Hannah Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 1964.

Titolo originale: Eichmann In Jerusalem.

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La filosofa affronta, in questo libro, un problema ancora oggi irrisolto: la mancanza di un diritto internazionale, riconosciuto da tutti i paesi. Il processo Eichman, che lei racconta, è solo lo sfondo sul quale vengono proiettate una serie di problematiche come il male, la pace, la responsabilità.

Chi è Eichmann? Uno spietato criminale nazista, oppure un semplice funzionario che obbedendo agli ordini faceva partire in orario i treni per la deportazione degli ebrei?

La risposta dell’autrice va oltre Eichmann – che viene assunto come modello per affrontare il problema del male.

Dal titolo italiano si evince la sua tesi, ovvero, la natura banale del male. Bisogna fare attenzione, il termine banale potrebbe trarre in inganno. La banalità non è sinonimo di non sussistenza del male, non si sminuisce il male come atto in sé, ma lo si colloca su di un piano diverso, appunto, banale.

Eichmann era un uomo mediocre, un uomo avido di successo personale, tutte caratteristiche che lo possono accostare ad un numero altissimo di persone. Nel sistema nazista il male si è frazionato nei singoli individui, ognuno dei quali ne è responsabile, senza però avere la percezione di questa responsabilità.

La stessa responsabilità – che è mancanza – di non aver colto l’occasione, dopo la shoah, di capire le origini del male e le reciproche responsabilità. Il processo di Norimberga, richiamato in vari punti, e il processo ad Eichmann sono state due occasioni perse di far salire sul tavolo degli imputati oltre ai criminali, tutti i protagonisti di quegli anni terribili.

Il libro si conclude con una interessante serie di approfondimenti su ogni singolo paese europeo e il loro rapporto con il progetto della soluzione finale. In questo escursus si scoprono verità storiche estremamente interessanti e si dimostra che con un po’ di coraggio il massacro nazista poteva essere evitato, perché alcuni paesi, come la Danimarca e la Bulgaria, lo hanno fatto.

La shoah ha scosso le coscienze ed ha aperto un dibattito sul male e la sua origine finanche sul suo stesso senso. Sono tanti i pensatori che hanno esposto una propria teoria, molti hanno posto in relazione questa manifestazione del male in rapporto con Dio: perché un essere onnisciente, onnipotente, immensamente buono – per citare tre aspetti tradizionali che il pensiero occidentale attribuisce a Dio- ha permesso un simile massacro?

La Arendt, senza entrare mai in campo religioso, affronta il problema del male da un angolatura spiccatamente antropologica e dà una serie di interessanti spunti di riflessione, utili anche per una riflessione religiosa.

(A cura di Gennaro Iorio)