Lun, 31 Ago 2009
Pubblichiamo un’anteprima dell’intervento di Jiso Forzani dal titolo Le religioni in Asia per un mondo senza violenza per il convegno che si terrà a Cracovia nella prima settimana di settembre.
Il convegno, che ha per titolo A settantanni dallo scoppio della seconda guerra mondiale. Religioni e culture in dialogo. Lo Spirito di Assisi a Cracovia, dal 6 all’8 settembre 2009, è organizzato annualmente dalla Comunità
di Sant’Egidio e fa seguito all’incontro fra le religioni per la pace voluto da papa Wojtyla, ad Assisi, nel 1986. Quest’anno si svolge dal 6 all’8 settembre a Kracow (Polonia) per ricordare l’inizio della II guerra mondiale con l’invasione della Polonia, a Danzica (Gdansk, vedi cartina), settant’anni fa. Nelle intenzioni degli organizzatori un’occasione per riflettere sul contributo delle religioni a un mondo senza violenza. Jiso Forzani interviene al convegno nel ruolo di Vice Direttore del Centro Europeo del Buddhismo Soto Zen di Parigi.
Le religioni in Asia per un mondo senza violenza
Siamo qui oggi in occasione dell’annuale incontro internazionale fra i rappresentanti istituzionali di molte organizzazioni laiche e religiose organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, anche per ricordare il 70° anniversario dell’inizio, con l’invasione della Polonia da parte dell’esercito nazista tedesco, della seconda guerra mondiale.
Il senso vivo della memoria, soprattutto per le persone religiose, è quello di guardare il passato per vedere il presente e costruire un futuro migliore. Nel ricordo c’è dunque lo strazio per il dolore, i lutti, i delitti inenarrabili di quei tragici anni. Ma anche l’esame rigoroso di quanto la religione che ciascuno di noi qui rappresenta, ha fatto per fiancheggiare e non ha fatto per evitare tutto il male, fisico, morale, psicologico e spirituale che milioni di fratelli umani hanno inflitto gli uni agli altri e hanno subito insieme al mondo intero. Con la coscienza che le colpe di ieri sono in agguato oggi e sempre, e che nessuno è al riparo dal reiterare, in situazioni diverse, gli stessi complici errori. Solo così può aver senso interrogarsi sulla funzione della religione per un mondo di pace.
Ci sono molti modi di intendere la parola religione e di definirne il significato, modi e interpretazioni divergenti, originati da contesti storici, culturali, sociali differenti. Un esempio lampante di questa realtà è il fatto che molti, in Occidente, partendo da una definizione di religione basata sulla sensibilità monoteista, negano alle esperienze spirituali tramandate dai popoli dell’Asia la legittimità a definirsi propriamente “religioni”. Anche all’interno dello stesso contesto culturale e della medesima sensibilità religiosa, ci sono poi profonde differenze nell’interpretazione di cosa sia “religione”: per qualcuno la religione è ispo facto l’istituzione o chiesa che la rappresenta, per altri è un’esperienza interiore che si fa progetto e stile di vita, per altri ancora un riferimento identitario ed educativo di appartenenza collettiva, un insieme di indicazioni e precetti etici e morali, un sistema di simboli per decifrare il mistero della realtà, un baluardo rituale verso il disordine del mondo…
Ma, io credo, ogni persona religiosa sa, anche senza saper spiegare cosa vuol dire religione, come “quella cosa”, la si chiami o no religione, opera nella sua vita. E sa, indipendentemente dal nome e dalla provenienza geografica e culturale della religione cui si ispira, qual è la meta che la religione promette e qual è la via per mantenere la promessa. Parlo da occidentale che si affida al buddismo, la religione che ha trovato in Asia la propria culla, il proprio nutrimento e i propri abiti, e parlo in veste di rappresentante del buddhismo zen di scuola Sōtō: dunque come figlio della tradizione culturale dell’occidente, oggi egemone nel mondo, che per essere religioso ha cercato e trovato asilo in una tradizione spirituale tramandata in oriente. Lo dico insomma come persona per la quale l’incontro fra correnti di pensiero e prassi di vita profondamente diverse è esperienza esistenziale e spirituale, prima che materia di studio e di convegni.
