Mar, 29 Dic 2009
Nei giorni scorsi ho inviato un breve scritto ad alcune persone. È un documento “interno” alla Stella del Mattino tuttavia, non essendovi nulla di segreto, è a disposizione di chi voglia leggerlo: lo trovate alla fine di queste righe. Diversamente da come fatto con altri scritti, non l’ho ancora inviato ad un pubblico più vasto: vorrei prima, se possibile, parlarne con chi conosco da tempo. Se una volta letto, volete esprimere dei pareri o domandare chiarimenti… potete farlo qui, usando il tasto “Commenti”. Cercate di essere brevi, per favore.
ci si può perdere, scioccamente, la vita
Pensando alle prospettive del buddismo zen, soprattutto una è la consapevolezza che induce a una visione pessimistica dell’attualità, non solo in Europa ma, temo, in tutto l’Occidente: a parte rarissime e pressoché sconosciute eccezioni, lo zen europeo si risolve, in ciascuno, nel tentativo di imitare una fantasia, la fantasia che l’Occidente
ha creato del buddismo in generale e dello zen in particolare. Questa fantasia, poi, non è omogenea: su un substrato pressoché comune formatosi nell’ultimo secolo, si sono inseriti costruttori particolari di fantasie specifiche, prima soprattutto in Francia, poi anche in Italia, Germania, Spagna, ovunque.
Parliamo della fantasia che il buddismo ha autoprodotto, ha elaborato riguardo a sé stesso per presentare una forma certa, un ideale da raggiungere. Qualcosa che si potesse dire “è quello”, e lo si potesse allora imitare. Così stando le cose, per quanto i praticanti, i fedeli occidentali si applichino, si sforzino, al massimo riusciranno a giungere ad una buona imitazione di una fantasia: quella coltivata da ciascuna scuola. Non si potrà mai andare oltre a questo, perché è il limite che il buddismo, e lo zen in particolare, si autoimpone quasi ovunque.
A chi pensa che ciò sia folle o anche solo esagerato, propongo una riflessione: in quale testo è scritto che il buddismo (e lo zen in particolare) richieda la costituzione di “centri” nei quali il buddismo (lo zen) venga insegnato? A partire dai testi della Prajñāpāramitā poi via via in Cina e in Giappone, l’indicazione del senso della trasmissione non è mai in direzione di un luogo che funga da scuola, anzi, nel Sutra del diamante è detto (al § 10) che la costituzione di un tale luogo è inficiata proprio dalla sua finalità: chi pensa di avere qualche cosa da insegnare sta costruendo fantasie, e solo quelle potrà insegnare.
Oppure: dove mai è scritto che occorra aprire dei centri in cui far fare zazen, ovvero dove si fanno le cose per gli altri o si dice agli altri che occorre praticare e come e quanto… In questo modo nessuno pratica il buddismo: rappresentiamo la più aggiornata, per lo più giapponesizzata fantasia per farci imitare mentre la imitiamo, oppure siamo tra coloro che ancora solamente imitano, che ancora non partecipano alla rappresentazione, nell’attesa di poterlo fare.
Ma, senza di questo, non sarà la paralisi? L’eutanasia dello zen? Chi e come passerà il testimone alle generazioni successive? Non è difficile: è sufficiente smettere di aprire o gestire centri per insegnare, per far fare, occorre interrompere subito questa pantomima al servizio della propria vanità e -spesso- della propria borsa. Poi, se vi sarà chi continuerà a sedersi in zazen nell’anonimato, lontano dal chiasso dei raduni, e non lo farà pensando che quello è il modo da imitare, ecco: la prossima generazione è già raggiunta.
Chiedere, cercare, a volte sedersi a fianco per un po’, permette di rifare tutto, da capo, ogni volta. Continuando per sempre, ciascuno provi a scoprire la difficile strada da sé, cercando tenacemente il confronto con chi ha esperienza.
Dicembre 2009 – Gennaio 2010
75 Commenti a “Riservato ma non segreto”
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31 Dicembre 2009 alle 1:28 pm
fiiiiùùùùùùùùùùùùùù che roba! Anzitutto, grazie della fiducia, per avermi immeritatamente inserito tra gli eletti… beh, arrivo subito al sodo: sono d’accordo. ok ok, anche nella chiesa cattolica ogni tanto salta su uno a dire “torniamo all’essenziale, liberiamoci dagli orpelli” ma poi in realtà non lo fa nessuno. invece, conoscendo i tipi, so che VOI state dicendo sul serio. anzi, QUESTA è la differenza QUALITATIVA che il “buddismo zen di scuola Soto del sito La stella del mattino” ha nei confronti di qualunque religione, filosofia, setta, movimento ecc. ecc.
“Più forte, ragazzi!” (Bud Spencer)
😉
31 Dicembre 2009 alle 1:30 pm
Grazie, dhr, iniziare con un’approvazione proprio non me l’aspettavo… Buon anno
31 Dicembre 2009 alle 1:33 pm
caro Yushin, hai ragione quando dici che trasferire l’esperienza giapponese in materia di formazione e approfondimento è sbagliato. Non ti seguo quando dici che i centri non hanno ragione di esistere. Mettiti nei panni di qualcuno che senta il desiderio di capire cosa ha da offrire lo Zen. Si compra un libro — magari uno dei tuoi — e si dice: mmmm, interessante, voglio saperne di più. Cosa fa?
Adesso fa un google e scopre che in Lombardia c’è un centro Zen, dove i responsabili hanno una traiettoria personale non da buttare, e che ha uno spazio dove ogni settimana a tale e tal ora ci si siede in zazen. Prende su e ci va. Gli fa male il culo ma ritorna. Fa un passo in più nella conoscenza dello zen e poi può decidere di lasciarlo oppure di farne un altro.
Se tu abolisci i centri, come ci si raccapezza chi vuole saperne di più in prima persona su che cosa è lo zen? Come trova il fratello a fianco del quale sedersi? Facebook? Un abbraccio,
CG
31 Dicembre 2009 alle 1:46 pm
Caro CG, grazie, sei coraggioso: mettere i piedi nel piatto espone a rischi… Il tuo intervento, in una certa ottica, è perfetto. Molto chiaro e diretto. Allora: o sono un pollo e non ho pensato ad una cosa così platealmente chiara, oppure… Se clicchi qui trovi un “centro”. Per cui sarei doppiamente pollo: dico una cosa e ne faccio un’altra. Oppure… A mio modesto avviso, la parte interessante di questo breve scritto sta esattamente nella tua domanda. Per non essere troppo sibillino, una cosa penso sia bene dirla: chi ha parlato di “abolire i centri”? E poi, a proposito di chi legge dello zen in un libro e vuol saperne di più… prima di preoccuparmi voglio vedergli le mani: se non sono scorticate a forza di bussare a destra e sinistra… può continuare a leggere libri.
