Ven, 30 Gen 2009
Dal blog nel blog: “Ogni giorno è un buon giorno?”, a cura di Marta e Doc
Buongiorno Marta, buongiorno a tutti. Vorrei aprire la pagina di oggi riallacciandomi al discorso della “appartenenza”, nell’accezione usata da un lettore del ‘profondo sud’ (nickname: Homosex) nel commento 21 del post con il video ‘storia delle religioni’.
Lì l’appartenenza è vissuta, mi è parso, come subordinazione ad un modus vivendi formale, fatto di rigide convenzioni non scritte ma altrettanto o forse più vincolanti.
Riporto il suo intervento:”
“… il vulnus del discorso è proprio il senso di appartenenza.Vivo nel profondo sud italia e l’unico linguaggio religioso in acto è quello cristiano per cui, contro voglia, penso e agisco da cristiano. Dunque sono cristiano?Sì, nella misura in cui appartengo a qui vili e miserabili ‘confratelli’ corresponsabili di molte delle sciagure umane. Persino l’amore, per i cristiani, è una tortura che deve far soffrire, deve far sentire in colpa. Per fortuna i cristiani non sono l’Umanità. Un caro saluto”.
Un grido nel deserto. Mi mette in difficoltà e mi porta a riflettere su quali forme di conformismo acritico la comunità mette in atto per proteggersi; dalla paura del nuovo, del non conosciuto, del diverso. La paura che si trasforma in oppressione. E le ‘tradizioni’, anche o soprattutto quelle ‘religiose’, possono diventarne strumento.
L’immagine del ‘profondo sud’ che scaturisce dal grido di Homosex è particolarmente forte: non è facile immedesimarsi. Ma questo non ci deve trarre in inganno consolatorio. E’ vero che ci sono luoghi e tempi particolarmente oppressivi, ma il meccanismo di base è ubiquitario. Lo possiamo osservare ovunque, anche a casa nostra, nella comunità, nel nostro gruppo di preghiera o di meditazione. Abbiamo sempre la tendenza ad imporre la nostra logica, la nostra proposta, il nostro modo. La nostra ‘morale’. La mancanza di interlocutori aggiunge disagio al disagio: la solitudine aggiunge sofferenza alla sofferenza.
Questo mi pare uno dei tanti talloni d’Achille della scelta ‘laica’ nel cammino religioso: il non esserci un sangha preordinato cui fare riferimento, un ambiente protetto cui abbandonarsi e affidarsi. Continuamente esso va cercato, costruito, disvelato con grande dispendio di energie e di tempo. A volte il senso di isolamento può essere lacerante.
30 Commenti a “Appartenenza, libertà e … meridione.”
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30 Gennaio 2009 alle 8:35 pm
Caro doc e caro Homosex, rispondo con una certa pena nel cuore, perchè questo senso di isolamento di cui avete parlato è stato un mio compagno di vita per parecchio tempo. Tanto forte da pensare che nessuna appartenenza religiosa mi era possibile a causa del sentimento di diversità, di frattura direi, che avvertivo tra me e l’ ambiente religioso circostante. Poi alcune cose sono cambiate e il senso di solitudine si è allentato, tanto da poter ritrovarmi nelle parole di padre Luciano quando, nella sua ultima lettera, diceva che non noi apparteniamo alla religione ma è il vangelo ( nel caso del credente cristiano ) che ci appartiene. Questo, credo, ci permette di poter essere “religiosi” nel senso reale del termine e di non essere seguaci di una dottrina che, molto spesso o qualche volta, non ci sentiamo di condividere.
Credo sia importante provare “disagio” di fronte ad alcune realtà religiose ( o che si mascherano tali )perchè significa che siamo sempre in cammino, alla ricerca del significato “ultimo” della nostra propria esistenza e che non ci si “accontenta” di risposte standard uguali per tutti.
In questo caso, mi sento di dire, pur nella diversità, siamo “nella stessa barca” e chissà che, remando tutti assieme, non ci si trovi allo stesso approdo.
