.
La candela appena spenta mi è rimasta sulla retina per un attimo ancora: come un’immagine che sfuma. In quella immagine c’è tutta la disperazione che il mondo non sia altro che linguaggio e gesti simbolici. Si resta in silenzio. E rimanere muti, senza un linguaggio per raccontarsi, è il nostro incubo. Ma anche un sogno meraviglioso. Finisco per capire che anche le nostre anime abitano in stanze buie della Storia, e che la morte è il linguaggio con cui l’odium parla a se stesso invadendo il mondo come pianta infestante.
19 Dicembre 2012 alle 5:56 am
“Per il cardinale Martino, già presidente del Pontificio consiglio per la giustizia e la pace, rappresentante della Santa Sede all’Onu, è inconcepibile il suicidio”. Non avrei niente da dire a questo signore. È un facitore di menzogne condannato a vivere di patetiche macchinazioni. Dover sostenere per mestiere la coerenza dell’azione politica della Santa Sede con il Vangelo di Cristo è la premessa maggiore di una esistenza miserrima e parassitaria: totalmente corrotta dal Male.
Da quando il Santo Padre ha ricevuto e benedetto in Vaticano la signora Rebecca Kadaga, portavoce del Parlamento ugandese e promotrice della riforma della legge attuale contro i “comportamenti sessuali devianti” – una legge barbara che vuole introdurre il concetto di malattia mentale per l’omosessualità e la pena di morte o l’ergastolo per i gay recidivi – mi è presa una gran voglia di concepire il suicidio, specie quello dei cardinali. I Papi sono di un’altra pasta. Il discorso di Benedetto XVI al Parlamento Italiano sul problema delle carceri è stato toccante. Un capolavoro di Realpolitik: “Che è ‘sto sovraffollamenten nelle carceri italianen?! Che diamine! Mettetevi una mano sul cuore. Bisogna popolare le carceri ugandesi di froci per evangelizzare l’Africa.” – jawohl, obviously, e …sempre sia lodato.
Ecco, piuttosto che aderire ad una simile organizzazione criminale, preferisco darmi fuoco. Oppure l’empietismo.
PS: la Buona Coscienza dei cristiani mi fa orrore: è un suono nitido di trasparente falsità. “Il nostro incubo…e allo stesso tempo un sogno meraviglioso”. [cosi togliamo di mezzo ‘ma’ e gli ‘anche’]
19 Dicembre 2012 alle 12:30 pm
Ma perchè la scelta dovrebbe essere tra aderire alle posizioni Vaticane o “l’empietismo”? Sono l’omofobia e la discriminazione sessuale ad essere immorali, saresti empio se le condividessi.
La buona coscienza dei cristiani dovrebbe essere la coscienza individuale, responsabile, informata, coerente, aderente ai principi evangelici. Come disse giustamente Lutero, ogni uomo è sacerdote.
Io penso che un grosso problema del nostro paese sia la mancanza di una cultura- non solo religiosa – di matrice riformata. Oh ma stò uscendo dall’argomento…
19 Dicembre 2012 alle 4:28 pm
Presumo che da un punto di vista buddista si possa vedere l’autoimmolazione ‘come una testimonianza di libertà’. In questo caso faccio fatica.
La si può vedere almeno altrettanto facilmente, come una testimonianza di ‘volontà di opposizione’ al cambiamento; come attaccamento a una definita idea di ‘territorio di buddha’, che si identifica qui con una ierocrazia, con uno stato fondamentalista ove, fra l’altro, la condizione di lama parrebbe essere condizione di privilegio materiale e spirituale.
Un po’ di pepe, dai che fa freddo!…
19 Dicembre 2012 alle 4:50 pm
> Ma perchè la scelta dovrebbe essere tra aderire alle posizioni Vaticane o “l’empietismo”?
Perché Il mio mondo è diventato così recente e inaspettato che molte cose sono prive di nome e devo indicarle con il dito.
” L’estetica della sofferenza e del dolore fini a se stesse derivano da interpretazioni erronee della croce” (aa, commento 4). Ecco, ho messo insieme una vagonata di obiezioni sufficienti per coprire la tratta Palermo-Francoforte. Segue una prima ora a colorare nei margini, una seconda ora le aste, una terza ora per il tiro al piattello.
19 Dicembre 2012 alle 5:34 pm
Ciao Doc. Se guardiamo alle possibili “mentalità” o idee politiche ecc. quello che dici ci sta in pieno. Nel caso specifico penso che chi è disposto, coscientemente, a darsi fuoco potrebbe essere in grado di vivere in un mondo diverso da quello in cui crede/spera. Inoltre non tutti, ma molti degli immolati col fuoco sono monaci e monache. Buddisti, ovvero praticanti una religione che non ha la jihad, il martirio e la violenza tra i suoi ideali possibili. Perciò, ammettendo la purezza di almeno alcuni degli immolati la cosa colpisce, costringe a riflettere. Perché non pare essere un “semplice” atto contro. Pare concluso in sé.
PS: il commento n.11 è un piccolo capolavoro letterario.
