Mer, 8 Dic 2010
Porgiamo all’attenzione del dotto pubblico un articolo (La Repubblica, 4 dic. 2010, p. 18) a firma Benedetta Tobagi che ci pare interessante. Ma non interessante e basta. Il desiderio, sino a prova contraria, in tutte le culture orientali (induista, buddista, jaina, confuciana, daoista) è considerato molto vicino a ciò che noi consideriamo “peccato”, non tanto nel suo sorgere perché -si sa- siamo tutti di carne, ma nel suo svilupparsi davanti ai nostri occhi (quelli della coscienza intendo), prendere forma, identificare la preda, congeniare tutti i sotterfugi affinché la cattura possa avvenire
e … poi ancora e ancora, senza fine. Senza limite di quantità, di tempo, niente.
Secondo quelle culture, religioni nulla è più vicino ad essere la causa prima di tutti i nostri guai di quanto lo sia nutrire e lasciar sviluppare il desiderio. Nell’articolo invece, con aria di nulla, in modo convincente, circostanziato si sostiene che solo il desiderio può salvare questa Italia sospesa nel vuoto, pietrificata nel cinismo, esausta, smarrita, sfibrata. Il desiderio come nuovo umanesimo italiano? Possibile? Non vi è nulla di meglio da proporre?
“Rilanciare il desiderio”: non è la ricetta di un manuale per coppie in crisi, ma l’invito conclusivo della serissima relazione del Censis, fotografia di un’ Italia che ha retto ai colpi della crisi economica, ma appare esausta, smarrita, sfibrata. Contro “il deserto che cresce” dentro e fuori dagli italiani,
scrive il sociologo De Rita, “tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica della società”. La relazione si serve di concetti psicanalitici nel tentativo di muovere oltre le previsioni di breve periodo, in cerca di una diagnosi di quello che emerge come il dato dominante: un malessere profondo. In una società sempre più orizzontale e “indistinta”, l’ invito è tornare a guardare dentro di noi: ogni vero cambiamento dovrà necessariamente partire dall’ interno delle coscienze. Fenomeni molto diversi tra loro, (dalle violenze sempre più gratuite e insensate, ai fenomeni di bullismo, dall’ anoressia alle droghe alla ricerca di rischi estremi, come il balconing), vengono collegati in una quadro più ampio, in cui centrale è proprio l’ indebolirsi del desiderio, in favore di una scomposta “onda di pulsioni sregolate”. Se il desiderio è in crisi, si argomenta, è anche per il parallelo deteriorarsi della legge, il principio normativo, esterno e interno, con cui esso deve lottare e “negoziare” per affermarsi. Crisi della legge ben visibile nella perdita di prestigio delle auctoritas tradizionali. La maturazione del desiderio – e l’ impegno per cercare di realizzarlo – non è il soddisfacimento immediato di un bisogno. Serve tempo per maturare desideri autentici, gli unici in grado di alimentare un progetto che riempia di senso la vita. Come insegnava il filosofo Spinoza, il desiderio ( cupiditas) è la passione fondamentale che proietta gli uomini nel futuro, passa attraverso le resistenze, fa i conti coi limiti imposti dalla realtà, rinuncia ai deliri d’ onnipotenza come ai buchi neri delle dipendenze da oggetti, droghe, denaro, sesso. Per questo a partire dalla riscoperta del desiderio possiamo finalmente abitare un orizzonte progettuale, dentro una trama coerente di azioni che rende sopportabili anche gli ostacoli, in vista dello scopo: una narrazione, insomma, secondo il modulo più classico della saga, il “viaggio dell’ eroe”. E quanto sia profonda la fame di una simile dimensione “narrativa”, mi pare lo confermino il successo del messaggio politico del “poeta” Nichi Vendola, come pure il successo dei racconti di Roberto Saviano, che ha catturato milioni di telespettatori con le sue storie, ma