Un saluto Marta
30 Gennaio 2009 alle 9:18 pm
Riguardo alle pressioni sociali, nel buddismo “però” c’è un bell’insegnamento a proposito di un famoso rinoceronte che proseguiva diritto per la sua famosa strada. Nel caso di homosex c’è in più tutto il peso dei pregiudizi da portarsi addosso, quindi la questione è ben più delicata. Ma, in linea generale, mi sembra “italiano, troppo italiano” preoccuparsi di che cosa penserà il dirimpettaio.
31 Gennaio 2009 alle 1:09 am
D’accordo Marta. Però qui, a prescindere da una confessione piuttosto che un’altra, mi pare si denunci la solitudine, l’isolamento di chi si trova a percorrere la Via in un ambito laico, cioè nel tessuto sociale e produttivo usuale. Due mi paiono gli ostacoli: il conformismo religioso, che nulla ha a che fare col cammino (autenticamente) religioso, e lo scetticismo/nichilismo. Sono atteggiamenti trasversali, in qualche modo ideologici, ampiamente prevalenti nella società. Chi desidera percorrere un cammino spirituale si trova costretto a procedere in solitudine o, quando è fortunato, a frequentare ‘ a tempo’ una nicchia di persone, animate dallo stesso suo intento. Cosa che i buddisti chiamano shanga, i cattolici credo comunità ecc. A meno di essere un ‘eroe-rinoceronte’, peraltro simbolo Hinayana se non sbaglio, come suggerisce dr. Esserlo nell’India antica però, da dove ci arriva la similitudine: laddove la ricerca spirituale non era sintomo di qualche pericolosa malattia mentale, ma era piuttosto una scelta virtuosa da tutti riconosciuta.
31 Gennaio 2009 alle 4:31 pm
Buongiorno a tutti. Forse, nel precedente intervento, mi sono spiegata male. Non era mia intenzione misconoscerre il peso dei condizionamenti nel contesto in cui siamo cresciuti e viviamo. Contesto religioso, ma non solo, perchè a volte è addirittura più difficile porsi a confronto con un “credo” non religioso, elevato a sistema, in cui la verità sembra più oggettiva e quindi, forse, meno soggetta a critiche sul “fondamento”. Si può arrivare a considerare quasi superfluo disquisire sul grado di autenticità delle “religioni tradizionali”, in quanto ci si sente in un “ambiente” che sembra avere eliminato la dimensione religiosa.
Ma (non voglio essere positiva ad ogni costo) non mi sembra che possiamo fare altrimenti che renderci comunque consapevoli della nostra inevitabile condizione di essere condizionati e condizionanti nella nostra piccola o grande “comunità” e da lì partire per…
In un’altra occasione, doc, ( vado a memoria sperando di non sbagliare ) mi avevi ricordato che ciò che costituisce il fondamento più importante non è, nè buddista, nè cristiano ( nè ha, aggiungerei, nessuna altra etichetta)ed è proprio a questo, forse, che dovremmo fare riferimento quando ci sembra di essere “oppressi” da realtà che, in qualche modo, ci rendono difficoltoso quella che pensiamo essere la nostra via.
Speriamo che lo spazio della nostra libertà sia sempre più ampio di quello che pensiamo talvolta….
31 Gennaio 2009 alle 5:02 pm
Avvisato da un amico mi sono imbattuto in questo saccente scambio (un po’ stucchevole, invero) e ho alcune domande: hinayana è termine in disuso perché insultante e, per di più, perché non indica nulla: chi sono gli hinayana visto che nessuno mai si è riconosciuto né si riconosce nel veicolo inferiore? E poi: come si fa a distinguere con tanta sicurezza un testo hinayana da uno che non lo è? Kosho Uchiyama, abate negli anni settanta di un monastero Zen giapponese apprezzava il testo del rinoceronte, significa che era hinayana?
31 Gennaio 2009 alle 6:42 pm
La cosa sta scivolando (o lo è già) verso una specie di pietismo.
