Mar, 15 Gen 2019
Lo scorso anno, a fine ottobre, pubblicammo un post presentando due testi: un audio libro ricavato da un discorso di Uchiyama roshi e L’altra riva, un testo del monaco cristiano-induista Le Saux sulla sua esperienza come sannyāsī, ovvero ‘rinunciante’ secondo la tradizione hindù del sanātana dharma, quello che volgarmente chiamiamo ‘induismo’. Nel commentare questo testo mi ero lasciato andare ad una lamentazione con le parole “viene quasi da rimpiangere che tra i cristiani nessuno, sino ad ora, abbia saputo vivere e soprattutto dire il buddismo in una maniera altrettanto competente e profonda”: un vero e proprio “signora mia, non ci sono più i cristiani di una volta …!”.
Poco tempo dopo ho ricevuto un breve scritto dedicato al Silenzio nel monachesimo buddhista che mi ha fatto ricredere. Matteo, monaco della Comunità di Bose (che nella foto vediamo con l’abate di Sogenji, monastero Rinzai di Okayama, Giappone),
si è cimentato con il difficile tema del silenzio, un classico tra gli ossimori di ogni tempo, con un’accuratezza ed una competenza che “viene quasi da rimpiangere che tra i buddisti …” 🙂
È un’analisi che indaga a partire dalla tradizione testuale sia del buddismo antico che del mahāyāna con un’attenzione e una cura nitide e rispettose. È così che si fa.
L’argomento mi da l’occasione di porre in parallelo un libretto che ho appena pubblicato (anzi: c’è chi lo ha fatto per me …) che tratta dello stesso tema, seppure accentrando l’attenzione non solo sul silenzio ma anche sul sorriso: un segno gentile, questo, come rileva Matteo, che da quasi 1500 anni accompagna l’iconografia buddista. In quell’occasione ho usato ambedue, silenzio e sorriso, come metafore del … della …
Insomma, come sempre: silenzio e sorridere. Perché, come è stato detto, non basta morire in silenzio, occorre essere un bel cadavere.
Qui potete scaricare il testo di fra’ Matteo:
Il silenzio nel monachesimo buddhista
70 Commenti a “Il piacere di aver torto e il morto piacione”
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16 Gennaio 2019 alle 4:46 pm
Fatemi anche ridere, Joshu gli direbbe, mettilo giù.
Nello dice, se lo vuoi prendere, è già scappato.
16 Gennaio 2019 alle 4:56 pm
Be’, farti ridere non è difficile: ce l’hai una specchiera in casa? 😛
Eppoi, mettilo sù, mettilo giù, scappa non scappa, è facile. Prova un po’ a dir che cosa
Ciao Nello, buona vita.
16 Gennaio 2019 alle 5:02 pm
Mi è chiara l’apertura, che prelude, che induce a elaborare, l’elenchos… pieno di compassione, ma buddazot mi ha attivato la visione ludica e il buon umore.
16 Gennaio 2019 alle 5:09 pm
Kapperi, elenchos mi mancava.
Los elenchos de los telefonos, suppongo 😳
16 Gennaio 2019 alle 5:15 pm
Non farti portare fuori. Questo silenzio diventa sempre più rumoroso…
Speriamo non venga fuori Scorsese e la sua favola…
16 Gennaio 2019 alle 5:22 pm
C’è anche la storiella dei tre monaci che si ritirano in sesshin con l’obbligo del silenzio.
Dopo un mese di ritiro passa un cavallo, dopo un altro mese uno dei tre dice, è passato un cavallo, passa un altro mese e un’altro monaco dice, era bianco. Ancora un altro mese e il terzo che non aveva parlato, dice, siamo venuti qui per fare la sesshin o per fare casino?
18 Gennaio 2019 alle 1:21 pm
Vi ringrazio per questi scritti (L’altra riva, Il silenzio e il sorriso, Il silenzio nel monachesimo buddhista), mi sono di grande aiuto: mi hanno fatto considerare che stavo perdendomi per strada l’attrezzo di lavoro principale, il contegno.
Parole chiare (al di là di lacune personali) e con un programma di lavoro niente male che, in confronto, l’aver appreso a non far impolverare lo zafu è stata una passeggiata di salute.
Grazie.
19 Gennaio 2019 alle 10:23 am
Bene. Tieni conto, svp, che il contegno va bene se contenuto e contenitore coincidono.
19 Gennaio 2019 alle 10:33 am
OT.
A volte si dice o si sente dire che lo zazen non serve a nulla, che la via buddista non ha alcun risultato tangibile. Vero. Tuttavia esiste l’altra faccia della medaglia, quella splendidamente riassunta da un amico con: ‘la rete a maglie strette: reddito di cittadinanza, poi lavoro, con fidanzata incinta che la domenica ti trascina all’Ikea’.
Se volete vedere davvero a che cosa ‘serve’ lo zazen, vi consiglio di guardare il film documentario intitolato Samsara che trovate in questa pagina in prima posizione, per ora. È un po’ lungo (un’ora e 42 minuti) ma non ha una trama, lo potete vedere anche poco alla volta.
19 Gennaio 2019 alle 8:23 pm
OT.
Ogni tanto ci vuole rammentarsi che è qui che esistiamo.