anche la scelta degli studenti in protesta di mascherarsi da uomini-libro: la letteratura, come in Fahreneit 451, offre strumenti per immaginare altri mondi possibili, e scoprire desideri profondi da cui muovere verso il cambiamento. Che ci sia “bisogno di desiderio” lo mostrano da settimane tutti coloro – e sono soprattutto ragazzi e giovani adulti – che protestano chiedendo che non gli venga rubato il futuro. Non chiedono garanzie o privilegi, ma un orizzonte normativo e programmatico in cui sia possibile provare a giocare la propria partita, a prescindere dal censo, dalle appartenenze, dal sesso. Con forte senso di realtà: chi protesta nelle strade non vuole più “tutto e subito”, ma la possibilità di studiare in un ambiente serio e competitivo; di accendere un mutuo in cui impegnarsi per decenni; di ingaggiare progetti di lungo periodo: dal matrimonio alla ricerca, alla creazione di un’ attività imprenditoriale, artistica o intellettuale, a un figlio. Il riaffacciarsi del “desiderio” dunque, si intreccia profondamente alla domanda di restituire centralità e prestigio alla dimensione della norma, della “legge”. Da destra come da sinistra si invoca un ritorno alla legalità come valore centrale. Il governo che sta miseramente crollando è anche la fine di una narrazione – quella del “nuovo miracolo italiano” – che ha venduto modelli di sogni e desideri fittizi, perversamente deformati, inautentici. Ora tutto questo non basta più, nemmeno a destra. Nella tundra del presente congelato dal cinismo fotografato dal Censis, il richiamo alla fiamma del desiderio brilla come il fuoco che cercano di mettere in salvo l’ uomo e il bambino in viaggio nello scenario post-apocalittico del romanzo La strada di Cormac McCarthy. – BENEDETTA TOBAGI
41 Commenti a “Rinfocolare il desiderio”
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8 Dicembre 2010 alle 7:56 pm
…desiderio, figlio dell’ignoranza e padre della sofferenza… Pare sia sempre attuale Kong Fu Zhu: “se le parole non sono al proprio posto.. la città non sa dove poggiare”. Eppure qui si parla proprio di virtù civili, o mi sbaglio? Desiderio… in qualche vecchio taccuino recupero libere risonanze: “de-situs”, lontano da dove si sta, ma anche “de-sidere” lontano dalle stelle. Siamo alle solite. Ragazzi, attenti al vuoto (oops, al lupo)! Desiderate, desiderate pure, ma mi raccomando, desideri “legali”. Mica male come nuova “narrazione”: ecco a voi il desiderio del Natale! Ma non la chiamavano speranza, laggiù in Palestina, tanto tempo fa, quella che faceva il mondo nuovo, quella che ci indicava una Stella… Così, quando ho letto l’articolo la pancia ha protestato: continuiamo così, facciamoci del male.
Grazie mym, per l’ottimo richiamo 😉
8 Dicembre 2010 alle 8:59 pm
Ciao Giorgio, sì ho sobbalzato anch’io anche se -suppongo- se lo si leggesse dopo pranzo, magari un po’ abbottato, la cosa potrebbe passare via liscia, come normale, giusta direi…
8 Dicembre 2010 alle 10:34 pm
Premetto che ritengo il quotidiano “la Repubblica” un immondezzaio dei peggiori. Un giornale che poggia su una architrave massonica, un Giano bifronte che se “mostra” una faccia, un’altra ne nasconde. A priori.
Vale a dire che quello che spaccia è per alimentare il “popolo bue”.
Questo, assieme al Corriere, sono i due principali strumenti della struttura di potere che ha creato quello che finge di contestare. In reltà, quello che si cova è solo un cambio di gestione funzionale ad altri interessi particolari che nulla hanno a che vedere con quanto si vorrebbe far credere anche attraverso articoletti come quello della modestissima Tobagi. E a nulla servono le citazioni dei “tecnici” funzionali, organici, al sistema di potere.
