Dom, 31 Gen 2010
vissuto consapevoli
della natura fugace della vita
ha più valore
di cento anni
inconsapevoli di nascita e morte
Alcune settimane addietro pubblicammo la provocatoria proposta da parte di un padre -nonché professore della Luiss- che invitava il proprio figlio a lasciare l’Italia per organizzare il proprio futuro.
Da parte della generazione a cui quella lettera era indirizzata ricevo ora, e vi propongo, un’altra lettera che ritengo particolarmente importante. È un modo molto pragmatico di affrontare “lo stato delle cose”, di un privilegiato se volete, ma -a ben vedere- è una domanda radicale a proposito di che-cosa-stiamo-a-fare-noi-qui.
Se avete risposte: ben vengano.
«Lei alla mia eta non si sentiva “fregato”? nel senso: ho 21 anni, sono giovane e forte, ho voglia di fare, non ho i mezzi per essere indipendente. Non li avrò prima di altri 5-6 anni.
Quando li avrò sarò comunque senza una casa e, a meno di essere un’eccezione, avrò poco denaro. Passerò la mia restante giovinezza
a pagare un affitto salato o un mutuo, la restante vita a lavorare per mantenere la baracca, e poi (voglia il cielo) sarò in pensione, a un’età in cui si preferisce il semolino alla pizza. E questo schifo senza nemmeno considerare il dolore e la frustrazione nei riguardi di politica istituzioni mezze stagioni ecc. E senza includere prole nel progetto!
Quindi? Il tempo che fine fa? La mia vita? Foss’anche il lavoro la mia vita, potessi aver la fortuna di lavorare sull’argomento a me caro, quando, quando si vive invece di “campare”?
E a vantaggio di chi si lavora come dei muli negli anni migliori? Nostro? Il nostro appagamento interiore? mapperfavore.
Facciamo i nichilisti e diciamo che è inutile trovare un senso produttivo a questa vita, che di senso non ne ha? Filosofia alla Vasco Rossi? mapperfavore.
Era questo, che nel ’68 spingeva a lanciare sanpietrini alla polizia? Se si: tutto il mio appoggio. Buona giornata»
34 Commenti a “Una domanda in attesa”
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31 Gennaio 2010 alle 3:42 pm
Il guaio è, a mio parere, che la stessa domanda può essere fatta, ( se c’è una certa sensibilità ), da chi ha una casa, un lavoro che magari gli piace.. oppure da chi è senza lavoro, magari emarginato ecc…
E viceversa, c’è chi trova un senso al vivere sia che abbia un lavoro oppure no, che stia bene oppure no…
Non mi sembra che ci sia la possibilità di riconoscere in una situazione “oggettiva” ciò che dà un senso alla vita e questo, talvolta, è abbastanza drammatico, perchè si corre il rischio di non trovare un “serio motivo” per alzarsi al mattino…
Da questo punto di vista, è proprio dura…
31 Gennaio 2010 alle 5:30 pm
Ciao Marta, bentornata.
Infatti. Per questo la considero una “domanda” interessante: è generalizzabile e, per di più, viene da un privilegiato.
31 Gennaio 2010 alle 6:56 pm
Ciao mym, grazie. Certo, la domanda riguarda tutti. Molti di noi vivono, credo, in una situazione privilegiata, per un motivo o per un altro, e si sono trovati ( e si trovano ) comunque, a dover rispondere a questo interrogativo, che spesso non si sa neanche da dove nasce….( Già cercare questo magari…)
Le risposte che ci si dà cambiano, a seconda dei momenti, delle circostanze, di ciò in cui si crede e delle persone che si incontrano. A volte non si trovano proprio, nonostante tutto…
Tutte cose ovvie…
Mi verrebbe da dire che queste sono domande destinate a rimanere tali, eppure non possono non avere una risposta, sia pur mutevole e individuale…
Sì, lo so che non ho azzardato nessuna risposta, ma.. a chiedermelo adesso ( se la mia vita ha un senso), ho paura che mica saprei cosa rispondermi!
Un saluto
31 Gennaio 2010 alle 8:40 pm
“oltre” me stesso:il volto dell’altro.
“oltre” la rabbia:l’impegno.
Una riflessione, non una risposta.
31 Gennaio 2010 alle 11:00 pm
Il 21enne non ragiona male. Personalmente sono un fanatico del lavoro, e sono assai poco filo-sessantottino, però mi capita spesso di chiedermi: questi giovani (non il 21enne, credo) che arrivano ad alcolizzarsi, drogarsi… è perché non hanno capito niente, o sono gli unici che hanno capito tutto? Trovassero pure il mega-lavoro brillante e scintillante, il sogno della loro vita… a che servirebbe? a tenere in piedi che cosa?
…
[Torquato] TASSO – Che rimedio potrebbe giovare contro la noia?