Cosa si potrebbe dire? Beh, anche il Buddismo mahayana, oltre al rinoceronte theravada, mostra fulgidi esempi di forza. Uno per tutti: Bodhidharma.
Quando ti sembra che il mondo ti sovrasti, vuol dire che sei debole, con poca energia, rinchiuso nelle tue cose, introvertito.
Quando senti che “mangeresti il mondo”, sei forte, attivo, estroverso, positivo, solare.
Sulla base di questa semplice autodiagnosi, puoi costruire il cambiamento.
Potresti dover diventare più forte, e potresti dover calmarti. Come si fa? Beh, ci sono tante scuole…..
31 Gennaio 2009 alle 6:45 pm
Sì, pietismo è più appropriato di stucchevole, grazie: un capolavoro di equilibrio il tuo intervento, Marcello.
31 Gennaio 2009 alle 7:19 pm
Ti ringrazio chop.
Le religioni “primitive”, come ad esempio l’animismo africano, ci mostrano quale era anticamente il ruolo della “religione” nella comunità.
In caso di problemi, lo stregone africano, dopo aver fatto dei riti, ti dà da mangiare un erba, ti dice cosa devi fare per un certo periodo di tempo, insomma ti dà anche dei consigli pratici. Questo nell’accezione moderna della religione, è dimenticato. Ma ogni religione, in realtà, ha delle pratiche volte a liberare il praticante dalle sue nubi: (i buddisti tibetani conservano un pò di questo stile) preghiera, digiuno, ecc. Ecco, il digiuno. Sembra una sciocchezza, ma il digiuno di solidi e liquidi è una pratica potentissima. Non è un caso che si parli del digiuno di 40 giorni di Gesù…..
Anticamente la religione era anche medicina, del corpo e (di conseguenza) dell’anima. Mi sembra quasi di dire delle ovvietà se noto l’assonanza di parole come Medicina e Meditazione. Ciao a tutti.
31 Gennaio 2009 alle 8:18 pm
Beh, innanzitutto grazie davvero: per tutti gli interventi che aiutano a trovare una dimensione di linguaggio equilibrata. E’ ciò che stiamo cercando.
E poi complimenti! Fa piacere sentire voci così autocentrate ed autosufficienti nel Cammino. Sia detto senza polemica, persone così presumo vivano sulla cima del simbolico monte Sumeru: infatti non le incontro mai (mettiamoci un ‘quasi’, per prudenza) , in carne ed ossa. E quando le incontro, persone con così tanta certezza e nessun dubbio, diffido. O si sgonfiano da sè.
Ho usato il termine Hinayana appositamente, nell’accezione terminologica più comunemente diffusa: è Hinayana un processo di autosviluppo che ha come meta la liberazione personale. E’ Mahayana la rinuncia a questo obiettivo a favore della altrui liberazione. Così dicono per lo più i testi che ho studiato negli anni. Certo che è una divisione scolastica, forse in disuso; e molto si potrebbe dire al proposito, finanche ribaltarne i termini. Ma ‘parliamo’: e se parliamo di operare in ambito ‘laico’, direi che la prima ipotesi si autoesclude e quindi rimane la seconda. Se l’obiettivo è far mettere radici solide alla pianta del buddhismo (o se volete del cammino religioso autentico, senza etichette), i rinoceronti non bastano. Anzi, rischiano molte volte di strappar via i germogli.
Mi pare che il discorso sia insabbiato sul piano della mera ‘conoscenza’: ma superata la conoscenza, si apre la dimensione della sapienza. Ed oltre alla sapienza c’è la compassione. Poi, ognuno si ferma un pò dove gli pare. O questa mia è solo fuffa?!
31 Gennaio 2009 alle 8:45 pm
Vero, le religioni di successo sono primitive. Quelle che invitano all’autogestione sono poco seguite. Più o meno inconsciamente nel prete si cerca il suo antenato sciamano, gli si portano i problemi affinché li risolva. Perciò poi il prete sciamano non vede di buon occhio la concorrenza, laica o religiosa che sia. Il business del potere sulle anime/animi non ha età né prezzo. Additare il diverso per radunarsi nel distinguersi è un giochetto antico che compatta. Interessante questa cosa med-icina med-itazione.