Religione, per me, è la soglia della pace del proprio cuore che è il germe della pace del mondo intero. La pace, inerme, incondizionata, inespugnabile, di cui parla Gesù nel Vangelo quando dice con le parole riportate da Giovanni: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.” (Giov. 14,27). Ho espresso così, con le parole di Gesù, tramandate nella lingua greca che è all’origine del pensiero filosofico occidentale, quello che è il fondamento della religione secondo la visione e la pratica buddhista, la più diffusa delle religioni dell’Asia: la pace non come la dà il mondo.
La pace come la dà il mondo, è la pace che si fonda sulla sicurezza, sulla difesa, sul rafforzamento dell’identità, sul deterrente che impedisce la guerra. E’ la pace che segue e precede le guerre, è il contrario della guerra, pace da difendere parando bellum, pronti alla guerra; è pace armata, condizionata, costantemente a rischio: è pace debole perché basata sulla forza. E’ la pace basata su di un’idea di pace, e come ogni cosa basata su di un’idea ha per forma i contorni e i limiti di quell’idea.
La pace non come la dà il mondo è la pace basata su un pensiero senza fondo, senza forma. E’ la pace del distacco, dell’abbandono di ogni pensiero, è la pratica dell’immobilità del corpo e del tacitamento della mente, che il buddhismo zen chiama zazen. Nell’abbandono incondizionato di ogni pensiero, e certo anche del pensiero della pace, ogni violenza di ogni forma è vanificata. Da quella pace -del cuore, nel cuore di ognuno- soltanto può diffondersi al mondo intero la pace. Altro luogo di pace non c’è. Questa è l’origine e la meta dell’esperienza religiosa, che un’espressione del buddhismo zen definisce in giapponese hikkyōkisho, il luogo del ritorno alla meta – il ritorno al luogo finale.
Ma allora, la domanda viene immediata, come mai le religioni, custodi di quel luogo, hanno nei secoli ed ovunque fomentato, benedetto, nobilitato le più diffuse e sottili violenze, nei confronti sia di singole persone che di gruppi di individui, sia di singole idee che di intere culture, spiritualità e visioni del mondo?
Perché, io credo, pecchiamo di difetto di fede. Abbiamo più fiducia nella pace come la dà il mondo, la pace imposta con la forza, con la diplomazia, con la sconfitta del “nemico” che fede nella pace che scorre nel silenzio del cuore.
Il mondo senza violenza non è un mondo possibile. Pensare che si possa costruire e realizzare, nell’umana realtà, il mondo senza violenza, è un’idea illusoria, o peggio un alibi ipocrita. Nascere è un atto violento, vivere comporta violenza, invecchiare è un processo violento, morire è violenza: questo è il mondo, questo è il nostro mondo. La religione non serve a cambiare il mondo o a realizzare un altro mondo. Serve a portare nel mondo la prova evidente e invisibile che il luogo finale del mondo è il luogo della pace che è oltre la pace. Quel luogo finale è qui, ora e sempre, nel corpo e nello spirito di ciascuno di noi, ogni volta che, con spirito ridesto, abbandoniamo il mondo salvandolo così da se stesso.
La speranza, dice un maestro contemporaneo, non sta nel futuro, sta nell’invisibile. La violenza del mondo, di cui la guerra, ogni guerra è l’espressione collettiva più macroscopica e folle, è la somma di innumerevoli pensieri, parole, atti violenti: ogni singolo atto, parola, pensiero violento contribuisce ad accrescerla e a diffonderla. Sono i mattoni costitutivi della violenza del mondo. La pace del mondo è la somma delle innumerevoli sottrazioni di pensieri, parole, atti che ciascuna persona opera quando abbandona coscientemente ogni pensiero, parola, atto. Quell’abbandono è, istantaneamente, l’azzeramento del mondo. E’ la non aggiunta di alcun altro mattone e, nello stesso tempo, l’annullamento dell’intera muraglia. L’opera invisibile della pace che sottrae è infinita, mentre la violenza che aggiunge per grande che sia è relativa.
