Mer, 4 Apr 2007
Alcuni per rammentare il passaggio del Mar Rosso, altri la resurrezione di Cristo, altri ancora perché usa così… molti sono coloro che ogni anno festeggiano la domenica che segue il primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera nutrendosi delle carni prodotte dall’uccisione di centinaia di migliaia di agnelli.
Dubito che questi consumatori di carni appartenenti ad animali appena nati (nella tradizione romana l’abbacchio non deve avere più di 20 giorni), abbiano mai visto un macello, un mattatoio o anche solo l’uccisione di un agnello, di un capretto. Non sarebbe sciocco vedere per sapere. Rendersi conto delle conseguenze, anche di sofferenza, dovute alle nostre scelte alimentari non può che affinare le motivazioni legate a tali scelte. Chi produce, immette sofferenza nel mondo -ovvero in un sistema interconnesso- si assume una grave responsabilità. Da altri punti di vista, abbiamo già preso in considerazione il problema con un post e nell’introduzione ad un recente libro.
PS: la seconda immagine di questo post è ripresa da Protonutrizione, un blog che si sta occupando del tema e ha già ricevuto decine di interventi, anche molto diversi tra loro: un’ottima occasione per riflettere. Però questa volta tutto è iniziato qui.
15 Commenti a “Buona Pasqua”
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6 Aprile 2007 alle 5:25 pm
Grazie per l’articolo. L’atto di uccidere un qualsiasi animale non può lasciarci indifferenti; molti mangiano la carne, ma pochissimi hanno visto uccidere un animale: è atroce! Non si può fare a meno di specchiarsi in quegli occhi.
Buona Pasqua
7 Aprile 2007 alle 3:07 pm
[…] Condividendo la posizione espressa da «La Stella del Mattino» aderiamo volentieri alla campagna «Lasciami vivere» lanciata da Gattivity e Species invitando la blogosfera a fare un post contenente il banner realizzato da Veganitalia… […]
15 Aprile 2007 alle 11:24 am
Caro Mauricio, hai fatto una buona Pasqua? Mi immagino la danza di colori delle colline marchigiane!
Sono stato occupato in questi giorni […]
Hai chiesto il mio parere sull’olocausto degli agnelli pasquali. Anzitutto mi domando quanti agnelli debbano nascere ogni anno soprattutto per l’iid el kebir, la grande festa del sacrificio, che i musulmani celebrano un mese circa dopo il Ramadan. (Nel mondo cristiano l’agnello pasquale è molto ridotto al confronto).
Gesù ha celebrato l’ultima cena col pane e col vino, e lo fece non assecondando l’usanza registrata e prescritta dall’Esodo e dal Deuteronomio biblico. Il Vangelo non è certamente caratterizzato dal sacrificio degli animali; anzi presenta il sacrificio volontario di Gesù come perfetto una volta per sempre. Quindi l’agnello pasquale senz’altro è da un richiamo ebraico e rende opaca la novità della cena pasquale di Gesù proiettata tutta sulla morte e vita di cui si compone l’esistenza umana.
Tuttavia io so per esperienza (quando facevo le elementari anche mio padre teneva un gregge di un centinaio di pecore che pascolavano lungo il fiume Taro) che quella metà di agnelli nati maschi durante l’inverno, ben presto ad alcuni mesi di vita percependo l’energia sessuale cominciano a darsi cornate senza pietà. Ricordo una volta che impietosito tentavo di separarli e allora ambedue i contendenti si sono messi a dare cornate al sottoscritto. La natura non permette che a pochi agnelli maschi di crescere nella normalità. Se l’uomo o gli animali rapaci non intervengono, si creano l’equilibrio fra di loro e letteralmente si abbattono l’un l’altro. Io credo che l’uomo abbia cominciato a nutrirsi di carne vedendo quello che facevano gli animali.
Io mi chiedo che significhi il fatto che senza la legge predatori – prede non ci sarebbe l’equilibrio della vita. Alcuni ritengono che però l’essere umano, dotato di riflessione, debba prendere le distanze da questa legge del mondo dei viventi. Io li rispetto, mentre da parte mia scelgo di mangiare la carne in media una volta la settimana (ma non è che ne ho fatto una norma). Ricordo mio padre, allevatore e contadino, come trattava gli animali come membra della sua famiglia. Eppure il sabato un abitante dell’aia veniva sacrificato. Mio padre mangiava le zampe della gallina, perché non voleva che si buttasse via niente. Certamente il guardare negli occhi la gallina mentre le si tira il collo è un dovere naturale e religioso. Il sapere che la mia vita mi è nutrita dalla vita sacrificata degli altri esseri viventi mi insegna molto e anche mi commuove. So che deve essere anche della zanzara a cui indispettito dò la manata fatale.
Mauricio, auguri e arrivederci.
15 Aprile 2007 alle 7:19 pm
Sono appena rientrato dal sesshin, dopo una discussione animata su questo tema.