19 Dicembre 2012 alle 5:47 pm
@ 14: Olà Doc è un pò che non ti facevi sentire! Bisognerebbe chiederle ai Tibetani le motivazioni di quei gesti. Secondo me il fatto è che la libertà (di espressione, di autodeterminazione, di religione) è un pò come la salute, finchè ce l’hai non te ne accorgi, ma quando ti viene a mancare (o ti viene tolta)…
@ 15: Obiezioni se ne possono fare per carità, ma pensare chessò che Martin Luther King si sia fatto uccidere perchè gli piaceva soffrire, e non per difendere i diritti dei neri americani mi sembra un’offesa della sua testimonianza. Lo stesso vale per Bonhoeffer: hai mai letto le sue lettere? Te le consiglio: era un uomo che amava la vita, la fidanzata, la famiglia, e che ha cercato in tutti i modi di evitare la forca, ma quello è il destino che gli è toccato perchè ha avversato il nazismo e difeso gli ebrei. Oppure pensa al vescovo Romero: è morto perchè ha difeso i diritti della povera gente del Salvador, perchè evidentemente pensava che “ne valesse la pena”.
19 Dicembre 2012 alle 5:53 pm
Effettivamente 11 piace anche a me. Hmsx dovresti fare il romanziere….
19 Dicembre 2012 alle 7:04 pm
Hmsx non ha bisogno di “fare” il romanziere… 😉
19 Dicembre 2012 alle 7:14 pm
Neppure a me pare un atto contro (mym 16 in risposta a doc 14). Consideriamo il valore simbolico, visto che non possiamo sapere la motivazione personale di ogni singolo, certo ognuna diversa per quanto somigliante – ognuno ci mette la sua vita, un gesto che implica non vedere i risultati del proprio gesto. Se fosse semplicemente questione di resistere al cambiamento, di difendere un potere che sta sfuggendo di mano, basterebbe si schierassero coi lama filocinesi, che continuano a nuotare nel grasso. Inoltre ci sono anche tibetani (e pure monaci) che prendono le armi e combattono l’invasore. La scelta di darsi fuoco ha chiaramente un valore simbolico: quale? A me pare quello di bruciare un bastoncino di incenso, nel caso il proprio corpo, per profumare un po’ un mondo che puzza di sopraffazione, di costrizione e soffocamento della libertà di scelta. Annullando quel mondo con l’annullamento della propria vita in quel mondo.
19 Dicembre 2012 alle 10:27 pm
Non trovo nuovi elementi utili alla comprensione in quanto dite, carissimi. Non ho gli strumenti per capire: e quanto a ciò, vedo di essere in buona compagnia.
Tuttavia suggerirei di non sposare tout court una versione – chiamiamola quella di Dharamsala – solo perchè siamo ‘buddisti’ (siamo buddisti?! in quel senso lì?) o perchè l’occidente è pressochè unanimamente schierato su posizioni filo-dharamsaliane (i media! è facile capire perchè…).
E neppure penso sia saggio denigrare i lama o i tibetani filo-cinesi per la loro scelta di campo.
Farei tesoro dei richiami di quel Lama che, forse più di 10 anni fa, su Paramita, si chiedeva come mai gli occidentali, di fronte al fenomeno del buddismo tibetano, improvvisamente si trovano orfani di quello spirito critico del quale vanno giustamente fieri e che non lesinano sulle questioni di casa loro, religiose o politiche.
E neppure mi sento di avallare l’identificazione del Male con la Cina, come fa Bianchi.
20 Dicembre 2012 alle 10:03 am
La situazione del Tibet di oggi ha qualche similitudine con quella della giudea del 1° secolo…anche le opzioni possibili sono analoghe: collaborazionismo, lotta armata, isolamento, dissenso pacifico. Per loro fortuna i Tibetani non aspettano il Messia…almeno credo.
@ 21: neanche io dispongo di strumenti adeguati, però mi risulta che in Tibet si stia portando avanti una politica di “sinizzazione forzata”, anche tramite massicci flussi migratori. Data la disparità demografica sembra probabile che i tibetani vadano incontro ad un’omologazione culturale con la Cina. Per certi versi è qualcosa di anaologo a quanto avviene in Cisgiordania con le colonie israeliane. Io non trovo nulla di strano nel fatto che l’opinione pubblica in Europa si senta vicina ai palestinesi o ai tibetani, penso che obiettivamente siano la parte più debole.
20 Dicembre 2012 alle 11:16 am
@21: splendidamente contromano. Ma se concordo… poi mi tocca dar ragione a chi dice che Dio non è (neppure?) un ideale… 😕
20 Dicembre 2012 alle 12:05 pm
Dio un ideale?! non ci avrei mai pensato
20 Dicembre 2012 alle 12:06 pm
Non mi funziona più il copia-incolla con le faccine. Colpa dei Maya…
20 Dicembre 2012 alle 12:09 pm
@ 24: Cfr. qui
20 Dicembre 2012 alle 12:12 pm
@ 25: cfr. qui 😎
20 Dicembre 2012 alle 12:18 pm
Ah, beh…
trovato grazie 😛
20 Dicembre 2012 alle 12:29 pm
Ciao aa @22. Paragoni arditi se ne possono fare, perchè no?
Quale è il problema sotto il profilo del buddhadharma?! cfr Sutra del diamante par 6
20 Dicembre 2012 alle 1:14 pm
Non ce l’ho il diamante…in teoria starei lavorando 😉
20 Dicembre 2012 alle 7:34 pm
Ora il buddhadharma ha persino un profilo? Se ne senton delle belle…
20 Dicembre 2012 alle 7:45 pm
Sotto il profilo… niente?