31 Dicembre 2009 alle 5:55 pm
Caro Yushin, Tutto questo è molto molto interessante e di attualità, dato che siamo entrati – dopo la fine di Galgagnano – nella via invisibile di Buddha. Abbiamo già parlato di questo con Jiso e sono d’accordo, senza esitazioni, con la tua interpretazione. Ho appena discusso di questo nel mio testo nell’ultimo numero de “La Stella del mattino”: il buddismo come ricerca – attraverso l’appartenenza a un centro – di una nuova identità individuale e sociale. Per me, leggere questo, è una boccata d’aria fresca. Ma come puoi immaginare, per tanti altri – in particolare la “scuola” di Deshimaru – sarà preso come un attacco, un discorso scandaloso di un uomo che vuole dare
lezioni su ciò che non è il buddhismo. Eppure ha il merito di essere detto apertamente. Però nessuno chiuderà “il suo” centro, come tu e Jiso avete giustamente deciso per Galgagnano. Penso che questo messaggio possa
essere d’aiuto per un giovane che stia provando a percorrere la via del buddha, praticando in un centro, a sviluppare la domanda interiore: cosa sto facendo cosi? Fu (è ancora) per me una domanda interiore durante anni con la vicinanza di “insegnanti” che – penso- non avevano più aperto questa domanda da molto tempo. Sì, è un testo molto controverso, perché si vuole rovesciare tutto il movimento della storia del Buddismo Zen in Occidente. Lo Zen è venuto dai missionari giapponesi motivati dalla diffusione del loro insegnamento. Mi riferisco, naturalmente, alle “scuole” che ho frequentato qualche tempo fa, Deshimaru in Francia, Suzuki Roshi a San Francisco e Maezumi Roshi a Los Angeles. Credo che Uchiyama abbia fortemente incoraggiato i suoi successori alla creazione di centri. Dato che questo mondo oggi è così fragile e falso, la tua raccomandazione, relativa a una prassi più solitaria e invisibile, è una discussione sull’onestà e l’integrità della nostra fede in zazen e nella vita, prima di condividere questo in un gruppo. Un funzionamento con incontri
“organici” di fratelli praticanti (è infatti una caratteristica della
tradizione Theravada, credo) mi sembra anche più vicino della via del dharma che una costruzione piramidale di un centro.
Spero di essere un poco utile in questa risposta. Ci vediamo presto spero. Un abbraccio – OP
31 Dicembre 2009 alle 6:03 pm
Caro Op, grazie per il commento, la tua lunga e varia esperienza su tre continenti fa di te un testimone prezioso. Una precisazione: il testo di cui stiamo parlando, è un documento interno alla Stella del Mattino, se gli appartenenti ad altre “scuole” vogliono discuterlo sono i benvenuti, con il rispetto e la cautela che avremmo noi qualora discutessimo i loro documenti interni.
31 Dicembre 2009 alle 6:05 pm
Caro Y, permettimi di sprecare qualche parola in difesa delle persone comuni che incorrono nell’errore segnalato in “Pantomima”, errore dovuto sì ai costruttori di fantasie che si concretizza in centri per insegnare, per far fare –al servizio della propria vanità e della propria borsa -, ma non solo, credo. L’errore fa parte della nostra struttura mentale costruita negli anni: gli autodidatti sono una specie generalmente irrisa da chi si è formato lungo i percorsi accademici e sotto la guida dei più quotati maestri, e questo vale in tutti i campi della conoscenza umana, dall’arte del cuoco a quella del pensatore. Difficile per la persona comune cogliere subito dal primo approccio la differenza sostanziale tra queste conoscenze e la pratica del Buddismo. Inoltre, in ogni attività che si esercita è prassi ed anche esigenza materiale farlo nel luogo adatto: non è pensabile studiare o scrivere di filosofia, per esempio, nel ripostiglio o nel gabinetto di casa! D’altra parte, il cercare tenacemente il confronto con chi ha esperienza richiede un luogo fisico dove poterlo fare! Io parlo da non iniziata, però penso che il discorso possa essere esteso a molte persone che non hanno raggiunto una consapevolezza pari alla tua e degli altri che come te hanno impegnato in questo per intero la loro persona. Ti scrivo tutto questo come augurio per il nuovo anno: augurio per te e per tutti noi.
31 Dicembre 2009 alle 6:08 pm
Grazie Cristina. Sono sostanzialmente d’accordo con quanto scrivi, mi pare però che tu colga un problema. Se c’è, vuoi mostrarmelo, per favore?
31 Dicembre 2009 alle 6:32 pm
Ciao! Non so se vada “cercato tenacemente il confronto con chi ha esperienza”, probabilmente si, e certamente ci sono delle persone che vanno cercando questo rapporto. Quelle che vengono qui, immagino, abbiano anche questa motivazione. Alla fine, dal mio punto di vista – che è il punto di vista non di chi cerca un rapporto ma di chi si offre ad un rapporto – la questione di fondo è: con quale intenzione ti offri alle persone? Perché è evidente che mi offro ad una relazione innanzitutto e, in quella relazione, porto quello che posso portare e ciò che sono e ciò che mi muove. Le persone si usano a vicenda, comunemente, ma non è detto che debba essere per forza così. Perchè mi offro? Perché è nelle cose che mi offra, sarebbe innaturale non farlo. E’ manifestazione di un protagonismo? E’ un esibire? Queste sono domande pertinenti e dalle quali ho dovuto partire, da tempo. Che cosa mi rispondo? Che un tempo c’è stata una traccia evidente di egoità e, misurandomi con essa, ho potuto lavorarla e trasformarla. Misurandomi con essa. E’ scomparsa? Non saprei, di certo non è condizionante. Se sono andato oltre me stesso, in una qualche misura, è perché ho accettato la sfida che da me stesso veniva. Oggi non ho alcun particolare interesse per me ed offro ciò che sorge dalla mia esperienza di vita: potrei tacerlo o posso offrirlo, qual è la differenza se questo non mi riguarda,
cioè se non sollecita nulla sul fronte della mia identità? Sono in gioco io? Mi “riguarda” quel che propongo, mi torna come “guadagno”? Nel tempo il mio sguardo su me e sulla realtà è diventato più vasto e con esso è anche sorto quel gesto naturale del mettere a disposizione. Sarei uno stupido e brucerei questi anni se non avessi uno sguardo lucido sull’intenzione che mi muove. Dal mio punto di vista si possono aprire centri come si possono chiudere, si può tacere o si può parlare, si può ricavarne un reddito oppure no, tutto dipende dall’intenzione che ci muove. Ciao!
31 Dicembre 2009 alle 6:35 pm
Grazie RO. Il problema dell’intenzione è certamente centrale in tutta “questa storia”.
