Mer, 26 Ott 2011
h, già Dhr, ci invia un’altra recensione delle sue. Garbato come sempre, questa volta la sottigliezza del testo in esame tracima nel suo commento creando un contatto profondo tra la parte orientale e la parte occidentale dell’animo umano. Parlando di Lui, secondo
Gregorio, h chiosa con: “il suo Dio è così trascendente che la Sua onnipresenza sfiora la onni-assenza”. Chiunque sia interessato al dialogo interreligioso, a mio modesto avviso, dovrebbe passare da queste parti. Nelle parole di h, poi, sullo stesso Argomento, compare “Quello”. E mi par di sentire il coretto dei cinesi Chan del IX secolo: “io l’avevo detto, io l’avevo detto…” solo perché qua e là nei loro dialoghi si interrogano su 其, Quello, che loro chiamano Qí.
Gregorio di Nissa, Omelie sulle Beatitudini, con testo greco a fronte, a c. di Chiara Somenzi (coll. Letture cristiane del primo millennio, 47), Paoline, Milano 2011, pagg. 402, euro 36
28 Commenti a “La retta visione di Gregorio di Nissa”
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28 Ottobre 2011 alle 9:16 pm
Qualche dettaglio che mi pare di non aver evidenziato come meritava.
Gregorio afferma che lo scopo della vita umana è la beatitudine, MA che “cosa” sia la beatitudine è incomprensibile. L’unica è seguire l’insegnamento (il Discorso della montagna) o, che è lo stesso, imitare lo stile di vita di Gesù, e… vedere che cosa succede.
Gregorio arriva perfino a contestare l’idea di “regno dei cieli”. Il trascendente – dice – non ha nulla a che fare con i regni terreni, Gesù ha usato quella parola solo perché il “regno” era quanto di più glorioso esistesse all’epoca ma, se avesse avuto a disposizione un’altra parola, avrebbe usato quella.
Tutto questo è tanto più interessante in quanto Gregorio di Nissa non era un Eckhart, non era un outsider o un cane sciolto, ma uno dei teologi che hanno contribuito a plasmare, ancora oggi, la teologia, la dogmatica e la spiritualità delle Chiese ortodosse orientali.
Se si pensa che da mezzo secolo il cristianesimo, perlomeno cattolico, è ridotto a “vieni a mangiare la pizza con noi e vedrai com’è bello il Vangelo”, c’è da mettersi a piangere.
29 Ottobre 2011 alle 9:32 am
Se lo scopo della vita è la b. che non si sa che cosa sia per cui occorre scoprirlo con i mezzi offerti dalla premiata ditta, ciò significa che c’è parecchia libertà lì davanti.
29 Ottobre 2011 alle 10:00 am
non sono un fanatico assertore della “libertà umana”, in compenso apprezzavo parecchio il lato paradossale della faccenda.
😉
29 Ottobre 2011 alle 10:06 am
È proprio il fatto che di quella libertà non si sa neppure se sia umana che mi piace. È vero, chiamare l’ignoto libertà (o beatitudine) è paradossale, ai limiti dell’azzardo: ci potremmo trovare il babàu.
29 Ottobre 2011 alle 11:20 am
se il Babàu è quello di Buzzati, ben volentieri.
quanto alla libertà, un insegnamento che si può ricavare da Gregorio e dai Padri in genere è che non è un punto di partenza (come si ‘assume’ da circa cinque secoli) ma – semmai, con un po’ di fortuna – un punto di arrivo.
31 Ottobre 2011 alle 1:03 pm
Secondo me è molto azzeccato quello che dice Knitter a proposito del regno dei cieli (e quindi della beatitudine) e cioè che va considerato in una dimensione temporale a se, quella del già-non ancora. Nel discorso della montagna i beati sono già tali per il fatto stesso di essere poveri di spirito, misericordiosi ecc.; perciò Gesù in un certo senso agisce in modo maieutico, facendo si che chi lo ascolta prenda coscienza di uno stato che già gli appartiene. Nel contempo, questa “scoperta” apre le porte per un futuro diverso ed imprevedibile, il regno di Dio, verso il quale ci si orienta colletivamente, come comunità.
Non c’è un’ambivalenza simile anche nel buddismo, quando si parla del risveglio? A volte l’accento è posto soprattutto sulla riscoperta della propria natura originaria, sempre presente benchè offoscata, a volte invece viene si sottolinea maggiormente il fatto che esso sia un processo da porre in essere, un’attività completamente nuova. O forse son due facce della stessa medaglia?
1 Novembre 2011 alle 7:10 pm
Quando sento parlare di “beatitudine” o, ancor di più, di “regno dei cieli” come di un “già” divento più diffidente del solito. Sarà perché nel cristianesimo “non c’è” lo zazen, ma dubito molto che con “beatitudine”, “regno dei cieli” ecc. si indichi molto più di una sensazione, un sentire o un sentimento.
Il già non è di questo mondo e la porta stretta è praticamente chiusa, per passare occorre non esserci.
2 Novembre 2011 alle 1:22 pm
Io penso che la beatitudine nell’ottica cristiana viva costitutivamente in una dimensione comunitaria e sociale. Si è beati in quanto popolo di Dio, non come singoli individui. Il discorso della montagna è al plurale, così come lo è il Padre Nostro; il Regno dei cieli si avvera mediante un processo collettivo. Che piaccia o no, credo che la dimensione sociale è un aspetto non prescindibile del cristianesimo.
Il programma di Assisi mi pare stupendo; non dovessi andare alle terme ci avrei fatto un salto volentieri. Ci sarà qualche resoconto sul sito vero?