31 Gennaio 2009 alle 9:30 pm
I rinoceronti ci sono indispensabili. Senza rinoceronti non si va da nessuna parte. E i rinoceronti sono il nostro stimolo per fare meglio, meglio di loro. Un vero rinoceronte desidera essere superato.
Non c’è separazione tra me e gli altri, quindi non si può dire “riuncio alla mia liberazione per quella degi altri”. Le due cose sono una.
Quello che cerchiamo non sono parole: compassione, sapienza, conoscenza. Cerchiamo l’intuito, che abbiamo già, ma abbiamo dimenticato a favore del mentale. Ma non cerchiamo il nostro individuale intuito. Cerchiamo l’intuito di tutti gli esseri senzienti, detto anche “istinto perfetto” o “forza cosmica” o “forza vitale” o “vitalità”. Insomma l’origine della vita, che ci permea sempre e comunque.
In questo senso è “vietato” lamentarsi. T’immagini una comunità di gente che si lamenta? Quanta strada può fare?
31 Gennaio 2009 alle 10:25 pm
Caro Marcello, tu e chop avete vivacizzato la discussione. Bene. Ma dimmi: sai di cosa parli o ci meni in tondo solo con ‘parole’? quanto dici, mi sa un po’ di ‘scolastico’.
Come si può cercare con successo – cioè, secondo il mio lessico, ‘appropriarsi di’ – la ‘forza cosmica’? c’è un modo, senza abbandonare se stessi!? io sarei interessato… 🙂
Temo si rischi il delirio di onnipotenza.
E diversamente, come dimenticare se stessi senza abbandonarsi a ciò che è altro da noi? e cosa è ‘altro’ da noi? forse un triangolo luminoso, su una nuvola, con una lunga barba bianca; o una spirale multicolore di energia magnetica che ci penetra e ci trasforma in veri duri che non piangono mai, in superman?
31 Gennaio 2009 alle 11:22 pm
Caro doc, io scrivo quello che mi rimbomba dentro, le letture, le esperienze…mica sono arrivato da nessuna parte…mi sono fermato a fare due chiacchiere. Mi ha colpito il tono del lamento di omosex e alcune frasi di marta…che dovrei dirgli? Suvvia, tiratevi un pò sù…l’ho detto in termini “spirituali”, ho detto che ci sono anche dele vie pratiche, che non è giusto crogiolarsi nelle proprie paturnie. “L’uomo nasce felice, se non è felice la colpa è sua” diceva Epitteto. A me questa frase piace molto, ma non è questione di essere superman o di raggiungere Dio. E’ proprio il minimo che ci viene richiesto dalla vita. “io sono responsabile”, “non incolpo gli altri delle mie menate”. Il minimo che dovrebbe esere riciesto a un rappresentante della razza umana. E ora vado a letto. Ciao!
1 Febbraio 2009 alle 1:43 am
Perdona quel pò di ironia che mi sono fatto scivolare dalla penna, Marcello. Un chiarimento sembrava necessario, e questa tua ultima nota mi pare un ottimo terreno sul quale, volendo, si potrà lavorare ancora. Le tue parole toccano temi di grande profondità e complessità. Buona notte: e grazie.