31 Dicembre 2009 alle 7:19 pm
Il problema è per me quello segnalato sopra da CG: “Se tu abolisci i centri, come ci si raccapezza chi vuole saperne di più in prima persona su che cosa è lo zen? Come trova il fratello a fianco del quale sedersi?” Ce n’è un altro ad esso legato: quello della consapevolezza: ma questa non è un’intuizione immediata, bisogna impararla…
31 Dicembre 2009 alle 7:31 pm
Forse devo ripetere: chi ha parlato di abolire i centri? Per quanto riguarda la consapevolezza, tempo al tempo, polvere alla polvere…
31 Dicembre 2009 alle 8:08 pm
Mmmmm…. questo non l’ho capito!
1 Gennaio 2010 alle 2:18 pm
…. Ricorderete la storia del diavolo e un suo amico che, camminando, vedono un uomo chinarsi, raccogliere qualcosa da terra e metterselo in tasca. L’amico chiese al diavolo: “Che cosa ha raccolto?”. “Un pezzo di Verità”, rispose il diavolo. “Un brutto affare per te”, disse l’amico. “Per niente!”, rispose il diavolo.
“Aspetterò che la organizzi!”….
Forse qualcuno ricorda questo passo tratto dal ‘discorso dello Scioglimento dell’Ordine della Stella’ (ma guarda un po’ a volte le analogie…)di Krishnamurti: 2 agosto 1929.
Può essere interessante andare a rileggersi tutto il discorso.
1 Gennaio 2010 alle 2:20 pm
Lo si trova ad es qui: http://www.riflessioni.it/testi/verita.htm
1 Gennaio 2010 alle 4:02 pm
Perdonate, devono essere ancora i postumi della sbronza di stanotte: ma in questo giorno, che inaugura il nuovo calendario, sono in vena di Amarcord.
Spero di non tediarvi dunque con un’altra citazione, forse non così autorevole ma a mio avviso ben centrata sul tema posto da mym e Cristina (12 e 13).
A seguire…
1 Gennaio 2010 alle 4:03 pm
…. “Molto contiene la dottrina del Buddha cui la rivelazione è stata largita: a molti insegna a vivere rettamente, a evitare il male. Ma una cosa non contiene questa dottrina così limpida, così degna di stima: non contiene il segreto di ciò che il Sublime stesso ha vissuto, egli solo tra centinaia di migliaia. Questo è ciò di cui mi sono accorto, mentre ascoltavo la dottrina. Questo è il motivo per cui continuo la mia peregrinazione: non per cercare un’altra e migliore dottrina, poiché lo so, che non ve n’è alcuna, ma per abbandonare tutte le dottrine e tutti i maestri e raggiungere da solo la mia meta o morire. Ma spesso ripenserò a questo giorno, o Sublime, e a questa ora, in cui i miei occhi videro un Santo”…. Omissis …. “ Se io diventassi ora uno dei tuoi discepoli, o Venerabile, mi avverrebbe – temo – che solo in apparenza, solo illusoriamente il mio Io giungerebbe alla quiete e si estinguerebbe, ma in realtà, esso continuerebbe a vivere e a ingigantirsi, poiché lo materiereri della dottrina, della mia devozione e del mio amore per te, della comunità con i monaci!” …
Dal dialogo tra Siddharta e Gotama.
Hermann Hesse – Siddharta – 1922. pagg. 56-57
1 Gennaio 2010 alle 4:30 pm
L’intreccio s’infittisce… 🙂
1 Gennaio 2010 alle 5:42 pm
Essere o appartenere.
Lo zen senza la pratica cos’è?
E senza insegnanti?
E quali insegnanti?
Girare con un sudoku al collo?
Essere riconosciuto all’interno di un gruppo?
OK si capisce cosa non è.
Parlarne non é facile.
Vivere “francamente” senza nascondersi dietro a niente non é uno scherzo.
Ogniuno se la veda da solo.
speriamo di rivederci da qualche parte.
1 Gennaio 2010 alle 5:47 pm
Non poniamo limiti alla provvidenza… 🙂
1 Gennaio 2010 alle 10:32 pm
Condivido.
Penso che le ultime parole della frase conclusiva siano “fondamentali”:al riconoscimento del limite deve accompagnarsi la consapevolezza(e responsabilità)della doverosa testimonianza di chi “ha già esperienza”.
2 Gennaio 2010 alle 12:05 am
@ Roccia
‘Ogniuno se la veda da solo’, mi pare l’estremo opposto della ‘pantomima’.
Non due! non è ‘da solo’, ne convieni?
Se qualcuno sa testimoniare questo, …beh, la faccenda si fa interessante.
2 Gennaio 2010 alle 11:24 am
@21, 22 Concordo, concordo. Chi cerca tenacemente e chi ha esperienza non sono né due né uno. Ma più uno che due, nel senso che ciascuno è anche l’altro, per questo il senso non è “da solo” in senso escludente o autarchico. Ma da solo in quanto nessuno può fare al mio posto, né in un ruolo né nell’altro.
2 Gennaio 2010 alle 5:07 pm
OK, alla fine si arriva che ci si stanca “a raccontarsela”: c’è sempre un topolino che rosicchia tutto quello che trova e la sotto c’è una bella tigre che si lecca i baffi. La soluzione? Penso che nessuno possa rispondere.
anche negli zendo girano di quei topoloni…
2 Gennaio 2010 alle 5:21 pm
Ne tigri né topi, temo. Chi non sa che fumare fa male, accorcia la vita ecc.? Bastasse saperlo per chiuderla lì anche il Cristo sarebbe stato a girare i pollici con Maddalena. Ci facciamo pena, poveri noi, ecchesarammai ed ecco che d’un tratto siamo vecchi e coglioni, troppo tardi anche solo per pentirsi
2 Gennaio 2010 alle 5:35 pm
Topolone pentito! 🙂
3 Gennaio 2010 alle 10:13 am
A ogniuno il suo.
me la vedo la Maddy che impreca verso il Redentore: “te e i tuoi apostoli ve la menate e poi alla fine tocca sempre a me di ramazzare”.
Anche la vita di coppia è una bella palestra.
3 Gennaio 2010 alle 11:04 am
Vita di coppia est via di santità! Garantito al limone.
3 Gennaio 2010 alle 1:26 pm
Non è per fare il topolino ad oltranza. Ma ho come l’impressione che il discorso si sia un po’ incartato, o quantomeno sbilanciato. Ci sono momenti e casi della vita in cui l’incontro e la frequentazione di un “buon amico” può letteralmente salvarci ed aprirci ad una nuova occasione. Così come c’è il tempo in cui si sente l’urgenza di stare, di praticare con altri compagni di strada: ed il luogo di pratica non è solo un rifugio ove nascondersi.
Questo è ben diverso dalla ‘pantomima’, secondo quanto io ho inteso.
Perciò con l’acqua sporca non butterei anche il buon consiglio di Uchiyama: “Contribuite e mirate a creare un dojo dove i praticanti sinceri possano praticare senza disturbo”.
Poi…si fa quel che si può.
3 Gennaio 2010 alle 1:31 pm
Per questo – più che per motivi di dialettica dottrinale – rosicchiavo il ‘da solo’ di H. Hesse e di roccia (17 e 19).