GENIO – Il sonno, l’oppio e il dolore.
1 Febbraio 2010 alle 10:55 am
Sì, però…Allora? La traduzione, un po’ libera ma certamente precisa, di “adulto” è “lo scaricabarile finisci qui”. Siamo uomini, donne o …?
1 Febbraio 2010 alle 11:32 am
Mira sempre ottima, mym.
Infatti aggiungo che la celebre sentenza di Qohélet 1,2 ha come diretta conseguenza non lo svacco, bensì Qohélet 3,1-8.
1 Febbraio 2010 alle 11:45 am
Dai, non ce li far cercare: dopo i numeretti metti i versetti…
1 Febbraio 2010 alle 12:22 pm
La pappa pronta la si fa trovare ai bambini, non agli “adulti”…
1 Febbraio 2010 alle 12:53 pm
Già, per quello pensavo che gli adulti scrivendo ai meno adulti… Vabbe’: Qoelet 1,2 “Vanità delle vanità, dice Qoelet, vanità delle vanità, tutto è vanità”. Qoelet 3,1-9: “Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare. Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci. Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttar via. Un tempo per stracciare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare. Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace. Che vantaggio ha chi si dà da fare con fatica?”
Sì, però, allora?
1 Febbraio 2010 alle 2:10 pm
(L’ultima frase c’entra un piffero: si era detto fino al v. 8, non 9)
Appunto: SICCOME tutto è vanità, ALLORA il bello – e il difficile – è sapere fare la cosa giusta al momento giusto. Anche l’indifferenza o l’apatia sarebbe una scelta unilaterale.
Questo mi insegnò tempo fa uno-dei-qui-presenti.
1 Febbraio 2010 alle 4:55 pm
Non mi pare che una risposta in termini ‘religiosi’ sia pertinente a questo caso.
Ri leggendo la lettera del 21 enne, a me viene da pensare: o non la conta giusta, o non la conta tutta…o si atteggia a …
A un 21 enne si può giustificare quasi qualsiasi espressione: compreso il sentirsi fregato ancora prima di cominciare.
Ma tutto questo non è ancora una presa di coscienza del ‘disagio’, di dukka. Manca una domanda che parta dal cuore. E fintanto che questa domanda non venga formulata, qualsiasi risposta verrà assorbita da una smorfia di scetticismo.
1 Febbraio 2010 alle 5:06 pm
Sono d’accordo. Il giovanotto ha posto le cose in modo impeccabile per ottenere consenso, ma si è tenuto ben distante dalla radicalità estrema. In altri termini, a me pare che chieda soprattutto come tenersi/godersi il malloppo
1 Febbraio 2010 alle 5:46 pm
“Se sono solo i soldi che vuoi, avrai solo quelli!” (principessa Leila a Ian Solo)
1 Febbraio 2010 alle 5:57 pm
Al giovanotto, come a chiunque altro del resto, a cominciare da me, darei le due classiche notizie, quella cattiva e quella buona. La cattiva è che, siccome è nato, gli tocca morire. La buona è che deve morire proprio perché è nato. La porta è strettina ma qui s’ha da passare, dalla radicalità estrema è un po’ difficile tenersi ben distante. Allora tanto vale occuparsene un po’ più da vicino, della “fregatura”, ma questo deve venire a ciascuno da dentro, non si può suggerire.
Qoelet non mi pare così pertinente. Il tempo di cui parla è il tempo dell’alternanza, del condizionato: siamo ancora nella fregatura, tutto sta prenderla bene. Deboluccio, non ci metterei le fondamenta. Infatti Qoelet ha poi bisogno del timor di Dio per darsi una mossa. Il nostro fantomatico giovanotto (si) chiede: il tempo che fine fa? La fine che fa lui stesso. Dunque, gli direi, lo tenga un po’ più in conto. Del resto a 21 anni chiedere come tenersi/godersi il malloppo mi par più che legittimo: temo però lo abbia chiesto alle persone sbagliate….
1 Febbraio 2010 alle 6:04 pm
“Vale più la sapienza che le armi da guerra,
ma un solo errore può distruggere un bene immenso.”
Qohélet 9,18 (aveva evidentemente previsto la possibilità di fare una figuraccia di fronte a JF…)
5 Febbraio 2010 alle 1:01 pm
A dr: “Fare la cosa giusta al momento giusto”? Cosa vuol dire “giusto”? Chi o che cosa determina cosa è giusto e cosa non lo è? Foprse solo l’esito del Fare?
5 Febbraio 2010 alle 2:25 pm
A Cristina: Cerca la risposta nel profondo del tuo cuore. Nessuno potrà fornirtela dall’esterno.
Che, ovviamente, è un modo elegante per defilarsi. Ma, in questo momento, mi pareva la cosa giusta da fare.
