Dom, 29 Ago 2010
Il 26 di agosto si è spento nella sua casa di Tavertet, in Spagna, Raimon Panikkar. Aveva 92 anni. La sua vita si è incrociata più volte con La Stella del Mattino. In particolare Jiso Forzani prima e Gennaro Iorio poi hanno collaborato con lui partecipando a
gruppi di studio e seminari da lui diretti o coordinati. Nel 2005 presso l’Università di Urbino ricevette la lurea honoris causa in Antropologia ed epistemologia delle religioni. A me, piccolo uomo che si arrabatta con una mezza dozzina di dizionari di carta, più altrettanti on line, per venire a capo degli incroci di lingue nei quali si esprime la cultura religiosa, aveva impressionato sentirgli dire di padroneggiare bene 14 lingue e di sapersela cavare in altre tre o quattro. Un punto di incrocio, uno snodo, partenza e arrivo delle più lontane notizie del sapere. Jiso Forzani ci offre il suo ricordo con questo coccodrillo senza lacrime .
Oggi, 31 agosto, è giunto un ricordo di Panikkar da parte di Milena Carrara Pavan, amica, collaboratrice, curatrice di tutte le opere di Panikkar. Pubblichiamo il suo scritto tra i commenti, al numero 1.
75 Commenti a “Addio a Panikkar”
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30 Agosto 2010 alle 7:19 am
Carissimi amici della Stella del mattino
la notizia della morte del nostro amato Raimon si è già sparsa nel mondo suscitando grande dolore nel cuore di tutti coloro che erano legati a lui da profondo affetto e amicizia. Io sono rimasta senza la possibilità di comunicare con voi (telefono e computer fuori uso per un fulmine). Confesso che dapprima ero dispiaciuta poi all’improvviso mi sono ricordata delle parole di Raimon: “io non possiedo ‘externet’ ma la vera ‘internet’ sì, la comunicazione che avviene da cuore a cuore”. Quindi in questa rete d’amore siamo tutti uniti a lui e fra noi. Non ho potuto trattenere anche un sorriso pensando che forse era proprio quello che lui desiderava: che rimanessi a lungo raccolta in meditazione, per cui in questi giorni sono stata spesso al ‘pino’ che tanti di voi conoscono, dove con Raimon meditavamo di fronte al mare.
Ringrazio chi ha inviato espressioni di condoglianze anche a nome della sua famiglia e del gruppo direttivo della Fundació Vivarium Panikkar.
Ho avuto il dono di trascorrere con Raimon gli ultimi giorni che hanno preceduto il grande silenzio in cui ora riposa per sempre. Desidero rendervi partecipi di alcuni momenti.
Sabato mattina, come sempre, abbiamo letto la pagina del Vangelo del giorno (Mt 23, 1-12) dove si parla degli Scribi e dei Farisei seduti sulla cattedra di Mosè e l’esortazione di Gesù a non chiamare nessuno maestro perché uno solo è maestro, il Cristo.
Raimon ha commentato: “vedi, non dice ‘io, Gesù’, ma il Cristo, cioè lo Spirito, che parla dentro di noi, la cui voce può udirsi solo nel silenzio di un cuore puro, cioè vuoto del proprio ego.” Poi ha aggiunto questa esortazione rivolta a me, ma che vale naturalmente per tutti noi: “Continua a guardare con i tuoi occhi, ad ascoltare con le tue orecchie a parlare con le tue parole, senza mediazioni e senza compromessi: il vero maestro sta dentro di te”. Lacrime scendevano sulle sue gote, lacrime forse di sofferenza per la propria imperfezione umana ma certamente anche di speranza di essere accolto nella Sorgente della Vita verso cui ha teso durante tutto il suo pellegrinaggio sulla terra.
Domenica mattina alle 12, come sempre abbiamo recitato l’Angelus:
Angelus Domini nunziavit Mariae et concepit Spiritu Sanctu. Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum et verbum caro factum est et habitat in nobis.
Gli ho sorriso commossa nella speranza che potesse cogliere in me il sorriso e di Dio e degli uomini. Poi mi sono inginocchiata e lui mi ha posto la mano sulla testa in un’ultima benedizione.
Grazie, Raimon, per il tuo insegnamento e per il tuo grande amore.
Milena
Lunedì gli è stato dato il sacramento dell’estrema unzione, poi ha perso coscienza e giovedì 26 agosto, giorno di luna piena, si è spento.
Sabato, le sue spoglie sono state recate nella bella chiesa di Tavertet dove il vescovo di Vic ha celebrato il rito funebre in grande semplicità, alla presenza dei familiari e di amici intimi.
Il suo corpo è stato cremato: metà delle sue ceneri saranno poste nella tomba di famiglia, e metà, come gli avevo promesso, verranno consegnate alle sacre acque del Gange.
Venerdì 3 settembre si svolgerà la cerimonia solenne a Montserrat con la partecipazione di amici da diverse parti del mondo.