Mi diceva il Subhuti, dopo che il Gotama lo aveva briffato…
😯
20 Dicembre 2012 alle 8:07 pm
Il commento 20 è un capolavoro di sintesi e chiarezza. Descrive un mondo sorto dalla saturazione delle informazioni che ci parlano continuamente del mondo. Ma questo mondo, proprio perché reso sincronizzato dalle nuove tecnologie di comunicazione, è finito. Che il mondo sia finito non significa affatto che sia cessato. Significa che esso appare totalmente delimitato dai flussi di informazioni (non appare tanto vasto né capace di darci dell’altro). Il mondo è finito nel momento in cui i suoi oggetti sono stati tutti identificati attraverso codici globali. Con fine del mondo intendiamo una sorta di compimento di ciò che pensiamo e sappiamo del mondo: il mondo è una cosa banale. L’empietismo è una trasfigurazione del banale.
“Alla fine dei tempi i malvagi sempre più faranno del male, ma gli intelligenti capiranno.” – Daniele il profeta. (cit. da G. Ceronetti su “La Stampa” 20.12.2012).
È un annuncio che rasserena. Predicando e praticando l’odium, l’empietismo raggiunge il suo scopo: l’ordine della propria mente. La teologia maledetta sfocia inevitabilmente in scelte radicali come quelle dei monaci tibetani perché non contempla un dispositivo di salvezza. (Una soteriologia empia è inconcepibile. L’empietà conduce alla perdizione).
Il suicidio è un atto sovversivo. Un paradigma dell’eversione che scardina il codice del tutto arbitrario per cui amare la vita significherebbe vivere fino allo spirare naturale dei propri giorni. Per tornare all’articolo di Bianchi, la questione da porsi non è il senso di un gesto discutibile, bensì, assai più generalmente, il senso del sacrificio e delle sanguinarie fantasie che lo accompagnano. Ogni tentativo di razionalizzazione approda ad una “parte maledetta”. L’empietismo illumina questa parte e dispiega un “mondo dopo la fine del mondo”.
20 Dicembre 2012 alle 8:08 pm
PS: ringrazio mym per le lodi. È bene precisare che il commento 11 è un esperimento di “arte inesistente”. Per arte inesistente non si intende un’ arte che non esiste, bensì un’arte che ha un grado talmente basso di esistenza da farci sospettare che non si tratti di arte. Insomma, un sano esercizio del sospetto. (travolto dal fiume dell’azione. silenziosamente).
20 Dicembre 2012 alle 8:42 pm
Qualcuno, forse, si chiederà dell’empietismo, così…
E poi anche lo stesso tema in De mundo pessimo
20 Dicembre 2012 alle 8:52 pm
Volate (jf, hmsx…) troppo alto, per me.
Banalmente: seppure un mondo davvero pessimo giustifichi il pessimismo su di esso e sul suo creatore, tuttavia questo vedere è il nostro vedere, nasce dal nostro così pensare.
Non amo i religiosi che sostengono: “la vita è meravigliosa…”. Balle. Però esiste un altro punto di vista (?): «Se tu il campo di Buddha lo vedi totalmente impuro, ciò significa che vi sono nel tuo pensiero eminenze e depressioni e che non hai certamente purificato le tue intenzioni nel sapere del Risvegliato. Al contrario coloro che posseggono l’uguaglianza di pensiero nei riguardi di tutti gli esseri e che hanno purificato le loro intenzioni nel sapere del Risvegliato vedono il campo di Buddha come perfettamente puro». Sutra di Vimalakirti, versione del Gnoli, p. 410.
Scusate se mi “attacco” a un sutra, ma lo dice così bene…
21 Dicembre 2012 alle 12:24 pm
Ho letto il link all'”empietismo”…ecco non so, essere contemporaneamente panteisti ed odiare Dio mi pare significhi avere un grosso problema con se stessi. Vuol dire odiare se stessi e la propria vita. Perchè tirare in ballo Dio? Probabilmente il problema sta altrove ed insistere con la speculazione e la metafisica significa non volerlo vedere.
Credo non sfugga a nessuno la grande problematicità etica di questa posizione. Perchè un odio generalizzato verso la realtà tutta dovrebbe necessariamente tradursi in un atteggiamento di pietà e compassione verso i singoli esseri? Sul piano pratico l’odio per Dio potrebbe altrettanto coerentemente (forse più coerentemente) tradursi in una volontà di potenza e di sopraffazione a danno dell’altro ed in desiderio di distruzione fine a se stessa. Il sadismo è dietro l’angolo
21 Dicembre 2012 alle 12:53 pm
A prescindere, e visto l’argomento, l’odio per Dio si differenzia dall’amore per Dio “solo” dal tipo di emozione che ci suscita.
21 Dicembre 2012 alle 6:29 pm
@ 35 Finalmente un po’ di artiglieria pesante! Lo scrittore Messori…ma ‘ndo va? Pensa che ho pure letto uno dei suoi libri, che spreco.