Questo per dire che, gli interessi del sistema di potere non coincidono con il benessere dei popoli. Punto.
In Svizzera, per esempio, dove a decidere sono le libere popolazioni dei Cantoni e non il sistema di potere, l’articoletto ridicolo della Tobagi sarebbe assolutamente fuori dal mondo.
Ergo, l’Italia, così come è, è un artificio.
Non ha senso. E questo con qualsiasi politicante al servizio del sistema di potere.
L’unica inversione possibile è quella postulata dal Prof. Serge Latouche…altro che la carta igienica di repubblica e scribacchini o pennivendoli vari.
9 Dicembre 2010 alle 8:23 am
Capisco – mi pare – il senso dell’articolo: gli italiani sono dei “morti viventi”…
Ora, è vero che a muovere la Storia sono i popoli che “desiderano” (motivati, aggressivi ecc.), ma quello che l’articolista probabilmente ignora è la seconda Nobile Verità: il desiderio ricrea esattamente quel meccanismo negativo che tenta di eliminare…
9 Dicembre 2010 alle 10:35 am
appunto, riprendendo il discorso del buon dhr, nell’Hachi Dai Nin Gaku (l’ho scritto bene ?), si dice proprio all’inizio, “pochi desideri”. Uhm…sono confuso.
9 Dicembre 2010 alle 11:40 am
Salve,
non mi sento di formulare giudizi netti perché ritengo che l’articolo (al di là delle critiche che gli si possono muovere già ad una prima occhiata) fornisca argomenti di riflessione che vanno studiati meglio (almeno per me).
Ad esempio la parte dove si cita Spinoza mi pare che descriva bene la tensione e il dinamismo che il desiderio genera nella vita dell’uomo. E’ qualcosa con cui fare i conti. Una domanda aperta non facilmente eludibile ripetendo a memoria che il desiderio è …
Anche la parte sulla ‘narrazione’ mi suggerisce una riflessione più articolata sul mito (così mi pare) che oggi mi pare piuttosto difficoltosa.
Insomma magari non mi garba molto il taglio politico però visto che l’ha scritto e l’ho letto ci penso un po’ su.
9 Dicembre 2010 alle 11:48 am
Capperi AHR, non dico d’accordo ma… Il tema è molto più complesso di come potrebbe essere colto in superficie. Anche Nello, vecchia volpe della scuola di McLuhan, critica il mezzo e il messaggio lo sfiora… anzi la touche :-)… Ivan Illich and the likes sono benemiriti ma qui non si parla di sola economia, almeno non credo.
9 Dicembre 2010 alle 11:56 am
Ogni tanto cerco di non darti solo ‘spam’
9 Dicembre 2010 alle 12:05 pm
Avevi cominciato così bene… 😉
Ogni desiderio muove l’onda che si frange sulle sponde del samsara. Ma: non si diceva che senza samnsara… paradiso nisba? E poi desiderare una “cosa” o un’altra, fa lo stesso? L’ignavia di chi neppure desidera è più desiderabile (…) delle azioni che poggiano su desideri di bene illimitato?
Possibile che non vi sia una proposta “popolare” diversa dal desiderio per migliorare la vita delle persone?
9 Dicembre 2010 alle 12:47 pm
>Possibile che non vi sia una proposta “popolare” diversa dal desiderio?
Popolare? allora no. Per definizione. (Il popolo è quello che “cresce e si moltiplica”)
9 Dicembre 2010 alle 1:00 pm
Come la muffa…
Insomma: pane, bunga bunga e pedalare. Questo per la maraia è il programma tipo della domenica (intesa come predica)*. Ma noi no, siamo buddisti o caporali? Come popolo, che cosa ci offriamo come popolo (sovrano/soprano)?
*Così, alle generali, niente di personale, ovvìa.
9 Dicembre 2010 alle 1:03 pm
non saprei, sono un primo tenore.
