Gio, 20 Mag 2010
Riceviamo da un amico, ahi lui, da tempo in terra straniera, lontano dall’Italia, perso nelle opulenze di una grande città europea. Privo del conforto di moglie, figli, suoceri (conviventi), gatto, cagnolo e pesce rosso: solo, tra le tentazioni di Parigi, tal che ben sa perché disse il poeta: “Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale”.
A parte le scale (abita al rez-de-chaussée o piano terra…) il resto ce lo rammenta e quasi lo vediamo addentare pensoso un tondino croccante di baguette col foigras, come sperso tra un boulevard ed un bistrot mentre le minettes d’intorno sfarfallano mostrandosi, gareggiano con la tarda primavera …
Dimenticavo: volentieri pubblichiamo il suo sapido, poetico invio.
Il lago Daumesnil, nel parco di Vincennes, è circondato da un sentiero, meta prediletta di podisti corridori più o meno dilettanti, che inanellano giri di ansimante sudore, per lo più apparecchiati con auricolari e Ipod, da cui sfuggono a tratti spruzzi di note a lambire per un attimo l’orecchio del rilassato flaneur, che con passo incurante percorre lento lo stesso cammino. Una bolla racchiude all’istante l’atleta spasimante e il lemme viandante, per un attimo insieme nell’alveo di uno sprazzo di suoni, e subito di nuovo distanti, uno portato via con la sua musica dalla falcata dello sforzo, l’altro ristante nella lentezza del suo silenzio pensoso.
Da questo sentiero principale, si dipartono e si inoltrano fra alberi e aiuole altri sentieri più solitari e tranquilli. Uno di questi conduce ad un ponte, al cui ingresso un cancello proibisce l’accesso nelle ore notturne: traversato il quale, si prosegue in un ansa appartata fra il verde, finché il sentiero non si ricongiunge, attraverso un altro cancello, all’anello principale. In questa enclave ombreggiata e isolata, appresso al sentiero, in una piccola radura fra i cespugli, immobile cova la cigna: un cartello appeso vicino avverte in francese “se ti avvicini è a tuo rischio, chi mi disturba lo becco”. E’ aprile appena iniziato quando passo la prima volta di qui, con S..
Alla fine del mese, a passeggio nel parco insieme a L., la voglio portare a vedere a che punto è la cova: ma il cancello è serrato da un grosso lucchetto, benché sia di giorno, e al solo avvicinarsi alle sbarre da dietro la curva inizia uno strepitìo di rochi stridori, non canto di cigno ma quasi latrati, barriti, furenti disperate ingiunzioni a stare lontani. Immaginiamo che qualcosa è successo, forse le uova si sono dischiuse e la difesa dei nati si è fatta serrata.
Metà maggio, ritorno a passeggio da solo. Porto cibo alle cornacchie, pane secco che accumulo a casa. E’ una gran soddisfazione dar da mangiare alle cornacchie, sono intelligenti e veloci, spesso prendono al volo il boccone, mi girano attorno, mi sembra d’essere uno stregone avvolto in un manto di nere ali. Ma oggi parliamo di cigni, di bianchi natanti non di nere volanti.
In mezzo al laghetto, la coppia adulta attornia quattro grigi sacchetti di piume con becco e zampette. Si muovono in gruppo, i piccini, infilano di continuo il becco nell’acqua, incuranti guidati soltanto dalla voglia di cibo e di nuoto. Gli adulti non li perdono un attimo d’occhio. Sono sempre ai due lati del gruppo, uno di qua, uno di là, li guardano e si guardano attorno. Se uno infila il lungo collo nell’acqua, in cerca di cibo, l’altro a turno sta ritto a controllare, guarda a destra e a sinistra. Due perfette guardie dei corpi, attente a ogni rischio che possa venire dall’acqua o dal cielo.
Li guardo ammirato, e contemplo le loro testoline. Ci starà, in quei cranietti, in cima a quei colli protesi, sì e no un pollice di cervello. Eppure, c’è quanto serve. Sanno procreare, allevare la prole, proteggerla attenti, finché a sua volta non sia in grado di procreare, allevare la prole, proteggerla attenti, finché a sua volta…. Serve altro, di grazia, alla vita? A che pro etti ed etti supplementari di materia grigia, miliardi di neuroni, sinapsi, dendriti, per accumulare ansie e speranze, memorie e frustrazioni, invenzioni e terrori, allo scopo, in fin dei conti, di procreare, allevare la prole, proteggerla attenti (sono attenti, gli umani nel protegger la prole?) finché… Mi direte, che dici? Vuoi mettere un cigno, con le elaborazioni dell’umano, Mosé, Socrate, Buddha, Confucio, Lao tzi, Isaia, Gesù Cristo, Zoroastro, Mani, Maometto, Michelangelo e Mozart, Omero e Tolstoj, Montaigne e Jung, Shakespeare e Pirandello, Nagarjuna e Spinoza, Francesco d’Assisi e Dōgen, Gandhi e Guy Debord, Chopin e Glen Gould, Caravaggio e Mondrian, Paul Simon e i Rolling Stones, Hitchcock e Clint Eastwood, Cassius Clay e Maradona, Charlie Gaul e Usain Bolt (ognuno ci mette i suoi cari) e milioni e milioni di ignoti più o meno eccelsi che hanno illuminato e illuminano la Terra ed il Cielo, che hanno… Che hanno fatto che cosa? Han cercato di dare più senso a qualcosa che il suo senso l’ha già, procreare, allevare la prole… E in cambio di tanta bellezza, bravura, amore, speranza, passione, contraltare ai vertici dell’umano pensare ed agire, gli abissi di Auschwitz e Kolyma, Tamerlano e Cortez, Hitler e Pol pot, gli schiavisti e i mafiosi (abbrevio l’innumere lista discara) e milioni e milioni di più o meno infimi che hanno appestato ed appestano la Terra ed il Cielo, e tolgono ogni parvenza di senso persino all’unica cosa che il suo senso ce l’ha, procreare, allevare la prole… Ne valeva, ne vale la pena? E in cima alla cima, non plus ultra di tutto il pensiero, la rinuncia come istanza suprema, il saper di non sapere, la dotta ingoranza, il pensiero impensato, l’abbandono di sé, la pura presenza presente, e a ogni giorno basta il suo affanno… Il vanto dell’uomo approda alla fine fra le piume impermeate del cigno.