Io però consiglio di guardarlo tutto di fila, anche se non ha una trama il montaggio segue un filo e una sua consecutio temporum. E poi, nell’attesa che i navigators ci trovino un lavoro e mentre la fidanzata sfoglia il catalogo dell’Ikea, un paio d’ore libere sul divano ce le avremo pure…
20 Gennaio 2019 alle 8:57 am
Mi fa piacere che Yushin abbia trovato qualcuno che abbia smentito il suo pessimismo. Mi sono detta: «Per essere riuscito in una impresa così dev’essere proprio bravo…. vediamo cosa scrive…» Effettivamente non delude.
A me è piaciuto il passaggio in cui scrive: «Non si deve dimenticare, inoltre, che la “retta parola” è una delle otto vie di cui si compone l’ottuplice sentiero che conduce alla liberazione: essa è una parola liberante sé e gli altri, una parola armoniosa che evita la menzogna, la maldicenza, l’ingiuria e i vaniloqui. Essa è una parola “paziente”, che nasce dal silenzio interiore e crea il silenzio attorno a sé, che mette a tacere ogni maldicenza, antidoto al “veleno [che sprizza] dalle parole dei malvagi”, è “stagione delle piogge che spegne l’arsura della rabbia”, è “essenza di ogni natura dotata di profondità”»
Il mio pessimismo è ancora più profondo di quello di Yushin: Escrivà nel suo Cammino (pensiero 910) scrive:«Tutto questo – il tuo ideale, la tua vocazione – è …..una pazzia. – E gli altri- i tuoi amici, i tuoi fratelli – pazzi anche loro…. Non hai sentito, qualche volta, questo grido nel più profondo di te? – Rispondi con decisione che ringrazi Dio per l’onore di appartenere al “manicomio”»
Per quanto i “Matti” si possano sforzare di parlare della Follia in modo accurato, forbito, profondo….., la fila per entrare nel “manicomio” non c’è mai stata né mai ci sarà.
20 Gennaio 2019 alle 10:23 am
Ciao br1, bentornata.
Grazie per essere tornata al ‘tema’. No, la fila, quando c’è, normalmente è indice di qualche cosa che non funziona.
20 Gennaio 2019 alle 11:52 pm
Quando leggo un testo così bello e curato l’unica cosa che cerco di fare è cambiare qualcosa nella mia vita, in questo caso imparare a stare un po’ più in silenzio, non parlo di silenzio esteriore ma di quello interno, ben più complesso da placare. Grazie Matteo da Bose!
Tuttavia la mia indole di peccatore mi porta a commentare.
“Lo zazen non serve a nulla” l’ho sentito dire da uno vicino Parma, ancora non conoscevo la Stella, penso l’abbia detto semplicemente per rimarcare le sue “origini spirituali” mentre Sawaki Roshi credo lo dicesse per proteggere e tenere lontano lo zazen proprio da quelli che volevano usarlo come merce di scambio nel mondo.
Sfogliare il catalogo ikea non crea molti problemi, ma mi asterrei dal pubblicizzarlo qui in mondovisione, perché da lì, è breve il passo a chiedersi: quale salotto mi caratterizza come persona?
21 Gennaio 2019 alle 7:56 am
Ciao Christian, bentornato
È proprio difficile dire a che cosa serva lo zazen.
Imparare il silenzio è la via di chi lo sa.
21 Gennaio 2019 alle 8:30 am
Ho guardato il video “Samsara”, la scena che mi ha colpita è stata quella dei prigionieri che ballavano sotto lo sguardo della direttrice del carcere. Mi ha richiamato alla mente un’altra scena letta sul “Manicomio chimico” di Pietro Cipriano in cui un bipolare ricoverato in SPDC in stato maniacale viene legato al letto e gli infermieri, per sentirsi un pò meno in colpa per averlo legato, cantano con lui “una vita spericolata di Vasco Rossi”. Cipriani conclude il capitolo dicendo che questa scena grottesca (vedere camici e divise cantare intorno al letto di tortura) è la quintessenza del manicomio.
A differenza delle epoche passate e delle civiltà primitive oggi il samsara è autoreferenziale: devi vivere sulla giostra e devi essere felice!!
21 Gennaio 2019 alle 9:26 am
Da un lato dover vivere sulla giostra ed essere felice è una visuale tragica, senza uscita. Dall’altro lato è … l’uscita.
Non liberi da ma liberi in.
21 Gennaio 2019 alle 10:07 am
Va be va, m’hai fregata un’altra volta!
Non mi resta che cantare legata al letto:”Voglio una vita spericolata, voglio una vita fatta fatta così, voglio una vita esagerata di quelle che non dormi mai……..Voglio una vita, vedrai che Vita vedrai!! “
21 Gennaio 2019 alle 10:31 am
Piaccia o non piaccia è proprio così.
Che sia difficile e, soprattutto, non auspicabile, è fuor di dubbio.
Però, è possibile porsi un quesito: meglio mazziati cornuti e felici o …?
Per rimanere sul classico, se si considerano Le Jataka-Vite precedenti del Buddha, l’insegnamento che se ne trae è quello: se ti fanno a pezzi la situazione è già abbastanza compromessa, non peggiorarla preoccupandoti, disperandoti o recriminando.
21 Gennaio 2019 alle 11:34 am
Allora proviamo a cambiare canzone: “Liberi liberi siamo noi, però liberi da che cosa?
Chissà cos’è…..” Dovrò imparare a cantare senza recriminare.
