Lun, 17 Set 2007
Raimon Panikkar, La porta stretta della conoscenza. Sensi, ragione e fede, Rizzoli, 2005.
Ma 9×9 farà 81?
Ho riportato la battuta di Massimo Troisi in un suo celebre film per sintetizzare uno dei significati di questo libro di Panikkar.
Vorrei spiegare il motivo di questa scelta: quella domanda divertente sottintende l’ipotesi di una logica diversa. Ovviamente se non per Troisi, almeno per tutti noi 9×9 fa 81, ma ne siamo proprio certi?
La scienza ha un proprio linguaggio che la rende una cosmovisione, come sostiene Panikkar, questa cosmovisione deve misurarsi e confrontarsi con la cosmovisione religiosa. Questo dialogo è il nucleo del libro.
L’autore utilizza un linguaggio ricco di termini religiosi, presi anche da tradizioni diverse da quella Cristiana, e di termini scientifici. La lettura è impegnativa e richiede una certa attenzione.
Il testo è una revisione di vecchi articoli che rimessi insieme e rivisti hanno dato alla luce questo lavoro interessante.
Uno degli obiettivi dell’opera è presentare una concezione molto originale dell’autore, la teofisica: “Mezzo secolo fa incominciai un progetto cui diedi il nome di teofisica per affrontare questo problema. Non avendolo potuto continuare in forma sistematica ne darò qui un riassunto. Si trattava di prendere sul serio la cosmovisione cristiana non tanto adattando la fisica alla teologia quanto elaborando una visione della realtà nella quale le intuizioni cristiane non fossero né un’appendice né un supplemento della realtà, ma una presa di coscienza della “natura” stessa delle cose: l’esistenziale cristiano. Va ricordato che la fede non è né fiducia né va contro la ragione, ma una forma diversa di conoscenza – come il nostro titolo suggerisce. La sfida rimane comunque aperta.
Non posso trattenermi dall’esprimere un sospetto: che il “pensiero cristiano” avendo preteso di monopolizzare l’ambito del pensiero religioso ora lo stia pagando a caro prezzo, perché è stato praticamente spiazzato dal pensiero scientifico. Il contributo di altre culture sarebbe di importanza capitale. Si vedrebbe allora che molte delle intuizioni cristiane, che sembrano incompatibili con la scienza moderna, risultano accettabili ad altre visioni del mondo. Forse la vita, lo spazio, il tempo, la materia, ecc. non sono ciò che descrive la scienza moderna, ma molto di più e la scienza descrive solo un aspetto delle realtà che chiamiamo con questi nomi. Forse ci dobbiamo emancipare dal dominio della scienza sul pensiero umano. E non si dica che le altre erano (o sono) concezioni pre-critiche della realtà perché non si tratta di “tornare indietro”, ma di lasciarsi fecondare da altre visioni del mondo senza dimenticare le scoperte della modernità”.
Ho scelto questo passo perché presenta tutti, o quasi, i punti toccati dall’opera. La scienza ha raggiunto dei risultati di efficacia notevole, oggi c’è chi pensa che il sapere scientifico sia l’unica e vera forma di sapere.
L’autore si oppone a questo monismo culturale e pone, come fa in altre sue opere, l’interculturalità come l’elemento costruttivo e pluralistico.
Non esita a criticare l’atteggiamento teologico nei confronti della scienza, tuttavia è nel Cristianesimo stesso che si trovano gli elementi per dialogare con la scienza.
L’opera ha una struttura molto schematica e i problemi della scienza e quelli della religione vengono analizzati in primis con un metodo analitico, successivamente si tenta una sintesi.
Per seguire bene il percorso proposto da Panikkar è, e forse questo è un punto debole dell’opera, necessario conoscere il pensiero dell’autore.
Infatti, non mancano rinvii ad altri suoi lavori, necessari per una maggiore completezza.
Il dialogo -o lo scontro- tra religione e scienza attraversa tutta la nostra cultura occidentale, pensiamo a Galileo, a cui Panikkar spesso fa ricorso.
Pensiamo alla difficoltà che scientificamente c’è nello spiegare l’eucarestia: ovviamente la scienza oggi non ha nessuna intenzione di spiegare ciò che esula dal proprio campo, tuttavia vediamo come scrive Panikkar: “Gesù muore e viene sepolto. Poco dopo, il sepolcro appare vuoto e nemmeno i suoi nemici contestano il fatto. Gesù appare parecchie volte, mangia con i suoi e si fa toccare. La Resurrezione è la trasformazione di Gesù nel Cristo. Cristo è il Gesù risorto. Di Gesù non ci rimane se non il ricordo. Cristo, invece, è vivo e reale. Questa realtà non è solamente anamnesica o psichica; è anche fisica e corporale: è una presenza reale, tanto reale come quella di un pezzo di pane o quella di un povero che soffre la fame. Non è che nell’Eucarestia, il pane si trasformi in Cristo, ma è Cristo che si trasforma, si manifesta in pane, e come tale lo si riconosce nella liturgia eucaristica. Questo Cristo unigenito, primogenito, corpo mistico, vita, alfa e omega, luce, principio, corpo, materia, è il simbolo centrale del reale per i cristiani. Forse il “corpo” è molto di più di quello che dice la scienza. Esistono altre dimensioni della realtà che esulano dal campo della scienza.”
L’ultima affermazione è la chiave di lettura dell’intero libro ed è, per Panikkar il punto da cui può partire un dialogo.
Forse la stesura che risale a vari decenni fa, forse la difficoltà dell’argomento, ma manca ogni riferimento alle problematiche eugenetiche che tanto oggi sono al centro di un vero scontro tra cosmovisione religiosa e cosmovisione scientifica.
Comunque il testo ci offre una serie di strumenti concettuali per affrontare anche questi temi.
Il fine dell’opera è: “Né il cristianesimo né la scienza sono idee o teorie disincarnate che esistono solo in un mondo ideale. Non stiamo discutendo di ipotesi matematiche, ma di realtà umane; non di due astrazioni, ma della vita stessa dell’umanità. Alla simbiosi non si giunge né con la vittoria di una delle due parti, né mediante compromessi benintenzionati o dimostrazione di tolleranza civile. La simbiosi si vive – come il funzionamento sano di ogni organismo vivo, sia esso biologico, sociologico o culturale. Non si tratta di privilegiare un sapere denigrando l’altro, né di stabilire una gerarchia più o meno a priori. Si tratta di aprirsi alla luce, da qualunque parte venga, che, per ricorrere alla frase evangelica, è la vita dell’uomo – dell’ homo sapiens.
Insisto nel dire che la situazione attuale ci porta a riconsiderare radicalmente il senso dell’avventura umana degli ultimi millenni. Per questo l’apporto interculturale è necessario.”
Appare evidente che l’interculturalità è l’elemento, anzi, il presupposto necessario per realizzare questa simbiosi.
Potremmo concludere questa scheda con una domanda al testo: esiste una cosmovisione religiosa, con una propria storia un proprio simbolismo; esiste una cosmovisioe scientifica, anch’essa con una propria storia ed un proprio simbolismo; ma esiste anche una cosmovisione del potere nel suo senso più pienamente politico-economico che non ha nessun interesse al dialogo tra religione e fede. Come ci si può rapportare a questa realtà?
gi
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