Mentre i piccoli quattro si invegendano in tondo, e un adulto immerge il lungo collo nell’acqua, l’altro si volta di scatto e mi guarda di brutto: sono innocuo o minaccia? Riprendo il cammino fra i saltellanti umani e mi avvio verso casa, cercando un pò di silenzio fra le pieghe dell’encefalo.
Paris, 19 maggio, 2010
70 Commenti a “Il vanto del cigno”
Se volete, lasciate un commento.
Devi essere autenticato per inviare un commento.
21 Maggio 2010 alle 12:12 pm
Bellissimo!non voglio dire “capisco cosa intende” perchè pretendere di capire è forse tanto, però tutto il pezzo rispecchia una serie di pensieri e riflessioni cui mi abbandono con una certa frequenza e in base alle quali spesso desidero mollare tutto per andare a allevare capre (lo dico con estrema serietà).
Solamente, riguardo all’affermazione “l’unica cosa che il suo senso ce l’ha, procreare, allevare la prole..”
.. spero che non sia del tutto esatto.. cioè, spero che un pieno senso e dignità possa anche essere attribuito al semplice esistere senza per forza avere e curare una prole.. dato che non tutti sono così fortunati da poterla ottenere, per mancanza di un compagno, o di efficienza fisica, o forse solo di fortuna. O forse, può intendersi come prole non genetica ma anche spirituale? Però io attribuisco grande dignità anche alla vita in solitaria..
PS siete sicuri di volere quella formichina?! temo stia per causarmi una crisi epilettica!
21 Maggio 2010 alle 12:37 pm
La formichina è quasi arrivata. La capre invece… chissà perché mi ricordano qualche cosa, hanno -come dire- un ché di famigliare. Ma forse mi sbaglio, gli anni passano, anche i padri invecchiano…
Per ciò che riguarda la parte seria attendiamo lumi dal “nostro” inviato a Parigi. Questa mattina era -di nuovo!- a spasso..
21 Maggio 2010 alle 12:47 pm
Beato lui 😀
Non so se le capre c’entrino qualcosa con mio padre, ma da quando ho questi istinti ovini gliene parlo relativamente spesso (anche troppo.. è pur sempre un padre e temo che preferisca una figlia impiegata a una figlia pastora..), e ho effettivamente ricevuto testimonianza dei suoi trascorsi pastorali, anche se non saprei se erano con capre o altro 🙂 .. che ci sia un tarlo ereditario?!
Dici che la formica è quasi arrivata? A me pare si sia perduta..
21 Maggio 2010 alle 12:48 pm
“È pur sempre un padre…” no no, Sumire. Né così né cosà. Con i “padri invecchiano” mi riferivo a me stesso, parfarasando un’antica canzone: “gli anni passano, le mamme invecchiano, ma mai finirà la loro beltà…” primi anni cinquanta se non sbaglio.
21 Maggio 2010 alle 12:49 pm
PS le capre fanno assolutamente parte della parte seria! anche se non necessitano lumi da Parigi.
21 Maggio 2010 alle 12:57 pm
Se qui ci si occupasse solo di quel che necessita avremmo chiuso da un bel po’. Se scappi col pallone… non si gioca più.
21 Maggio 2010 alle 1:01 pm
Nono non scappo, è solo che già scoccio con domande sulle cose “serie”, non volevo scocciare anche con le capre…
… in rif. a (5), chiedo venia, avevo travisato pensando a mio papà, evidentemente tratta in inganno da un’associazione linguistica che ha agito sull’inconscio 🙂 Però allora davvero non so cosa ti ricordano i miti ovini!
21 Maggio 2010 alle 1:11 pm
anche l’intro di mym è un pezzo da antologia
21 Maggio 2010 alle 1:11 pm
p.s. da quando mym frequenta certa gentaglia, non la finisce più di citare Dante….