3 Gennaio 2010 alle 1:39 pm
Organizzare un luogo in cui praticare al meglio, accogliendo chi vuol fare lo stesso. Il resto è fuffa. A volte si può stabilire che la fuffa serve per un momento, in un’occasione, ma con cautela e smettendo subito. Non si scherza con la vita, né con la propria né -soprattutto- con quella altrui.
3 Gennaio 2010 alle 5:27 pm
Per quanto possa apparire strano, organizzare un luogo senza orpelli, solo perché si possa praticare al meglio, è la cosa più difficile del mondo. Non solo occorre esser passati e ripassati per la porta stretta, ma continuare a passarci pur sapendo che non è quello l’obiettivo. Non solo, occorre poi fare per tutti e perciò non avere mio. E poi: occorre saper pensare.
4 Gennaio 2010 alle 1:04 am
> E poi: occorre saper pensare.
Non ci avevo mai pensato…
4 Gennaio 2010 alle 1:14 am
Non pare, invece, che “i buddisti” gli abbiano dato molto peso. Chissà perché 🙂
4 Gennaio 2010 alle 1:53 am
Dio tiene conto non delle cose che si fanno, ma dell’animo con cui si fanno, e il merito e il valore di colui che agisce non consistono nell’agire ma nell’intenzione.(Abelardo, Scito te ipsum) La pantomima natalizia è stata un successone.Ho riso sempre per finta e nessuno se ne è accorto(Il trucco è giocare seriamente con le persone..).Dopo una overdose da buone maniere rompo il protocollo e un bel commentone è il mio biglietto d’auguri.Buena suerte.
4 Gennaio 2010 alle 2:04 am
Grazie Homosex, te siento mucho
4 Gennaio 2010 alle 11:58 am
E’ una proposta fattibile smettere di aprire o gestire centri?
Perché non provare invece a rinnovare l’idea di centro. Lo scopo dei “centri” buddisti dovrebbe essere sostenere il risveglio dei praticanti.
Un centro dovrebbe avere le caratteristiche di un laboratorio di apprendimento e, se possibile, di ricerca. Gli insegnanti in quanto tali dovrebbero occuparsi di andragogia e metodologia e fornire gli strumenti necessari, i mezzi abili, a coloro che si avvicinano al buddismo. Chissà che in questo modo…
4 Gennaio 2010 alle 12:14 pm
Non so se sia “fattibile smettere di aprire o gestire centri”, non ci avevo mai pensato, però mi pare una cosa abbastanza priva di senso. Perché questa domanda (cfr. 3, 4, 12)? Non penso che “lo scopo dei centri buddisti dovrebbe essere sostenere il risveglio dei praticanti”, perché non penso che questo sia possibile: chi e come farebbe una cosa simile? L’idea di laboratorio di apprendimento e di ricerca mi piace. Invece non penso proprio che esistano “insegnanti in quanto tali”, anzi: è proprio questa (auto)convinzione che ha condotto i gruppi zen europei, occidentali, nelle pessime condizioni in cui si trovano.
4 Gennaio 2010 alle 12:43 pm
Anche se è già passata molta acqua sotto i ponti
“smettere di aprire o gestire centri”
è una frase del documento in questione.
Cancelliamo pure “in quanto tali” ma gli attuali insegnanti dei
centri zen occidentali però ci sono e continuano a svolgere
la loro funzione. Perchè non dare un suggerimento per tentare di rinnovare il loro ruolo?
4 Gennaio 2010 alle 12:49 pm
Non bariamo: la frase è “smettere di aprire o gestire centri per insegnare, per far fare, occorre interrompere subito questa pantomima al servizio della propria vanità e -spesso- della propria borsa.”, l’estrapolazione rischia di diventare manipolazione. Come si può rinnovare il ruolo di qualchecosa che non esiste? Il fatto che lei dica “ci sono” non mi pare basti a farli esistere. So che ci sono persone che si autodefiniscono (o accettano di essere definite) in quel modo. Ma è una sciocchezza priva di senso. Basta chiedersi: “che cosa insegna, o dovrebbe insegnare, l’insegnante di un centro zen?”.
4 Gennaio 2010 alle 1:00 pm
Non era mia intenzione manipolare la citazione se così è sembrato
mi spiace e la ringrazio delle risposte.
4 Gennaio 2010 alle 1:08 pm
Prego, siccome avevo citato 3, 4 e 12 pensavo fosse chiaro che il documento non afferma, semplicemente, che occorra “abolire i centri” o simili. Prima che il “centro” (prima o poi usiamo un altro termine?) della mia città aprisse i battenti, mi sono seduto a casa mia, da solo, per 13 anni. Ora, oltre a sedermi a casa mia, mi siedo anche in un luogo aperto ad altri. Si parla, pochissimo, ci si scambia gli auguri. Per lo più tra persone che non riuscirebbero (per tanti motivi che conosce chi ci ha provato) a sedersi a casa loro, senza essere in contatto con altri che fanno quella strana, folle cosa che consiste nello stare fermi davanti ad un muro.
4 Gennaio 2010 alle 1:11 pm
Con riferimento a (35) – buon anno, homosex – ‘sta storia dell’intenzione salta sempre fuori, ma non mi convince poi mica tanto. Troppo comoda. L’intenzione conta, sì, ma anche il risultato: provate ad entrare in sala operatoria come pazienti e pensare che ciò che conta è che il chirurgo abbia… buone intenzioni!
Il karma è azione: l’effetto è causato dalle azioni. L’intenzione non agisce su questo piano. Abelardo forse non conosceva il detto “la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”.
4 Gennaio 2010 alle 1:48 pm
Ben detto doc-tore, ben detto ;-). La cernita delle intenzioni, infatti, vale in negativo: chi ha cattive intenzioni va tenuto lontano, evitato comunque. Poi, come in ogni cosa … In “questo caso”, però, non c’è modo di sapere prima come si fa, né qualcuno ce lo può insegnare. Per cui il detto “nel dubbio astienti” andrebbe capovolto: “astenersi chi non ha dubbi”. Ma siamo, di nuovo, nel campo del negativo.
