Mer, 14 Ott 2009
Per la pagina Bibliografia commentata-Approfondimenti, l’amico dhr ci invia una scheda su un testo al quale la prima parte del titolo sul “dopo morte” non rende pienamente giustizia. Infatti è più propriamente un libro sull’arte di quel vivere che comprende il morire, l’ars moriendi come ricorda dhr. Val la pena rammentare che la formulazione “dopo la morte”, relativa per esempio a un aldilà, è quantomai infantile: parlare di un dopo presuppone che si possa rispondere alla domanda “quanto dura?”. Può essere che la morte duri così a lungo che non sia poi così interessante chiedersi che cosa c’è dopo. Forse più intrigante, e meno vano, è il chiedersi riguardo al durante…
Anselm Grün, Che cosa c’è dopo la morte? L’arte di vivere e morire, Paoline, pagg. 196, euro 16.
Tutta la tensione interna a questo nuovo libro del monaco benedettino Anselm Grün è espressa dal rapporto tra
il titolo “Che cosa c’è dopo la morte?” e il sottotitolo “L’arte di vivere e morire” (traduzioni fedeli del titolo e sottotitolo originali tedeschi). Il tema più delicato e più intrigante è “L’arte di vivere e morire”, però evidentemente gli editori e/o l’autore hanno pensato che non fosse sufficiente, e soprattutto che avrebbe fatto poco colpo sul mercato, quindi in bella evidenza è venuta la frase “Che cosa c’è dopo la morte?”.
Quest’ultimo punto di forza, nell’ottica del mercato, corrisponde però al punto debole sul piano contenutistico. Di per sé padre Grün è una persona colta, attenta, spiritualmente matura. Precisa fin dall’inizio che l’aldilà, per definizione, è inconoscibile e indescrivibile. Quindi le categorie con cui se ne parla, anche in ambiente cristiano (paradiso, Gerusalemme celeste, banchetto ecc.), sono solo immagini che non hanno lo scopo di descrivere alcunché, ma di consolare, di introdurre la persona alla modalità positiva di porsi di fronte all’evento della morte. Ciò non toglie che in varie occasioni l’autore cada nella tentazione di “quantificare” il regno dei cieli, sciorinandone le meraviglie paesaggistiche e gli impagabili benefici. Con un triste scivolone qualunquista a proposito del buddismo.
Dietro queste – poche – note un po’ stridenti, si avverte tuttavia una melodia di fondo ben più raffinata, quella appunto in cui Grün lascia indicazioni di percorso relative a “L’arte di vivere e morire”. Dove la congiunzione “e” non separa due concetti, ma congiunge due aspetti della medesima realtà. Due modi complementari di avvicinarsi al mistero della non/esistenza, in cui ognuno dei due illumina l’altro. Parole nutrite degli insegnamenti del Vangelo, di san Benedetto, della tradizione cristiana e anche dell’esperienza personale, in quanto padre Grün è attivo come consulente per l’elaborazione del lutto.
Disciplina antica, quella dell’ars moriendi o “apparecchio alla morte”; oggi caduta un po’ in disuso, ma senza motivo, perché la morte fa ancora tenacemente parte delle nostre vite (e viceversa). Grün la impreziosisce con acuti riferimenti a opere d’arte, o aspetti del folklore, o collegando tra loro in modo inedito i versetti della Bibbia. Ad esempio una frase di Gesù che nessuno cita mai: “Se il tuo corpo è tutto luminoso, senza avere parte alcuna nelle tenebre, tutto sarà nella luce, come quando la lampada ti illumina con il suo fulgore”.
dhr
20 Commenti a “Che cosa c’è dopo la morte?”
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16 Ottobre 2009 alle 10:12 am
Non ricordo quella frase nei Vangeli: Giovanni?! apocrifi?! Qualcuno sa darmi un riferimento bibliografico? grazie
16 Ottobre 2009 alle 10:27 am
Lc 11,36.
16 Ottobre 2009 alle 10:36 am
grazie
16 Ottobre 2009 alle 11:05 am
Nel testo che ho io (ed. Paoline ’86) la frase si legge così: “Se dunque il tuo corpo è tutto nella luce, senza alcuna parte nelle tenebre, sarà tutto splendente, come quando una lampada ti illumina con il suo fulgore”.
Mi pare che ci sia una differenza non da poco, determinata dal senso che diamo a quel secondo ‘tutto’.
16 Ottobre 2009 alle 11:15 am
Penso che il “ti” di “ti illumina” spiani la possibile differenza riferendo “tutto” (in ambedue le versioni) a “tuo corpo”. Aspettiamo che si svegli l’esperto per una parola dotta in materia.
16 Ottobre 2009 alle 11:18 am
Ho preso il testo come compare nel libro, che forse cita la nuova versione Cei. Comunque, in generale, le edizioni italiane moderne sono un pianto: qui lo scopo era solo accennare alla bella frase pronunciata da Gesù, ma senza approfondire i dettagli.
Traduzione letterale dal greco: “Quindi, se il tuo corpo è tutto luminoso, senza avere nessuna parte di tenebra, (allora) tutto sarà luminoso come quando la lampada ti illumina con il suo splendore.”