21 Maggio 2010 alle 2:08 pm
In un pianeta popolato da 7 miliardi di individui e dalle risorse limitate mi dovrei mettere a sfornare marmocchi per dare un senso al tutto?!Grazie,no – ci tengo alla mia linea -.PS:Mi prendo l’aperitivo e, poi, mi stendo sul letto;sono un po’ stanca.
21 Maggio 2010 alle 2:10 pm
In un pianeta popolato da 7 miliardi di individui e dalle risorse limitate mi dovrei mettere a sfornare marmocchi per dare un senso al tutto?!
Grazie,no – ci tengo alla linea -.
PS:Mi prendo l’aperitivo e, poi, mi stendo sul letto.Sono un po’ stanca.
21 Maggio 2010 alle 2:38 pm
…tra l’altro, quella che cita Mara (10-11) è una corrente di pensiero che non condivito totalmente ma che trovo assolutamente comprensibile e rispettabile, e che associo, anche se per motivi diversi da quelli esposti da me, alla mia domanda al punto (1).
@ mym : al mio post in (7) non volevo citare (5) ma (4).. sto facendo confusione coi numerelli, scusate.
21 Maggio 2010 alle 2:49 pm
Me voici.
A Sumire (1). Penso di sì, che sia esatto (e se lo è lo è del tutto, l’esattezza non ha gradazioni, temo). Intendo dire che il senso del fare dei cigni è nel loro fare stesso, non c’è nessuna sovrapposizione, manifesta, realizza ed esaurisce il loro essere ciò che sono senza bisogno di ulteriori “applicazioni di senso”. Peraltro, fra senso e dignità ce ne corre, non sono la stessa cosa. Quanto alle capre, pensaci bene, non sono mica cigni. Quanto alla prole, te ne auguro numerosa e vociante. I lumi da Parigi sono di prammatica, è o non è la ville lumière?
A Mara (10 e 11 – repetita iuvant?) Per carità, lascia stare: bevi troppi aperitivi, tu ne veux pas grossir, e soprattutto non sei una cigna, I suppose.
A mym (e a chi per caso interessasse). Il pesce rosso nuota da tempo negli Acquari Elisi e io non mangio foie gras (mai nella baguette, comunque) sia perché non mi piace granché sia per etici motivi.
Alla formichina: grazie e buon riposo.
21 Maggio 2010 alle 2:56 pm
Fidati:a volte repetita non iuvant.Un semplice errore del pc.La conosci la differenza tra una cosa e una non-cosa?No, I suppose.
21 Maggio 2010 alle 3:01 pm
Ma se il senso del fare dei cigni è nel loro fare stesso, e realizza ed esaurisce il loro essere ciò che sono senza bisogno di ulteriori “applicazioni di senso”.. allora ha senso anche un cigno senza prole.. e soprattutto una Viola senza prole, se non ne ha.. o questo è errato?
o forse sto solo cercando in tutti i modi di giustificare il senso della mia esistenza anche se il tuo augurio sulla mia futura prole finirà per non realizzarsi, in un futile tentativo di non sentire la mia vita come sprecata? Personalmente sento che vi sono mille altri modi per dar senso all’esistenza che non siano una prole materiale e forse nemmeno spirituale.. fra cui le capre.. ci penso bene a quelle, davvero!!! Ci penso così bene che non le ho ancora prese.
…o forse semplicemente la risposta a tutto ciò è: sei una viola e non un cigno, quel che vale per il cigno non vale anche per te? forse è così. O forse era meglio smettere di scrivere alla riga 7, perchè le prime 7 righe erano meno sciocche di tutto il resto?
tra parentesi, scusate davvero se dico castronerie, so che parlo perlopiù da una discreta ignoranza.
..e fra senso e dignità ne corre davvero tanta?!
21 Maggio 2010 alle 3:05 pm
Oo.Accetta il consiglio:1)leggiti Così parlò Zarathustra e tappagli la bocca!(scegli: o lui o me);2)Non accetare consigli.X la serie scacco in 2 mosse.Vuoi ancora giocare?
PS: Dammi retta:in questo mondo che brucia in fretta quello che ieri era vero non sarà vero domani(forse).
21 Maggio 2010 alle 3:13 pm
..insomma, rileggendo il tutto, forse il concetto finale è che non servono mille altri modi per dar senso all’esistenza, perchè l’esistenza in sè ha già senso, comunque essa venga vissuta.
…E “fare figli per dare senso all’esistenza” è un’interpretazione errata e off-topic.
Continuo però a riflettere su differenza fra senso e dignità.
@homosexual: il messaggio è per me?
21 Maggio 2010 alle 3:27 pm
A Mara (14) Mi fido. Peraltro, hai ragione, non la conosco. Che cosa è una non-cosa?
A Sumire (in generale). Non intendo certo, mi sembrava lampante, invitare alla procreazione come modo di dar senso alla vita. Crescete e moltiplicatevi suona come armatevi e partite. E di prolificanti insensati è pieno il mondo. La differenza che personalmente colgo fra senso e dignità è che il senso è intrinseco, è una scoperta, la dignità è il modo di interpretare il senso. Probablement…
21 Maggio 2010 alle 4:02 pm
Già, è vero, eppure tanto crescete e moltiplicatevi quanto armatevi e partite sono frasi piuttosto abusate da un paio di millenni 🙂
La dignità è il modo di interpretare il senso? difficile. Impiegherò parecchio tempo a cercare di capirlo.