@ 37 L’empietismo non c’entra niente con il sadismo e la volontà di potenza che presuppongono l’ateismo. Per usare una formula sintetica, ma non esaustiva, l’empietismo è l’insieme degli atti positivi di separazione da Dio: una specie di santità. Del resto anche nel sistema di Nichiren la rabbia e l’odio sono stati emotivi costruttivi e creativi. Essere contemporaneamente panteisti ed odiare Dio significa riscrivere l’ Ethica ordine geometrico demonstrata, in particolare la parte sull’ Amor Dei Intellectualis. Convengo: un bel problema.
Banalmente: ottimismo e pessimismo combaciano “giacchè la conoscenza del meglio e del peggio è la medesima” (cfr. Platone, Fedone, 97 d). Cioè, ottimismo e pessimismo non sono propriamente posizioni filosofiche, ma atteggiamenti mentali, e come tali inconfutabili. Detto in altri termini il suicidio rituale, tipo il seppuku, pressuppone che “il campo del Budddha sia totalmente puro”. Il suicidio per stanchezza o depressione è disonorevole.
Ora, che rapporto c’è tra il discorso di Bianchi e il codice dei samurai? E con i kamikaze? Ho finito l’inchiostro solo per scrivere la premessa…e i conti non tornano. Comunque l’articolo lo trovo ben scritto ed equilibrato.
22 Dicembre 2012 alle 10:17 am
Mym! Il firewall dell’ospedale blocca il secondo dei links sull’empietismo dicendo che è porno! Ma son cosa da farsi su di un sito religioso !?!?! Tu questi siti me li devi segnalare in separata sede, in modo che io possa evitare di accedervi accidentalmente, cheddiamine 😉
Se il mondo è pessimo c’è una bella fetta di responsabilità degli uomini: siamo una parte del mondo. I due comandamenti cristiani (che poi sono anche ebraici, of course) non sono affatto distinti: amare Dio ed il prossimo non sono due cose diverse. Se avessimo fede muoveremmo le montagne
22 Dicembre 2012 alle 1:38 pm
@
22 Dicembre 2012 alle 1:41 pm
@40: proprio porno no, però se lo dice il firewall un motivo ce l’avrà…
@39: ancora una volta (poi basta) mi trovo d’accordo con xmsx, almeno sul piano del rapporto tra seppuku/codice dei samurai e “buddismo”: l’autouccisione rituale aiutata dall’esterno (vulgo: seppuku) pretende di legarsi al buddismo (assieme a tutta l’epopea dell’uso della spada che uccide senza che vi sia un assassino) perché è accompagnata dalla realizzazione del vuoto di emozioni, e perciò in uno stato di “sospensione del/dal mondano”. Dimenticando (o, più precisamente: non considerando) che il buddismo vive di azione che sorge dal vuoto dandosi forma in quanto “bene”. Ovvero il “ritorno nel mondo” simbolizzato dal decimo quadro dei “10 quadri del bue”.
22 Dicembre 2012 alle 1:42 pm
@ 36: Beati i puri di cuore, perchè vedranno Dio…
22 Dicembre 2012 alle 1:50 pm
Sì, suppongo si parli di “cose” quantomeno omologhe. Purtroppo, in quanto a origini, la letteratura cristiana è “fatta” essenzialmente di 4 libretti ampiamente rimaneggiati. Per cui, per es., le reali dimensioni dell’espressione “puri di cuore” sono … da immaginare.
22 Dicembre 2012 alle 2:22 pm
@ 39: non è difficile separarsi da Dio- basta fare del proprio peggio; ossia fare deliberatamente del male al prossimo per trarne un vantaggio personale. Se invece cerchi di fare il bene fai le opere del Padre, non importa in nome di chi o cosa tu lo faccia.
@ 44: Ovviamente ci sono anche le Lettere, gli Atti e l’Apocalissa. Ma soprattutto, la letteratura cristiana comprende tutte le Sacre Scritture di Israele, la Torah, i Profeti, i Salmi, senza i quali di fatto il Nuovo Testamento è incomprensibile. Questo però è un altro discorso, e molto lungo…
22 Dicembre 2012 alle 3:21 pm
@ 42: qui secondo me tocchi un punto estremamente importante: perchè l’azione che “sorge dal vuoto” si estrinseca come “bene”? Io penso che ciò indichi l’esistenza di un legame profondo, costitutivo, tra la il realizzarsi dello stato “vuoto” ed il manifestarsi del bene. Il che tende a spingere all’uscita dall’apofatismo teologico ed a considerare che il Nirvana possa “dirsi” come Bene.
Si sentirebbe la necessità di una qualche riflessione sull’etica nel buddismo, ma non ce n’è di valore in circolazione : )
22 Dicembre 2012 alle 7:22 pm
aMYM: “..il buddismo vive di azione che sorge dal vuoto dandosi forma in quanto “bene””?
Cosa si intende per “bene”?
..grazie
22 Dicembre 2012 alle 8:58 pm
@46: L’azione che sorge dal vuoto non si estrinseca automaticamente come “bene”, occorre che l’agire che nasce dal vuoto, ovvero non ha un preferire, prenda forma in quanto bene secondo un preciso atto di volontà. Cfr. Diamante § 14.
@47: la domanda dovrebbe essere: che cosa intendi per “bene”? Al che risponderei: tutto ciò che va dalla parte opposta a “male”. Per esempio, in questo caso, penso sia “bene” rispondere accuratamente alla tua domanda.