9 Dicembre 2010 alle 2:42 pm
Mi provo a dire che a ben considerare l’uomo ‘appare’ nel momento in cui per la prima volta tocca qualcosa e da quel momento sorge il desiderio di ripetere (se ha gradito) o di non ripetere (se non ha gradito). In età, diciamo, matura non è poi così faticoso capire che molti di quei desideri sono una catena, un po’ come ripartire dal via ogni volta, altri sono impossibili (non mi rif. all’acquistabile con danari), altri sono faticosi ma nel viaggio mi accorgo di altro e quando l’ho raggiunto è solo sabbia che mi sfugge tra le dita della mano. Non so, forse tutte ‘ste robe sono parte di un accadimento meraviglioso e doloroso allo stesso tempo che chiamo vita. Già molto sarebbe imparare a stare in piedi e cercare di non aggiungere dolore a quello che ti appioppano all’inizio del gioc(g)o.
Va be’ vado a riempire le pentole!
9 Dicembre 2010 alle 3:16 pm
Secondo certi calendari l’anno prossimo è l’anno della lepre (o coniglio che dir si voglia), ci sto e cado nella trappola, col rischio di finire in salmì (del resto tutti i salmì finiscono in glorià…). La faccenda è assai complessa ed è bene evitare di banalizzarla con semplificazioni ideologiche. Farei una bella distinzione fra bisogno, desiderio, voglia. Il desiderio è uno dei fattori che distinguono l’uomo dalla bestia, che soddisfa (ci prova) i suoi bisogni ma non desidera. L’animalizzazione dell’umano che la società consumistica configura tende a trasformare i desideri in bisogni, solleticando la voglia. La sete (brama) che il buddismo stigmatizza mi pare più vicina alla voglia che al desiderio. Se Siddharta non avesse desiderato sciogliere il nodo della sofferenza, non avremmo l’opportunità di desiderare di seguire la via che ha indicato e di verificarla. O no? La proposta popolare (nel senso di rivolgibile a tutti) può essere imparare a riconoscere la differenza fra un bisogno (mangiare, bere, dormire) un desiderio (che può essere anche una speranza, uno stimolo di orientamento) una voglia (che domina e trascina). E poi cercare di capire se davvero desidero quello che credo di desiderare. Che cosa desidero davvero, al punto da dedicarci la vita senza rimpianti anche nel caso in cui non “ottengo” quel che desidero, magari perché scopro di desiderare di non ottenere un bel niente? In altre parole, amo anche le rose che non colgo.
9 Dicembre 2010 alle 3:33 pm
A AHR piace questo elemento (14) 🙂
9 Dicembre 2010 alle 5:11 pm
Ci avete un popolo mooolto più intelligente del mio, che si infradicia di grandi fratelli, marie de filippi, san remi, che vota quel che vota, che il 25% (del totale degli italiani, universitari compresi, mica tra moribondi analfabeti) nell’ultimo anno non ha letto neppure un libro, il 33% che non ha mai sentito parlare di Assange…
L’ultima l’ho inventata, ma scommetto che ci azzecco per difetto.
Ci vorrebbe sì un’idea, ma soprattutto uno slogan che la contenga. È il mezzo che fa il messaggio.
PS: sul fatto che l’uomo desidera son praticamente sicuro. Sul che gli animali no, mi terrei la riserva.
9 Dicembre 2010 alle 5:56 pm
Ho scritto, apposta, che la “bestia” non desidera, non l’animale, sul quale mi tengo la riserva anch’io. Suppongo, con ragionevole probabilità di non sbagliarmi di troppo, che il 25% degli italiani non legga più neppure un libro finite le scuole dell’obbligo, altro che nell’ultimo anno. Con gli slogan ci abbiamo provato, a suo tempo (es.gen. Siate realisti, desiderate l’impossibile!) ma non mi pare abbiano avuto gran successo. Se provassimo con: Ama te stesso come ami il tuo prossimo?”