Buona giornata
23 Gennaio 2019 alle 3:46 pm
Ho visto questo film e dice quello che un po’ tutti sappiamo. All’inizio mi ha ricordato la poetica di Leopardi. Ho notato che alla Mecca attorno alla loro pietra girano in senso antiorario, un aspetto di quel culto ulteriormente chiarificatore. Qual è l’associazione al tema del post? Confesso che a me il film non mi ha convinto perché nel voler rifuggire da una qualsiasi filologia ne stabilisce una sua che non dà alcuna indicazione concreta e direttamente perseguibile
23 Gennaio 2019 alle 4:10 pm
L’associazione al tema del post non c’è, tanto è vero che il commento nel quale lo segnalavo l’ho intitolato OT
Rifugge, non dà ma stabilisce. Interessante equilibrismo. Penso che il regista sarebbe lusingato nel conoscere il tuo commento.
23 Gennaio 2019 alle 8:30 pm
Se fai un film del genere dovresti almeno indicare quali sono diciamo le dieci aziende più pericolose per il pianeta, tipo:
1 Monsanto
2 Bayer…
Dare delle indicazioni concrete con dati certi sui principali pericoli per tutti e a chi li dobbiamo. E ‘ chiaro che non sarebbero risolutori ma offrirebbero alcune indicazioni concrete su come orientare i propri acquisti responsabilizzandoli.
24 Gennaio 2019 alle 6:48 am
Però, poi, non lo chiami Samsara ma Programma politico
24 Gennaio 2019 alle 4:36 pm
Non vedo un pericolo nel sostenere o proporre un programma sociale che ognuno di qualsiasi tendenza politica non potrebbe sottoscrivere. Se dici no agli organismi geneticamente modificati la maggioranza, aldilà della politica, capirebbe. Siamo maturi per questo in Europa e abbiamo il modello svizzero che è il più democratico al mondo.
26 Gennaio 2019 alle 8:11 am
Ieri lo studente (bravo) di lettere classiche Mauro Aresu ha pubblicato su unaparolaalgiorno.it l’etimologia e il commento di un’altra parola sanscrita di uso comune, come fa a venerdì alterni.
Questa volta era il turno di “maṇḍala”
Il film Samsara che Yushin ci ha suggerito di guardare per trarre indicazioni “sull’utilità” dello zazen, ruotava intorno alla realizzazione di un mandala raffigurante la ruota del dharma. Quando l’opera è conclusa, dopo mesi di meticoloso lavoro, i monaci lo contemplano per poi disfarlo incidendoci sopra le croci del dharma.
Sulla scena conclusiva del deserto mi sono detta:” ecco, adesso fatti la domanda e datti una risposta: a cosa serve lo zazen? a niente! …. ho riso in silenzio.”
Buona giornata
26 Gennaio 2019 alle 9:28 am
Un filo di discernimento, però, non guasta.
Quando si dice che non serve a nulla lo si fa per eliminare la possibilità che lo zazen lo si faccia con uno scopo. Che trasformerebbe lo zazen in una tecnica per ottenere XXX, ammesso che in quel modo lo si ottenga.
Però non è vero che non serva a nulla.
30 Gennaio 2019 alle 3:26 pm
A volte mi ritrovo ad essere un po’ triste quando mi accorgo di non saper dire perchè faccio zazen. Sono fortunata nel poter frequentare un centro dove le persone praticano con una certa assiduità. ma pur nella consapevolezza che ognuno ha la sua pratica rimango a volte perplessa quando, magari parlando di un ritiro o di una attività che comporta un certo impegno, ci sono commenti del tipo “Eh non posso, bisogna pur vivere!”
oppure “In quei giorni sono in ferie!”
Quando succede questo, mi chiedo in che modo sia conciliabile la vita “mondana” con la pratica dello zen.
Sarà forse un mio problema, ma, al di là del tempo materiale e delle condizioni logistiche, non riesco a ‘vivere lo zazen’ all’interno di giornate in cui coesistono tv, varie relazioni sociali, shopping, visite a città, ecc ecc.
Associare una vita improntata alla pratica dello zazen, al moderno stile di vita mi è difficilmente comprensibile..
Ma, come ripeto, può essere che sia semplicemente una questione individuale….
30 Gennaio 2019 alle 5:09 pm
Ciao Marta,
Quello che poni è un problema grande come … la vita. «‘Vivere lo zazen’ all’interno di giornate in cui coesistono tv, varie relazioni sociali, shopping, visite a città, ecc ecc.» non è possibile. Certo, non c’è nulla di male in nessuna di quelle attività. È quello che, più o meno, tutti facciamo. Già: più o meno. Vi sono atti della giornata che sono indispensabili nella sopravvivenza e solo per quello vengono compiuti, altri che invece vengono compiuti perché in quelli ‘mettiamo’ la nostra vita. Dovrebbe essere che questi ultimi riguardassero solo lo zazen e ciò che ad esso è inerente. Ma nessuno è perfetto e perciò ci complichiamo la vita. Il punto base è che lo zazen, meglio: il suo tempo, dovrebbe essere il perno attorno al quale ruota tutto. Quindi non può essere che quel giorno non ci possiamo sedere perché abbiamo ‘altro da fare’. Se zz è il perno, è quel ‘altro’ che non ci sarà o verrà rimandato. Asciugare la nostra vita sino al limite, questo permette uno zazen molto diverso. Il perché è semplice: è impossibile sedersi senza portare con noi le mille cose in cui ci coinvolgiamo nelle altre 23,5 ore. Se le cose non sono più mille ma molte e molte di meno, avviene il processo inverso: è impossibile viverle senza portare con noi lo zz, perché quello è il perno della nostra vita e irradia tutto.