Sicura di farvi piacere vi allego il link per un estratto di una videointervista che mostra Raimon, come tutti desideriamo ricordare: arguto, brioso, sorridente, vero maestro del dialogo inter/intrareligioso
30 Agosto 2010 alle 7:59 am
Gli individui sono del tutto strumentali ai compiti loro affidati dalla storia, cioè dalle esigenze sociali e politiche che si trovano a incarnare, sicché la loro fine non è mai la fine del compito. Questo viene sempre rilevato da altri, che siano familiari, alleati, seguaci o amici, i quali fanno ancor sempre un tratto di strada nella stessa direzione, finché il compito è assolto, la missione portata a termine.
Il miglior modo di onorare i morti è pensare ai vivi.
30 Agosto 2010 alle 9:55 am
Proprio così. Pensare ai vivi, pensare da vivi. Il culto dei morti non come prosieguo del compito vivo ma come celebrazione del defunto è necrofilia come alibi per l’arbitrio in nomine patris.
30 Agosto 2010 alle 7:05 pm
No! certamente gli individui impersonano, compiono, interpretano un ruolo storico, ma questo non li rende affatto strumenti della storia né di altro: essi sono, in primo luogo, INDIVIDUI che danno alla storia la loro impronta soggettiva. Per questo è importante seguirne il modello: diversamente, basterebbe seguire il “giro” della storia naturale…
30 Agosto 2010 alle 7:55 pm
Omaggio (critico) a Panikkar. Dalla caduta della speculazione è rimasto soltanto il silenzio e quindi la speculazione su di esso che parla tanto bene del silenzio. Soprattutto di quello della verità. Ci si tiene i fianchi dal ridere solo a pensare quanto essa sia rumorosa. Nell’aria elettrica e virile della neikosofia, infatti, i concetti si sciolgono nella parole e danno un altro rilievo alla relazione tra la musica e il linguaggio. Si potrebbe dire che in neikosofia si danno pensieri cantati, o dove il ripetersi di quattro battute avverte del suono della verità. E’ come eseguire un pensiero mentre si spegne nel suono di se stesso.
Avount tout être un grande homme et un saint pour sui même.
30 Agosto 2010 alle 8:03 pm
PS:se non fosse che..ti sposerei, cara cristina: mi dai i brividi!Semmai è l’epoca storica che si vive a dare un’impronta agli individui. Spesso i più grandi geni sono solo un simbolo amplificato del disordine spirituale dei tempi capitati loro in sorte; questo si imprime, più o meno consapevolmente, nelle coscienze: c’è chi lotta contro e chi soccombe.
NB: il modello giovanile di HMSX è insuperabile: 10 avventurosissimi anni di quella lussuosa pratica chiamata “coraggio”.
30 Agosto 2010 alle 9:48 pm
Ec,ciù–amplificante il disordine spirituale..Scusate, la fretta.
31 Agosto 2010 alle 11:57 am
Mara carissima (non “cara” per evitare la rima!), sei così sicura delle tue posizioni che quasi mi dispiace mettere in dubbio le tue certezze. Sicuramente ognuno di noi porta l’impronta dei tempi in cui vive: però che cosa da’ l’impronta ai tempi? come mai “i tempi cambiano” e i gruppi umani, le società si trasformano? Cosa dici, invece di un rapporto causa-effetto non potrebbe esserci un rapporto circolare, interattivo, in cui sia gli individui siano soggetti ai fattori sociali sia questi siano determinati dagli individui?
31 Agosto 2010 alle 7:09 pm
Nella vita tutto è incerto finché non accade: la storia è un destino tragico, la sua eredità consiste in cadaveri e rovine. Non amo la vita (a meno che lottare contro i mulini a vento significhi amarla) e
sono stupito per l’inutile sperpero di energie: tutte le strade convergono verso la distruttività crescente nella folle idea del profitto a tutti i costi con lo sterminio di ogni risorsa e l’avvento di catastrofi finali che nessuna filosofia politica è in grado di fermare(non è pessimismo).
Non si possono nutrire speranze sul futuro. Ogni giorno si acuisce in me la certezza che se nulla cambierà l’umanità sarà destinata a scomparire chiudendo così il cerchio creazione/distruzione (l’umanità non è il fine della storia).
31 Agosto 2010 alle 8:01 pm
Visione del mondo lecita come ogni altra. Però mi sembra che tu abbia una tua idea precisa del fine della storia… Beata te!
1 Settembre 2010 alle 11:34 pm
Quando si vivono esperienze che coinvolgono più persone, ognuna di esse contribuisce, oltre che con azioni e parole, soprattutto con le sue credenze e pensieri all’andamento dell’esperienza collettiva. Chi è capace di credere a ciò che pensa in modo più efficace di quanto sappiano fare gli altri la domina e la guida (c.d. padronanza della vita immaginativa). L’aspetto fantastico è quello di produrre belle emozioni che possono rinforzare vecchie felici associazioni o generarne di nuove.
Requiescat in pace.
2 Settembre 2010 alle 12:44 am
@ Cristina.
C’è stato il quaternario: è verosimile che il disegno di Dio contempli l’estinzione dell’esperimento umano (vera malattia per la Terra).Il fine della storia, infatti, è di imporre una sola visione del mondo: quella senza l’uomo.