21 Maggio 2010 alle 4:06 pm
Viuuuu!Un-due-e-tre punto e a capo: pura metafisica scorre sul binarioooo..Sumira ma non era per te il messaggio.Ascolta bene:’Se ti senti solo e vuoi tirarti il morale su, prego, spedisci un’altra postcard da Parigi..Io, da quaggiù, per tenere la morale su partecipo ad un simposio.Il tema scelto dai commensali è “Sviluppo della modernità tra Cartesio e Heidegger”.Ma sull’abito da sera non svelo niente.
PS:Chiudo fino al 29 c.m. Non mi va di “far perdere tempo” a MYM.
21 Maggio 2010 alle 4:24 pm
Grazie, lo farò senz’altro, se MYM è così gentile da ospitarmi. Buon simposio.
Quanto a senso e dignità, in un altro blog (si possono mischiare i blog?) “Libertà vo’ cercando…” Isabela ricorda i trascorsi nazisti di Heidegger: ecco, il filosofo tedesco dimostra come la (pretesa) ricerca di senso possa essere interpretata in modo indegno.
21 Maggio 2010 alle 4:28 pm
Penso si possano mischiare i Blog, ma sarebbe più pratico fornendo il link 😀
sennò mi affiderò a “Gogol”
21 Maggio 2010 alle 4:32 pm
E’ sempre sul sito della Stella, temo di non frequentarne altri…
21 Maggio 2010 alle 4:38 pm
ooops!
21 Maggio 2010 alle 5:19 pm
Sciò sciò, ragazzi, mi assento un momento e guarda che disordine, tutti i blog mischiati, le chiacchiere da comari e tutto. A jf (13): quindi a parte dettagli (il pesce rosso e la baguette) confermi il resto, fellone procreatore impenitente, a Parigi per di più. Non ci sono più i buddisti di una volta.
Buon viaggio anche a dhr: canterà l’Aida, in teatro, sabato sera, a Brescia, davanti al custode e due pompieri. Durante la partita di Cempion.
Requiem, per una formica mai nata.
21 Maggio 2010 alle 5:35 pm
Mai con le cigne, comunque, non sono Zeus (pas encore). E se è per questo non ci sono neppure più i buddisti di stavolta.
Auguri a dhr: speriamo che il coro egizio non ascolti la partita con l’auricolare…
21 Maggio 2010 alle 5:39 pm
È lui il coro egizio… 🙁
21 Maggio 2010 alle 7:15 pm
>dhr: canterà l’Aida, in teatro, sabato sera, a Brescia, davanti al custode e due pompieri. Durante la partita di Cempion.
pataccaro, ma quale Aida!!! canti popolari e di montagna con il coro del Cai.
tutto il resto però è vero 🙁
21 Maggio 2010 alle 7:20 pm
Un coro egizio con la radiolina che canta cori di montagna? Per fortuna che il resto è vero… 😀
21 Maggio 2010 alle 7:37 pm
A proposito delle pariginate di JF. L’anno scorso un parroco ciellino, sentendoci cantare, lodò la nostra benemerita opera culturale e spirituale, con quei canti che facevano emergere la “purezza” profonda che si conserva dentro ciascuno di noi…
Per la verità i testi, in dialetti assortiti, parlavano di giovinotti & giovinotte che ciulavano nei prati.
Però, d’accordissimo con lui. Chi ha orecchie per intendere…
21 Maggio 2010 alle 7:45 pm
E con questa il più è fatto: ora manca solo che lo cucchi la mogliera…
22 Maggio 2010 alle 1:18 am
Belin, ragazzi, come dicono qui a Paris! Faccio un paio di innocenti considerazioni metabiologiche sui cigni, e chi pensa che inneggi alla procreazione non assistita per colmare la solitudine, chi nel dubbio vuol farsi pastora di capre, chi legge in filigrana di libertine primavere parigine, chi invece di guardare la partita (o di andare nei prati?) canta l’Aida con gli alpini e un parroco ciellino… la compagnia è davvero lussureggiante, varia e cantante! Comunque, honni soit qui mal y pense, non ignorando che, se di questo si parla, Paris vaut bien une fesse…
22 Maggio 2010 alle 7:00 am
(ragazzi, adoro il buddismo marxista, nel senso dei Fratelli Marx. la volta che il Ratzi si affaccia alla finestra e comincia a dire di queste cose, potrà farci concorrenza seria… prima di allora, no!)
22 Maggio 2010 alle 11:02 am
In effetti le libertine primavere parigine sono state la prima cosa che ho colto fra le righe, come hai fatto a saperlo 😀
Comunque MetaBiologia mi piace, peccato che non avevano ancora aperto la specializzazione quando ho finito l’università.
23 Maggio 2010 alle 10:41 pm
La vita è come una belva famelica:
vuole essere vissuta, esaurita;
è come lasciarsi andare per una ripida discesa,
acconsenti! se esiti cadi.
cerca di tenere il ritmo dei passi
non farti sfuggire le gambe!
arrivi al pianoro
la velocità cala.