30 Gennaio 2019 alle 5:33 pm
Ti ringrazio di cuore per la tua risposta.
31 Gennaio 2019 alle 3:29 pm
27-Ciao Marta,mi sembra “bello” questo non saper dire il perchè si fa zazen,a me apparirebbe triste il contrario.
1 Febbraio 2019 alle 5:21 pm
Ciao Sandro, forse hai ragione. Diciamo che la tristezza nasce, talvolta, quando vieni un po’ additata come ‘esagerata’ nel modo di vivere la pratica. Allora vorresti spiegare ‘perchè’ è così importante ma le parole talvolta aumentano la confusione. E allora è lasciar perdere…
1 Febbraio 2019 alle 5:51 pm
Ciao Sandro, bentornato.
La precisazione di Marta mi pare opportuna. Per quanto difficile sia spiegare il perché dello zz, questo non mi lascia triste. Qualche volta sono un poco triste se qualcuno si arrabatta in problemi inutili e non considera l’opportunità dello zz, pur avendone la possibilità a portata di … cuscino.
1 Febbraio 2019 alle 9:55 pm
31-Sono d’accordo con il lasciar perdere…..
Credo che il rapporto con lo zz sia molto intimo e personale,anche per questo difficile da spiegare o comunicare.Buona pratica
1 Febbraio 2019 alle 10:26 pm
Ciao Yushin.
Ho passato parecchi anni ad arrabbattarmi in problemi “inutili” prima di realizzare che la possibilità era a portata di cuscino.Poi ho iniziato a sedermi,e continuato ad arrabattarmi.😊
1 Febbraio 2019 alle 10:41 pm
Se un’amica intima mi chiede che cos’è lo zazen e perchè lo faccio rispondo che è il mio modo per “tenere il cuore dov’è il mio”…..cuscino, se me lo dovesse chiedere un estraneo direi che è una forma di psicoterapia per liberarsi dalle nevrosi.
Direi che non ho difficoltà a definire lo zazen ma ho molta difficoltà a definire “zazen” i 20 minuti al giorno che passo guardando il muro e pensando, grosso modo, ai fatti miei.
2 Febbraio 2019 alle 7:54 am
@33: Lasciar perdere va bene, con noi stessi. È la norma. Che sia un rapporto intimo è fuor di dubbio. Tuttavia, almeno per un’elementare forma di cortesia, alle domande occorre rispondere. Tacere con l’aria di chi la sa lunga … meglio di no.
@34: Arrabattarsi perché voglio questo e quello è un modo, arrabattarsi per lasciar svanire quel ‘voglio’ è un altro modo. La differenza apparente è minima. La differenza profonda è incalcolabile.
@35: Proprio in quel ‘grosso modo’ c’è il motivo per cui puoi chiamarlo zz.
Quando parli a quell’estraneo meglio che tu dica: “per liberarsi anche dalle nevrosi”, altrimenti sembra un’altra cosa.
Non è che 20 minuti siano pochi, per carità, però se arrivi a 25: meglio.
2 Febbraio 2019 alle 8:36 am
Per ora nessun estraneo mi ha chiesto che cos’è lo zazen, nell’eventualità terrò presente. La definizione non era mia era di un certo “Giulio Cesare Giacobbe” ed era riferita alla meditazione vipassana.
Vada per i 25 minuti di “pensare, grosso modo, ai fatti miei”.
Da tempo ho deciso di sospendere il giudizio sul mio zz per almeno 10 anni, poi farò un rapido test e protrarrò la sospensione del giudizio per i successivi 10 anni: arriverà un giorno in cui, d’improvviso, mi riuscirà proprio bene. La data di quel giorno la farò incidere su una lapide affianco alla mia data di nascita!
2 Febbraio 2019 alle 9:39 am
Non vorrei sembrar polemico, tuttavia è abbastanza facile (guardando ‘gli altri’ è tutto più facile …) arguire che le problematiche cui accenni nascono dal fatto che hai una meta, un modello al quale lo zz dovrebbe corrispondere affinché ‘riesca’ bene. Se fai quel che va fatto va già bene.
Sì, si può supporre che ‘quel giorno’ (da quel giorno?) lo zz riesca bene. Ma la logica dice il contrario: quando verranno a mancare forze e strumenti la situazione non sarà certo più favorevole. Altrimenti, invece di rompersi le gambe davanti al muro, basterebbe aspettare e, a tempo debito, tutto sarebbe risolto.
È un po’ la teoria delle dottrine teiste: da quel momento in poi ci pensa Lui e alé: tutti in paradiso, con la scusa che è infinitamente buono.
2 Febbraio 2019 alle 9:45 am
36-@33: Il mio lasciar perdere era riferito al fatto di essere additata come ‘esagerata’,e ai vari giudizi altrui.
Sono d’accordissimo sulla cortesia,anche se sarei in difficoltà a dover spiegare qualcosa sullo zz,ma di persone che fanno domande ce ne sono ben poche.Pazienza,oggi piove,domani c’è il sole,si sta con quello che c’è.