1 Febbraio 2009 alle 11:06 am
Buongiorno! Sì, stamattina ho letto il vostro vivace dialogo e devo riconoscere che al rischio del “pietismo” ( ci sarebbero tante cose su cui soffermarsi, ne prendo solo alcune, altre emergeranno sicuramente più avanti )si può aggiungere il rischio del “quietismo”( tanto per rimanere in tema di -ismo) se si procede e si rimane sulla scia della lamentazione. A volte però, io penso, è anche necessario un’analisi della realtà che ci circonda e che abbiamo dentro ( e se a volte non è positiva ma “depressiva” pazienza!si parte ognuno da punto diversi! Ma torniamo alla necessità di essere “vitali”, sono pienamente d’accordo sulla necessità di andare oltre all’espressioni verbali per recuperarle nella vita ( è una cosa alla quale tengo moltissimo!!) e a tal proposito le ultime poesie di SC mi avevano fatto sorgere proprio la riflessione di quanta parte di noi stessi( uomini della modernità) siamo capaci di investire nelle “emozioni” della vita! Quanto siamo portati a “vivere con superficialità” le “cose” che ci accadono per evitare l’ altra faccia della gioia di vivere, cioè quella della sofferenza che inevitabilmente arriva ( in forma di delusione, mancanza, distacco….)? ( e dagliela, dirà qualcuno a parlare di sofferenza!)Ma, non mi fermo qui. Credo che la “paura” del salto nel vuoto ( necessario a mio parere nella vita in svariate occasioni)esiste ma, mi sento concorde con il nostro poeta, e forse anche Marcello sarà d’accordo, nel dire che non c’è scampo se si vuole vivere veramente.
Un’ultima cosa sulla felicità: leggevo un giorno una cosa che mi è rimasta impressa e che mi torna alla mente spesso: c’era un “santo” che viveva eremita su una montagna e ogni giorno si prostrava a terra e “pregava” con queste parole ” Gli uomini non sanno essere felici”. Penso sia assolutamente vero, e forse è compito dell’ uomo del terzo millennio “recuperare” la possibilità di “essere” dal vuoto che ci ritroviamo sotto i piedi. Non è un’espressione zen ” far luce su quello che sta sotto i piedi? ”
Se sbaglio perdonatemi!
E come comunque, ci sarebbe da riflettere sul fatto “se ” il compito delle religioni è quello di costituire uno strumento utile per rendere più felice la vita degli uomini. ( direi- lo dico perchè condivido questa visione detta da altri ben più autorevoli di me- che anche se in passato è stato spesso così, non è necessario che così dovrebbe essere)
A questo punto dr potrebbe dire: ma non è proprio possibile essere più stringati? Ma cosa vuoi a volte è bello seguire anche i propri pensieri e condividerli.
Buona giornata a tutti!
1 Febbraio 2009 alle 1:04 pm
E se dicessi che non so cosa significhi, la parola felicità?! Ciò verrebbe preso per un ulteriore piagnisteo? Con buona pace del sig Epitteto (scusate l’ignoranza, non ho avuto il piacere…), la felicità mi sembra una di quelle tante bubbole che si raccontano ai bambini: “…e vissero/ nacquero per sempre felici e contenti”.
Se un bambino nasce focomelico, o è mutilato da una bomba ad 1 anno di vita, è dunque colpa sua? Molto scolasticamente si potrebbe dire di sì, il Karma! E dunque, ben gli sta: ca…voli suoi. Ma altrettanto scolasticamente si può rispondere: no; sì; ni; non ni. Questa risposta, che azzera tutte le elucubrazioni, mi riporta alla concreta realtà ed al pragmatismo con cui affrontarla. I soldi, il successo con le donne, il SUV , la cocaina, gli addominali scolpiti. Oppure gli sciamani, gli analisti, l’alchimia, l’acquisizione dei dieci poteri sovrumani dei buddha.
Se penso che il sig Seneca mi disse un giorno:<Uomo, non puoi vivere del tutto senza pietà!..
Masochista!
1 Febbraio 2009 alle 4:05 pm
E se dicessi, e con questo lascio (per il momento) il computer, che, noi uomini e donne normo- dotati e viventi nell’area del mondo che vive spesso solo i problemi degli altri, ci preoccupiamo di trovare i modi per essere “felici” o comunque di sentirci all’ altezza, perchè abbiamo perso il senso della “realtà”? Perchè non la sappiamo riconoscere o meglio vivere ( e magari ci riescono quelli che noi pensiamo emarginati), nella sua, posso dire, vera essenza? E non chiedetemi qual è : ci sono gli esperti per questo!