Cosa è stata la vita,
forse un lungo attimo di eccitazione,
forse il fatto che mentre scendevi,
cercando di non farti sovrastare dalla velocità,
ti sei reso conto che potevi farcela
ad arrivare fino in fondo.
E’ inutile attendere, non serve a niente,
morire si muore, tanto vale farlo vivendo
appieno.
Un saluto a jf
23 Maggio 2010 alle 11:00 pm
La prima riflessione cui mi rimanda lo scritto di Jiso è, “bonno soku bodai” (le ‘illusioni’ divengono saggezza).
La seconda è più complicata, ed è, Sakyamuni buddha, quando era Siddharta Gotama, ha veramente abbandonato suo figlio?
24 Maggio 2010 alle 1:39 pm
Un saluto a te, Roccia, e attento alle caviglie…
A Nello (36) La mia intenzione (conta?) era scrivere il raccontino pensieroso di una passeggiata parigina (qualcosa fra Leopardi e Walser, come ispirazione alta, intendiamoci, non come basso risultato!) da far leggere agli amici, non un trattato di buddologia (esiste?). Di saggezza (vuoi, bodai) so niente, di illusioni, q.b. Quanto a Siddharta e al povero Rahula, orfano di padre vivo, non mi pare che c’entri granché coi miei cigni. Siddharta vede dukkha al culmine della gioia terrena, invece che, come di solito, nel pozzo del dolore (funerali e abbandoni) lì sta la metafora, il resto son storielle agiografiche. Rivedere comunque le scene finali di “Samsara” che propongono un ineludibile (a parer mio) punto di vista sul tema.
24 Maggio 2010 alle 11:05 pm
Caro Jiso,
lungi da me l’idea di spostare l’asse del tema dalla sua intenzione originaria.
Non ho alcuna preclusione rispetto a naturali riflessioni dovute a saluberrime passeggiate parigine walserleopardiane.
Ho semplicemente detto quanto le suddette riflessioni stimolavano a me.
Ognuno, liberamente esprime se stesso.
Personalmente, penso che qualsiasi fatto, possa essere interpretato “duddhologicamente”, termine che per me significa universalmente.
Se la riflessione nel tuo passeggiare coglie sfumature e colori di un piano di realtà che viene a compararsi a un altro piano della medesima,nel condividere ciò, si producono una molteplicità di posizioni che sono speculari alla propria soggettività.
Se poi, il proprio innocente passeggio walserleopardiano produce, più o meno intenzionalmente, una separazione tra piani inseparabili, allora sono stimolato a dire “bonno soku bodai” e ancora “samsara soku nirvana”.
Questo, ovviamente, non significa che la “logica” che sovrastà al mondo debba essere accettata acriticamente.
Di “saggezza” so niente anch’io, tuttavia, se esiste, non la ritengo separata dalle illusioni. E’ evidente che è un discorso pericoloso, è evidente che una errata comprensione della via buddhista sia estremamente pericolosa.
Per me, il figlio di Siddharta e i cuccioli di cigno, sono la stessa identica realtà.
Non considero Rahula “orfano di padre vivo”, al contrario…
Siddharta non vede solo dukkha…
La agiografia comunque, spesso ha il merito di rimandare a una visione integrata del mondo e in grado di contemplare i molteplici piani di realtà. Come tutto, può essere utilizzata in funzione “conservatrice” oppure evolutiva.
Non ho visto il film che citi.
Nel Dharma.
1 Giugno 2010 alle 10:18 am
Vorrei tornare un attimo alla innocente passeggiata nel parco. Mi era molto piaciuta l’ immagine della bolla in cui si era trovati il podista e il viandante. Per curiosità ho provato a “tenere il conto” di tutte le “bolle” che mi si formavano attorno. Solo rimanendo nel campo degli “umani”, è stato sbalorditivo ( e divertente ) accorgersi della quantità di “incontri” e “distacchi” che avvengono nell’ arco di una normale giornata lavorativa e non. Ciao
1 Giugno 2010 alle 10:33 am
Ciao Marta. D’innocente lì non c’era molto, oramai è acclarato. Persino il parco, a ben vedere, è malandrino…
Incontri e distacchi, dici. Bello. In effetti il suono prima staglia poi sfuma, sino allo sparire. Il guardone invece compone quadri a diverse distanze, e perciò definizioni, che invitano all’ipotesi ed alla loro conferma/sconferma, poi il distacco è netto, improvviso.
Il perdigiorno è arte fina.
1 Giugno 2010 alle 6:07 pm
A dire il vero non stavo parlando degli altri. Parlavo delle bolle che si formavano negli incontri tra me e …. Forse mi sono spiegata male.
2 Giugno 2010 alle 10:37 am
Ciao Marta ben tornata..Ti sei spiegata proprio bene.Forse dipende dal fatto che ‘amare gli uomini’ al modo di Gesù significa non amare nessuno. Per questo pratico l’amore unidirezionale. Il mio amore, cioè, ha assunto le forme di una razionalità che si impone ed esclude tutto ciò che è ‘anormale’, ‘cattivo'(più o meno tutto il mondo).Sm-ck.