2 Febbraio 2019 alle 10:17 am
“Se fai ciò che va fatto…..”, la domanda che rischia di invalidare il processo è “oggi ho fatto quello che andava fatto?”
Per continuare a pedalare ho imparato a non chiedermelo più.
Gianna ha fatto la prima confessione: “mamma devo imparare la “poesia”: ….. infinitamente buono e degno di essere amato….”
2 Febbraio 2019 alle 10:36 am
Hai ragione: ‘fare ciò che va fatto’ è inutilmente sibillino. Però se sai che stai pensando ai fatti tuoi ne hai già fatto metà e se, allora, anche per poco lasci perdere i fatti tuoi: fatto!
2 Febbraio 2019 alle 11:15 am
Ok, Grazie, Buon fine settimana .
2 Febbraio 2019 alle 11:26 am
Cumme se fa a da’ turmient all’anima ca vo vvula’ – cantava l’ottima Mia Martini
2 Febbraio 2019 alle 11:35 am
Mia ha inciampato (e l’hanno fatta inciampare) in modo molto doloroso con i tormenti dell’anima, poveraccia. È uno dei casi in cui, non sapendo dello zz (o volendo ignorarlo) per sfuggire l’incendio si corre dalla parte sbagliata: dalla padella nella brace.
Non è pessimismo, ma i voli dell’anima solitamente lasciano macerie.
Anche se pare profondamente ingiusto.
7 Aprile 2019 alle 10:07 am
Io so perché faccio zazen – faccio zazen perché sento di essere contemporaneo alla fine del mondo. Quando “il nostro mondo più funesto apparirà”, voglio essere pronto e restare calmo. Se invece non assisterò alla visione devastante, avrò comunque tratto un grande beneficio: l’edificazione di uno spesso muro spirituale in grado di proteggermi dallo stupidario odierno.
Siccome aspetto a cuor leggero la catastrofe, non ho paura di niente, manco del ridicolo, quindi posto questo haiku:
bizzoso sole
sorriso e silenzio
piove in testa
Ho letto Henry Le Saux. Provo a farlo a pezzi.
7 Aprile 2019 alle 10:08 am
Credo che Henri Le Saux sia una vittima molto istruttiva dei guasti del cristianesimo. Forse un cristiano che non voleva esserlo. Sebbene il suo misticismo sia grandioso, una vera miniera d’oro, il misticismo, in generale, resta un grave problema perché è incapace di farci comprendere Dio(*).
Il rischio è che il misticismo ci parli alla fine solo di noi stessi, di un noi stessi misterioso e delle nostre radici ramificate nell’essere, ma non spieghi “come stanno le cose”. E le cose stanno che Gesù è sì l’amore, ma non la Via, né la Verità, ed è quello che conta.
Bisogna infatti coraggiosamente guardare in faccia la realtà e valutarla per quel che essa è, non stravolgerla. La divinità non è quella che siamo abituati a figurarci, congegnata a nostro uso e consumo: il regno della bontà e dell’amore di cui siamo inondati dal padre celeste; bensì il regno della potenza e dell’onnipotenza della natura che risplende in tutte le cose – dunque il regno dell’onnipotenza di un Dio non antropomorfizzabile e in definitiva sconosciuto e inconoscibile che si presenta a noi come superiore, indifferente, come “non-amore”, proprio perché la natura non è umana. Tutta presa a irradiare la sua eterna infinita potenza, tutta presa a creare, essa non cura le cose una volta creata e gettate nelle vicissitudini del mondo; ne è al di sopra e non attribuisce loro nessuna importanza.
(*) Intendo Dio alla maniera di Spinoza, ovvero deus sive natura, sebbene “Il Dio di Spinoza in realtà non è un Dio bensì una supercosa, in sostanza un vuoto.” (Ernst Cassirer, Storia della filosofia moderna).
7 Aprile 2019 alle 10:10 am
PS. Bello il testo sul silenzio di fra’ Matteo, anche se ho faticato a seguirlo, perché assalito da una specie di rabbiosa nostalgia. In qualità di buddista metropolitano, posso affermare di non sapere più come è fatto il silenzio – ne ho letto di recente su Repubblica a proposito di un nuovo business delle upper class newyorkese che, evidentemente, come me, patisce la società del frastuono (si offrono pacchetti costosissimi in luoghi dove poter “ascoltare” il silenzio) – ma ci sto lavorando. Se continuo ad ascoltare così tanta musica in cuffia, potrebbe attendermi un grandioso futuro alla Beethoven, nel senso della sordità, si capisce.
7 Aprile 2019 alle 10:58 am
Buongiorno HMSX, ben tornato. Anche questa volta ‘a folate’.
Come il vento tra i pini, che non fa rumore. Ascoltandolo ci si addormenta sereni. Mentre lo stesso rumore (in decibel) emesso dai ragazzotti alticci sotto casa fa girar e rigirar nel letto come sullo spiedo. Allora il silenzio è anche qualità del rumore.
Non scherziamo, il silenzio è il silenzio. Come la rosa della Stein (ma quella di Silesius è ‘più’ zen). Che però c’è, come il suono del vento, mentre il silenzio c’è solo per sottrazione. La rosa no, la sottrazione si ferma prima. L’unica barriera dello spirito che ‘crea’ lo zazen è quella tra ‘la rosa’ e il silenzio. Certo, non è una barriera, si sa.
