Sab, 12 Ago 2006
L’immagine che presentiamo in questo articolo è un bell’esempio di “via media”, nel senso che si sbaglia sia seguendo un’interpretazione, sia seguendo quella opposta.
Si tratta della pagina 51 del poema Gerusalemme di William Blake. Se si prova a identificare ogni singolo personaggio dell’illustrazione a partire dal testo scritto del poema, si cade in ipotesi troppo arzigogolate. Se viceversa se ne dà un’interpretazione generale, restano fuori troppi dettagli, come le viti quando si è finito di montare un mobile dell’Ikea. Errore per errore, scegliamo questa seconda procedura.
La chiave di lettura potrebbe trovarsi nella prima riga di testo di pagina 52: Rahab is an Eternal State, “Rahab è una condizione eterna”. Nella mitologia di Blake, la prostituta biblica Rahab diventa un’entità cosmica; per così dire, un’energia, un elemento costante nella composizione dell’universo fisico e della storia. Sempre a pagina 52, il poeta inglese polemizza contro i deisti, colpevoli di voler ridurre la religione a moralità “naturale”.
Vade retro! Nel linguaggio blakiano, infatti, il termine Nature corrisponde – grossomodo, mutatis mutandis, fatte le debite distinzioni – al concetto induista di samsara, il trovarsi impegolati in un mondo che reitera all’infinito la limitatezza e il dolore. Del resto Blake fu tra i primi autori nell’Europa di inizio ’800 a tentare una sintesi tra cristianesimo, gnosticismo e religioni orientali, conosciute in modo un po’ raffazzonato tramite le prime traduzioni disponibili.
La “natura” coincide con Rahab, la grande peccatrice Babilonia, la Prostituta simbolica, la crudeltà e l’arbitrio, la religione asservita al potere politico e demoniaco, e strettamente connessa ai tormenti psicologici di matrice sessuale. Anticipando, in pratica, la filosofia di Freud.
Perciò il compito della vera religione non sarà affatto quello di adeguarsi alla natura, ma semmai di liberare da essa.
Ciò detto, resta da analizzare l’immagine di pagina 51. Il primo impatto ottico è chiaro: ci troviamo tra le fiamme dell’inferno, di fronte a tre individui disperati.
Più difficile è identificare i tre. Il primo sembra un sovrano, con manto regale e scettro, però il mantello è lugubremente nero e il personaggio si tiene la testa tra le mani. Ripescando dall’Ade della mitologia classica (a cui Blake dedicò la celebre incisione Ecate), potrebbe trattarsi del giudice Minosse, ma con una significativa sottolineatura: anche lui è vittima della disperazione che commina agli altri. Il secondo personaggio è immobile, accoccolato, come i dannati nel 14° canto dell’inferno dantesco (all’illustrazione della Divina Commedia Blake lavorò fin sul letto di morte). Il terzo, in catene, si avvia tristemente al proprio destino.
Destino che mai avrà termine? Qui, in base alla frase Rahab is an Eternal State, l’inferno non indica la sorte in un aldilà, ma l’incarcerazione in questo mondo.
E su questo punto William Blake non solo ci costringe a seguire la “via media”, ma la sceglie lui stesso. La sua visione religiosa ammette entrambe le possibilità, senza che una escluda l’altra: da un lato, che il ciclo del nostro vagare si perpetui indefinitamente; dall’altro, che la redenzione di Cristo dia un taglio e inauguri un regno di luce infinita.
La soluzione, come visto, non potrà fornirla il deismo. “Neppure il teismo”, ghigna Mauricio Yushin Marassi.
E nemmeno il non-teismo?
Nascerà un oltre-teismo?
d.r.
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