9 Dicembre 2010 alle 6:19 pm
Pericoloso: coi tempi che corrono si rischia l’autolesionismo. Il contrario (ama il prossimo tuo come te stesso) l’han già usato e s’è visto…
Bastone e carota? S’è già provato con paradiso e inferno, abbiamo scelto (quasi) tutti il secondo.
Che abbiano ragione De Rita e la Tobagi?
Proporre di accontentarsi di nulla non avrebbe quel grande successo.
La religione, uno sport per minoranze medio agiate.
9 Dicembre 2010 alle 6:58 pm
Nell’alta (e bassa) Val di Cecina, terra che m’ha adottato da ormai vent’anni, ho appreso un modo di dire che mi sembra ficcante.
Certi anziani così mi rispondevano quando giravo troppo intorno a certe decisioni:
“Ascorta bellino, fa’ come faresti che non puoi sbaglia’ “.
Lo slogan quindi potrebbe essere:
SEGUI LE TUE VOGLIE, FA’ COME FARESTI.
Insomma andiamo fino in fondo e vediamo che succede. O anche no.
9 Dicembre 2010 alle 7:26 pm
“Segui le tue voglie” non funzia. Garantito al limone. Shoyoku, appicchatā in pali, ovvero accontentarsi di poco, farebbe franare l’economia e garantirebbe -a chi volesse prender su tutto il cucuzzaro- piena libertà d’azione.
Tra l’altro in Anguttara N. III 350-2 si trova che Buddha riguardo alla povertà ha detto: “Per chi ha la responsabilità di una casa in questo mondo la povertà è sofferenza, nel mondo la povertà e i debiti sono fonte di pena”.
9 Dicembre 2010 alle 10:43 pm
Ma come si fa a commentare una che non sa cosa sia la destra nè cosa sia sinistra, che non sa in che mondo vive, che non sa cosa lo regge, cosa lo inquina in tutti i sensi, che fa male un compitino per il quale è pagata a farlo. Questa persona, ha in testa una montagna di immondizia e se si dovrebbe parlare seriamente di qualcosa, questo dovrebbe essere l’immondizia che ha in testa questa signora totalmente priva di qualsiasi sensata argomentazione.
Decolonizzare la mente.(S.Latouche).
10 Dicembre 2010 alle 7:41 am
mym 7,
il “mezzo”, in sè, è il vero “messaggio”. Come è fatto, organizzato, con pesi e contrappesi, questo che conferma quello…un immondezzaio, il mezzo. L'”articolo”, non c’è, è un presupposto per confermare il “mezzo” e chi lo possiede.
10 Dicembre 2010 alle 7:50 am
jf 14,
indurre la riflessione sulla immondizia dei media, ha lo stesso valore di quella sul presunto tema dell'”aricolo”. Non è una “banalizzazione”, tutt’altro.
E’ molto più pericolosa quella immondizia di quell’altra.
10 Dicembre 2010 alle 9:25 am
Ciao Nello, ammesso sia tutto come dici (21-22-23) e anche di più, il punto è: sei, siamo in grado di dare un’indicazione comportamentale, etica, popolare (ovvero lasciando per un poco le distinzioni tra tanhā e chanda e kama e raga e metta e karuna…) in questo frangente (Italia sì…) ed oltre?
Oppure ci chiudiamo nei “nostri” bei centri a discettare e promettere ogni dì di salvare dalla sofferenza tutti gli esseri e… fine della storia.
10 Dicembre 2010 alle 9:44 am
Salve Nello,
in 21 dici: “Questa persona, ha in testa una montagna di immondizia”
Non capisco: perché giudichi la persona?