2 Settembre 2010 alle 11:27 am
[vorrei, oh toh, inserire un post sull’argomento del topic]
Quando venne a Perugia per una conferenza un paio di anni fa, Panikkar affrontò anche il tema della morte, che secondo lui non deve spaventare (diversamente dal dolore).
Disse che possiamo pensare alla morte come a una goccia d’acqua che cade in mare: se la immaginiamo come “goccia” svanisce, ma se la immaginiamo come “acqua” trova la sua espansione massima.
2 Settembre 2010 alle 11:37 am
pardòn, non avevo ancora letto l’articolo (splendido come sempre) di Jiso, che si apriva proprio su quell’immagine.
2 Settembre 2010 alle 11:40 am
Sei il solito eretico: adesso anche i commenti on topic… Dove andremo a finire…
Ciao
2 Settembre 2010 alle 12:52 pm
La metafora della goccia d’acqua e dell’acqua è suggestiva, ma problematica (del resto non è che una metafora). Il problema consiste, mi pare, che si continua a trattare la morte (propria) come fosse un prolungamento della vita: quindi la goccia che “ritorna” all’oceano e li si scioglie ed espande (l’oceano è allora una megagoccia? Saremmo d’accapo: quando “scoppia” l’oceano, dove va? in un’altro oceanone di cui era la goccia?); o l’oceano che accoglie la goccia che si sublima ma non perde del tutto la sua identità….) Sono tutti modi di consolarsi della perdita di sé, e di spiegarsi l’inspiegabile ancorché evidente. Non c’è metafora che tenga, la morte (la mia) è tutt’altro dalla vita (la mia). Nel caso individuale quanto prefigura Mara 12 per l’umano genere: il fine della storia e la sua fine coincidono, umanamente parlando che senso ha cercare di farsi un’idea del mondo post umano?
2 Settembre 2010 alle 3:53 pm
mica intendevo che Panikkar avesse ragione: volevo solo ricordare la sua concezione della morte. in questo momento lui, chissà…
3 Settembre 2010 alle 3:00 pm
Per strade secondarie e tortuose mi provo a spiegare l’ambiguo commento 12 di Milady. E’ fatta così; ah, le donne..)
Ci leggo molte cose: per es. il sec. XX è stato il tentativo di “superare l’uomo” inteso come animale desiderante e superstizioso; dapprima con la creazione della superazza ariana, e poi riducendolo a mera funzione di un apparato socioeconomico disumanizzante.
Oppure: l’estinzione del genere umano è un fenomeno possibile in termini kantiani.
Oppure: la fine dell’umanità non è la fine della storia. Il discorso dell’origine e della fine corrisponde solo al modo umano di concepire la realtà, non la realtà alla stessa. La storia (l’accadere delle cose) non può avere una fine: la fine è sempre l’inizio.
3 Settembre 2010 alle 3:03 pm
Ah, già, il senso. Dunque l’ekpyrosis in riferimento costante al pelekînos..e al mio orologio.
Mi vengono in mente queste parole:
“Quando la percezione penetrerà le oscure nebbie dell’illusione sarai indifferente a tutto ciò che hai udito a questo mondo e al successivo”(BhagavadaGita 2, 52).
In internet (e pure in externet), mi stringo al dolore degli amici e dei familiari di Panikkar: una vita ben spesa.
3 Settembre 2010 alle 4:23 pm
@jf 16:
condivido ma… è possibile non cadere nella tentazione di consolarsi della perdita di sé? o non cercare, seppure inconsciamente surrogati di di tale consolazione ?
@homosexual 18:
Cosa si intende per ‘l’estinzione del genere umano è un fenomeno possibile in termini kantiani.’ ?
3 Settembre 2010 alle 6:35 pm
Beata Mara che è sicura dell’essere di un disegno di Dio e di un fine della storia. Su questo terreno è quantomeno problematico incontrarsi…
3 Settembre 2010 alle 6:38 pm
>sicura dell’essere di un disegno di Dio e di un fine
che sia un finiano pure Lui??
.
.
.
[mym, ho ricomposto l’Armonia Cosmica! ho scritto una scempiaggine a ruota libera!]
3 Settembre 2010 alle 7:30 pm
Valà, non esser modesto: confessa che ti ci sei impegnato una mucchia… 😛
4 Settembre 2010 alle 8:22 pm
L’attribuzione di un senso al mondo e l’affermazione della sua assurdità è il dilemma al quale SENZA RESIDUO si riduce la scelta tra l’affermazione o la negazione di Dio. Perché l’essere, che è inconcepibile a priori, in quanto non mediato da alcun concetto precedente, diventa concepibile in Dio. Cioè l’esistente non ha altro nome e concetto che quello dell’esistente appunto, e non è ancora in alcun modo Dio; ma se si vuole dargli un nome, bisogna dargli quello di Dio, che non è, come molti immaginano, il trascendente: egli è il trascendente fatto immanente, cioè divenuto contenuto della ragione (tu es Deus qui facit mirabilia)
4 Settembre 2010 alle 8:23 pm
@dr.
