Mar, 24 Apr 2007
Sul nuovo numero de La Stella del Mattino, la rivista trimestrale della Comunità, è stata pubblicata la traduzione di un intervista a Watanabe Koho roshi. Watanabe roshi è stato abate di Antaiji
nel periodo in cui il monastero rinunciò alla comodità ed allo stress di una vita di città per trasferirsi tra le montagne. Il monastero venne ricostruito in un luogo così impervio da essere irraggiungibile per molti mesi all’anno a causa delle tempeste di neve, che praticamente ne sigillano l’ingresso per lunghi periodi. L’idea di trasferirsi, la scelta del luogo, la realizzazione di questo progetto furono innovazioni introdotte dal roshi e per le quali è, ancora oggi, criticato dall’establishment della chiesa buddista zen giapponese.
Gli undici anni in cui Watanabe roshi ed il gruppo da lui diretto vissero su quelle montagne sono stati un periodo unico, forse irripetibile, di tutta la storia del buddismo zen. Si sono poste le basi per una possibilità religiosa per il mondo dell’era della modernità.
A seguire un brano dell’intervista che riprende un argomento trattato ultimamente su queste pagine: la pratica ed il rapporto con gli altri.
D: C’è una differenza se la ricerca interiore viene fatta da soli o in gruppo?
R: La ricerca interiore non è mai disgiunta dall’altro, è sì un percorso individuale ma implica sempre gli altri. Nella tradizione shintoista, ad esempio, si fa una volta all’anno un pellegrinaggio in ottantotto luoghi diversi; di questo pellegrinaggio si dice che si fa da soli, ma contemporaneamente in due. L’individualismo è un prodotto tipico della società occidentale: se interpreto in quest’ottica la frase di S. Paolo che dice “io sono libero da tutti”, sarò portato a pensare che sia un invito all’individualismo. Nel buddhismo, invece, l’obiettivo è di liberarsi anche da quest’io, per ritrovare un unione con il tutto. Personalmente non invito ad affidarsi a qualcun altro o a farne del tutto a meno, si tratta invece di capire che cosa uno vuole imparare dalla vita e da lì cercare le persone e le cose che possono aiutarci a raggiungere l’obiettivo. Non è questione di guidare né di essere guidati, nel buddhismo non c’è né maestro e né discepolo, ma si tratta di pensare insieme, anche se è molto comodo lasciare che sia qualcun altro a indicare la via.
Leggi l’intera intervista
(Qui alcune immagini di Antaiji)
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