Allora non credo di aver ben compreso perché nel post 102 di ‘Animali!’ di qualche tempo fa scrivevi:
‘Tu mym, ti devi occupare di te, e non di me, delle mie ipotetiche o presunte somiglianze o di chi ci sia nella mia testa, sempre secondo le tue ipotesi e presunzioni, tutte soggettive e che devi rivolgere assolutamente verso nessun’altro che TE STESSO. Grazie.’
Scusa non intendo essere offensivo ma non capisco se è importante valutare il contenuto (immondizie o no) nella testa dell’altro da me.
Un abbraccio a tutti
10 Dicembre 2010 alle 10:01 am
Mi riferivo alla necessità di stare sugli argomenti. 🙂
10 Dicembre 2010 alle 11:13 am
Mi assento (dal mondo web) qualche giorno
Fate i bravi…
Ciao
mym
12 Dicembre 2010 alle 1:08 pm
All’interessante articolo della Tobagi mi permetto di proporre questo articolo della Dominianni come ulteriore contributo alla riflessione sul rapporto tra il desiderio-spinta vitale individuale e la dimensione collettiva.
Mi sembra che il “noi” nel suo aspetto “politico” sia elemento utile alla riflessione sugli elementi di realtà che possono ostacolare o favorire la “liberazione” dell’uomo (e dell’ambiente tutto..), sopratutto se non intesa in senso solamente individuale e astratto.
http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2010/mese/12/articolo/3838/
13 Dicembre 2010 alle 10:19 pm
Per AHR 25,
carissimo, bisogna capire bene di cosa si sta parlando, bisogna che i fattori in gioco siano ben edotti per sviluppare una argomentazione. Tobagi, in questo caso, non è una argomentante neutra, è funzionale a. E in quanto facente funzione di, mi posso permettere di dire quello che ho detto perchè ella è inesistente come se stessa. Si presta ad essere funzione di. Quindi, io, rivolgendomi a lei, dico che la sua funzione/argomentazione è IMMONDIZIA.
O ci è, o ci fa.
O ti sono chiari i fattori in campo, o si parla di aria fritta con la Tobagi.
13 Dicembre 2010 alle 10:31 pm
Per mym 24,
il mio contributo concreto e inerente all’argomentazione in oggetto è molto semplice: NON LEGGETE QUOTIDIANI del genere. E’ lì un ipotetico (ma non troppo) ostacolo sulla via della presa di coscienza di una qualsivoglia problematica.
Quella gente lì, vale a dire le proprietà che stanno dietro la stampa, sono i produttori della problematica, che poi lascino scrivere articoletti/immondizia del genere, è indicativo del grado di perversione di costoro.
In breve, argomentare sulle loro tematiche, equivale ad abboccare all’amo, significa cadere nella loro rete.
Tutta la stampa ideologizzata e cosiddetta “progressista” è una assoluta IMMONDIZIA e va rifiutata.
Leggete la Cronaca di Pizzighettone…
14 Dicembre 2010 alle 7:41 am
Certo…anche l’immondizia, come dice il Ven. Thich Nath Han, può essere trasformata in fiore…questo presuppone la consapevolezza di sapere di cosa si sta trattando, è quindi necessaria una visione molto ampia e capace di vedere che, anche quello di apparentemente buono, spacciato da costoro, è sempre in funzione della loro immondizia. Ovvero, soprattutto, la Repubblica, Corriere (i peggiori in assoluto),ideologizzati vari tra i quali, il peggiore in assoluto è l’Unità, poi a ruota il manifesto. Questo é proprio il peggio in circolazione.
14 Dicembre 2010 alle 7:42 am
IMHO.
14 Dicembre 2010 alle 11:42 am
Ciao benritrovati.