Se l’esistente necessario è Dio, ne conseguono a, b, c, cioè a, b, c, esistono realmente; dunque l’esistente necessario è REALMENTE Dio. ^^
PS: ma quando si gioca a fare i Grandi?
4 Settembre 2010 alle 8:30 pm
Temo, cara mia, che su quel terreno l’incontro è impossibile. Non c’è niente di più asociale dell’ordine della mia mente: in essa tutto è sistemato in modo che nessuno abbia un rapporto con me, pur avendolo. Un incontro tra due funzioni omologhe e complementari, questo è il mio ordine; non un rapporto “umano”.
La Ragione c’è perché c’è, non ha da persuadere o convincere, si impone senza meriti; se preferisci, è l’organo che assegna i limiti, che riconosce di fronte ad un ostacolo insuperabile la propria impotenza o incompletezza.
Je suis maudit.
4 Settembre 2010 alle 8:42 pm
(al n. 24)
magnifico! l’Abc dell’a-b-c!
diventerò un abbeceDario
5 Settembre 2010 alle 10:33 am
Oh! Però. Qui si dicon cose. A parte il senza residuo (non bisognerebbe strafare). Comunque “il senza residuo”, in altro senso, è un arzigogolo, un problema che arrovellò (arrovella?) i buddisti per secoli. È un po’ (un po’!) la differenza tra l’esser Grandi e l’esser Grandissimi.
5 Settembre 2010 alle 12:25 pm
“L’attribuzione di un senso al mondo e l’affermazione della sua assurdità è il dilemma..” Perché mai, hmsx, le alternative dovrebbero essere solo queste? Un aut aut… Una cosa può esistere senza avere necesssariamente bisogno di un dio che ne giustifichi l’essere e ne costituisca il fine ultimo, non mi sembra un dilemma. L’essere del “mondo” potrebbe anche avere una ragione casuale: ma questo è un argomento i cui dettagi lascio volentieri agli specialisti. In ogni caso, non credo proprio che esista solo l’alternativa o così, o cosà. Ci sono centinaia di soluzioni intermedie, e campi in cui non possiamo pretendere di muoverci.
5 Settembre 2010 alle 12:29 pm
E.C. Dettagli, ovviamente , e non dettagi!
5 Settembre 2010 alle 12:31 pm
È vero, le farfalle volano di fiore in fiore, dopo il temporale il sole splende più luminoso. I bambini, andando a scuola tenendosi per mano, spargono allegria e vitalità per tutta la strada. Il lupo cattivo, acquattato nel buio, attende l’occasione per spargere il male qui e là, in ogni dove.
5 Settembre 2010 alle 4:21 pm
>attende l’occasione per spargere il male qui e là, in ogni dove.
citazione dal Don Chisciotte, in onore dello spagnolo Panikkar?
5 Settembre 2010 alle 5:51 pm
[vorrei, oh toh, inserire un post sull’argomento del topic]
La sofferenza è l’unica forza superiore a quella del male. Il male non è privazione di realtà; non è cedimento ad impulsi ciechi, non è fragilità, debolezza, capitolazione, ma vigore, impeto, veemenza; precisamente esprime l’Energia di Dio quando si nega e si fa volontà di annientamento.
(Che vita assurda sarebbe quella senza la sofferenza? E il mondo non apparirebbe più enigmatico di quel che è?)
[In the wild wild west,trying my hardest, doing my best]
5 Settembre 2010 alle 5:56 pm
La sofferenza è il luogo della solidarietà: il nesso vivente tra Dio e l’uomo perché è dell’uomo ma anche di Dio (divinum est pati). La sofferenza è il perno della rotazione dal negativo al positivo, il fulcro della storia, la pulsazione del reale, il vincolo tra tempo ed eternità, un ponte tra la Genesi e l’Appocalisse. Non mi parlate più di filosofie dell’essere (oggettivanti una totalità armonica e conclusa = un orizzonte vuoto) stravizio di intelletti turpi; e praticate più che potete la fisica della libertà, dualistica, “umana”: non l’essere ma l’esperienza (della coscienza religiosa).
Sostare sui passi di neikosofia prepara e da’ coraggio.
5 Settembre 2010 alle 6:03 pm
Ohibò, qui si distingue bel bello tra male e sofferenza. Tra il tuono e il lampo. Sì, lo so che quel poeta dei vostri scrisse “a quel securo il fulmine tenea dietro al baleno…”, però distinguere tra l’atto in quanto male e sofferenza in quanto realtà provata del male… non li separa un capello, un soffio di zanzara.
5 Settembre 2010 alle 9:42 pm
Oh, oh, siamo attivati a quanto vi è di più delicato e sensibile. Per ognuno e per tutti. Sofferenza e male coincidono? Proprio non si può (e non si deve) distinguere fra una sofferenza che ha un valore (una potenzialità?) salvifica (la Croce, Dukkha come santa verità) e il male che è negazione? Non è forse la sofferenza, la cognizione del male, l’unica occasione possibile del riscatto del male? Negazione della negazione, se Marx mi permette l’utilizzo improprio? Ma se così stan le cose, che cos’è l’estinzione della sofferenza a sua volta santamente vera? Negazione della differenza fra bene e male? Così non sia. Qui mi fermo e ristò. Hic manebimus optime.