2 Giugno 2010 alle 11:15 am
Sì, in effetti anch’io penso che Marta si fosse ben spiegata. Chissà perché ne ha dubitato…
Riguardo all’unidirezionale capisco ma non concordo, preferisco l’altro, quello di Gesù che porta a non amar nessuno. Se mi mettessi a scegliere sarei già nel mar dei sargassi, come i preti, che si salvano sempre ma per aprir la porta agli altri scelgono. Volendo far dio in terra preferisco quello che assolve tutti a quello con la bilancia: non mi fido.
2 Giugno 2010 alle 12:26 pm
A MYM
..a non amar nessuno..
o ad amar tutti?
ma sunyata non corrisponde all’apertura-emersione di karuna?
Le “tre menti” come “atteggiamento da mantenere” non evocano un sentimento aperto (quindi non unidirezionale o a-direzionale)?
ciao
2 Giugno 2010 alle 12:49 pm
Ciao Dario. Sì, a tutte e tre le tue domande. Il tuo intervento è chiarificatore; con homosexual (forse per intimità di linguaggio) saltiamo a volte alcuni passaggi. In argomenti importanti non è buona cosa, meglio abbondare un poco. Per di più, in questo caso, c’è un non detto abbastanza pesante: homosexual porta qui un riflesso di qualcosa (il tipo di amore raccomandato da Gesù rivisto da una prospettiva buddista) che ho pubblicato nel post ora in home: imperdonabile. Rischia di diventare un discorso privato, inter nos. Non va bene.
2 Giugno 2010 alle 3:39 pm
A homosexual
Grazie… Marta
2 Giugno 2010 alle 9:31 pm
A dire il vero anch’io diffido.La relazione di mym mi ha chiarito le idee anche se su un punto siamo, parlando con licenza, ‘nemici’ mortali. Il ‘problema’ – se tale posso definirlo per un momento – è la passione per l’odio (ovviamente un odio metodologicamente organizzato contro la realtà).Ma non mi va di scatenare una valanga tirando una pallina di neve; eppoi indovino le varie e possibili obiezioni alla Sumira del tipo ‘off topic’.(Anche se, imho, l’odio di jf per i saggi di ogni tempo sembra cristallino).
PS:Perdona – perdonate – il linguaggio confidenziale ma ieri, dopo mille peripezie, mi è stato recapitato il cd di cui alla reclame del 19.11.09. Con l’impianto stereo che mi ritrovo pare di avere mym a casa (almeno in spirito). ^^
2 Giugno 2010 alle 9:39 pm
La passione per l’odio? Chissà, sono curioso: ci dai uno spunto in più per comprendere dove stai indicando?
Avere mym in casa e per di più stereo dev’essere terrificante. Guarda un po’ a me che cosa è toccato fare per non avercelo tra i piedi tutto il giorno, e il mio non è neppure stereo…
3 Giugno 2010 alle 1:01 am
Buonasera.
Chi era che diceva : ‘non amatemi! Mi basta che abbiate per me la stessa considerazione che avete per voi stessi.’?
A homosexual (mi ricorda homosex…è lui ma non è proprio lui). 47. Il ‘problema’ – se tale posso definirlo per un momento – è la passione per l’amore (non necessariamente un amore metodologicamente organizzato contro la realtà).
A mym: nel blog in home, pag 8 : ‘… amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perchè siate figli del Padre vostro celeste…’ . C’è un errore o il testo è esatto? Io a naso direi ‘siete’ e non ‘siate’. Qualunque cosa voglia dire quel ’amate’.
3 Giugno 2010 alle 1:11 am
perchè perchè non è affinchè
3 Giugno 2010 alle 10:19 am
Ciao Doc. Capisco, ma in questo caso perché è affinché. L’idea che esprime è il divenire, magari ciò che si è perché altrimenti non sarebbe possibile, ma comunque un divenire guidato o incanalato dal porsi in quel senso.
3 Giugno 2010 alle 11:33 am
Ciao Doc. Una precisazione: il testo del Vangelo dice proprio “perché siate figli…” e ci sta. Il greco ha “opos ghenestse” (più o meno si pronuncia così) e “opos” vuol dire perché (che in italiano è anche sinonimo di
“affinché”) e “ghenesthe” è la seconda persona plurale dell’aoristo congiuntivo
del verbo “ghignomai” (si legge ghig-nomai, con la g dura) che significa “essere/divenire” e mi sembra che il senso sia quello, in quanto è nell’assumere la modalità del Padre che se ne diventa (è) legittimi figli. (Per il greco, che per me è solo memoria di studi antichi, chiedo conferma e/o smentita a Cristina, per la quale il greco è lingua viva).
Quanto alla questione sollevata da homosexual 47 (ciao!) effettivamente sarebbe da affrontare, ma forse hai ragione, meglio lasciar correre. Mi sento però di dire che il medesimo che parla di amore per i nemici altrove invita all’odio per padri, madri, mogli e figli e la cosa non è così contraddittoria come appare. Hai letto bene, in profondo: il mio amore per i saggi del passato implica un odio (spero) cristallino. La quaestio forse è: si può amare il bene e non odiare il male? O in altri termini, anche se non è esattamente la stessa cosa: si può amare il buddha e non ucciderlo, all’incontro? E non è una questione teorica.
