Sab, 5 Mag 2007
E’ uscito il libro che diede occasione di compilare le schede che trovate nella pagina Cinema buddista. Di seguito ne trovate due brevi recensioni.
Paolo Colombo, Mauricio Y. Marassi, Giulio Martini, Luciano Mazzocchi
Editore: Centro Ambrosiano
Collana: Immagini e Religioni
Dati: 163 pagine; copertina morbida; Tascabile
Prezzo: 12,00 €
Cinema e Buddismo
Di Alessandro Izzi, da Close Up:
Cinema e buddismo è il primo dei tre volumi che il Centro ambrosiano intende dedicare alle tre principali ‘religioni’ mondiali e al loro, difficile, controverso rapporto con il Cinema. I prossimi due saranno Cinema ed ebraismo (previsto per la fine di quest’anno) e Cinema e Islam (previsto, invece, per il 2008).
Già il fatto che gli studi siano promossi e successivamente pubblicati presso i tipi di questa importante realtà editoriale cattolica la dice lunga sulla dimensione occidentale, anzi cristianocentrica di tutto il discorso e, confessiamo, di aver cominciato a leggere il volume con una certa prevenzione che sembrava in parte confermata dalle primissime pagine (l’introduzione ad opera di Monsignor Roberto Busti, il primo saggio firmato da Paolo Colombo).
Il cattolicesimo, infatti, quando cerca di porsi in contatto con altre realtà (siano esse laiche o religiose), non riesce quasi mai a sottrarsi alla sua vocazione ‘esclusivista’. Poiché la verità di cui si considera depositario è ritenuta assoluta ed incontrovertibile (essa resta pur sempre l’ultima parola di Dio) non può esserci mai spazio (pena l’eresia) per una qualsiasi forma di messa in discussione.
Detta in altre parole, se la Verità del Cattolico deve per forza di cose essere l’Unica e Sola rivelazione di Dio, le verità professate nelle altre religioni devono essere, se non sbagliate, perlomeno parziali. Non ci vuole poi molto a rendersi conto di come, da queste basi, molto difficilmente possa sortire una qualsiasi forma di dialogo ed ascolto reali. E del resto bruciano ancora le incomprensioni scaturite, pochi anni fa, dall’uscita di un libro come Varcare le soglie della Speranza, firmato da Sua Santità Govanni Paolo II e fonte di una polemica, poco pubblicizzata dai media, con Sua Santità il Dalai Lama. Tutte le prime pagine del volume diventano, quindi, l’espressione di una difficoltà a tratti imbarazzante per il cattolico che si rapporta con una realtà e con un messaggio così profondamente diverso come quello buddista. Lo sforzo di relazionarsi con l’altro senza rinnegare le proprie radici religiose, per quanto grande e sincero esso sia, sembra sempre destinato al fallimento.
Perplessità e riserve si sciolgono, però, non appena si passano le prime pagine più generiche e si entra nel vivo del discorso.
Il secondo saggio dell’agile volumetto (a firma di Luciano Mazzocchi) si concentra, infatti sui reciproci arricchimenti che potrebbero scaturire da un dialogo serio e sincero tra gli esponenti delle due diverse religioni. Quelle dello scrittore non sembrano mai le parole di un intellettuale che studia in astratto, sui libri, temi e problemi che in fondo non lo riguardano davvero. Al contrario è percepibile, man mano che si avanza nella troppo breve lettura, come ogni pensiero sia il risultato di una diretta esperienza, sul campo, di un dialogo che si cerca di costruire giorno per giorno a stretto contatto con gli ’altri’. Ed è per questo che le sue parole hanno un sapore di piana verità che illumina e fa riflettere. La sua penna trova una significativa fusione tra un ’pensare’ occidentale ed analitico ed un ’sentire’ orientale ed epifanico che alle volte libera pensieri potenti (‘Nel movimento dell’onda che si eleva possiamo raffigurare l’esperienza conoscitiva dell’uomo occidentale, mentre nell’onda che rientra e si scioglie, quella dell’uomo orientale’) [1]
Introdurci più direttamente al tema del cinema è compito del terzo saggio ad opera di Mauricio Yushin Marassi che mette sul tavolo del discorso tutte le difficoltà insite nel tentativo di trasporre in immagine Verità salvifiche come quelle buddiste. Di fatto, scorrendo le sue pagine, ci si accorge di come non esista davvero un cinema buddista (come del resto è molto difficile identificare un cinema autenticamente cattolico) poiché ogni volta l’ineffabilità dello spirito resta fuori del visibile e la maggior parte dei film si riducono a storielle esemplificative che ben poco hanno a che spartire con la Verità. In generale, comunque, lo sguardo del saggista è troppo religioso e poco cinematografico. L’autore ci parla, infatti, di film, più raramente di Cinema.
Problema inverso riguarda invece l’ultimo pregnante saggio di Giulio Martini che si addentra storicamente sulla ‘penetrazione’ del pensiero buddista nel cinema. Il discorso, affascinante ed avvincente, muove, però, su una visione, storicamente curata, ma, forse, un po’ troppo riduttiva del pensiero buddista (colto nella sua accezione più filosofica e, apparentemente, più arida). Al di là di questo, il saggio, nel suo colmare una lacuna nel vasto panorama degli studi di cinema, resta lettura imprescindibile per chiunque da oggi in poi decida di accostarsi al tema.