6 Settembre 2010 alle 3:03 pm
Non c’è forse maggior segno della presenza di Dio che l’esperienza del male, rispetto al quale la divinità è al tempo stesso termine d’infrazione e principio di redenzione. Il male che è in Dio è quello che si scatena per l’ irriconoscenza: per la violenza fatta alla trascendenza, della natura, della legge morale, del passato, dei sogni. La risposta di Dio è la collera e un oceano di male; la natura manomessa da una tecnica senza riguardi si vendica distruggendo le condizioni di esistenza dell’uomo (c.d. squilibri ecologici), la legge morale violata tormenta e impoverisce chi la viola lacerandone la coscienza e abbassandolo alla semi-animalità.. eccetera,eccetera.
6 Settembre 2010 alle 3:05 pm
Già, la soluzione del problema si può trovare solo nel “pensiero tragico”: il destino dell’uomo è la sofferenza ovvero espiazione e riscatto; tra l’uomo e Dio non c’è collaborazione nella grazia se prima non c’è stata nella sofferenza (in illo vivimus, movemur et sumus)
6 Settembre 2010 alle 10:46 pm
..il male che è in Dio è quello che si scatena per l’irriconoscenza.. ma di chi?
del bambino oncologico o affamato o sfruttato sessualmente in qualche fogna del mondo, oppure delle loro madri?
nei campi di sterminio in germania?
nelle fosse comuni in bosnia?
..su ogni teologia..il silenzio
e la speranza di una sofferenza come (possibile)luogo di solidarietà
7 Settembre 2010 alle 6:57 am
Proprio così: silenzio. La fisica della libertà rovescia la valutazione dell’ermeneutica religiosa che dissolve la verità; essa, invece, si afferma come conseguenza diretta proprio della potenza incontenibile e inesauribile della verità che però non è l’oggetto della neikosofia. Il discorso neikosofico non è la enuncia ma la rigemina, perché la verità, toccata, manda infiniti splendori e si offre solo all’interno di un’interpretazione storica e personale con cui si identifica senza esaurirvisi o ridurvisi, essendo unica e sovrapersonale; non oggetto del pensiero ma sede del soggetto: l’Orrore è Potenza.
7 Settembre 2010 alle 7:00 am
La realtà è semplice e positiva, è l’inizio per noi della vita e del pensiero, è la base di tutto. Dio, la positività originaria, sconfigge il male, ma la sua vittoria ha un’ombra: l’ inarrestabile esperienza della negatività.
La fisica della libertà non celebra un mondo armonico e concluso: esprime una visione aperta e drammatica.
Requiem (for a dream).
9 Settembre 2010 alle 12:07 pm
Di grazia, qualcuno vuole spiegarmi cos’è la neikosofia? Non trovo la definizione da nessuna parte….
9 Settembre 2010 alle 3:36 pm
Già, di che si parla?! Quello che ne ho dedotto io (analfabeta di greco e orfano di studi classici) è che sia l’elaborazione più o meno colta del vecchio detto: da soli si è troppo pochi, in due troppi. Ovvero: mi state tutti sull’anima, ma non posso prescindere da voi.
Il che mi pare effettivamente una solida base di partenza per qualunque dialettica onesta.
9 Settembre 2010 alle 5:24 pm
Caro analfabeta, ora ti spiego l’impossibile etimo di neikosofia: Neikos significa altergo, litigio, ingiuria, villania: per cui il composto starebbe a dire: saggezza ( o sapienza) della villania… Non credo proprio: la tua fantasiosa interpretazione mi piace molto di più, anche se esula dal lessico ufficiale!
9 Settembre 2010 alle 5:25 pm
E.C.Alterco, e non altergo. Che pasticciona!
9 Settembre 2010 alle 6:43 pm
Altergo va benissimo, sta per alter ego. Da quel che capisco, la neikosofia è l’alter ego della philosophia, neikos e philia, amore e odio: se c’è filosofia, amore della sapienza o sapienza dell’amore che sia, ha da esserci neikosofia, sapienza dell’odio o odio della sapienza. Il che non ha niente a che fare con l’odio volgarmente inteso. Vedere per esempio 1Cor.1,21 (ovvero la prima lettera di Paolo ai Corinti 1,21): “poiché infatti nella sapienza di Dio il mondo non ha conosciuto Dio tramite la sapienza, piacque a Dio salvare coloro che hanno fede tramite la stoltezza (follia – morias in greco) della predicazione”. La follia della predicazione è appunto la neikosofia, o no?
9 Settembre 2010 alle 8:51 pm
Si, sembra sensato. Grazie!