5 Febbraio 2010 alle 10:09 pm
Il cuore, poverino, pulsa e nemmeno sa di farlo. Cosa può sapere di tutto il resto? Ebbene, mio caro dr, io intendevo piantare una grana del tipo: come puoi tu, che a volte ti manifesti piuttosto sottile, cadere in simili banalità e/o luoghi comuni? Ma con questa risposta mi hai disarmata. Bravo!
6 Febbraio 2010 alle 12:15 pm
Grazie!
… O no?… 😀
Ma la banalità, il luogo comune sarebbe quell’insegnamento di Qohelet?? Ammappa, io trasecolo.
In ogni caso, sì: a definire un’azione come giusta non è l’intenzione che si ha PRIMA di compierla, ma il suo risultato DOPO. Le intenzioni sono chiacchiere, e notoriamente servono solo a lastricare le strade dell’inferno.
6 Febbraio 2010 alle 1:22 pm
Nonnonnonnò! La banalità è parlare di “cosa giusta al momento giusto”, cioè inserire una cosa qualunque, concreta, in una categoria astratta difficilmente definibile: la Giustizia platonica è un’astrazione, le singole cose sono giuste o no sempre e soltanto in relazione a qualche altra cosa… e in genere la definizione è soggettiva! E’ “giusto” dare un cocco in testa a uno che mi minaccia col coltello, è “giusto” farlo un momento prima che abbia il tempo di usarlo, ma non è più “giusto” dare lo stesso cocco in testa a uno che mi contraddice… E questo si può dire per ogni azione, fermo restando quello su cui concordi, cioè che in genere possiamo valutare solo dopo, e quindi “fare la cosa giusta al momento giusto” può essere al massimo un autocompiacimento a posteriori.
6 Febbraio 2010 alle 1:37 pm
Sì. Però in questo caso (n. 20) “giusto” perde ogni senso religioso.
6 Febbraio 2010 alle 2:15 pm
Mi sono accorta che l’esempio che ho portato da’ ragione al detto. Ne ho pensato uno più appropriato, eccolo. Cesira si è sposata a 25 anni con l’uomo dei suoi sogni, ha avuto il primo figlio a 27 e il secondo a 30, è ora appagata e soddisfatta delle sue scelte giuste. Caterina si è sposata a 25 anni con l’uomo dei suoi sogni, ha avuto il primo figlio a 27 e il secondo a 30, ora è frustrata e depressa. Il “momento giusto” e la “cosa giusta” sono strettamente soggettivi! Mym, permettimi questo esempio.: mi sembra che abbia carattere religioso come ce l’ha ogni scelta di vita.
6 Febbraio 2010 alle 2:43 pm
>Mym, permettimi questo esempio: mi sembra che abbia carattere religioso come ce l’ha ogni scelta di vita.
In risposta al n. 22, mi associo alla contro-obiezione fatta da Cristina.
6 Febbraio 2010 alle 5:20 pm
Ego vos absolvo … (speriamo si dica così…).
Comunque. Se ogni scelta di vita ha carattere religioso non c’è spazio per fare distinzioni, quindi non c’è più religione, mezze stagioni ecc. È sempre inverno o sempre estate. Almeno nella religione delle sacrestie (non le sacre stie… 🙂 se do uno schiaffo ad un giovane collassato per abusi vari, ne stimolo la vita, lo salvo. Sono un eroe. Se incrocio il don all’uscita della chiesa e gli appioppo uno smataflone perché “ai preti questo e altro” sarò sempre un eroe per qualcuno (è sempre estate…) ma … Pietà l’è morta. Nulla toglie, però, che per lo schiaffo al giovanotto di cui sopra debba comunque andare all’inferno (la violenza non paga…) ma, fuori dalle sacrestie (e dalle sacre stie) religione non c’entra con inferno e paradiso.
6 Febbraio 2010 alle 7:08 pm
Esatto, esattissimo, caro mym. “Tra il samsara e il nirvana non c’è la minima differenza”.
A parte il fatto, ovviamente, che sono l’uno l’opposto dell’altro.
6 Febbraio 2010 alle 8:10 pm
Mym, ego quoque te absolvo… se dai uno schiaffo al giovane non ti mando all’inferno. Ma se tu rubi senza farti prendere, e io sono già stata presa più di una volta, la tua scelta -perlomeno quella del momento giusto- è stata migliore della mia: hai l’ammirazione di tutti i ladri! Se scelgo di fare il ladro anzi la ladra, sarò condannata dalle persone che non rubano ma non dagli altri ladri! E comunque la mia è stata una scelta “religiosa”, cioè vincolante, che mi obbliga, per ragioni che tu non conosci e che evidentemente per me erano determinanti. A proposito. Quanto contante tieni nel cassetto della scrivania?
