Mar, 31 Dic 2019
Immancabili, quasi fatidici, gli auguri di BZ.
Auguri, certo: ci si augura che non succeda nulla che venga a turbare le nostre vite. O forse (siccome prima o poi succederà comunque: è sicuro) ci si augura che la capacità di lasciar svanire il nostro disappunto venga in nostro aiuto ‘non ostante tutto’. Ovvero come dovrebbe essere sempre, o quasi, percorrendo questa via.
Allora: auguriamoci che sia come sempre.
Questa volta c’è un novità piccantina: parafrasando il principe De Curtis potremmo dire che Bz ‘la butta in politica’; nella prima delle due strisce esprime, addirittura, una critica sottile all’Istituzione, alla chiesa, che è, o è stata, madre (forse solo zia?) di molti tra quelli che compongono e leggono queste righe.
È la libertà espressiva dell’artista e come tale va rispettata, anche quando non siamo d’accordo. Non è pensabile, infatti, che tra coloro i quali seguono l’iter formale delle ordinazioni all’interno del Soto shu (e non solo), vi sia chi possa poi pavoneggiarsi, esibendo come un segno di potere l’abito ricevuto durante il rito. Un abito che è il segno del completo lasciare.
Si sa, praticare il buddismo non è una carriera e certe cose non accadono.
Nel frattempo, sul blog, continuerà a imperversare Bz …
Grazie a Fago per i delicati disegni e a Pierinux per la consueta maestria nel farli apparire sui nostri schermi.
16 Commenti a “Il BZ del nuovo anno”
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1 Gennaio 2020 alle 1:20 pm
Miei cari amici vicini e lontani buon anno, buon anno ovunque voi siate! La prima cosa che ho pensato, è stata “Che ve possino!” ma ahimé l’ho dovuta lasciar evaporare, altrimenti sarebbe stato proprio un bel commento. Budda Zot più illuminato dell’albero di Natale.
1 Gennaio 2020 alle 9:33 pm
Ma è un’illuminazione fissa o lampeggiante? Spero la seconda, che… con la luce sempre accesa poi la festa si spegne
8 Gennaio 2020 alle 10:38 am
“I pensieri che corrono dietro a me” è un’espressione interessante. Nolenti o volenti, la nostra mente produce pensiero in continuazione: quando le esperienze precedenti si legano al presente o anche semplicemente perché quelle esperienze affiorano. Il problema, letteralmente, è che molto spesso noi agiamo, decidiamo, prendiamo posizione in base a quei pensieri che, come diceva Uchiyama roshi, sono solo delle secrezioni mentali. Zazen è lasciarli svanire, la via dello zen è -una volta svaniti- produrre pensiero nuovo, a prescindere.
14 Gennaio 2020 alle 10:49 am
Buongiorno a tutti, come sempre molto belle le vignette di Buddazot, la prima è abbastanza caustica e anche nelle righe che la accompagnano mi è parso di avvertire un filo di ironia, ma su questo posso sbagliarmi, sono uso all’errore.
Mi sono spesso chiesto cosa aggiungerebbe/cambierebbe nella mia pratica una ordinazione laica a bodhisattva della quale, poi, non conosco neanche la procedura. Nei Sutra della Sapienza é scritto che contrassegno del Buddha é non mostrare contrassegni, cosa cambierebbe nel mio sedermi ogni giorno in zazen il fatto di indossare il kesa?
Sono stato in un monastero Soto-Zen in Italia e vi ho trovato delle belle persone cordiali e di grande levatura spirituale, ma penso che l’impressione sarebbe stata uguale anche se non fossero state vestite alla giapponese e gli ambienti non fossero stati arredati allo stesso modo. Che poi tutto l’insieme abbia un incontestabile fascino è un’altra cosa che non attiene all’essenza della cosa. Se poi vogliamo risalire alle origini il Buddha Sakyamuni è indiano non giapponese. Io sento di appartenere alla Via, sento che il sedermi in zazen fa parte di quello che sono adesso, che bisogno c’è di una ratifica da parte di qualcuno?
Altro significato avrebbe un’ordinazione monastica, ma per quella non sono attualmente contingentemente attrezzato.
Magari qualcun altro ha i miei stessi dubbi e qui se ne potrebbe parlare.