10 Settembre 2010 alle 2:53 pm
Cara Cristina, ci ho pensato un po’ su, non ostante le pigre meningi. A te sembrerà anche sensato, io continuo però a preferire la mia fantasiosa definizione. Tutte le ‘sofie’ di questo mondo altro non fanno che produrre domande e definire risposte in una area del tutto astratta, il mondo del ‘senza forma’. Questo mondo non è diverso, ai fini di una liberazione, dagli altri due (desiderio e forma).
Senza passare per il corpo, sia il proprio – nello zazen per restare in tema/sito – che quello degli altri in quanto relazione, non si va da nessuna parte. Senza pratica del corpo, ‘neiko’ e ‘filo’ ci portano a girare sempre in tondo, come gli asini al mulino.
10 Settembre 2010 alle 7:34 pm
Perché mai la sofia, sia essa neiko o filo, secondo te non passa per il corpo? Non necessariamente attraverso la pratica dello zazen, ci sono centomila(!)altre possibilità. Se ne scegli una, come è lecito fare, ciò non significa che le altre non esistano più per nessuno!
11 Settembre 2010 alle 12:16 am
Tutte le definizioni di filosofia che ho letto la spacciano per un esercizio di indagine relativo alla conoscenza o alla sapienza. Che io sappia, ci furono i gimnosofisti che cercarono di coniugare i due aspetti, e che se non erro mutuarono dall’oriente quelle suggestioni di ‘pratica’ che riconobbero mancare alla filosofia. Un filosofo che fa zazen, o pratica la danza sufi o lo yoga o analoghi, lo chiameresti un filosofo? Se non ricordo male Guenon usava il termine ‘scienze tradizionali’ appunto distinguendo queste dalla filosofia .
Non è certo questo un mio terreno di competenza, ma non mi pare utile stirare le parole per farci rientrare la qualunque, sempre. Sennò potrei dire che tutto è scienza.
Comunque quello che mi premeva sottolineare è l’uso che se ne fa qui, in questi blog, della filo-sofia. Nei tanti lunghi discorsi che ho letto di questi tempi, c’è un gran parlare di dio, sapienza, bene e male, amore e odio ecc ecc come se queste parole avessero un significato; univoco, oggettivo, condiviso e scontato. E come se chi ne parla fosse latore di questo significato. Mi pare manchi tensione, non c’è ‘sofia’ per la pratica del corpo, per il Metodo, che invece sono il cuore, che a me personalmente preme, del buddismo.
Perciò, ripeto, di che si parla?
11 Settembre 2010 alle 9:11 pm
Come certamente sai bene quanto me, è sempre esistita dalle origini attraverso i secoli una corrente di pensiero “filosofico” secondo la quale la conoscenza ha la sua radice nell’esperienza sensoriale, corporea. Concordo comunque con te sulla parte centrale delle tue osservazioni: anche a me risultano del tutto estranei i latori del Significato Universale di concetti astratti quale bene, male, e gli altri che citi. La pratica del corpo è sofia: fatti forte di questa certezza!
12 Settembre 2010 alle 5:05 pm
Ohibò! Sogno o son desto? Di che si parla, a chi e perché. Premesso che per un retto pensare non si può prescindere dal rigore terminologico (già detto) e che una definizione di neikosofia la si trova qui [invocazione all’onnipotente Px affinché la ri-trovi nell’archivio 2008 della Stella ( anche no: Nk coglie nel segno)] il tema, per me appassionante, è quello della morte: mia, tua, di Panikkar, di tutti (intendo la morte del corpo fisico: il testo dei testi). A questa consapevolezza sono giunto praticando lo zazen, lo yoga, la boxe e il kendo; di certo lo stare comodamente seduti in poltrona non serve lo scopo. Quale scopo? Morire prodigando una grande anima (come Panikkar).
12 Settembre 2010 alle 5:06 pm
PS: stirare è da femminucce: io le parole le squarto.
12 Settembre 2010 alle 11:04 pm
La morte è un argomento principe e pertinente: condivido. Si muore in funzione di come si è vissuto; e quando si perviene ad un nobile morire è – salvo eccezioni – perchè nobilmente si è vissuto. La figura di Pannikar comunica un ‘modo’ di vivere nobilmente, ed a ciò mi piace guardare più che alla grandezza della sua anima. Dei suoi libri ne ricordo due: del primo fui entusiasta, del secondo meno e conclusi fosse rivolto ad un pubblico specificamente professional-religioso . Sapeva ben usare linguaggi differenti a seconda dell’interlocutore/lettore: oltre che una dote non comune, una precisa scelta di metodo.
13 Settembre 2010 alle 12:00 pm
Parlo per le femminucce che stirano, ovviamente dopo aver lavato camicie, calzini, mutande sporche raccolte in ogni angolo della casa, nonché aver spazzato e riordinato tutto ciò che è rimasto in giro, aver lavato culi di mocciosi e sistemati gli stessi nei letti cambiati e rifatti, magari dopo otto ore di lavoro in ufficio o alla cassa del supermercato… in contrapposizione alla rude virilità dei maschioni che squartano! Purtroppo il mio QI inferiore a 100 non mi permette di capire se quella di HMSX voleva essere una battuta: se si, non è risultata tale ma solo un banale luogo comune. Se poi tu, HMSX, sei arrivato dove volevi con i metodi che indichi, va benissimo: ma non puoi pretendere che il tuo sia l’unico metodo “giusto”, che tutti gli altri siano sbagliati e non si possano ottenere risultati positivi seguendo altre strade: la via è personale. O sei forse tu l’unico inconfutabile maestro? Il vivere e il morire: un mistero molto al di là della nostra comprensione, o almeno della mia, considerato il Q.I. di cui sopra. Per cui preferisco accettare il mistero e trovare il modo di convivere con esso, piuttosto che risolverlo forzatamente per mettermi l’anima in pace.