3 Giugno 2010 alle 11:46 am
Grazie JF, speriamo che Cristina accolga l’invito per asseverare, linguisticamente, quello che ci hai donato. Sull’odio una precisazione, qui, indispensabile: parlando di padri, madri, mogli ecc. Gesù (nella versione di Matteo) non invita all’odio, è venuto per separare, dice, e li pone poi in subordine: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me” per poi introdurre il famoso “Chi avrà trovato la sua vita, la perderà…”. Nel Vangelo di Matteo la parola odio non è mai nominata. Invece in Luca troviamo: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo”. Ho sempre avuto una predilezione particolare per Matteo.
3 Giugno 2010 alle 12:36 pm
Invece, “amare il buddha” mi pare un ossimoro. Speculare alla raccomandazione di ucciderlo. Dal punto di vista linguistico, però, considero in modo sfavorevole il ricorso alla parola “uccidere”, come il ricorso a “odio”, anche perché (ma non solo per quello) uno dei maggiori pericoli, al mondo, sono i fessi.
3 Giugno 2010 alle 1:48 pm
Vero, vero. Gli ossimori sono, linguisticamente parlando, la forma non dualistica della contraddizione. Sarebbe meglio, è vero, non ricorrere a parole come “uccidere” e “odio”, non fa bene, di solito, a chi le usa: semel in anno, però, a ragion veduta… I fessi, peraltro, fanno allegramente danni anche brandendo l’amore e la compassione, sennò non sarebbero fessi.
3 Giugno 2010 alle 2:11 pm
Ehi, mym, ma stai sempre connesso?Sei un vero osso duro.. ribatti colpo su colpo!Sono abile con la spada ma col fioretto sono un disastro, finisco sempre per scoprirmi (troppa furia).Se vuoi,però, comincio a babalbebetttaree..
Devo recitare la parte di Apemonte, noto personaggio shakespeariano. Un pubblico intrattenitore – un intellettuale -che rideva e si faceva beffe di tutti perchè amava a sufficienza se stesso. Propugnava un odio selettivo contro l’avidità e l’adulazione. Insomma soffriva di una misantropia che era espressione di un’appassionata onestà.
3 Giugno 2010 alle 2:13 pm
Grazie per le precisazioni, mym e jf. Il discorso mi pare circolare.
Solo chi in qualche modo assume le modalità del Padre, che in altri termini significa che ha in qualche modo ha realizzato di essere parte integrante del tutto-che-vive, può non-odiare (ovvero amare) il suo nemico, perché ne riconosce la sostanziale identità con se stesso. Facciamo pure riferimento alla nostra esperienza: laddove c’è un io, c’è amore ed odio. Per non odiare, bisogna in qualche modo aver realizzato che l’altro è me, ovvero che non siamo – se non nell’apparenza – modalità separate e quindi in competizione. Solo a questo punto non odiare il nemico diventa una operazione forse non-impossibile per noi mortali. A sostegno di questo ragionamento invoco il sutra del diamante, 14e: ‘…quando il re Kalinga tagliò la mia carne in ogni arto, in quel momento non avevo percezione alcuna di un io, di un essere, di un anima o di una persona. E perché? Se, Subuthi, in quel momento io avessi avuto una percezione di io, avrei pure avuto in quel momento una percezione di malevolenza….>>.
Epperò, nel contempo, bisogna sforzarsi di ‘amare il nemico’, facendo violenza al nostro stesso io, perché sennò non si assumono le modalità del Padre.
Questo per quanto riguarda i santi. Per quanto concerne me, per evitare di prendere a legnate un sacco di gente devo solitamente adottare tecniche più terra-terra: per esempio quella di ‘mettermi nei panni degli altri’ ogni volta che ci riesco (prima di bastonarli, però; sennò serve solo ad attivare, poi, i sensi di colpa).
3 Giugno 2010 alle 3:21 pm
Gesù disse:”Il regno del padre è come un uomo che voleva uccidere un uomo potente. Nella sua casa estrasse la spada e la conficcò nel muro per scoprire se la sua mano potesse compire l’azione.Poi uccise l’uomo potente”.
(Tommaso, 98, – parabola dell’assassino)
3 Giugno 2010 alle 3:23 pm
A doc 49.
Cosa fa esistere l’odio? Come può esserci e cos’è il mondo perché possa installarvisi e non andarsene più? Tuttavia l’odio che si stabilizza assume contorni precisi, profili perfetti. Un sentimento di invidiabile chiarezza, più terso dell’amore, disinteressato come può esserlo ogni altro sentimento, ma certamente di più.
Se l’amore nasce da ciò che manca e dal desiderio di esso, l’odio, invece, nasce dal senso che costui è di troppo. E’ lo smacco di un annullamento desiderato. L’odio è possibile perché non è possibile il nulla.
3 Giugno 2010 alle 7:44 pm
Homosexual, oggi sei straripante, o birbante.