4 Gennaio 2010 alle 5:33 pm
Caro Mauricio, sono contento della mail che mi hai inviato che non mi ha creato sconcerto ma anzi mi da l’opportunità di riflettere su quanto vado facendo da 26 anni.Quando ho iniziato per quanto fossi preso dalla cosa in un periodo di confusione mentale,avevo intuito che era una pantomima, non ho mai amato le divise e le gerarchie infatti non ho ceduto alle lusinghe di prendere i voti da monaco e consegnare la mia vita “al maestro” per ottenere l’illuminazione e risolvere tutti i problemi. Qualcosa nella vita pur frequentando situazioni pericolose mi ha preservato dal prendere decisioni radicali,non dovendone subire le conseguenze. Percio a partire da questi presupposti ho continuato la mia ricerca dando importanza allo zazen e fortunatamente ho trovato in te e Giuseppe gli stimoli giusti per sviluppare la mia incompatibilità al luogo comune, al già fatto, al simulacro che sono esattamente l’opposto a quanto ho capito dello “spirito zen” se vogliamo usare quest’ espressione che è cogliere ogni momento nella sua transitorietà.Ti chiedo però i testi nella loro inaffidabilità a causa delle traduzioni e dell’interpretazione delle parole in tempi diversi, sono la riprova della giustezza dell’insegnamento buddista? é probabile che nessun testo prescriva l’apertura di un centro,ma non è sempre stato detto che la via è nella vita quotidiana che le scritture, bruciare incenso e prosternarsi non serve a nulla? La vita quotidiana è il sangha perciò un gruppo di persone si forma attorno ad una persona che ha più esperienza, ed eccoci daccapo.Ora se questo anziano pensa di esercitare un potere, di avere fama e profitto questa è un’aberrazione e su questo ammoniva Dogen nel 1231. Sedersi nell’anonimato è la cosa che faccio da sempre, mi fa molto piacere vedere però che chi potrebbe usufruire dei benefici di un certo status sociale ed economico rinuncia a tutto questo per amore della chiarezza e della verità.Per questo apprezzo il tuo continuo pungolare affinche tutto non si istituzionalizzi e si atrofizzi,
fabio
5 Gennaio 2010 alle 5:26 pm
Ciao Fabio. Sono contento sia intervenuto anche tu, ora -tra i soliti noti- mancano solo i romani… Due cose vorrei enucleare in quello che dici. Seguire la via detta zen implica scelte radicali, quantomeno perché si possa parlare davvero di zen. Pantomima (che poi è fare un po’ di scena per attirare persone da abbindolare) e scelte radicali non sono necessariamente la stesa cosa. La radicalità è necessaria per attuare la conversione che non può essere parziale, altrimenti non è. Poi le scritture: non penso siano il Vangelo 🙂 tuttavia poiché molti (tutti?) in certi ambienti danno per scontato che sia normale aprire centri dove si insegna lo zen, da dove è nata questa convinzione? Da che cosa è sostenuta? Dicevo: dalle scritture certamente no. Ciao
6 Gennaio 2010 alle 6:36 pm
Anche Zot si iscrive tra quelli che “c’erano già arrivati”, (come già 5, 9, 45 e qualche altro che mi scrive via mail e non vuol apparire) e mi segnala un vecchio numero di Buddazot, sempre godibile e graffiante. Però, in questo caso, davvero Zot è precursore del discorso di questo post?
8 Gennaio 2010 alle 11:35 am
Non entro nel merito della discussione sui luoghi (va meglio di “centri”?) che consentono e “facilitano” la difficile pratica, né sulla pantomima (46 ci spiega cosa si debba intendere in questo contesto con quel termine e, per altro verso, sappiamo bene che tutto può diventare pantomima, anche una discussione sulla pantomima medesima – questo per dire: non sentiamoci mai al sicuro noi, rispetto ad altri). Vorrei invece portare l’attenzione su quella che secondo me è la questione cruciale, che non mi pare sia stata ancora rilevata a dovere e che il titolo dello scritto indica invece chiaramente: “ci si può perdere, scioccamente, la vita”. La vita si perde comunque, e perdere la propria vita è, tutto sommato, “in religione”, il da farsi (e.g. Vangelo Matteo 10,39) Tutto si concentra allora su quel “scioccamente”. Ci sono sciocchezze forse inevitabili: se una macchina guidata da un ubriaco mi falcia mentre cammino tranquillamente sul marciapiedi, potrete poi dire che, in un certo senso, ho perso scioccamente la vita, ma non di questo tipo di sciocchezza si sta qui parlando. E’ la sciocchezza che si può e dunque si deve evitare, quella da cui guardarsi. Per questo bisogna anche saper pensare (vedi 32), per discernere sciocchezza, che si annida ovunque.
8 Gennaio 2010 alle 5:09 pm
Già, perder la vita è quel che fanno tutti. Per cui perderla seduti davanti a un muro o tra un viaggio e una settimana bianca, in definitiva cambia solo il panorama e dipende da molte cose, per lo più fuori controllo. Ma farci pure la figura dei pisquani, degli uccellati, sfruttati e derisi, quello dipende solo da noi. Non dovrebbe un minimo solleticare l’orgoglio degli zen italioti? Possibile che una vita gregaria, nella speranza di un inversione dei ruoli, valga davvero la vita?
8 Gennaio 2010 alle 6:04 pm
“Non si scherza con la vita, né con la propria né -soprattutto- con quella altrui”(31).
Se non ci fosse questa sorta di ‘responsabilità’, le pisquanate farebbero tutt’al più sorridere.
8 Gennaio 2010 alle 6:22 pm
Complimenti: se oltre a perderci la vita (mi sto toccando di qua e di là) e far la figura del pisquano riesci anche a sorriderci… ci hai gli attributi come silviuccio nostro… 🙂
8 Gennaio 2010 alle 6:35 pm
Manipolatore! 😛
14 Gennaio 2010 alle 8:57 pm
La discussione continua, con uno scambio di mail tra SP e mym, in questa pagina.
15 Gennaio 2010 alle 7:58 pm
appena prima della chiusura di Galgagnano avevo chiesto a Jiso di prendere i precetti. Dopo tanta frequentazione sentivo il bisogno di un passaggio avendo l’impressione che anche nella pratica si potesse innestare un automatismo. Allora cercavo come un testimone esterno, una sorta di necessità di render conto di ciò che facevo.
Jiso mi deve ancora una risposta, ma nei fatti la risposta c’è stata e defragrante.
e questo scambio nato dalla “pantomima” di Y. ne è la prova. eppure ancora non sono capace di essere testimone di me stessa….e chiamo questa cosa bisogno di sangha….
16 Gennaio 2010 alle 1:55 pm
Ciao billibello,
Grazie, l’argomento è centrale e ancora in ombra. Come hai compreso, è la fine degli automatismi che stanno uccidendo il bambino prima ancora che venga concepito, una sorta di ambiente sterile, soffocante. Sui bisogni dovremmo fare un po’ di cernita. È vero che lo standard religioso attuale assieme alle indicazioni “fornisce” la comunità (parrocchia o centro zen fa poca differenza). Per cui se manca il gruppo pare che la religione sia in debito. Io penso che religione sia un grande lusso, la risposta a un bisogno che non riguarda quelli “elementari” (cibo, tetto, affetti) un bisogno forte, chiaro ma diverso dagli altri. Così come la sete è diversa dalla fame; per cui occorre una riflessione ulteriore. Se poi, al termine di questa, in un certo caso si stabilisce che per cercare senso profondo, serenità nella pace non derivata da ottenimenti concreti materiali, è utile un gruppo/sangha allora per un po’, in quel caso lo si organizza. Non lo si pretende già organizzato. Il “pacchetto tutto compreso” fa parte di quegli automatismi di cui sopra… E poi, ancora più importante, ciascuno di noi si deve dar da fare per conto suo, non c’è qualcuno -il prete il monaco- delegato a quello scopo per cui noi siamo fruitori di un servizio che in qualche modo ci deve essere garantito. Ciascuno è il protagonista, parliamo rivolti a uno specchio.