Un abbraccio a tutti
14 Gennaio 2020 alle 6:44 pm
Buonasera Gaetano, sono contento che tu abbia apprezzato BZ
Riguardo a quanto scrivi dopo, lascio ad altri la risposta
Un saluto
15 Gennaio 2020 alle 12:21 pm
@fago5: quindi lo lasci sulla porta ad aspettare? se hai disegnato e scritto puoi dirci qualcosa, o eri in trance quando producevi arte? 🙂
15 Gennaio 2020 alle 6:49 pm
Uè…se Roma chiama…g’ho de rispund un queicos
Premetto che non ho mai ricevuto ordinazione alcuna, quindi alcune cose le posso solo supporre.
1)”cosa aggiungerebbe/cambierebbe nella mia pratica una ordinazione laica a bodhisattva”:
Aggiungerebbe un’idea in più da lasciare andare , cambierebbe che avresti a disposizione un pensiero di appoggio piuttosto solido per continuare la pratica nei momenti di difficoltà. Però poi lasciarla andare la zattera è dura…almeno per me
2)”cosa cambierebbe nel mio sedermi ogni giorno in zazen il fatto di indossare il kesa”:
Secondo me nulla, parlando “strettamente” di zazen
3)”che bisogno c’è di una ratifica da parte di qualcuno?”
Non c’è bisogno una ratifica, ma di “spintarelle” per riuscire a beccare la “direttrice”. Poi tocca fare il possibile per mantenere la direzione nonostante i numerosi e sicuri sbandamenti
16 Gennaio 2020 alle 10:13 am
Grazie per la risposta, Fago. Di lasciar andare la zattera… non se ne parla neanche. Straziato dai marosi in tempesta, senza la zattera quanto resisterei? Almeno adesso so che sono straziato dai marosi in tempesta…:-)
Per come la vivo io, la “spintarella” la trovo in quello che leggo, di cui il presente sito è grande parte, nel contatto con gente più avanti di me nella Via (ahimè molto infrequente), nel ritrovarmi nel mio Sangha; non sento il bisogno di “diplomi”.
E’ bello poterne parlare qui, sono uno abbastanza ignorante che arranca nella Via e sentire cosa ne pensano altri come me, oltre ai “dottori della legge”, mi fa/farebbe bene
Grazie
16 Gennaio 2020 alle 10:35 am
Figurati, buona giornata
16 Gennaio 2020 alle 7:51 pm
Mi provo ad aggiungere qualcosa in attesa di testimonianze più pertinenti. Intanto faccio presente che su questo blog si trova molto materiale che tratta l’argomento sollevato dalla lettura che Gaetano ha dato di Buddazot: di zazen, religione, monachesimo e laicità, dei maestri e dell’onanismo religioso, del sedersi da soli o in compagnia e via dicendo. Un recente articolo per esempio presenta un libro, L’altra riva, scritto da Henri Le Saux, testimonianza peraltro di dialogo tra le religioni. Poi si trova anche una sezione video che propone varie “visioni” dall’Europa e dal mondo che si dicono esprimere, a loro modo, la Via.
Se ciò che rende riconoscibile il buddhismo è l’espressione “Via di liberazione dalla sofferenza”, credo che qualunque pensiero o dubbio sorga in merito alla pratica (chiedo scusa per la parolaccia 🙂 ) sia bene ricondurlo qui, a quest’espressione, ovvero se abbia o meno a che fare con la realizzazione di quel fine. Ma questo seppure l’avevo letto, l’ho riconosciuto solo quando ho provato a metterlo in pratica (come altre indicazioni) su suggerimento di un buon amico che ho avuto la fortuna di sbirciare. Se stare seduti immobili in silenzio è concreta forma e manifestazione di quell’essenza poi, e non solo un particolare tipo di meditazione, a maggior ragione quelle questioni (kesa, dojo, ordinazione) coinvolgeranno tutta la nostra vita e non solo un aspetto di essa. Quindi prudenza mi dico mentre mi “arrabatto tra l’inizio di uno zazen e la fine di un altro” (cit. mym nell’articolo su Le Saux ). Perché la domanda delle domande, per me che son tapino, rimane aperta ad ogni piè sospinto: come continuare fuori dallo zafu questa doppia derapata mondo-silenzio-mondo, nel presente di ogni istante? E pare che non ci si azzecchi a dare risposte definitive. Perché di vita stiamo parlando, dove tutto rapido muta. Ed ora: ghigliottina!