Elucubrazioni a parte, spero che l’ umanità non si risolva nel “voglio essere felice!” Arrivederci.
2 Febbraio 2009 alle 3:31 am
Good morning people! Sono commosso da questo spazio celebrativo della mia solitudine…Provo a riprendere il filo. Il fondamento della mia pietà è l’odio per gli esseri umani. Quella generalità dei consociati che sono costretto a incontrare in ossequio alla evangelica pratica religiosa.In questo senso il Vangelo è la massima accortezza politica.Che cos’è la compassione? Parlare agli uomini, parlare con gli uomini è ‘amarli’. Non so cosa sia la libertà. Solo chi non deve fare i conti con il problema di un’esistenza borghese può essere libero…di non essere. Di non essere soprattutto una persona morale, cioè di superare l’ipocrisia sulla morale.Non esiste nessuna morale ma solo un dibattito fra specialisti. Alla impotenza dell’azione, della morale, non restano che solo le parole…
La neikosofia (Neikos-Odio)risponde,invece,ad un’esigenza diversa. E’ una tensione negativa verso l’umanità, odiarla, e tuttavia non poterne fare a meno in virtù di suddetta tensione.Conseguentemente il neikosofo è atterrito dall’umanità e la odia per il sapere o per quel che il sapere gli fa sapere.Non è pessimismo…La neikosofia(l’odium dei, il taedium dei,etc.) sostiene: philosophus philosofo lupus. Senza l’odio per l’umanità di cui testimonio chi supererebbe le tre prove: il drago fiammeggiante, il gigante cattivo, il pettine avvelenato? E se non saranno superate, chi potrà mai amare il sapere, chi mai potrà parlare agli uomini?
2 Febbraio 2009 alle 6:59 am
Un pensiero che dichiara il mondo cattivo è per lo meno cattivo quanto il mondo.Questa è la mia generosa tesi(ma ho sempre in mente lo scopo).Ogni religione identifica la propria fede con la verità unica e assoluta. Questa identificazione è ovviamente impropria, perché la fede “crede” proprio perché non “sa”.Di questo pensiero irrazionale non vi è sistema ma solo narrazione. Io non credo che due più due faccia quattro perché lo so, mentre “credo” nell’immortalità dell’anima proprio perché non lo “so”. Identificare la “fede” con il “sapere”, fare questa confusione, come tutte le religioni fanno, è il primo atto che rende impossibile il dialogo. Come si fa infatti a dialogare con chi è pregiudizialmente convinto che la propria fede sia l’unica e assoluta verità?
2 Febbraio 2009 alle 7:40 am
Nel mondo senza regole e confini dove tutto è possibile, nel mondo della fantasia e della intuizione, in cui ci ritroviamo ogni volta che riflettiamo, la nostra lucidità ne guadagna e si estende. Ma l’abisso in cui ci mette ci costringe a tornare al grigiore abituale, almeno nelle cose della vita.E’ così che questa resta sempre indietro, e non segue l’intelligenza che vorrebbe trasportarla chissà dove. Ecco perché il primato della vita, occulto o manifesto, si afferma sempre.Per questo si pone il problema se le teologie non debbano essere sottratte alle chiese e restituite ai ‘brahamani’, agli ‘immoralisti’, ai ‘rinoceronti’ affinché si metta la parola fine alla pax religiosa e si combatta una guerra fatta di evidenze ed idee e non di armi. Le parole greche che incominciano con il prefisso “dia” segnalano infatti una massima opposizione, come la parola “dia-metro” che indica i punti massimamente distanti della circonferenza, o la parola “dia-volo” che nomina il massimamente distante, anzi l’avversario di Dio.Gli incontri concilianti non servono a niente e non mi fido delle religioni che non entrano in conflitto.La neikosofia si annida laddove l’individuo è compiuto e non può essere più oggetto di ‘fede’ ma di concetto. E se i concetti sono la mia anima e attraverso di essi filtro i miei umori gli individui altro non sono che concetti incarnati.Che mi importa delle religioni?L’immagine di un Dio di cui niente si può sapere se non incarnandosi (schema presente anche nel buddismo) mi sembra invecchiata e legata ad un’immagine diveniente dell’uomo. Nell’uomo compiuto non si ha divenire ma solo distruzione.Migliorare l’istinto è una patetica contraddizione ed esaurite le risorse dell’agire non rimangono che le virtù taumaturgiche della parola.