Con questa fede nel cuore e questa pratica costante le persone religiose sono operatori di pace e dirigono i loro passi sulla via della pace.
Giuseppe Jisō Forzani
Buddhismo Sōtō Zen
Vice Direttore
Centro Europeo Buddhismo Sōtō Zen
Parigi
12 Commenti a “Per un mondo senza violenza”
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5 Settembre 2009 alle 8:23 am
Chissà come verrà recepito – o se verrà recepito – il messaggio di Jiso, in un ambiente in cui la filosofia di vità è “massì, con un po’ di buona volontà si risolve tutto, o magari versando la quota di euro … sul conto corrente numero …”
5 Settembre 2009 alle 5:36 pm
Chissà. Ma, come diceva mr. Butler, “Frankly, I don’t give a damn” ovvero, francamente me ne infischio. In consessi del genere o non si va, o, dovendo andare, con 15 minuti di tempo a disposizione per parlare, l’unica è dire senza parafrasi quel che uno pensa vada detto. E se anche solo un orecchio si drizza… altrimenti pazienza, sarà un altro sasso in fondo al mare, dopo aver fatto i suoi quattro salti in superficie, in barba alla gravità.
5 Settembre 2009 alle 8:07 pm
Ottimo: a Cracovia di’ anche questo!
😉
9 Settembre 2009 alle 6:01 pm
Per uscire dall’ ottica della pace come un processo di crescita in cui si mettono “ con buona volontà” tanti mattoncini uno sopra l’ altro sperando di costruire un mondo migliore, credo ci voglia un cambio di visuale, a dir poco, impegnativo da tanti punti di vista.
All’ interno di questo possibile nuovo atteggiamento verso la costruzione di una pace non solo individuale ma anche collettiva, che emerge dall’ intervento di JF, le riflessioni sul proprio modo di stare al mondo, sono sicuramente molteplici. Tra le altre, la difficoltà di abbinare la parola “violenza”, per esempio, al dolore per la morte di una persona cara o al dolore insito nella nascita….
Oppure sul possibile “come” l’ opera della pace che sottrae è infinita mentre la violenza ( comunque? ) è relativa …
Grazie
10 Settembre 2009 alle 4:32 pm
La pace di cui parla Gesù, in cui Buddha è seduto, e a cui noi volgiamo lo sguardo, non può nascere che dalla pace: la pace dello spirito, del cuore, dei sensi è il “luogo” unico in cui si verifica e da cui si diffonde. E’ possibile, nel nostro cuore agitato dal contrasto di sentimenti, pensieri, passioni, nel nostro mondo intrecciato dal concorso incessante di pace e di guerra, “quella” pace? Bisogna crederci per provare e provarci per credere. Ogni volta che faccio silenzio, il silenzio si fa. All’apparenza il rumore del mondo procede incurante, ma il mio mondo è silenzio. I latini dicevano “omnia munda mundi”, tutto è puro per il puro – perché allora non “tutto è pace per chi è in pace”? Questa è la logica dell’assoluto, se così posso esprimermi.
La fede poi consiste (anche) in questo: che individuale e collettivo non sono separati. Perché questo non sia un delirio dell’io, bisogna sfilare il sostegno dell’io. Qui cadono i dubbi insieme a tutto il resto. “Come”, lo suggerisce (dovrebbe) l’insegnamento religioso cui ciascuno si affida, che a ciascuno è affidato. Nel mio intervento faccio il nome del come indicato dal buddhismo zen.