22 Dicembre 2012 alle 11:38 pm
Provo a rispondere sinteticamente ad aa (poi basta ché è un discorso lungo etc.). Quando abbiamo a che fare con Dio abbiamo a che fare con la Verità: non dovremmo mai scordarlo. Nella teologia empia Dio è il mondo, ma questa identità non è perfetta perché in mezzo c’è il vuoto (e questo complica le cose). Ora, sul fenomeno dei monaci buddisti che si danno fuoco, qualcuno potrà scorgere l’amorevole volto del Padre e un chissà quale imperscrutabile piano divino che ha verosimilmente come conseguenza l’impegno ad amarci gli uni con gli altri. Io, invece, scorgo tutta la terribilità di Dio che nell’empietà è assunto come concetto inferiore per cui il meglio che si possa fare è allontanarsene.
La teologia ufficiale racconta favole su Dio, sulla vita eterna, sulla redenzione salvifica etc. e con ciò rende un pessimo servizio alla verità perché confeziona un Dio a misura dei nostri desideri trasformandolo in un ideale.
23 Dicembre 2012 alle 10:13 am
@49: “La teologia ufficiale racconta favole su Dio, sulla vita eterna, sulla redenzione salvifica etc. e con ciò rende un pessimo servizio alla verità perché confeziona un Dio a misura dei nostri desideri trasformandolo in un ideale.” questi teisti… tze! 😛
23 Dicembre 2012 alle 12:50 pm
La domanda su che cos’è il “bene” contiene un presupposto, il bene stesso, che per essere spiegato deve essere analizzato, cioè descritto con termini meno generali(intendo dire che non posso affermare che il bene è il bene, altrimenti non spiego nulla ma semplicemente affermo).
Il “bene” richiama quindi in campo l’uomo anche nel buddismo? Nell’affermare un valore (in questo caso IL Valore..) non mi pongo in una posizione trascendente (senza scomodare la Teologia)? Assumere il bene come fondamento della volontà e prospettiva dell’azione non significa porre un valore a fondamento del “vuoto”?
PS Quando ho scritto “si intende” mi rivolgevo alla “istituzione”, sperando di non offenderti…:-)
23 Dicembre 2012 alle 6:25 pm
@51: [La domanda su che cos’è il “bene” contiene un presupposto, il bene stesso,] sin qui son d’accordo con te. Ovvero: il bene (e perciò il male) è un dato di fatto, nel mondo. Ovviamente alla scomparsa del mondo scompaiono anche bene e male, per cui da questo punto di vista non ci sono né bene né male. Proprio perché nel mondo ci sono già bene e male, il buddismo (ecco l’istituzione che mostra il capino) non li spiega. Come non spiega l’acqua, il caldo o il freddo.
Secondo me non occorre arrivare sino all’affermazione di un Valore. Almeno a priori. La pratica del bene fa parte della (costante) liberazione da duhkha. Ecco che nasce l’esperienza dalla quale desumiamo un Valore. Per cui parliamo di trascendenza. Senza scomodare la teologia, ça va sans dire.
23 Dicembre 2012 alle 9:42 pm
Io non intendevo tanto impostare un “discorso” teologico, quanto illustrare un “come”. La devozione a Dio e l’amore per il prossimo sono un mezzo di liberazione, secondo me molto efficace ed accessibile-lo Yoga Bakhti. Gandhi ne è stato un esempio(anche lui pensava che Dio fosse la Verità , ma evidentemente il tutto era declinato in altro modo). Può essere che l'”odium Dei” per qualcuno risulti essere un “abile mezzo”, ma mi pare che questo implichi fare dei bei salti mortali concettuali.
Può essere pure che ad un certo punto si possa “lasciar andare Dio per il bene di Dio”, oppure “andare oltre la giustizia ed il bene”…ma è roba per nuotatori esperti
24 Dicembre 2012 alle 10:02 am
Non sembra possibile non constatare il male nel (del?) mondo. Dalla constatazione del male (fosse anche una briciolina) deriva immediata la postulazione del bene, senza neppure bisogno di definirne l’ontologia né architettarne una teoria. Sorgono alcune domande:
1. Il bene è “solo” sottrazione e/o depotenziamento del male constatato?
2. Si tratta di un gioco delle parti, per cui senza male niente bene, per cui bisognerebbe supporre un male necessario al bene (cortocircuito morale faustiano)?
3. Dato che scomparso il mondo male e bene scompaiono con esso, il bene “definitivo” coincide con la dissoluzione del mondo?
4. Per tornare al topic, chi si dà fuoco constatando il male, compie con quel gesto senza fini reconditi un atto di bene?
Buona vigilia a tutti e a ciascuno!
24 Dicembre 2012 alle 10:40 am
@54: Interessante sarebbe sbirciare da dove sorgono certe domande… Anche perché per sorgere così articolate occorre nascano, plop!, da una piccola fucina.
Proviamo a far sorgere risposte:
1 Dal punto di vista del mondo la risposta è no: esiste il bene tanto quanto esiste il male. Chiamare “bene” la semplice (si fa per di dire…) assenza di male è una scelta convenzionale.