Se il mistico comprendesse Dio sarebbe una rosa, non un poveretto immerso nel mistero. Ma Cristo, Gesù, è anche la via. Come si potrebbe fare di meglio? Eppoi, a che vale sapere come stanno le cose?
Come diceva il poeta: e il naufragar m’è dolce …
Il mio senza zucchero, por favor.
7 Aprile 2019 alle 2:16 pm
Grazie mym, anche tu mi sei mancato.
Dio, per la sua estraneità e immensità, non può essere un soggetto simile a noi, Egli (esso?) non può che presentarsi come potenza oggettiva; e anche se in realtà noi pensiamo Dio come soggetto, Dio resta un mistero: «in finem nostrae cognitionis deum tamquam ignotum cognoscimus» (alla fine della nostra ricerca conosciamo Dio come sconosciuto) – San Tommaso.
In forma umana, in forma di verità e guida, Dio lo possiamo ritrovare, agostinianamente, solo in noi stessi, dove abita insieme con la Verità. Dunque è vero che “in interiore homine habitat veritas” e che nell’interiorità si può trovare un ordine umano-divino che soltanto ci si addice, ma è anche vero che tutto ciò resta simbolico, parziale, unilaterale. Il linguaggio della religione cristiana non è un linguaggio realistico, veritativo; è soltanto verosimile, simbolico, per non dire mitologico, in funzione della vita verso l’esterno, che è poi il senso di ogni vita. E però qui l’interiorità subisce il più severo ridimensionamento scadendo a strumento dell’esteriorità. Al “rede in te ipsum” si oppone un “exi da te ipso”. La verità di Gesù è solo l’altra parte della verità che tende a controbilanciare la diabolica realtà esterna che è semplicemente la normale discendenza da Dio.
L’insegnamento di Gesù è sublime, scilicet impraticabile. Senza contare che “chiunque parli contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato, né in questo mondo, né in quello a venire” (Matteo 12:31) è una frase troppo crudele persino per il sottoscritto.
7 Aprile 2019 alle 2:16 pm
A proposito della qualità del silenzio, due notizie: una buona e una cattiva. La cattiva. Il nuovo prete – il classico prete cretino, diciamo più “un impiegato della fede” – ha speso un botto di soldi per riparare il campanile dopo che il “buon Dio”, accogliendo le mie bestemmie (la bestemmia è la preghiera degli empi), l’aveva, letteralmente, fulminato e ammutolito. Fine dei due anni di pace santa. (Senza generalizzare, parlando della Chiesa del mio quartiere, devo dire che è un posto frequentato da gente sinistra. Sebbene rispetti il regolamento comunale, 25 secondi di scampanellio all’ora e 25 secondi alla mezza – come se non vivessimo nell’era dello smartphone – la catechista perorava “il dolce suono delle campane” che allieta Dio-che-sta-in-cielo. “Certamente.”)
La buona. Nel parco sotto casa, un bel parco con alberi, uccellini, fiorellini etc. Hanno messo una scuola di falconeria. Ogni mattina alle 11:00 assisto allo spettacolo fantastico dell’ammaestramento di uccelli bellissimi. L’altro ieri, il corvo, incurante degli ordini del falconiere si è posato sulla mia stessa panchina. Dice, “perché è curioso”. Anche la civetta è abbastanza indisciplinata, mentre il falco è maestoso e superbo.
“Se il mistico comprendesse Dio sarebbe una rosa…”, però è un mistico, e si sa che ai mistici piace perdersi nella infinita percezione di sé stessi; siccome mistico non sono, indago. Mi piace questa di Goethe: “Per la bellezza ci vuole una legge che passi nel fenomeno. Esempio della rosa. Nei fiori la legge vegetale entra nella sua massima manifestazione, e la rosa sarebbe poi, a sua volta, il vertice di questa manifestazione.”
7 Aprile 2019 alle 3:37 pm
A parte che mi mancano le basi, ma ad usare ‘scilicet’ con tanta noncuranza non ci riuscirei mai mai.
La sola verità pronunciabile … ecco, adesso m’è sfuggita.
7 Aprile 2019 alle 4:51 pm
Non è mica noncuranza, è severità.
Perché dobbiamo amare il prossimo? Il mio amore è qualcosa che per me è importante, che non posso gettare via così, senza pensarci. Mi impone doveri che devo essere disposto a compiere con sacrificio. Se amo qualcuno, questo qualcuno se lo deve meritare. Lo merita se in cose importanti mi somiglia tanto da far sì che io possa in lui amare me stesso; lo merita se è tanto più perfetto di me che io possa amare in lui l’ideale che ho di me stesso; devo amarlo se è il figlio di un mio amico, se al figlio capitasse un guaio, sarebbe anche il mio dolore, lo dovrei condividere. Ma se per me è un estraneo e non sa attrarmi con nessun merito personale, con nessun significato già acquisito nella mia vita emotiva, amarlo mi diventa difficile. Anzi, ad amarlo sarei ingiusto perché il mio amore è stimato da tutti come un segno di predilezione e a loro farei torto se mettessi l’estraneo al pari con loro. Se invece lo devo amare di quell’amore universale semplicemente perché anch’egli è un abitante di questa terra, al pari di un insetto, un lombrico, una biscia, allora temo gli toccherà una piccolissima parte d’amore, nient’affatto tanto quanto me stesso. A che pro un precetto così solenne se poi non se ne può raccomandare l’attuazione?