6 Febbraio 2010 alle 8:12 pm
P.S. Quanto sopra non significa che io approvi o apprezzi il ladro: vuol essere un paradosso…
6 Aprile 2010 alle 2:53 pm
Discussione molto interessante.
Io a differenza del 21enne ho, ad oggi, una casa e un lavoro, una sorta di indipendenza direi, eppure penso di pormi costantemente gli stessi problemi. Ho imbroccato una strada, ma è quella giusta? Cosa vuole la vita da me, o meglio, cosa voglio io dalla vita? Cosa è “giusto” fare? Come non sprecare questa esistenza che plausibilmente potrebbe essere l’unica concessami?
…ma poi, nell’ottica dell’immensità del tempo e dello spazio, ha così tanto significato la mia esistenza? Ha un tale rilievo da poter parlare di sprecare o non sprecare? A volte, forse, basterebbe relativizzare l’importanza del nostro ego per ridimensionare certi problemi che paiono così insormontabili.
E se tutto sommato niente ha così tanta importanza, allora perchè non “fregarsene” e vivere nella maniera più comoda possibile, invece che cercare di fare le cose per bene sacrificando tempo e energie in nome di un non meglio specificato senso del dovere? Fino a che punto può aver senso seguire il proprio istinto menefreghista e nichilistico, e quanto andrebbe invece tenuto a freno per poter rivestire un ruolo convenzionale nella cosiddetta società?
“fare la cosa giusta al momento giusto” e “Cerca la risposta nel profondo del tuo cuore” sono i due “consigli” che mi sembra emergano dai commenti… che dire, hanno ragione. Non è facile però!
6 Aprile 2010 alle 3:56 pm
Benvenuta Sumire (la declino al femminile visto il nick: sumire è il fior di violetta in giapponese), chissà come è capitata qui…
Penso possa essere utile capovolgere il tutto: perché anche se diciamo, pensiamo che non vi è nulla che abbia particolare importanza, ce la prendiamo tanto? Volendo cercare per trovare, penso sia in quell’area che valga la pena di dare un’occhiata.
6 Aprile 2010 alle 4:58 pm
E’ quello che intendo (almeno credo, se ho capito bene): se riuscissimo davvero a pensare che non vi è nulla che abbia particolare importanza, allora probabilmente non ce la prenderemmo così tanto.. solo che distaccarsi non è così semplice, soprattutto (secondo me) dalle responsabilità verso gli altri, più che verso se stessi.
Forse la soluzione sarebbe il distacco totale, anche dalle responsabilità verso gli altri, e quindi dai legami affettivi e sentimentali.. ma temo che non tutti siamo in grado di raggiungere ciò, e poi se tutti li facessero credo che il prezzo da pagare sarebbe l’estinzione umana!
Per quanto riguarda il Nick, mi piace Murazaki quanto Sumire, ma dato che di solito uso il secondo, ho deciso di protrarlo, così eventualmente sarò riconosciuta da chi frequentasse altri “miei” forum.
Grazie del benvenuto e spero di non ammorbare con troppe sciocchezze, la mia cultura è molto limitata in tema di religione, ma sono qui per imparare 🙂
6 Aprile 2010 alle 5:11 pm
No no, non serve a nulla “pensare per davvero”, basta un refolo e pensiamo in un altro modo. Il pensare non garantisce di nulla. E poi … lo dica lei, vedrà che sarà difficile: che cos’è il distacco totale? Concettualmente è molto più facile di così. È sufficiente non aggrapparsi a nulla e donare il più possibile. Metterlo in pratica è un’altra musica, ma già il provarci cambia la vita. In effetti non si può far altro che provarci.
Certo che va veloce lei…
6 Aprile 2010 alle 5:24 pm
Veloce?! a postare o a pensare? Propendo per la prima.
Comunque, credo di essere d’accordo con l’affermazione, sempre che io abbia capito il concetto: il pensare di per sè paralizza, bisogna fare, praticare, non pensare.
Se il concetto è questo, è di fatto la stessa cosa che cercano di farmi capire da tempo i miei insegnanti di arti marziali (pratico budo tradizionale da alcuni anni), forse senza troppo successo (per ora). C’è una parabola a proposito di un millepiedi che è attinente all’argomento. La trovo molto carina, ma scommetto che la conosce già!
comunque si, metterlo in pratica è un’altra musica, ma già il provarci cambia la vita.
6 Aprile 2010 alle 7:38 pm
Sì quella del mille piedi l’ho sentita. Quando dico veloce intendo che corri alle conclusioni saltando il processo. E questo ti porta a dire che “pensare di per sé paralizza”. Nel caso del millepiedi è vero, ma se dalla tua prossima mossa dipendesse la tua vita (ed è quasi sempre così) sarà bene pensarci con cura. Oppure che sia la stessa cosa che… i tuoi insegnanti ecc. ecc. Potrebbe essere, forse, tuttavia ne dubito fortemente.