2 Non è un cortocircuito morale, secondo il buddismo (benedetta istituzione…): gli opposti si manifestano assieme, o non si manifestano.
3 Il bene definitivo? Was ist das? (co’ è? in marchigiano)
4 Certamente, tutte le volte in cui senza fini reconditi compie un atto di bene.
@53: e “lascia che i morti seppelliscano i morti” allora? O “chi perderà la propria vita…”? E “siate perfetti come il Padre vostro…”? La religione intesa come atto consolatorio è per tutti accessibile, in gergo si direbbe “di bassa soglia”. Appena vuoi muoverti secondo il “volere di Dio” oppure (Gesù!) dir la tua, diventa un mare per nuotatori … che a forza di star per affogare diventano esperti.
24 Dicembre 2012 alle 1:21 pm
Non penso sia possibile parlare di “bene” per gli esseri umani senza chiamare in causa il valore: la mente funziona per attribuzioni di significati e di valori nelle libere scelte (o non scelte), nello sviluppare volontà in favore dell’azione (o non-azione); altrimenti dovremmo ammettere l’assenza del libero arbitrio e della consapevolezza che il male è diverso dal bene.
Postulare il bene come contrapposizione al male , se il male è considerato non solo come fisico, è già, mi pare, ontologia, senza per questo tradurla in epistemologia: ammetterne l’esistenza non vuol dire necessariamente farne una costruzione teorica.
D’altronde sedersi in silenzio di fronte a un muro mi sembra una scelta che non si limita a una psicoterapia esistenziale o una pratica energetica.
24 Dicembre 2012 alle 1:49 pm
Con pardòn, non ho fatto il militare a Cuneo e certi discorsi non li seguo agevolmente. A parte una cosa, che mi trova d’accordo: “ammetterne [del male] l’esistenza non vuol dire necessariamente farne una costruzione teorica”. Con le mie parole: l’acqua, il caldo, il freddo… non necessitano di una costruzione teorica. E, anche in questo caso, l’ontologia non c’entra nulla. Il Male non esiste e così il Bene, a meno che non li facciamo esistere, ma a quel punto casca la maiuscola.
Se non ci fosse(ro) il male (e il bene) non ci sarebbe il buddismo. Fu il tentativo del padre di Siddhartha. Fallito perché il serpente(*) ci mise lo … zampino.
Sedersi in silenzio di fronte al muro, di nuovo, è come l’acqua, il caldo e il freddo. Non è un’altra cosa, dal sedersi in silenzio di fronte al muro.
(*)Nella Genesi è il serpente che rompe le uova nel paniere del paradiso terrestre. Nella biografia iconografica del Buddha fu la realtà medesima (non la Realtà) ad irrompere: vivendo nel mondo non si possono ignorare l’acqua (malattia), il caldo (vecchiaia), il freddo (morte) e perciò serve il buddismo.
24 Dicembre 2012 alle 3:13 pm
Scusate, ma perchè non cantare la canzone del bene e del male in chiave di Dukkha?!
Dei discorsi su categorie quali il Bene ed il Male, il Giusto e lo Sbagliato, la Pietà o l’Empietà, personalmente…anzi…francamente me ne infischio.
Qualcuno dirà: ma ci divertiamo tanto… 🙁
24 Dicembre 2012 alle 3:24 pm
@57
… l’acqua (malattia)…
Già non è che sia un fanatico della pulizia, ma da adesso non mi lavo più!
24 Dicembre 2012 alle 3:25 pm
…e bevo solo vino 😳
24 Dicembre 2012 alle 5:30 pm
@58: “perché non cantare la canzone del bene e del male in chiave di Dukkha?!” mi pare fosse quel che si stava facendo, no?
Facendo attenzione a non richiamarsi a duhkha come fosse il solito moloch/idolo/parola-d’ordine che tutto copre e tutto giustifica.
24 Dicembre 2012 alle 6:16 pm
Inguaribile ottimista.
24 Dicembre 2012 alle 6:44 pm
Penso che siano in pochi quelli che hanno fatto il militare a cuneo;-)
comunque, per fortuna, non sono tra quelli
Grazie.. e buon natale a tutti:-)
24 Dicembre 2012 alle 7:11 pm
Possiamo dire che abbiamo fatto il militare assieme… 😀
Buon natale a te
24 Dicembre 2012 alle 7:33 pm
@ 58 E’ implicito che “cantiamo la canzone del male e del bene in chiave di dukkha”, senza maiuscola pur essa, come male e bene. Come si fa ad accordare la musica in chiave di dukkha e nello stesso tempo infischiarsene del bene e del male? Che musica si produce?
@ 55 Finalmente a domande ci sono risposte, che diamine! Le riascolto e di rimando:
1. Sì, è convincente, l’acqua calda è calda, non è solo assenza di acqua fredda. Chiamare bene la “semplice” assenza di male non è soltanto una scelta convenzionale, è anche un indugiare nell’ombra.
2. Gli opposti si manifestano assieme e sono ciascuno separati. Vale a dire, come opposti sono co-esistenti, ma il bene è solo bene, non ha “bisogno” del male per essere bene – qui si svela il gioco di mefistofele.