Comprendo la difficoltà di abbinare la parola “violenza” alla morte, alla nascita. L’ho usata in un’accezione differente da quella usuale, di violenza dell’uomo sull’uomo. Intendevo richiamare l’attenzione sulla naturalità del fenomeno: non è violenza un terremoto, un’inondazione, un’eruzione che sconvolge la terra e le vite? Non è la violenza di una sopraffazione bensì quella di una rottura. Ogni rottura la chiamo violenza, perché è principio di dolore. Così è la morte, che lascia un vuoto incolmabile, così è la nascita, che è la rottura di un equilibrio per la fuoriuscita di un mondo. Forse c’è una piccola forzatura (violenza?) nell’uso della parola, che giustifico come tentativo di mostrare che la realtà non è naturalmente pacifica, e che la pace non è la condizione naturale: anzi, in un certo senso è la non condizione, l’incondizionato. Operare la pace in se stessi e nel mondo è aprire la porta all’incondizionatoà: opera infinita che si realizza ogni volta e ogni volta inizia da zero.
10 Settembre 2009 alle 4:50 pm
Quest’ultima frase (L’opera invisibile della pace che sottrae è infinita, mentre la violenza che aggiunge per grande che sia è relativa.) pare anche a me piuttosto criptica. Chissà se c’è qualcuno così caritatevole da farla capire anche a questa testa di legno?!
10 Settembre 2009 alle 7:39 pm
Chissà. Nella mia intenzione, la metafora del muro (una somma impilata di mattoni) descrive una realtà relativa: l’enormità del muro è data all’assommarsi, è cioè relativa a ogni aggiunta. È una quantità, per immensa che sia. La sottrazione non è l’operazione relativa del togliere un mattone per volta: è azzeramento, immediato, non quantitativo, non graduale. Toglie tutto, in questo senso è infinita, senza aggiungere nulla, ogni volta.
10 Settembre 2009 alle 8:58 pm
Piiiiiccola tirata d’orecchie a JF, su una questione secondaria: “omnia munda mundis” (tutto è puro per i puri) non è un detto latino ma una frase di san Paolo; che nell’immaginario collettivo si è cristallizzata in latino a causa della Vulgata, la Bibbia in latino che era di prassi fino alla metà del Novecento.
Non sempre però san Paolo ha contribuito ad alimentare una mentalità “pacifica”.
11 Settembre 2009 alle 12:48 am
Una spiegazione ed una indicazione insieme. Se non è esser caritatevoli questo…!
11 Settembre 2009 alle 10:51 am
Ringrazio Dr, davvero, per la tirata d’orecchi che ha da essere duplice – ho due orecchie anch’io. La citazione infatti, era errata non solo nell’attribuzione ma anche nella forma latina: (pur declinata al singolare la frase sarebbe “omnia munda mundo” e non “omnia munda mundi” come ha scritto questo pretenzioso ignorante – cosi’ imparo a fare il furbo.
Dr, signorilmente, non ha infierito, ma a ciascuno il suo. Dunque, Paolo di Tarso, Lettera a Tito, 15,1 – sono andato a controllare. Sul fatto poi che San Paolo non sempre abbia contribuito ad alimentare una mentalita’ di pace, sono d’accordo (proprio la lettera in questione e’ non poco virulenta, tra l’altro) ma senza attriburgliene necessariamente la responsabilita’. Era un gran combattente, certo, il che di per se’ non vuol dire non essere persone di pace – vedi Gandhi. Gli epigoni, poi, capiscono e fanno quel che possono e vogliono: siamo riusciti a rendere occasione di guerre persino l’amore di Cristo e il silenzio di Buddha.
11 Settembre 2009 alle 11:24 am
Ribadisco, era davvero un’osservazione piccola così, in confronto ai temi che avevi sollevato. (Ah già, dimenticavo che la Stella del amttino è l’unico sito italiano in cui le osservazioni critiche sono le benvenute. Sareste benemeriti anche solo per questo).
11 Settembre 2009 alle 11:30 am
Seee, ciccicoccò. E bravo il sollevatore di temi… 😛