Doc (57), a me la cosa appare più semplice. Odiare è una fatica folle, tanto quanto amare. Con in più derive negative immediate e future. Fatta questa esperienza si prova una diversa uscita, e poi un’altra. Sino a che ti accorgi che -per davvero- se hai cura del tu che incontri il primo a giovarne è me che incontro. Non si tratta di amare il nemico (una sciocchezza pari a odiare l’amico) si tratta di fregarsene del fatto che sia rappresentabile come “nemico”. Certo il tutto richiede una certa attenzione minuta, si può dire anche pazienza. Per cui: meno tu incontri e meno hai da curare. Certamente vi sarà un deficit di beatitudine edificata, ma, insomma, c’è un limite a tutto.
3 Giugno 2010 alle 8:22 pm
La selezione innaturale (meno incontri meno dovrai districarti fra amore e odio) mi pare l’unico esito proponibile: ma è anche una questione di anagrafe. Ai più giovani forse conviene esercitarsi a odiare senza rancore e amare senza possessività, per non correre il rischio di diventare tiepidi, atteggiamento indegno, come ammonisce l’angelo della chiesa di Laodicea (Apocalisse 3,14 segg.)
4 Giugno 2010 alle 12:27 am
Nudelook ‘bodhisattico’.Un po’ amaramente concordo.
Opportunamente anche mym esce dal didascalico e riporta il tema a noi, alla nostra quotidianità vissuta.
Noi del piccolo veicolo 🙁 invece andiamo un po’ ottusamente a spulciare i casi-limite: Buddha e Kalinga, Cristo e i suoi aguzzini, i santi martiri. Che pure però restano le idee-forza di riferimento in questo campo, tant’è vero che da quei casi-limite origina anche il discorso di questo blog.
Ciao Homosexual: è vero, anche l’odio può essere affascinante, forse più ancora di…ecc ecc Ma se lo si ama, si soffre. Più (lo) si ama più si soffre. Non ti corrisponde questo dato esperienziale? Il discorso lo vedrei da un’altra angolazione: questa sofferenza che mi deriva da amore-odio mi sta bene? La voglio amplificare o voglio attutirla, liberarmene? Nel caso; sono in grado di rinunciare a questo vivificante amore (per l’odio) o non posso farne a meno?
4 Giugno 2010 alle 12:25 pm
A jf (52). Dall’alto della mia competenza convalido il tuo greco, con una precisazione: l’aoristo non ha valore indifferentemente durativo e/o puntuativo, ma solo puntuativo: per cui ghenesthe significa “diventiate” e non concede l’alternativa con “siate”. Chiedo scusa per la pignoleria: noi grecisti siamo fatti così!
4 Giugno 2010 alle 2:55 pm
A doc 62.
Si tratta di odio ‘intellettuale’ cioè di provare odio senza sentirlo mentre la sofferenza non mi fa più soffrire. I giovani li evito come la peste (preferisco le ricche vedove) e..sono a rischio di censura. Spero di aver soddisfatto la curiosità di mym e..dei curiosi!Questo è quanto – il discorso mi pare circolare -.
4 Giugno 2010 alle 7:55 pm
Passi l’odio intellettuale, , ma la sofferenza che non fa soffrire…sono affermazioni che, personalmente, preferisco non fare.
4 Giugno 2010 alle 9:42 pm
Non farle, mica sei me. I bambini che muoiono in Africa dovrebbero commuovermi? Le guerre e le apocalissi ecologiche? E la nostra povera patria? Padre nostro che sei nei cieli sapevano e sanno benissimo quello che fanno – dicono che sia legale -. La sofferenza del mondo mi lascia indifferente, non è compito mio occuparmene. E’ pacifico ormai: non soltanto Dio non governa il mondo ma neppure io posso farci niente (se fosse diversamente sarebbe terribile!). Allora l’odio riempe la vita; attraverso il dolore di vedere il mondo in un disordine mostruoso si fa luce la gioa di sapere in ordine la propria mente.
4 Giugno 2010 alle 11:46 pm
Era un nascosto invito scaramantico. Si può tranquillamente fare gli offesi con la vita (conosci il ‘Credo’ di Jago nell’opera di Verdi?); ma ogni tanto si può anche provare a cambiare musica. Non è detto che ci si trovi poi così male.
5 Giugno 2010 alle 8:36 am
Offeso con la vita?L’etica buontempona che pratico mira ad aiutare l’uomo a partorire in se stesso l’uomo autentico, ingabbiato com’è dalle convenzioni e dalla banalità quotidiana, nutrendolo di illusioni e aiutandolo con la spensieratezza. Il canto di Jago lo trovo troppo cupo per i miei gusti e alla serietà totale preferisco le sciocchezze alla Chopin (cioè una razionalità riempita di fantasia).Per scaramanzia mi ascolto una canzonetta ‘un romantico a Milano’ (conosci?), e mi metto pure a ballare (mi sa tanto che è una celebrazione..)
5 Giugno 2010 alle 1:12 pm
Impugno il fioretto e zaag! Senza “aiutandolo con la” riga 4(perdonate ma proprio non resisto ai numeri erotici..)
6 Giugno 2010 alle 12:27 am
Carina la canzonetta; non ne facevo una questione di gusti, ma mi fa piacere quando si pratica il buontempo. Prendo esempio e celebro una buona notte.