3. Il bene definitivo è il bene di ogni momento di bene.
4. Dunque darsi fuoco può essere un atto di bene. E’ quel che negano (quasi tutti) i cristiani.
24 Dicembre 2012 alle 7:48 pm
Speriamo che nessuno ci (si?) prenda troppo sul serio
24 Dicembre 2012 alle 11:49 pm
Conoscendo mi (si) il rischio appare remoto…
24 Gennaio 2013 alle 7:59 pm
Intervengo perché sono spaventato a morte! Terrore mi precipita in un passato prossimo putrefatto. Rifiuto, cristianesimo e buddismo. Senza esitazione percorro la via del samurai, ovvero la ricerca della morte violenta, inutile e affascinante (si fa per dire). Giuoco il giuoco dell’empietà fino in fondo. Seriamente.
Il più recente caso di seppuku è quello dello scrittore Yukio Mishima. Accadde nel 1970 e fu programmato nel 1967. La forza del gesto, al di là del rapporto tra lo scrittore e la sua maschera, il c.d. ‘tema dell’eroe’, non deriva principalmente dalla lama che squarcia il ventre, ma da una certa onnipotenza che chiameremo ‘mondo’. Il quale non si ‘apre’ come la benevola porta di un regno fatato, ma aggredisce e ammazza. Piuttosto che lasciarsi “afferrare”, come una volta si diceva con compunzione, ci afferra e ci costringe a sputare sangue. Insomma, a dire di che si tratta. Per dirne una, è il suo ‘ordine’ a ucciderci. Mishima, samurai dal cuore pacifico, usò parole di scherno verso i movimenti studenteschi sessantottini. Forse perché il loro agire era ‘incongruo, scoordinato, improvvisato’. (cfr Sutra del Diamante, pag 36).
L’ agire di Mishima, invece, è autenticamente zen. Richiede perfetta concentrazione, distacco dalle contingenze, quiete interiore. Lo svisceramento avviene in un certo senso da sé, senza deliberazione; è come se il pensiero fosse indipendente dalla mano.
Le immolazioni dei monaci tibetani sono una dichiarazione di guerra alla Cina? Un oltraggio al sentimento cristiano della vita? La coscienza individuale offre forza a questa lotta, è questo è quanto. Nel mio linguaggio: “Where are we now?” Forse al punto in cui non può [più] costruirsi una teologia “su” Gesù.
24 Gennaio 2013 alle 8:01 pm
@ 54 punto 3. La risposta più sensata che ho trovato sul ‘bene definitivo’ è la seguente:
«(…)la brama della vera eternità alletta ben pochi, perciò è quasi impossibile trovare un uomo tanto infelice da desiderare la morte. Di nessuna fiducia gode la promessa del nostro salvatore che il mondo crollerà e la sua fine accelererà il giorno del giudizio».
Giulio Cesare Vanini, in Confutazione delle religioni, Catania, De Martinis, 1993, p. 165.
Vanini appartiene allo storia dell’empietà, non alla storia dell’ateismo. Una storia che fa progressi sebbene sia tutta da scrivere.
24 Gennaio 2013 alle 8:04 pm
@doc 58
La mia indifferenza non è totale. A un certo punto si rompe. Attraverso lo squarcio mi vedo e nel momento in cui mi vedo non sono più indifferente.
Quella scempiaggine che è il mondo mi appare improvvisamente pieno di senso solo nella esistenza musicale. L’esistenza musicale non è ipso facto quella del Musikant, ma quella di chi esiste e vive per il suono per cui il mondo si rivela come una totalità di fini. Insomma, noi siamo superiori al mondo. L’orgoglio dello spirito mi sembra indiscutibile e perverso. Cadendo su noi stessi l’anima nostra produce dentro di sé una piaga profonda. L’impronta della sua eccellenza, della sua grandezza, vuol pascersi dello spettacolo della sua perfezione! Sullo spartito della musica dionisiaca corrono suoni promettenti ma muti… ci accontenteremo della musica leggera!
Il ritornello dell’ ultima canzoncina del bene e del male in chiave di Dukkha suona pressappoco così: “La morte non esiste più nonostante certe notti da nevrastenia da soffocare”. Ecco, c’è poco da poco da stare allegri, è proprio un canto funebre.
È brivido metafisico di specie nuova. Una frisson nouve che si prova cogliendo alle soglie dell’ignoto le occulte analogie dell’universo e che presuppone una rinascita dell’arte dell’ascolto.
PS:avrei voluto fare a meno di moloch canterini… ma sono travolto da un orde di musici esorcisti!
24 Gennaio 2013 alle 8:34 pm
Ciao Hmsx, la tua prosa mi suscita ammirazione. Anche se a volte non condivido quello che l’accurata forma contiene.
Non sempre scegliere di vivere è un ripiego. La sublimazione della morte la fa (nelle parole, fisicamente distanti dal fatto stesso) sembrare elegante e pura. Ma è un inganno.
Quando è pura anche la vecchiaia bavosa, sceglier di vivere è alta scuola.
25 Gennaio 2013 alle 12:15 am
Grazie, mym, sei gentile. Avvolte trovo la mia prosa oscura e monca.