Buona settimana a tutti:e grazie.
2 Febbraio 2009 alle 2:06 pm
“Gli incontri concilianti non servono a niente e non mi fido delle religioni che non entrano in conflitto”(n.20): ben detto, perbacco! Invece non mi quadra “Non esiste nessuna morale ma solo un dibattito fra specialisti”(n.18). Fatto salvo che nel 99,99% dei casi è così, quando la morale è funzione di un fine: esiste, relativamente (come ogni cosa nel mondo) ma esiste.
“Tensione negativa verso l’umanità, odiarla, e tuttavia non poterne fare a meno”(n.18), qui il volo si fa teso, rischioso e interessante. Se tu non dessi l’impressione di passar la vita a “guardarti l’ombelico” ci divertiremmo un sacco.
2 Febbraio 2009 alle 3:47 pm
Ho ricevuto molte emozioni dalle vostre mail lasciate che vi doni tutto quel che ho e non nasconda nessun recondito pensiero.Se devo parlare con il ‘cuore’ preferisco quello generoso di Re Lear, che lo portò alla rovina, a quello prudente e lungimirante di chi raddoppia i suoi beni, affinché mi ri-trovi solo nella landa in tempesta come quel vecchio pazzo.Lasciate dunque che io sbraiti e dica sciocchezze:forse vi si nasconde una perla.
2 Febbraio 2009 alle 4:35 pm
Senza “discriminare” nessuno, ma l’intervento n. 22 è il più bello in assoluto. Così sia.
2 Febbraio 2009 alle 4:36 pm
Caro M. io ho ragioni da vendere per questo mi lamento.A dispetto di quanto sancito dalla Costituzione della Repubblica italiana, art. 4, parte 2°, non mi interessa contribuire allo sviluppo materiale e spirituale di questa società. Il mio impegno civile si esaurisce nell’indifferenza e nell’apatia.Se il mondo è andato in malora io non ne ho nessuna colpa; di più è la mia irresponsabilità che mi rende beato e felice. E il karma? E’ causato dalle generazioni precedenti, che c’entro ‘io’? L’incoscienza promessa dal neikosofo può solo dirci di non abitare la verità, ma semplicemente una cultura con le sue limitate caratteristiche. E’ all’interno della conflittualità,invece, che va ricercata l’autenticità di una religione. E’ possibile dialogare e reperire un punto di convergenza solo se i dialoganti sono disposti ad ammettere che la posizione dell’altro disponga di un gradiente di verità almeno pari alla propria. Questa infatti è la vera essenza della “tolleranza”, che non significa tollerare la posizione dell’altro (questa se mai è solo buona educazione), ma ipotizzare, almeno in linea di principio, che le tesi dell’altro possano essere vere o addirittura più vere delle proprie. Sono disposte le religioni, quando si confrontano, a disporsi in questo atteggiamento mentale? La mia risposta è no, per la ragione che segue.Quando con la sua nascita, la filosofia volle emanciparsi dal mito, e in seguito da tutte le religioni, Platone prese a parlare di un “grande capovolgimento (meghíste matabolé)” dovuto al fatto che Dio abbandonò il timone del mondo e gli uomini, lasciati soli, non ebbero altra possibilità di governare se stessi se non inventando la politica, ossia la libera discussione tra loro che consentisse a maggioranza di prendere decisioni (Politico, 272 e – 273 b). Il dialogo, dunque, come oltrepassamento della religione, la libera discussione politica come oltrepassamento delle credenze fideistiche, le quali, radicandosi e definendo le basi antropologiche delle diverse culture, sono nell’impossibilità di