18 Gennaio 2020 alle 12:39 pm
Ciao AdO, non riesco a capire:
“Se stare seduti immobili in silenzio è concreta forma e manifestazione di quell’essenza poi, e non solo un particolare tipo di meditazione, a maggior ragione quelle questioni (kesa, dojo, ordinazione) coinvolgeranno tutta la nostra vita e non solo un aspetto di essa.”
Che intendi?
18 Gennaio 2020 alle 1:31 pm
Se l’origine di dukkha è nel fraintendimento con cui mi relaziono con la realtà, con i suoi eventi ineluttabili (nascita, morte, vecchiaia, malattia…), e questa condizione è per me evidente, individuabile chiaramente nella mia esistenza e non solo una bella citazione, non posso che lavorare su me stesso per liberarmene e verificare che al fondo di “io” non c’è me sostanziale ma una serie di bollicine d’acqua gasata :-). Una fonte inesauribile di bollicine. Se dunque la liberazione ha da passare dallo scioglimento di quelle fantasie, legami, e zazen è la realizzazione concreta proposta, questo è il luogo dove mettere la mia vita (anche quando mi alzo dal cuscino), pertanto il modo in cui vivo la vita (percorro) è determinante ai fini di quella direzione (Via di liberazione dalla sofferenza). Facile? “Avoja a magna’ pagnotte” diceva mio padre. In conclusione, intendo dire che non è il kesa, il dojo, l’ordinazione il problema, il problema è come liberare loro e tutto il mio mondo da me che fa “io”. Speriamo bene.
18 Gennaio 2020 alle 7:16 pm
Got it, grazie
19 Gennaio 2020 alle 11:09 am
Grazie AdO, tanto per essere sicuro di aver got it pure io, tu intendi che kesa, dojo ordinazione siano degli epifenomeni (a proposito di parolacce…) di quello che succede tra il momento in cui ti alzi dallo zafu e quello in cui ti ci risiedi, quando sei nella Via e nella vita. Penso che tu abbia ragione, ma, essendo caratteristico delle bollicine di gas pensare di essere diverse l’una dalla’altra, forse questa non è l’unica possibile manifestazione della cosa. E, comunque, è abbastanza irrilevante, non sono nessuno per poter dire che i fratelli e le sorella abbiano torto o ragione e neanche lo voglio fare, mi chiedevo solo se questo fosse l’unico modo per percorrere la Via.
Ogni tanto ricado nell’antico errore (per me) di fare della Pratica un’attività intellettuale, mentre più mi siedo in zazen più mi rendo conto che è il corpo che fa zazen e la mente è un interessante gingillo che separa il me dal tutto, dal vuoto, da ciò il dukkha. Dai miei ricordi di chimica, quando si ottiene una soluzione soluto (il me, l’anima ecc) e solvente (il tutto, il vuoto) sono indistinguibili ma il sapore della storia è cambiato.
Intanto che mangio pagnotte mi procurerò il libro di H. Le Saux.
Grazie a tutti
20 Gennaio 2020 alle 3:50 pm
@Gaetano14
No, non penso siano degli epifenomeni, credo che a ben vedere nulla sia un epifenomeno nella via proposta dal Buddha. Ogni aspetto, momento della vita è un aspetto, momento della via, e la realizzazione di quest’ultima è nella maniera in cui vivo concretamente ogni aspetto della vita: che io vesta un kesa o scriva un commento, dev’essere scioglimento dei legami, dell’io, non deve appoggiarsi a nulla, altrimenti è fuffa. Come queste parole: belle, ma parole. Tuttavia a sostenere la mia fede, c’è, il Vimalakīrti Nirdeśa Sūtra, dove si dice che “la famiglia del Tathāgata è la famiglia dell’accumulazione delle cose peribili, la famiglia dell’ignoranza e della sete d’esistenza, la famiglia dell’amore, dell’odio e dell’errore”, un vasto campo da arare dunque, purché io non lo trasformi in vanità. Quindi meglio che vada a scavarmi la buca. Ciao.
22 Gennaio 2020 alle 5:10 pm
ok, got it anch’io