Le condizioni ideali per la scelta di morte che Hagakure sembra incoraggiare non si presentano in modo chiaro e univoco. A dire il vero sono condizioni rare. La situazione di dover decidere di morire era rara anche ai tempi in cui l’arma più micidiale era la spada. Lo stesso Jōhō, autore di Hagakure, visse fino alla tarda età di sessantun anni (1635-1719). In altre parole nessuno ha il diritto di dire di Hagakure che è una guida per aspiranti suicidi. A questo punto il nodo gordiano riguarda la morte, ovvero può la morte “virtuosa”, cioè la morte da noi stessi eletta in nome di un nobile fine, esistere? Per il cristianesimo solo il martirio e il lento suicidio dell’asceta possono giustificare il desiderio del suicidio. Le altre forme di suicidio sono proibite in maniera terrificante… Il Buddismo, allora, si presenta come l’unica religione veramente positivista che la storia ha da offrirci: esso non dice « lotta contro il peccato », bensì « lotta contro il dolore », dando pienamente ragione alla realtà. Nella dottrina del Buddha l’egoismo diviene un dovere: « una sola cosa è necessaria: come liberarsi dal dolore ».
Le autoimmolazioni dei monaci tibetani brucerebbero di un fuoco…non violento?!? L’equivoco nasce secondo me dall’abitudine di considerare lo Zen, versione giapponese del buddhismo, come una religione estremamente pacifica. In verità l’antiscolasticismo, la disciplina mentale, la rigida formazione fisica, proprie dello zen, contribuiscono a sviluppare una fibra interiore forte che non teme la violenza.
PS: sto al settimo cielo…ho inventato delle nuove bestemmie! 🙂
25 Gennaio 2013 alle 11:38 am
“Le autoimmolazioni dei monaci tibetani brucerebbero di un fuoco…non violento?!?” Interessante punto di vista. Non lo ammetterei mai, comunque.
Invece, non sono d’accordo quando scrivi “Nella dottrina del Buddha l’egoismo diviene un dovere” a meno che per ego si intenda “tutto”. Il detto zen “la realizzazione dei buddha consiste nel fare zazen e aver cura del giardino. Senza preoccuparsi di quanto esso sia grande” riassume bene: il giardino è “tutto”. Solo in questa accezione la tua affermazione è condivisibile. IMHO.
18 Febbraio 2013 alle 9:26 am
All’ombra del banchiere Sudatta.
L’egoismo è la legge prospettica della sensibilità secondo la quale le cose più vicine appaiono grandi e pesanti mentre in lontananza perdono, tutte, grandezza e peso. Che cosa significa vivere? Domanda l’uomo religioso. Vivere significa respingere senza tregua da sé qualcosa che vuole morire; vivere vuol dire essere senza pietà per i moribondi, i miserabili e i vecchi. Significa essere sempre e di nuovo assassini? Sì, perché si ha bisogna di una casualità contronaturale. Un Dio che esige in luogo di un Dio che aiuta. La morale non è più istinto vitale, espressione delle condizioni di vita e di crescita di un popolo, ma è divenuta astratta, un’ antitesi alla vita: la morale come radicale intristirsi della fantasia, come «cattivo sguardo» su tutte le cose. Che cos’è la morale giudaico-cristiana? Il caso defraudato della sua innocenza; la sventura insudiciata con l’idea di «peccato»; lo star bene come pericolo, come «tentazione»; l’indisposizione fisiologica avvelenata dal tarlo della coscienza…Il Buddismo è cento volte più freddo, più veritiero, più oggettivo del cristianesimo! Esso non ha bisogno di rendere il proprio soffrire, la propria capacità di soffrire, RISPETTABILI per mezzo dell’interpretazione del peccato – dice semplicemente ciò che pensa «io soffro».
[del resto “non c’è una cosa (concreta, astratta, etc.) che possa essere detta “salvezza” Cfr. mym, Diamante, p. 95, n. 25]
18 Febbraio 2013 alle 9:47 am
Mi riserbo di dire l’ ultima parola sulla musica: nel mentre, sommerso da immondizie musicali, sfoglio libri melensi comodamente imprigionato a casa. Torno al tema del post. L’empietismo spinge l’amore di sé sino al disprezzo di tutto. L’attimo immenso in cui il teologo maledetto coglie il concetto di Dio e ne separa è un atto unico della mente che non può essere sprecato senza posporre l’Altro. Non c’è se stesso nell’Altro. Quello non sono io. (Hagakure e io)
Per gli uomini religiosi la preghiera ha valore solo se cospira contro l’eccezione, affinché si accomodi in stanze quiete, con occhi, mani, gambe e organi in disparte. Sono stupito dall’immenso sperpero di energie che i fedeli ripongono in speranze del tutto vuote e volgari. La pratica del cristianesimo non è che una fantasticheria, non più della pratica del buddismo: è un mezzo per essere felici..
PS: ho provato molto diletto a leggere una vecchia lettera – A.D. 2003 – indirizzata a ben due papi. Soprattutto ho riconosciuto la firma. (le mie bestemmie montano che è una bellezza)
18 Febbraio 2013 alle 8:25 pm
Ciao HMSX, bentornato. Son contento tu stia bene. Il ritmo della tua prosa è il respiro di una notte di boschi e valli. Si sentono cose, non si vede nulla, poi appare un lampo ed è subito scomparso.
È vero, non c’è se stesso nell’Altro, chiunque sia. Il passaggio non è da me a … te (Te?). Ma da me a me.