[1] Citazione a pag 35 del volume
Di Dario Rivarossa, dalla rivista Una città per il dialogo del Centro ecumenico di Perugia:
Luce in sala!
Il buddismo sul grande schermo
“Hai letto qualcosa su Buddha?”
“No, però ho visto il film”.
Se la classica frase “No, però ho visto il film” è già fuorviante di per sé, a maggior ragione lo è nel caso del buddismo. Per rendersene conto basta scorrere il volume, pubblicato di recente dal Centro Ambrosiano di Milano, “Cinema e buddismo”. Il volume inaugura una collana dedicata al rapporto tra alcune grandi religioni e il grande schermo; i testi successivi riguarderanno l’ebraismo e l’islam.
Ora, se ci si mette ad affrontare il modo in cui il cinema ha rappresentato l’esperienza del principe Shakyamuni e dei suoi seguaci, ci si imbatte in una serie di problematiche dal raggio sempre più ampio. Ognuna di queste problematiche origina un capitolo del libro.
Tanto per cominciare, il cinema è un prodotto occidentale, perciò interrogarsi sul rapporto tra esso e il buddismo significa anche chiedersi in che modo il linguaggio audio-visivo elaborato in Occidente è in grado, o meno, di trasmettere contenuti appartenenti a un mondo molto diverso. Più in generale, entra in ballo il tema dei possibili rapporti tra cultura occidentale e cultura orientale, che sono state le due “culle” in cui hanno preso forma rispettivamente il cristianesimo e il buddismo, almeno nei loro volti più noti. Quindi, il discorso si allarga al dialogo tra le due religioni, con la ulteriore complicazione che il buddismo… anzi, i buddismi perlopiù non rientrano facilmente nel nostro concetto di “religione”. Solo a questo punto ha senso fare una carrellata su come il buddismo sia stato presentato al cinema negli ultimi 100 anni.
Con questa premessa, diventa lineare l’indice del volume “Cinema e buddismo”, suddiviso nei quattro seguenti capitoli:
“Cristianesimo e buddismo, ipotesi di dialogo” del teologo Paolo Colombo, direttore del Centro ecumenico europeo per la pace;
“Il dialogo tra cristianesimo e buddismo. I reciproci arricchimenti” di padre Luciano Mazzocchi, missionario saveriano nonché uno dei massimi esperti italiani di lingua e cultura giapponese;
“La comunicazione mediale nel buddismo” di Mauricio Yushin Marassi, testimone dello Zen e docente all’Università di Urbino;
“Il cinema ‘buddista’ in Occidente” di Giulio Martini, caposervizio Cultura alla Rai; è presidente di Csc – Ikon Team, il gruppo di lavoro che ha organizzato il convegno da cui nasce il libro.
Da ognuno dei quattro contributi, scegliamo una citazione emblematica che in qualche modo sintetizzi le chiavi di lettura che vengono suggerite.
PAOLO COLOMBO
“Per molto tempo ci si è preoccupati di discutere a proposito della superiorità di una religione rispetto alle altre. Forse sarebbe meglio spostare l’obiettivo del discorso, insistendo piuttosto sull’inferiorità di tutte le religioni rispetto all’assolutezza di Dio” (pag. 21).
LUCIANO MAZZOCCHI
“Più volte il monaco Watanabe Koho, già abate del monastero di Antaiji in Giappone, mi ha confidato la sua convinzione che oggi il Vangelo cristiano può salvare il buddismo dalla tentazione del narcisismo. Il sottoscritto da parte sua è altrettanto convinto che lo zazen, la pratica del silenzio trasmessa nel buddismo, può salvare il cristianesimo dalla tentazione del dogmatismo e del fondamentalismo” (pag. 39).
MAURICIO Y. MARASSI
“Quelle statue – e più tardi i dipinti che raffiguravano per lo più una persona seduta a gambe incrociate – non erano ritratti del signor Shakyamuni, erano un tentativo di rappresentare / simboleggiare la realtà della via della salvezza con fattezze umane. Quel tipo di arte è quindi un esempio di linguaggio intenzionale: ciò che è raffigurato non è il vero soggetto, che resta sì evocato ma va percepito senza immaginarlo, senza costruirne un’immagine privata. Che sarebbe un idolo” (pagg. 52-53).
GIULIO MARTINI
“Sono stati oltre cento i film trovati e analizzabili per raccontare la storia e la sorte del buddismo visto nei film che ne parlano, e prodotti o giunti in Occidente… Si va dalla semplice battuta allusiva, dalla banale visione, magari sullo sfondo, di una statuetta del Buddha (già in Meliès) fino all’accettazione del discorso, alla presenza di monaci e templi” (pag. 86).
E leggi leggi, alla fine si scopre che interrogarsi sul cinema buddista significa rimettere in gioco la nostra intera percezione della “realtà”. Già, ma che cos’è la realtà? Ciak, azione!
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