16 Gennaio 2010 alle 9:32 pm
Caro Yushin,
condivido pienamente il tuo documento.
E sono responsabile del centro Dojo Zen Sanrin.
Yushin
16 Gennaio 2010 alle 10:10 pm
Grazie. Sei coraggioso: “centro Dojo Zen Sanrin” sembra una summa del contrario… ovvero pantomima completa. Proprio vero che la forma, a volte, non conta. Ciao, mym
17 Gennaio 2010 alle 1:28 pm
Continua la discussione anche via mail. In questa pagina lo scambio con Nello Genyō
17 Gennaio 2010 alle 5:14 pm
Buon pomeriggio,
Ho letto tutto con attenzione, mi sono sentita chiamata in causa in quanto io sono quella che da anni cerca un centro o qualcuno con cui sedersi senza successo. Senza centro, zazen si fa ugualmente peró si fa piú fatica perché non si ha alle spalle una realtá che ci protegge. Non si ha un posto dove tutto é preparato per noi: qualcuno che organizza gli orari, ci fa trovare i cuscini pronti, ci corregge la postura ecc ecc. Si soffre di piú nel confronto con gli altri, perché non c’é un luogo in cui andare a rifugiarsi e dove trovare amici che praticano zazen come noi e coi quali confrontarsi. D’altra parte, lo zazen diventa un pratica quotidiana come le altre, come mangiare, fare la lavatrice e stirare. E’ il momento in cui “Sara sta insieme a Sara” ed é tanto importante quanto lavare i piatti o rifare il letto. Fa parte del mio quotidiano, non é qualcosa che va oltre l’essenziale, come possono essere la palestra, la piscina o il ristorante… voglio dire che, forse, il non frequentare un centro toglie “l’aura di solennitá” alla pratica quotidiana dello zazen e non sono sicura che questo sia completamente negativo. La prima volta che l’ho incontrata, otto anni fa, Lei spiegó che “zazen non é altro che l’essere in grado di sedersi senza fare nulla” e tutto il resto sono conseguenze, effetti collaterali che arrivano. L’incontrarsi in un luogo per fare una determinata cosa crea inevitabilmente un atteggiamento settario o conferisce significati ‘deformati’ (credo). Le casalinghe non si incontrano per fare il bucato, eppure lo fanno ogni giorno ed é necessario che lo facciano. Si incontrano per bere il tea e magari discutono su quale detersivo utilizzano… tutto qui. E’ probabile che il mio punto di vista sia del tutto fuori da ogni contesto proprio perché mi arrangio da sola, se é cosí, mi spiace averle fatto perdere tempo. E’, credo, la prima volta che intervengo su una cosa importante e mi sento molto impacciata e fuori luogo. Mi scusi. Spero di incontrarla ad Urbino presto,
Un caro saluto
sara
17 Gennaio 2010 alle 5:16 pm
Non è che scrivi tutte ‘ste belle cose perché non hai ancora “dato” l’esame con me e… :-). Grazie, bel lavoro.
18 Gennaio 2010 alle 11:38 am
Caro Mauricio,
Cosa dire se non che condivido pienamente quello che scrivi.Già altri maestri ci hanno messo in guardia dal materialismo spirituale e la stessa psicoanalisi più recentemente ha messso al centro del suo dibattito il tema del falso-Sè. Ma il falso Sè si traveste in mille modi e perchè no anche di spiritualità,l’esoterismo è di moda
e spesso al servizio proprio di quell’ego che tanto vorrebbe ridimensionare
PS
18 Gennaio 2010 alle 11:42 am
Grazie, PS. L’espressione “altri maestri” ne presuppone almeno uno. Potrebbe anche stare, non bisogna aver paura delle parole, anche se a volte hanno implicazioni molto negative.
18 Gennaio 2010 alle 11:55 am
Pubblico qui di seguito una risposta alla mail di SP che ha dato inizio allo scambio che trovate al n. 53, mym.
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Caro SP,
come ti avevo promesso, ho cercato di leggere con calma la tua lettera, non senza avere però letto anche tutto il dibattito che c’è stato sul sito della “Stella” in merito alla “pantomima” e, in fondo, alla chiusura di Galgagnano. Provo a esporti il mio pensiero. Credo che il motivo di fondo per cui ho amato quel posto e la sua situazione è stata fin dal principio la profonda”laicità” che mi è sembrato di trovarci. Per “laicità” (non credo che sia il termine esatto ma non ne trovo uno migliore) intendo il senso di “non chiesa” che c’era; un senso che, secondo me, era dovuto alla essenzialità estrema delle pratiche che si seguivano. Laicità che continuo a trovare nel pensiero profondo di Padre Luciano, che pure è inquadrato formalmente nella chiesa più chiesa di tutte, e in Jiso che è diventato addirittura il rappresentante ufficiale della sua chiesa.
Il discorso religioso che fanno entrambi, ognuno dal suo punto di vista, è l’unico discorso religioso che è riuscito a richiamare e a trattenere il mio interesse per un periodo di tempo così lungo, e questo proprio grazie alla loro carica anti-istituzionale e totalmente umana (nel senso di interessata all’uomo in quanto tale, per quello che ciascuno di noi è).
Insomma mi considero molto fortunato per avere avuto l’opportunità di fare questo incontro. Fatta questa lunga premessa, non riesco in nessun modo a esprimere un giudizio critico nei confronti della scelta di Jiso di chiudere Galgagnano, le cui motivazioni sono forse state espresse, almeno in parte, nei due documenti, il primo firmato anche da Yushin e il secondo dal solo Yushin. Nella tua lettera dici che sei disposto a “qualche compromesso iniziale se questo può aiutare”. Credo che proprio lì sia il nocciolo del dissenso, troppe volte (per qualcuno forse sempre) i compromessi iniziali sono causa di deviazioni forse non del tutto imprevedibili. Nel sito poi ho trovato un dibattito molto ricco e articolato e, per la verità, non parolaio, proprio sul problema che sta particolarmente a cuore a te, a proposito dei centri e dei luoghi dove “sedersi” e mi sembra che le cose sono ampiamente sviscerate, anche con opinioni molto vicine alla tua, senza nessuna polemica, e ancora una volta con risposte che mi sono sembrate comprensibili e non didascaliche. Tra l’altro, diversi interventi, compreso uno, molto sottotono di Yushin, sono del tutto allineati con la tua (nostra?) iniziativa di Rovofiorito. Insomma non mi sembra che ci siano motivi per polemizzare. Questa è, ovviamente, la mia opinione del tutto personale molto caratterizzata dal fatto che se ho trovato nella pratica del “sedersi” una pratica (religiosa?) che in qualche modo mi corrisponde, non riesco peraltro in nessun modo a definirmi o a considerarmi un buddhista o un adepto di qualche particolare scuola.