Il consumo della carne ci fa riflettere sulle diverse sensibilità individuali, siamo fatti soprattutto di esperienze, io non riesco a vedere un film dove si picchia una donna, probabilmente perché ho assistito in casa a scene di questo tipo e ad averle subite.
Spesso, non sempre, ho una reazione analoga di fronte alla carne: forse perché ho vissuto in campagna dagli zii e ho potuto assistere all’uccisione di animali, non posso fare a meno di immedesimarmi. Ho riflettuto a lungo se questo non fosse frutto di un’idea di me stesso da difendere e a dire la verità non sono ancora giunto a una risposta definitiva, comunque spesso la vita non ti da il tempo di capire, si deve agire e chiarire come nel caso della discussione che abbiamo avuto in comunità. Bene, sono giunto al punto che chiederò al responsabile della comunità se quest’ultima continuerà, durante i sesshin, i ritiri, a consumare carne; dopo di che deciderò se continuare quest’esperienza danzando sul filo di un rasoio. Oppure, data la mia sensazione di “disagio” decidere molto dolorosamente di interrompere questa esperienza.
Con Padre Luciano, che stimo e saluto, abbiamo già discusso di questo e anche nei confronti della religione cristiana il fatto di avere essa il simbolo della passione e crocifissione di Gesù (e della sua resurrezione, in verità) ha creato a me non poche difficoltà. L’uccisione di un animale penso sia accettabile solo in caso di necessità. Comunque la storiella del buon predatore e un po’ ridicola; la necessità di uccidere gli animali per chissà quale equilibrio non è plausibile se il 99% della carne che si mangia viene dagli allevamenti, smettiamo di allevarla.
Grazie dell’opportunità
17 Aprile 2007 alle 10:37 am
E se l’ umanità avesse un meccanismo, in sé, di autoregolamentazione? Se in quelle situazioni dove la popolazione raggiunge un certo grado di benessere scattasse come una sorta di meccanismo in modo che alcuni individui di quella popolazione cominciassero ad essere insofferenti a delle abitudini acquisite, ma che sentono superate? non è il piantare i cavoli tra gli igloo, Con la mente spesso cerchiamo una risposta esauriente, ma non c’è. Nell’Italia contadina si uccidevano gli animali, e si insegnava da bambini e si faceva assistere all’uccisione degli animali (anche al sottoscritto), ed era giusto: si sacrificava un essere considerato inferiore per la sopravvivenza dell’ uomo. Ora non è più così e qualcosa nell’ animo c’è lo dice, non è più in discussione la sopravvivenza dell’ uomo al punto da dover uccidere, tenendo presente che a quel tempo si uccideva si, ma la carne non era consumata così spesso come oggi. L’assistere o attuare l’uccisione ci faceva sentire anche la compassione per quell’ essere che doveva essere vinta, si doveva vivere. Ecco perché c’era più rispetto per la vita perché era una sorta di coinvolgimento totale emotivo e istintuale.
Ora di carne se ne mangia molta e già pronta confezionata al supermercato emotivamente asettica.
Ciao,
Silvano
22 Aprile 2007 alle 8:47 am
Raccolgo la sfida di P. Luciano, la natura ci mette alla prova, ci chiama a fare il nostro ruolo, mette alla prova le nostre convinzioni più profonde e le nostre presunte etiche-tte da supermercato. Attenzione Luciano però, perchè il discorso ci può portare su un terreno minato e vorrei un tuo commento su “il dovere del medico” di Pirandello.
sc
28 Aprile 2007 alle 9:54 am
Assieme agli amici vegetariani ho discusso spesso se sia giusto mangiar carne o no. Io, ammetto, non sono un vorace carnivoro, perchè nella mia famiglia si mangiava carne quasi sempre, sia a pranzo che a cena. Perciò ho sviluppato in me un senso di sazietà ad essa; nonostante ciò non riesco a trattenermi davanti alla carne di maiale. Golosità? Certamente. Nonostante ciò, sono convinto che l’umanità, nei secoli, abbia sviluppato un modo di cibarsi conforme sia all’ambiente circostante che alla quantità di lavoro da svolgere; è un fatto: senza la carne, moltissime popolazioni umane si sarebbero estinte. Ma è un fatto altrettanto assodato che, soprattutto nell’antichità, l’animale sacrificato era rispettato come un dio, perchè donava vita. L’esempio più ecclatante che possiamo adottare è quello dei bisonti delle praterie americane che venivano usati dalle popolazioni autoctone per tutto: dal cibo, alle scarpe, alle tende. ai vestiti ecc. Moltissimi capi venivano abbattuti ogni anno; ma, per millenni, i bisonti non si sono estinti, anzi, a quanto pare, aumentavano. E’ bastato qualche anno di caccia “non sacrale” e questi si sono praticamente estinti.