2 Novembre 2011 alle 3:57 pm
>Si è beati in quanto popolo di Dio, non come singoli individui
tuttavia… “Salverò tutti gli esseri, ma non ne salverò neppure uno.”
Buddha (Sutra del Diamante)
2 Novembre 2011 alle 4:55 pm
«penso che la beatitudine nell’ottica cristiana viva costitutivamente in una dimensione comunitaria e sociale. Si è beati in quanto popolo di Dio, non come singoli individui»… è poprio per questo che quando sento i cristiani parlare di beatitudine non mi fido. Ne pensano questo, ne ipotizzano quell’altro e parlano parlano. Beatitudine ne “fanno vedere” pochina pochina. Un fatto è la carne un fatto è la parola.
Riguardo ai resoconti sullo stupendo convegno di Assisi puoi rivolgerti a due alte assise: all’inviato Dhr o al là presente Jf. Noi pubblicheremo di conseguenza.
2 Novembre 2011 alle 6:22 pm
Eh sì, questa è un’obiezione non da poco. C’è anche il grande rischio che dalla comunità si passi al “club privè”, o peggio all’Opus Dei.
Ma se davvero nel cristianesimo non ci fosse il “già” ma solo il “non ancora” esso sarebbe mera proiezione o ideologia. Il marxismo non è stato in fondo questo? Nel cristianesimo esiste una profondità spirituale percepita nell’oggi – nell’adesso- anche se naturalmente è diversa da Zazen
2 Novembre 2011 alle 6:36 pm
Sì, sì, il marxismo, la profondità, va bene, ma la beatitudine? Chemmidici della beatitudine? O c’è, è vivente e viva o… non ancora non ancora…
2 Novembre 2011 alle 11:54 pm
Certo, senza il “già adesso” il non ancora viene svuotato di significato, o diventa il rifugio della frustrazione dell’oggi. La beatitudine deve essere vivente e viva; solo così si può aprire alla speranza
3 Novembre 2011 alle 12:28 am
Beato chi chi crede… papparapappà
Noi no non ci crediamo… papparapappà
Noi nemanco ci pensiamo… papparapappà
Piru-piru-piru-lì!
i-i o-o u-u…
3 Novembre 2011 alle 11:07 am
@14: estabòn!
@13: quello che dici è la dimostrazione di ciò che ho detto: “La beatitudine deve essere vivente e viva; solo così si può aprire alla speranza”, con tutto il rispetto, una volta che “hai” la beatitudine, chettenimporta della speranza?
Il fatto è più semplice, a parole. Per esserci lei non ci puoi essere tu, perciò o è non ancora o è già stata. “Già adesso” mai, con le dovute eccezioni. Ma questa è un’altra storia.
3 Novembre 2011 alle 12:05 pm
>perciò [la beatitudine] o è non ancora o è già stata.
Ella mi sta citando Giacomo Leopardi.
oppure la morte secondo gli Stoici.
3 Novembre 2011 alle 12:14 pm
Li citerebbi se li conobbi, ma quando era l’ora di conoscerli avevo altre cose 😳 da fare…
3 Novembre 2011 alle 12:27 pm
@15 non sono d’accordo. E’ quando inizi ad essere libero che puoi iniziare a sperare veramente, in modo non inquinato dall’egoismo. Tanto meno speri per te, tanto più puoi permetterti di sperare per tutti. Parlo della speranza che vi sia qualcosa che ti superi e che possa arrivare dove tu non puoi arrivare, portando un significato anche laddove esso sembra umanamente impossibile da trovare. In ciò non vi è nulla di dimostrabile razionalmente, ovvio, sennò non sarebbe speranza.
3 Novembre 2011 alle 12:32 pm
Di nuovo cvd, cfr. @ 7: “dubito molto che con “beatitudine”, “regno dei cieli” ecc. si indichi molto più di una sensazione, un sentire o un sentimento”.
3 Novembre 2011 alle 2:48 pm
Non è solo questo. Cioè, almeno spero…:-)
3 Novembre 2011 alle 5:07 pm
il “discernimento” dei Padri – Gregorio di Nissa incluso – consisteva appunto nel cogliere i segni dello “spirito” attraverso i moti del “sentimento”.
conclusione: la beatitudine è “incomprensibile”.
e la storia l’è bela, e fa piasì cuntela: vötu chi ‘t la cunta?
sè!
e la storia l’è bela…
3 Novembre 2011 alle 5:13 pm
… l’è bela, bast’avere l’umbrela, l’umbrela.
Il discernimento dei padri ricade sempre sui figli, porcoggiuda!
3 Novembre 2011 alle 6:44 pm
in realtà era una velata apologia a Mussolini: quando si affaccia dal balcone di piazza Venezia, tu discerni mento
3 Novembre 2011 alle 6:49 pm
In senso teologico si potrebbe dire che col tuo eloquio sei “tutto per tutti”.
Parlando un po’ più terra terra direi che sei un… che sei una…
Come si dice “puttana” in questi casi?
3 Novembre 2011 alle 7:03 pm
si dice Raimon…do Vianello, nei suoi irresistibili sketch in cui si travestiva da donna
3 Novembre 2011 alle 7:12 pm
Vianello? Con le cappa? Vestito da donna? Se ti sente la Milizia della Capitaneria di Porto… a ‘tses ruvinà!
3 Novembre 2011 alle 10:42 pm
perché rinunciare a un aspetto della realtà? Olismo, Olismo, caro mio, e anche un po’ di Stanlismo.
in caso la Milizia aprisse il fuoco, mi difenderò a colpi di Judo Fengshui…
4 Novembre 2011 alle 5:43 pm
La via nel morbido di vento e acqua… La Milizia sarebbe panata.