A presto risentirti, un abbraccio anche a C,
Stefano
18 Gennaio 2010 alle 12:20 pm
Grazie, Stefano. Il tema della laicità, che interpreto come “non appartenenza”, non era ancora venuto in luce, almeno in modo esplicito. A mio vedere il percorso/veicolo/proposta che chiamiamo buddismo zen da un lato implica un riconoscimento di appartenenza assoluta, universale, ovvero come facenti parte della stessa barca assieme a tutte le creature. Dall’altra implica una completa non appartenenza, una libertà che è anche solitudine. Cercarsi, costruirsi un’identità o una confraternita d’appartenenza tramite lo zen o il buddismo è antitetico, una contraddizione superabile solo superficialmente: a volte occorre che mi dica buddista (in qualche caso addirittura “monaco zen”) per tagliar corto, offrire un’etichetta da cui poi uscire, se me ne viene offerta la possibilità.
18 Gennaio 2010 alle 4:27 pm
Ciao Mauricio.
Ho seguito con interesse e quasi in diretta lo svolgersi della discussione, non sono intervenuto perché mi sembrava che l’argomento fosse già ben sviscerato, d’altro canto mi viene da pensare al motivo per cui tu abbia scritto quel testo.
Personalmente io vi scorgo l’incitazione al cammino personale “cercando tenacemente” e responsabile “continuando per sempre”, con il sonoro richiamo ad una visione disincantata rispetto a quello che viene dall’esterno, ed alle forme attraverso cui i messaggi di ogni genere, e nello specifico quello buddista , ci giungono. La provocazione arrivando da te direttore della stella e promotore di un “centro di pratica”, è chiaramente indicativo del fatto , che anche se in maniera imperfetta e con tutte le precauzioni possibili, la porta per chi bussa va aperta. E una porta dove bussare ci deve essere. dall’altro per chi bussa ci deve essere la coscienza che non c’è nessuna “ PORTA”. Anche se forse questa nozione arriva solo dopo aver a lungo bussato. Da un altro punto di vista vedo anche una provocazione a chi inneggia alla indispensabilità delle comunità ma non se ne serve, oppure le usa tutte senza valorizzarle o sostenerne nessuna.
a.p.
18 Gennaio 2010 alle 4:33 pm
Grazie AP, è vero, vi è l’accento che ho messo sull’esigenza indispensabile di bussare e ancora bussare. Però c’è un altro aspetto, che pare in contraddizione, del quale sino ad ora solo Sara ha colto il segno in modo chiaro: la religione, lo zazen, il percorso è un fatto personale, individuale da scoprire con le proprie forze e da percorrere da soli. Altrimenti è un associarsi, partecipare, esserci anch’io con quelli “giusti”, nel posto giusto ecc. ecc. Tempo perso, insomma.
18 Gennaio 2010 alle 7:38 pm
Ciao! Ricevo le tue mail anche se sono 3 anni che ho deciso di non aderire più alla Stella del Mattino, facevo parte del gruppo di Luciano. Ti risparmio i perchè della mia scelta.
Ti scrivo per dirti che la tua lettera è molto coraggiosa, ma poco “umana”. Spiego: l’uomo è un essere da sempre comunitario, identitario dunque anche quelli che si riconoscono nella pratica zen (la più personale, la meno comunitaria di tutte le pratiche) hanno bisogno del gruppo, del luogo, della persona di riferimento. Se lo zen è una proposta per pochissimi, quello che presenti tu nella mail è per ancora meno. Ammiro molto la capacità del silenzio, del non voler insegnare nulla a nessuno, dello smettere le pantomime; io credo che sia ora di sciogliere la Stella definitivamente, anche via web. Sarebbe un gesto di libertà enorme soprattutto per chi non se ne fa una ragione, la “comunità” si trascina ormai da anni e, in buona fede, crea confusione. Se non riesce a farlo Luciano, abbi il coraggio di Jiso. Buon cammino. Pietro
18 Gennaio 2010 alle 7:48 pm
Grazie, Pietro. Sì, non è umano (almeno nell’accezione solita) essere adulti. Persone in grado di compiere il proprio destino senza dipendere da pacche sulle spalle e rassicurazioni dovute alla vicinanza di sodali. Il fatto è che la posta in gioco è inumana. Per questo la risposta è altrettanto inumana. Oppure finalmente umana. Vendi quello che hai, distribuisci il ricavato ai poveri, lascia la tua casa, non ti preoccupare del cibo e del vestito, lascia che i morti seppelliscano i morti, non andare neppure al funerale di tuo padre. Che cosa c’è di umano in ciò? È adulto. Ma siamo tutti bamboccioni in eterno?
Sciogliere la Stella dici. Di più ancora? Che cosa c’è di legato che possa essere sciolto? Se non vuoi più ricevere le mail basta cancellarsi e fuuu niente più … Cosa? Parolette sullo schermo. È quella la Stella? Che legame può costituire una pagina colorata su uno schermo… I legami sono nella nostra testa.
19 Gennaio 2010 alle 10:34 am
Caro Yushin,
Di ritorno dal Giappone, Buon Anno !
Sono grato di cuore per avermi inserito nella lista.
Avevo già avuto modo di leggere la “Pantomima”, domande e risposte e avevo pensato di non potermi inserire in una riflessione che coinvolge, a volte mi rendo conto anche molto intensamente, persone esperte, che hanno inoltre seguito un percorso comune molto diverso da quello su cui ho incontrato la “pratica” (che non oso certo chiamare zazen).
Rispondo sollecitato dal tuo gesto amichevole e sei ovviamente autorizzato alla pubblicazione (anche perchè ho dimenticato la procedura per scrivere i commenti).
Ho ripreso a sedere dopo una pausa consapevole di qualche mese e in un momento non facilissimo.
La scelta delle poche righe di testo che leggo una volta conclusa la pratica sono quelle del Ghenjokoan, e mi è sembrato subito di essere tornato a casa (magari un po’ diroccata…, ma tant’è).
Il punto centrale mi pare quello di sempre ri-tornare a una/la presenza, corpo e spirito.
La mia esperienza di questi primi giorni di gennaio, in cui siedo a sera da solo, mi ha tuttavia reso ancora una volta perfettamente chiaro che la pratica – se non è “pantomima” – non è certamente la mia/nostra pratica, in un mio/nostro luogo.
Eppure altri altrove così si siedono, e il sedersi avviene; so per esperienza diretta che è così, e che questo, in un modo misterioso (viceversa non saremmo qui a parlarne… o no 🙂 ), cambia di fatto le cose.
L’esperienza del sedersi insieme è qualcosa di cui sono grato; e lasciare spazio a (luoghi di) gratuità e fiducia, sarà allora (semplicemente?) dare tempo a questo spazio (vogliamo chiamarla vita?).