7 Aprile 2019 alle 4:53 pm
Ti mancherebbero le basi, dici? A parte che sono in trepidante attesa per il tuo lavoro su Vasubandhu, non sai che «Il grande dotto raramente è grande filosofo. Chi ha sfogliato a fatica molti libri, disprezza il leggero, semplice libro della natura.» Goethe, Lettera a Oeser, 13, 2, 1769.
7 Aprile 2019 alle 5:14 pm
‘Su’ Vasubandhu ci sto lavorando uora uora, stavo scrivendo (in nota): “è la dicotomia ‘soggetto-oggetto’ che si forma nel ritenere reale una scena nella quale ‘io’ fronteggio un mondo di oggetti, una scena i cui protagonisti sono trasformazioni della mente; una rappresentazione del mondo che esiste solo nella mente”. Ma, pensavo, ‘protagonisti’ non mi soddisfa perché la scena è solo apparentemente animata.
Sull’amore: hai proprio ragione, sino a che consideri l’amore umano. Il fatto è che la frase “ama il prossimo tuo come te stesso” viene dopo l’altra, quella in cui si tratta dell’amore inumano, ovvero verso nulla di ciò che è e di ciò che non è. Scilicet (yuhu!) qualsiasi ‘cosa’ pensiamo che Dio sia (non sia ecc.). Nei fatti, dice il Nostro, questo avviene quando non amo me più di altri/altro, ovvero non faccio di me dio/idolo.
7 Aprile 2019 alle 5:33 pm
Ecco, ho trovato: “è la dicotomia ‘soggetto-oggetto’ che si forma nel ritenere reale una scena nella quale ‘io’ fronteggio un mondo di oggetti, una scena le cui parti in gioco sono trasformazioni della mente; una rappresentazione del mondo che -a quel modo- esiste solo nella mente”.
Le due frasi citate (non sono proprio sue sue: Dt 6,4 e Lv 19,18) da Gesù, a mio avviso, sono il top del senso dell’agire spirituale secondo la religione abramitica.
Vasubandhu dice la stessa cosa (il mondo inteso/visto/interpretato secondo la dicotomia io-tu è fantasia, non ha senso discriminare), in un contesto religioso radicalmente differente.
7 Aprile 2019 alle 8:02 pm
Ma guarda che combinazione… anch’io sto “lavorando”. Orgoglio della Ragione. L’incipit fa così:
“*Io, Zarathustra.* Quando dico «io», sento che questo «io» non mi appartiene con esattezza: non tutto di questa parola riconfluisce in me: c’è in essa come una sedimentazione che non mi appartiene e non riconfluisce: forse è proprio ciò che chiamo «io».” E più oltre “l’amore per Zarathustra era un sillogismo manchevole delle sue vere premesse… era una specie di possesso mentale.”
…
Nietzsche commenta così l’agire spirituale di Gesù: “La vita esemplare sta nell’amore e nell’umiltà; nella pienezza del cuore, che non esclude nemmeno il più umile; nella rinuncia formale al voler avere ragione, al difendersi, al vincere nel senso del trionfo personale; nella fede nella beatitudine qui, sulla terra, malgrado povertà, ostacolo e morte; nella riconciliazione, nell’assenza di ira, di disprezzo; nel non voler essere ricompensati; nel non voler essere vincolati a nessuno; nell’essere senza signori in senso spirituale, molto spirituale; in una vita molto orgogliosa, sotto la volontà di una vita grama e servizievole… “ (Il ritratto che Nietzsche fa di Gesù è molto poetico, ma non so fino a che punto veritiero).
Sono contento di trovarti in forma. Ti avevo scritto su facebook una decina di giorni fa senza ricevere risposta (niente di importante) e mi ero un po’ preoccupato. Allora buon lavoro.
8 Aprile 2019 alle 7:53 am
Scusa per il mancato riscontro sulla pagina FB della Stella: sono alquanto imbranato, so solo postare e rispondere ai messaggi. Però di solito non apro la pagina, per cui a volte passano mesi …
Alla prossima
14 Aprile 2019 alle 6:48 pm
Tre citazioni tratte dal Diario spirituale di Henri Le Saux (Mondadori, 2002).
“Nel dogma cristiano tutto è vero, al livello cui appartiene. Ma il cristianesimo ha valore soltanto nel tempo. […] Poiché il cristianesimo non è de facto la via della salvezza per l’immensa maggioranza dei miei fratelli, come potrebbe esserlo per me?” (p.382)
“Come credere all’assolutezza di una formula dogmatica? di un rito? dunque di una Chiesa? Dio sarebbe inquadrabile in ciò che è creato? Anche noi crediamo a Cristo come a un Figlio di Dio. Ma come può Cristo esaurire Dio? Gli stessi teologi accettano la possibile molteplicità delle incarnazioni. […] Perché l’incarnazione in Galilea dovrebbe essere l’apogeo dell’umanità?” (p. 118)
“Sono ancora cristiano?” – 19 agosto 1959 (p.301)
14 Aprile 2019 alle 7:35 pm
Maddai, è la domenica delle palme! Almeno oggi siamo tutti fratelli, o quasi.
Sentito che cosa ha detto papa Francesco? Quando le cose si mettono male è meglio tacere…
Eppoi, che padre Henri fosse un brav’uomo, sincero, era chiaro. Lui non sarebbe contento se le sue parole venissero lette come fossero una critica.