Se Nello scrive IMHO vuol dire che l’acqua può scorrere dal basso in alto… 🙂
Ciao Dario (28), visto, grazie. In questo caso il punto che vorrei sfrucugliare è: noi (io, tu, le migliaia, i milioni) che ci diciamo buddisti (anche senza né dirlo né ammetterlo) come distinguiamo il bene dal male? Siamo in grado di capirlo e spiegarlo almeno a noi stessi? A chi si avvicina al buddismo che cosa possiamo dire a proposito? Nello 30: dire “non leggete” non basta in questo caso, sto parlando dell’elaborazione della scelta, un atto positivo. Poi, meglio non fare elenchi di cattivi (Corriere, Repubblica ecc.), sembra che gli altri, quelli non nell’elenco siano “i bravi”.
15 Dicembre 2010 alle 10:39 pm
Ripeto, citare le argomentazioni, anche apparentemente interessanti, dei media che vanno per la maggiore, significa in qualche modo attribuirgli una “credibilità”, contro questa ipotesi, il mio contributo è: NON LEGGETE soprattutto questi quotidiani nell’ordine di pericolosità:
– la Repubblica (il peggiore da sempre),
– il Corriere (suo cugino),
– l’Unità,
– il manifesto,
– il Fatto quotidiano.
La stampa italiana è pressochè priva di ogni deontologia e nella graduatoria internazionale risulta agli ultimi posti per serietà, etica e appunto deontologia.
Un buon quotidiano è “le Temps” di Ginevra.
Questa, mym, è la mia personale graduatoria per indicare il livello di immondizia spacciato quotidianamente dai suddetti, quindi, prima di “argomentare”, è bene tentare di chiarire chi siano costoro e cosa si prefiggono con la loro immondizia.
16 Dicembre 2010 alle 12:05 am
………….. e soprattutto non prendete mai un tram chiamato Desiderio.
16 Dicembre 2010 alle 12:27 am
MYM 33 Ciao
Non so se sono buddista..
comunque direi(in sintesi): per quanto riguarda il male l’universalità del dolore e della sofferenza sono il punto di partenza;
per quanto riguarda il bene, sta anche nel “tentativo” di liberare o quanto meno di alleviare il dolore..
La via: penso si possa esprimere anche attraverso una testimonianza attiva..in questo senso la “politica” è uno degli elementi del reale che mi interroga ( anche nello squallore attuale), e la Tobagi , come la Dominijanni, credo portino degli spunti di riflessione (soprattutto nel contesto attuale).
16 Dicembre 2010 alle 5:48 am
Ci risentiremo il 26/12, auguro un Natale semplice e silente e un anno in cui esista solo e sempre qui ora.
Kinga shinnen.
16 Dicembre 2010 alle 10:46 am
Ciao Nello, grazie. Auguri anche a te.
16 Dicembre 2010 alle 11:15 am
Dario 33. L’utilizzo dell’articolo della Tobagi deriva dal suo legame con una realtà che mi pare inconfutabile. Il passo successivo è: possibile che i buddisti, gli zen, con tanta voglia di pontificare, insegnare, aprire centri, far vedere quanto sono bravi, illuminati e svegli non sappiano dire una cosa che fanno tutti i giorni cento volte al dì, ovvero: come si distingue il bene dal male? Su quali basi appoggiamo (appoggi, appoggio) la nostra etica? Senza affrontare questo punto “dirsi”, “sentirsi”, “viversi” come buddisti è aria fritta.
18 Dicembre 2010 alle 4:09 am
@39
avevo scritto qualcosa dopo giorni di sofferta riflessione sulla tua domanda (domanda che mi tormenta da lungo tempo)… ma poi nn capisco cosa è successo e tutto quel che avevo scritto è sparito. La cosa mi ha depresso 🙁
Me ne vado a dormire cercando tra i sogni una spiegazione. forse il blog ormai mi riconosce e mi espelle direttamente. sappi cmq che la tua questione non mi molla e apprezzo che tu l’abbia posta. ciao
18 Dicembre 2010 alle 11:04 am
Ciao AHR, non ti arrendere. Se il tuo commento è perso nel vento quel tipo di problema (in un certo senso eh! Nello posa la clava) è ancora lì.