dialogare tra loro e quindi di pervenire a una comune conciliazione. Se le religioni non sono in grado di aprire un dialogo fra loro, non resta che prender dimora in quella che Kant definiva “l’isola della ragione nell’oceano dell’irrazionale” che, pur con tutti i suoi limiti, trova la sua applicazione pratica in quella che Platone ha chiamato “politica”. Il mio sogno ridicolo è creare una neikosofia ‘giusta’, che non millanti credito, con uno scopo sopra gli altri:l’allargamento della coscienza già raggiunto privatamente, fino ad una illuminazione collettiva che portasse luce su tutto, e quindi fino all’acquietamento della conoscenza. Inventare un mondo, cioè, dove il saputo metterebbe alla gogna il sapere.Non a torto, le filosofie ‘serie’ si affrettano a deridere la mia Utopia bollandola come una nuova neverland o un empio sangh
2 Febbraio 2009 alle 5:07 pm
Una nuova neverland non mi dispiacerebbe. Le “religioni” non esistono, ci sono gli autonominati rappresentanti professionisti del classico chiacchiere e distintivo. Suppongo che, se interpellati, i rappresentati per lo più si dissocerebbero. Ma, mi sovvien, perché poi le religioni dovrebbero dialogare? Sì è vero: le guerre ecc. ecc. A ben guardare benché si parli di crociati o mezzelune dietro c’è il petrolio, i diamanti, le colonie… Che sia la politica che ha fatto, e fa, i più danni? Dogen, san Francesco non mi pare.
2 Febbraio 2009 alle 5:35 pm
Più che lamentarmi, bestemmio molto…Mi ripeto:può l’idea di Dio essere a me ipso facta?Può essere inventata un’idea semplice?Forse Dio si dà tutto in esteriorità e non ha ‘interno’. Ciò che si prende per tale è la proiezione dell’esteriorità in esso e il fatto che la rifletta.E’ l’esteriorità ad un altro livello…
2 Febbraio 2009 alle 6:03 pm
Dai cheppalle, anche tu con ‘sto “dio”, neanche fosse tuo cugino. Comodo averci quella paroletta a cui appiccicare qualsiasi cosa senza mai assumersi responsabilità. Proposta: invece di usare il nome del Trino, uscir di metafora, parlar chiaro. Oppure, necessitando: in questo commento col termine “dio” intendesi: e via elencando. Altrimenti fai la parte del prete, che tanto lui lo sa e tu no.
2 Febbraio 2009 alle 8:03 pm
Sono appena rientrato da una passeggiata.:)Nel momento in cui trovo che l’idea di Dio non si può inventare l’apprentissage è compiuto.Anche oggi ho adempiuto al mio proposito:togliere qualche attributo divino a Dio.Ci sono riuscito?Mah?!Ho preferito valorizzare il quotidiano e la sua banalità, ho fatto della banalità la mia grandezza.”Essere un ‘uomo’ in mezzo agli uomini.Affrontare la vita quotidiana e le sua banalità:ecco la nostra vera grandeur”(Descartes).Ho approfittato della vita così com’è;e certi giorni così com’è non significa nulla.E’ vero, non si può vivere filosoficamente, ma ben si può pensare filosoficamente, o ce lo vieteranno?
Adieu mon auditerues.
P.S. Con riserva di dedurre e articolare ulteriormente(magari in un’altra occasione,non ho tempo per i dizionari…Pazienza!).
2 Febbraio 2009 alle 8:23 pm
Insomma si pensi a me non come ad un dotto dottore di teologia, o ad un prete travestito ma piuttosto come ad un disadattato.Che so io, ci si immagini un tipo alla woody allen che invece di avere la ventura di nascere a NY sia nato nel sud italia.Porco dinci.
3 Febbraio 2009 alle 12:48 pm
Grazie, alla prossima volta.