13 Settembre 2010 alle 1:20 pm
Massì che scherzava!
A proposito di QI e di espressioni roboanti, spero di non tediare nessuno con questa citazione dal Fukanzazengi.
«Supponiamo, per esempio, che tu sia orgoglioso della tua comprensione,
che abbondi in illuminazione, che tu abbia adocchiato la sapienza, ottenuto la via, chiarificato il cuore, dato impulso all’ideale di scalare il cielo: non fai che trastullarti nei pressi della soglia del
nirvana, e ignori quasi del tutto l’operoso sentiero della libertà. […] Quindi, senza discutere di sapienza e di stupidita, non discriminare fra uomo che vale e uomo stolto. Applicati con tutto te stesso e sei gia nella pratica del cammino. La pratica del risveglio per sua natura non produce contaminazione e attuandola è normalità quotidiana».
A volte una ridimensionatina non può farci che bene; lavare culetti e pannolini è pratica nobile, meglio della neikosofia.
13 Settembre 2010 alle 4:43 pm
Capisco, al punto di quasi concordare. Ma se dici “meglio” siamo daccapo.
13 Settembre 2010 alle 5:13 pm
Lascia un po’ di ‘pepe’ nella conversazione…
13 Settembre 2010 alle 5:15 pm
Rigore è quando arbitro fischia!
(Vujadin Boskov)
13 Settembre 2010 alle 5:25 pm
Proprio così, proprio così! Quel “po’ di pepe” toglie tutto il sale. E in tal caso lavare culetti e pannolini è trastullarsi ben lontano dalla soglia del nirvana, trattandosi peraltro nella fattispecie di pratica altrui, nobile o ignobile che sia.
13 Settembre 2010 alle 7:02 pm
Peregrinus expectavi pedes meos in cymbalis.
Cosparso il capo di cenere mi scuso di aver ceduto alla diabolica tentazione e pago pegno.
13 Settembre 2010 alle 7:17 pm
Però non mi sono fatto bello con le piume degli altri; culetti e pannolini ne ho ripuliti anch’io un bel po’… posso sperare in una riduzione di pena? magari una punizione dal limite.
Spero che i Giudici dell’ultim’ora siano più magnanimi di voi, sennò sono fritto.
E poi, scusate, dopo le parole di Doghen il quadro era troppo perfetto: anche Lucio Fontana ci avrebbe fatto su un bello sbrego.
O è la perfezione che andiamo cercando?
13 Settembre 2010 alle 7:30 pm
Il fatto è che -niente giudici, però- tenere la barra al centro è già qualcosa che assomiglia alla magnanimità.
13 Settembre 2010 alle 8:09 pm
sì e no, però mantiene più al riparo.
13 Settembre 2010 alle 8:29 pm
Direi proprio di sì, è la perfezione (altrimenti detta Titina) che andiamo cercando, che altro sennò, il quieto vivere o la rissa? E proprio perché quello cerchiamo, che non si trova che nel cercare, niente giudici, per la carità (reciproca).
14 Settembre 2010 alle 10:23 am
Gesù com’è saggio quell’uomo. Uomo?
14 Settembre 2010 alle 11:21 am
Uomo… beh, non esageriamo!
14 Settembre 2010 alle 2:14 pm
Scontata la squalifica e fatta ammenda, se mai ci fosse ancora qualcuno interessato, vorrei tornare al gioco interrotto per fischiato fallo di gioco. Perché ritengo che il tema-chiave della perfezione sia ben più complesso di quanto non sia emerso qui, e peraltro mai risolto in migliaia di anni sotto tutti i cieli.
Nella fattispecie la parola perfezione è stata usata in due accezioni diverse.
14 Settembre 2010 alle 2:14 pm
La prima perfezione (62) era la perfezione del quadro di Doghen e riguarda quindi il ‘mezzo’ della comunicazione. Un discorso troppo perfetto ammutolisce l’uditorio col risultato di interrompere il circolare delle energie comunicative. Tale effetto può essere voluto, ed in tal caso il mezzo è funzionale al risultato: in questi casi la comunicazione prende un flusso unidirezionale, c’è chi predica da un lato e chi ascolta dall’altro. Ma la circolazione da cuore a cuore facilmente ne esce mortificata. In altri casi l’obiettivo non è quello di interrompere il flusso comunicativo, al contrario: per questo il quadretto perfetto deve essere sfregiato, perché rimanga uno spazio ove gli attori-contendenti possano riprendere la loro fatica dopo la pausa di riflessione. Se le azioni, e quindi le strategie di comunicazione, si misurano in base al risultato (dò per scontata l’intenzione), fischiare il rigore qui mi è parso affrettato: infatti il flusso comunicativo si è interrotto
14 Settembre 2010 alle 2:14 pm
La seconda ‘perfezione’ (65) è di natura ben più complessa, e mi trema la penna a cercare di definirla. Sarebbe preferibile la definisse chi dichiara di andarla cercando: ma grosso modo si può intuire quantomeno il modello iconografico cui quell’idea si ispira. Forse la si può definire una idea-forza che è il corrispondente opposto e complementare del fuggire la sofferenza: mia, ma anche quella degli altri esseri, per i soliti ovvi motivi.