Forse, ciò che accade in questo inverno piuttosto freddo, è proprio un invito a stare anche con le foglie secche, che pure alimentavano il fuoco del povero Ryokan-Sama nell’eremo di Gogoan; lui che non aveva paura di lamentarsi della solitudine, ma non aveva perso la fiducia nel soffio del vento.
E noi, abbiamo ancora fiducia in una/nella pratica, che non è (solo) nostra?
Nella tradizione in cui sono cresciuto, esiste questo koan; il Figlio non ha luogo ove posare il capo, e il vento soffia dove vuole; ma il Figlio, quando torna, trova ancora fiducia?
Oh uomini, ecco,
nel vento invernale
custodite una palla di neve;
risplende nel silenzio
il vostro cuore sincero
[Hitobito ya
yuki dama mamoru;
fuyu no kaze.
Kokoro no makoto
shizuka ni ikaru]
(anonimo)
Grazie come sempre,
A presto,
Giorgio
19 Gennaio 2010 alle 10:54 am
Già, il punto è che “cambia di fatto le cose”. Ora, non si pretende che si lascino le cose come stanno, abbastanza difficile, ma che almeno non ci si metta a tocchignare aggiungere impiastricciare. Perché questo “cambia di fatto le cose”. Per cosa, poi? Sentirsi leader in mezzo a quattro zendipendenti? Apparire su qualche libro-rivista-trasmissione TV per dire finalmente come si fa? Fregiarsi di qualche titolo confuciano-giapponese? Oppure appartenere a un gruppo che ci qualifichi in qualche modo? Se vogliamo giocare meglio trovare qualche cosa di più dignitoso.
Ciao Giorgio, grazie. In quest’epoca l’esperienza del perdurare nello zazen da soli è fondamentale.
20 Gennaio 2010 alle 7:53 pm
Buongiorno Mauricio,
Innanzitutto grazie.
“Chiedere, cercare, a volte sedersi a fianco per un po’, permette di rifare tutto, da capo, ogni volta. Continuando per sempre, ciascuno provi a scoprire la difficile strada da sé, cercando tenacemente il confronto con chi ha esperienza.”
Mi scuso, le poche righe che seguono non hanno nessun valore, sono soltanto un’opinione personale molto poco significativa.
Se il “luogo della via” non si facesse conoscere come “luogo della via”, come sarebbe possibile incontrarsi e scoprire?
“Sedersi nell’anonimato” dovrebbe significare comunque non essere silenziosi ed anonimi quando serve.
Non ho le mani “scorticate a forza di bussare a destra e sinistra”, ma se non avessi avuto l’occasione di frequentare il dojo di Vercelli e di conoscere proprio quelle persone, non avrei ancora idea neppure di quale direzione prendere.
Mi chiedevo come dovrebbe essere quel “posto” che permetta un’esperienza autentica. L’unica risposta che so darmi è quella che a mia volta ho sentito: “tiepido in inverno e fresco in estate”.
Sono convinto che chiedersi “come dovrebbe essere” sia fuorviante, almeno per principianti come me, che rischiano di voler provare qualcosa a loro misura, più che trovare un “luogo della via”.
C’è anche l’impossibilità oggettiva di discriminare chi possa sedere al fianco di chi (buon senso a parte), per cui forse il problema non si può porre in termini generali.
Certo in ognuno entra ed esce quel che può. Può essere che senza il passaggio dalla pantomima non si possa raggiungere nulla, un po’ come i bambini, che per imparare qualcosa scimmiottano gli adulti, e poi, cresciuti, smettendo di imitare, fanno.
E’ importante che qualcuno coraggiosamente ci riporti all’essenza della cosa: la responsabilità dell’esperienza personale è in parte dell’insegnante, ma viene condivisa individualmente da noi principianti, nella nostra tenacia e onestà di intenti.
E senza un impegno condotto da soli, continuativo e sincero, non si va lontano.
Volevo scusarmi se scrivo senza “aver fatto bene i compiti”, mi ero riproposto di leggere con attenzione gli interventi, ma impegni famigliari, di lavoro, ecc… mi lasciano poco tempo in questi giorni, e ieri notte quando mi sono svegliato sul divano con il mio portatile in bilico sulle ginocchia mi sono detto che era meglio rimandare.
Siccome assolutamente non ci conosciamo, ma tralasciando i particolari: ho scarsissima esperienza, sono assolutamente un principiante, mi sono accostato al buddhismo da pochissimi giorni (da giugno scorso ho cominciato a leggere qualcosa, da settembre frequento il ******* di Vercelli). Ancora grazie
Massimo
20 Gennaio 2010 alle 7:56 pm
Grazie Massimo. Penso che una cerca, una vocazione, un impegno tiepido conducano ad una pratica tiepida.
5 Febbraio 2010 alle 5:29 pm
Caro Yushin,
Trasferisco questa citazione del sempre più attuale Ryokan-Sama, apparsa dopo la pratica di qualche giorno fa.
Nel poema “Shoudoushi” : 唱導詞 (se non ho sbagliato a copiare 🙂 leggiamo:
“Se la Legge avesse permesso fondare delle sette,
Chi tra gli antichi non lo avrebbe fatto?
Se gli uomini fondassero ciascuno la sua setta,
Ah! Quale seguire?”
Anche Ryoukan dunque aveva affrontato un dubbio analogo (“centri” versus “sette”?) al nostro. E che risposta aveva dato?
Consapevole, ritengo, del fatto che 迷い と 悟り, (“mayoi to satori”, sempre a scanso di equivoci), ecco cosa scrive pochi versi a seguire:
“Per preghiera e indicazione del cammino, c’è naturalmente un inizio:
Lasciate che io cominci dal monte Grdhara (in nota: il luogo di preghiera di Buddha Sakyamuni, quindi – nota mia – là dove il Buddha storico semplicemente sedette in silenzio).
Giacchè Buddha è il Cielo del Cielo,
Chi oserà discuterlo?”
I necessari riferimenti:
Mitchiko Ishigami-Lagonitzer, “Ryokan Moine Zen”, CNRS Editions, Paris, 2001, pg. 93-94 e ivi n. 23 per le edizioni e 24).
P.s. (un po’ insinuante) a proposito del Cielo del Cielo… ma non abbiamo forse una indicazione altrettanto precisa nel “siate dunque perfetti come è perfetto il Padre, quello nei Cieli?”
Ahi ahi ! Qui la “pantomima” sconfina nel versante cristiano… Mi fermo subito… 😉
Grazie per la pazienza,
Giorgio.
5 Febbraio 2010 alle 5:32 pm
Se gli uomini fondassero ciascuno la sua setta… non ci sarebbe bisogno di seguirne altre 🙂 Grazie, ciao, mym
5 Febbraio 2010 alle 8:03 pm
“Devo fondare un Sistema mio personale, per non essere schiavo di quello di un altro.”
_____William Blake