16 Ottobre 2009 alle 11:42 am
Sarebbe risolutivo avere la vera versione letterale originale, ma … ad impossibilia nemo tenetur.
16 Ottobre 2009 alle 2:57 pm
In ogni caso la frase è suggestiva. E’ vero che il ‘ti’ di ‘ti illumina’ sembra riferire tutto al corpo: però è anche pleonastico, dato che è stato appena detto. Questa ambiguità è intrigante.
16 Ottobre 2009 alle 4:19 pm
Testo greco originale per il signor mym.
“ei oun to somà sou hòlon photeinòn, mè echon méros ti skoteinòn, éstai photeinòn hòlon hos hòtan ho lychnos te astrapè photìze(i) se.”
Chiedo venia per accenti, spiriti, iota sottoscritti… e grazie per la fiducia…
16 Ottobre 2009 alle 4:24 pm
Ora che ho controllato de visu son più tranquillo.
Certo che il senso dell’umorismo di voi dotti è imparagonabile alla vostra kultura. In altre parole -come s’usa dire oggi- siete più dotti che intelligenti… 🙂
16 Ottobre 2009 alle 6:28 pm
Personalmente, sono più bello che intelligente.
16 Ottobre 2009 alle 6:40 pm
La frase del vangelo di Luca l’ho letta e riletta nelle due versioni ma non ci trovo nulla di interessante. Qualcuno mi vuole aiutare? È una bella frase, sì, ma o vuol dire una cosa del tipo “se ti tocchi diventi cieco” oppure… oppure?
16 Ottobre 2009 alle 6:50 pm
Quella frase di Gesù, nei vangeli, è isolata, non ha paralleli. D’altro canto la domanda posta prima da doc conferma che non se la fila sostanzialmente nessuno, la Chiesa non l’ha promozionata come la molto più “sfruttabile” sentenza: Tu sei Pietro, e su questa pietra…
Ciò detto, padre Gruen la riporta come promessa implicita della risurrezione, di una trasfigurazione bella e profonda della nostra corporeità.
Al recensore piaceva soprattutto per la sua evocatività, senza che per forza se ne ricavino delle conseguenze.
16 Ottobre 2009 alle 6:53 pm
Grazie, anch’io penso sia una bella frase, evocativa di belle immagini. Chissà che cosa ci ha visto Doc…
16 Ottobre 2009 alle 6:54 pm
Al recensore/bis piaceva inoltre quell’espressione come descrizione di sé da parte di Gesù, di quando il suo corpo sarebbe stato trasformato in puro “disegno di luce”, foto-grafia.
17 Ottobre 2009 alle 10:41 am
Scusate, mi sono assentato un attimo. Forse è solo la mia fantasia. Comunque di interessante ci ho trovato una suggestione di parallelismo con altre tradizioni come lo yoga (il lavoro sulle nadi, la purificazione interiore attraverso il lavoro sul corpo) o anche lo zen di Doghen (la Via si raggiunge soprattutto tramite il corpo). O l’eschia con le tecniche di respirazione/recitazione, che svolgono un lavoro sul corpo.
Mi fa pensare che ciò che viene definito ‘maculazione’ o ‘contaminazione’ nelle tradizioni più devozionali, o ‘nodo/tensione/blocco’ in linguaggio più moderno ma anche nello yoga appunto, posa avere un corrispondente, più preciso di quanto abbia finora immaginato, nell’idea di ‘peccato’.
Non mi sovvengono altri spunti o indicazioni di ‘lavoro sul corpo’, di pratica del corpo, nella Bibbia. Anzi, il corpo sembra di solito negato.
In questa ottica la purificazione del corpo(/mente) è condizione/prelude alla chiara visione del ‘tutto’.
D’altronde non vi sembra un po’ banale dire che se tutto il corpo è luminoso, allora tutto il corpo è luminoso?
17 Ottobre 2009 alle 11:19 am
@doc
Di per sé il corpo non è “negato” nella “Bibbia” tutta intera. Nel c.d. Antico Testamento ha un valore positivo, e un rabbi non sposato – come Gesù – faceva addirittura cattiva impressione. E’ stata la storia del cristianesimo a premere sulla questione del sesso peccaminoso: il senso di colpa è un’arma formidabile. Mentre nell’ebraismo NON esiste neppure il concetto di peccato originale.
17 Ottobre 2009 alle 12:33 pm
E’ vero. Tuttavia, mentre nelle tradizioni orientali – salvo direi rare eccezioni – il corpo è valorizzato come strumento, come terreno di pratica religiosa, non mi pare altrettanto succeda nella tradizione giudaico-cristiana; con l’eccezione appunto dell’esichiasmo.
17 Ottobre 2009 alle 1:20 pm
Esicasmo.
Circa l’attuale pratica ebraica – che comunque saranno “pratiche” al plurale – non saprei.
Nel cristianesimo degli ultimi decenni si tenta spesso di rilanciare il “valore positivo del corpo”; l’impressione generale però è di un certo isterismo, che è semplicemente l’altra faccia della medaglia del disprezzo tradizionale.
17 Ottobre 2009 alle 2:34 pm
Grazie per la correzione.
Esicasmo, esichiasmo, esichia sono forme usate con una certa indifferenza in letteratura. Senza dubbio la prima è quella linguisticamente corretta.