Quindi la perfezione è ‘operare per…’. Ma proprio perché è operare nel mondo, ove perfezione non è data ma sofferenza sì, che la perfezione nega se stessa e rinuncia a darsi forma, se non forse quella del libero fluire della comunicazione nei e dei cuori. Ci resta quindi solo l’operoso sentiero: nel mondo che a mio avviso non prevede perfezioni nè non-perfezioni.
Ci sarebbe anche poi l’opzione individuale, l’estinzione, il Nirvana dei tempi antichi, un kensho ininterrotto nelle grotte himalayane: non so, credo però che questa non interessi più di tanto i frequentatori della stella e comunque -almeno attualmente – non interessa me.
14 Settembre 2010 alle 3:02 pm
Definire la perfezione? A che pro? Per farne un altro idoletto da smascherare o per riconoscermi imperfetto? Non dimentico però né che perfetto è un sinonimo di Buddha, né l’invito evangelico “Siate perfetti come…”. Dove sta il vizio?
14 Settembre 2010 alle 4:41 pm
Ho almeno due interessi, ma ovviamente non voglio forzare nessuno.
1.Capire di cosa si sta parlando (ho già ipotizzato 3 diverse accezioni del termine) codificando un linguaggio condiviso, ai fini della comunicazione, per cui alla parola mela per entrambi corrisponda quella forma/esperienza appunto di mela. Qualcuno (52) addirittura esige rigore terminologico: io mi accontenterei di capirci. Sennò siamo alle solite; amore, dio, perfezione, giustizia… Babele. La sarchia-sofia. ( 🙂 metto la faccina così si capisce che voglio solo alleggerire il discorso). Certe parole, solo perchè abusate, sembrano avere un significato scontato, come per es. buddha-dharma: e poi non ci si capisce.
2. Magari mi sono perso qualcosa e qualcuno di buon cuore, che la conosce, potrebbe mettermi sulla pista giusta.
Non ti seguo invece sul terreno delle Scritture: stanno ancora litigando a sangue tutti quanti, dopo oltre 2000 anni, proprio sulle parole. Qualcuno deve aver persino detto che Buddha è un incubo notturno, o giù di lì.
14 Settembre 2010 alle 5:00 pm
Non mi segui sul terreno delle Scritture, ma le usi a tua volta (Fukanzazengi, Dogen…). Chi se ne importa se qualcuno ci litiga sopra, avranno i loro interessi, che non sono i nostri. Non litigano a causa delle parole, ma semmai sul copyright delle definizioni. Non ci si capisce a partire dalle definizioni, neppure se si parla di mele, probabilmente. Il che non significa che si resti nel vago, in modo che dalla porta senza porta ci passi tutto. Al contrario. Se vuoi sapere a che mi serve una parola come perfezione, ti dirò che mi funziona da riferimento provvisorio per tendere a “qualcosa” che provvisorio non è, un bastoncino di legna secca nelle braci della mia fede: ardendo, mi induce ad agire e a non agire. E’ abbastanza condivisibile come linguaggio?
14 Settembre 2010 alle 6:00 pm
Mi pare di sì; mi pare qualcosa di molto vicino alla seconda ipotesi (70). Quindi, se comprendo bene, è qualcosa di formulato e costruito dalla mente-cervello, che è funzionale a sostenere ed indirizzare un percorso.
Resterebbe poi da vedere se e fino a che punto, con quel sostegno, possa darsi un percorso individuale, cioè se l’attributo di perfezione possa essere riferito alla persona. Ma non vorrei avventurarmi in acque così perigliose (ho la scusa che devo andare a fare cose…).
Quando dissi che non ti seguo sulle scritture, intendevo che non mi basta che una espressione sia in un libro sacro, per prenderla per buona senza ulteriore indagine e verifica. Il Fukan non è una sacra scrittura e Doghen è molto attento nell’uso dei termini: quando scrive ‘illuminazione’ o ‘sapienza’, nel passo citato, non cogli anche tu una bella dose di ironia se non di sarcasmo?! Ride di me, di te, di noi, delle scritture: e con ciò opera, ancora oggi, a nostro vantaggio. Io lo ringrazio.
E ringrazio te. Ciao.
14 Settembre 2010 alle 9:17 pm
Perfezione=realtà (il venerabie Spinoza in Ethica more geometrico demonstrata, proposizione II).
Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in corde.