Oggi, nel Villaggio Globale, con la produzione “in batteria” di carne da consumare voracemente, tra una telefonata e l’altra, mi sembra giustissimo che molte persone preferiscano cercare un modo di cibarsi che eviti questa mattanza. Quello che vorrei, però, e che i vegetariani abbiano quella tranquillità interiore di non trasformare la propria scelta in un gesto eroico per salvare gli animali da macello o l’umanità dalla barbarie; riconoscendo, semplicemente, che la maggior parte dell’umanità oggi non ha la possibilità di scegliere di cosa cibarsi e neanche la certezza che si ciberà di qualcosa durante la giornata. Questo vale per tutte le nostre scelte, non incensiamole troppo, acquisiamone consapevolezza e non meriti.
28 Aprile 2007 alle 11:46 am
Su blogsfere (gia’ ampiamente “gemellato” con il nostro sito) prosegue parallelamente un dibattito su questo stesso tema, vi segnalo un paio di link interessanti:
Animale e uomo e
Il parere dell’esperto
28 Aprile 2007 alle 7:11 pm
Sono d’accordo con Pietro di non fare guerre sante, ma chiediamoci come mai gli esperti ci consigliano il consumo della carne rossa non più di una o due volte al mese e il pollo una o due volte la settimana. Pietro abita a Verona come me ha visto i numerosi capannoni di allevamento dei polli sulle nostre colline, e la grande azienda nota in tutta Italia sotto casa. Mi chiedo se il consumo della carne non sia un business. Allora, giustamente, a parte i vegetariani, qual’è il nostro reale bisogno?
30 Aprile 2007 alle 11:33 pm
Non sono un nutrizionista, ne un dottore. Da quando è nata mia figlia (10 mesi orsono) ho capito però che ogni “luminare” ha la sua tesi personale riguardo l’alimentazione. Io mi rivolgo, per fiducia, ad un medico che ha approfondito la sua conoscenza della medicina “ufficiale” con molti altri aspetti del corpo umano che vengono genericamente chiamati “psico-somatici”. Ma, devo dire la verità, non gli ho mai domandato nulla sulla carne.
La carne è un business, certamente. Proprio nel numero di “Internazionale” di questa settimana c’è un articolo di Le Monde che s’intitola “L’argentina in vendita”: il 10% del territorio (un superficie grande come l’Italia) è in mano alle multinazionali della carne, il resto è stato venduto a poco prezzo, nel momento della crisi economica, a famiglie ricche argentine che non rispettano l’antica tradizione dell’ “estancias” perchè abitano in città oppure all’estero.
Anche il biologico ha il suo bel giro di soldoni, seppur in tono minore rispetto alle multinazionali (hai mai fatto un giro al “Natura Sì”?). La dieta macrobiotica, per esempio, impone un import sempre maggiore di cibi di origine orientale che in Europa non sono disponibili in natura. Ultimamente anche il “The economist” britannico ha tentato di fare contro informazione scorretta ai danni delle reti di distribuzione biologiche ed equo e solidali, scrivendo un articolo delirante ma che ben mostra quanto, oggi, la ricerca di un cibo più sano e più giusto eticamente stia facendo tremare i polsi a diverse imprese influenti.
L’unica via più semplice per risparmiare, ed uscire il più possibili dal giro dei megastores sono i GAS (Gruppi d’Acquisto Solidali http://www.retegas.org): gruppi di famiglie che comprano dai piccoli produttori della zona. In questo modo: evitano la grande distribuzione, scelgono il produttore che effettivamente usa tecniche agricole salutari, controllano che il personale non sia sfruttato, riducono l’inquinamento e la circolazione dei maledetti TIR, costituiscono una rete vasta di amicizia e scambi d’idee. Anche questo è un piccolo passo, non illudiamoci però che i supermercati spariscano in un batter d’occhio. Io stesso, pur facendo parte di un GAS, devo recarmi nei supermercati a fare la spesa per tutti gli alimenti che il Gruppo d’Acquisto non fornisce.
Pietro
1 Maggio 2007 alle 6:20 pm
Ringrazio Pietro per la notizia dell’esistenza dei GAS. Ho visitato il sito http://www.retegas.org se ne trovano sparsi in tutta Italia, andrò sicuramente a vedere come funziona e lo consiglierò a chi conosco.
Grazie ancora, Ciao
1 Maggio 2007 alle 11:59 pm
Date un’occhiata per i gruppi d’acquisto anche a http://www.mondobiologicoitaliano.it
Ciao,
Al
2 Maggio 2007 alle 12:09 pm
[…] Nei commenti ad un post pubblicato nel periodo di Pasqua, si sta sviluppando un dialogo attraverso il quale sta emergendo anche un diverso modo di rapportarsi ai cibi in quanto merci. Per questo vi invitiamo, se condividete, a votare quel post ora in evidenza qui, un sito di segnalazione dei post più interessanti […]
3 Maggio 2007 alle 10:08 am
Nella discussione “carne sì-carne no” ho trovato, finalmente, un punto di vista interessante pubblicato da un carnivoro. E’ pubblicato qui
3 Maggio 2007 alle 9:52 pm
La discussione non ha fine, spero comunque che tutto serva a mangiare meno carne e più coscientemente, evitando di produrre sofferenza. Può essere un piacere mangiarla, ma spero che col tempo si insinui il sospetto che il più delle volte se ne può fare a meno.
Ciao