Certo, si era accorto che essere cristiani è difficile e onestamente lo metteva in chiaro.
Così, tanto per dire, ma tu come mai torni sull’argomento?
Sei ancora cristiano? 😯
14 Aprile 2019 alle 9:32 pm
Mai stato cristiano, manco da bambino. Una volta, intorno alla metà degli anni ’80 (ero proprio un cucciolo), mi guadagnai una punizione memorabile da parte dei miei perché venne a farci visita una suora, mezza parente e molto trafficona (svuotava la dispensa del monastero regalando le migliori prelibitezze a uno zio il quale poi le rivenedeva senza manco rilasciare fattura), e, alla domanda se credessi in Gesù, risposi con tutta innocenza: “No. Non è possibile che uno muoia e poi risorga. Ci crederò solo quando lo vedrò.”
Ho un ricordo nitido perché dopo la punizione decisi di tifare per il Milan, la cui mascotte è il Diavolo.
Siccome è la domenica delle palme (!), non posto alcuni pensierini molto blasfemi. Magari a Pasqua (!!!).
Sono buddista – perché “L’ateismo del buddismo non è aggressivo (…) Il suo sistema esclude un Dio onnipotente, ma non le innumerevoli divinità della mitologia popolare (…) «Dio non può aver fatto il mondo per interesse, perché non abbisogna di nulla; né per bontà, giacché nel mondo c’è la sofferenza. Dunque, Dio non esiste»”. (Borges, Cos’è il buddismo)
Torno sull’argomento per due ragioni: 1) è da lunedì che voglio postare le domande del buon Le Saux, così mi sono tolto il pensiero; 2) volevo sfoggiare le mie competenze sull’argomento, quindi per vanità.
Buona domenica delle palme!
15 Aprile 2019 alle 7:44 am
Grazie HMSX.
È vero, l’ateismo del buddismo non è aggressivo, per questo non esclude neanche un Dio onnipotente, caso mai lo include ecc. ecc.
18 Aprile 2019 alle 9:11 am
OT: ho letto una cosa che se non la pubblico mi trabocca dalle orecchie, dagli occhi e pure dal cuore.
Non è politica, molto di più.
Eccola
20 Aprile 2019 alle 3:12 pm
“Uora uora”, cioè ieri, proprio sul tema sollevato dalla Murgia mi sono infilato in una chat frequentata dalla “migliore intellighenzia” romana e meneghina. Riporto i passaggi salienti.
(Linguaggio crudo [1/5])
Attori:
CL: docente di bioetica alla Sapienza, femminista, saggista e giornalista.
CM: docente in un liceo romano, scrittore, giornalista, assessore.
GS: scrittrice, giornalista. Di stanza a Milano.
Comparsa 1 e 2.
HMSX, il selvaggio.
20 Aprile 2019 alle 3:12 pm
CL: siccome Salvini vi sta sul culo, scambiate la lunga versione di «lei non sa chi sono io» e la collezione di fallacie a commento per obiezioni formidabili. Mi sembra anche di sentirvi borbottare «ah se gliel’ho cantate!». What could possibly go wrong? O forse siamo già morti.
IL SELVAGGIO: lasciamo perdere che Salvini sta sul culo a tutti quelli che hanno due neuroni, se Salvini dice a una disgraziata che è una radical chic, questa qui che gli deve rispondere? che poi mica risponde a Salvini, ma a quella banda di decerebrati che danno del radical chic a chiunque abbia un briciolo di istruzione, e lo fa usando una retorica fatta di fallacie e contraddizioni, che funziona col vasto pubblico che non capisce mai niente. Quella della Murgia non è una argomentazione ma una captatio benevolentiae. Tutto ciò premesso, a me sta sul culo pure la Murgia.
CL: No ma è rassicurante andare avanti con la conta di chi ci sta sul culo e degli amici nostri. Andrà a finire benissimo. O, come dicevo, forse è già tutto finito.
COMPARSA 1: Selvaggio, ma credi davvero che la lettera della Murgia convincerà qualche leghista a votare a sinistra? Ma davvero? Come i dati oggettivi sul fenomeno migratorio? Ci mettiamo la felpa tutti così ci capiscono o troviamo un registro più efficace senza scendere così in basso?
IL SELVAGGIO: ovviamente no. La mia considerazione è che la massa critica dei dementi che votano Lega è la stessa che un tempo votava Berlusconi o Renzi. La sofistica, cioè le argomentazioni fallacie e contraddittorie, sono sempre le stesse, cambia solo il sofista, l’interprete. L’unico dato oggettivo che farà cambiare idea a un leghista è l’impoverimento certo che lo (ci) colpirà da qui a un anno. Nuova giostra, nuovo leader, nuova sofistica.
PS: siccome non andrà a finire benissimo – perché dovrebbe? – è interessante capire il giochetto di chi sta sul culo a chi. I pettegolezzi da portinaia mi hanno sempre divertito.
(…)
20 Aprile 2019 alle 3:13 pm
CR: se la lotta politica è sul piano performativo anche basso, è giusto che si risponda così ogni tanto.
CL: Quindi va bene anche specchio riflesso. Me lo segno.
CR: Sì, chiaramente. C’è una pluralità di piani linguistici. Se uno ti scureggia che fai? Gli spieghi che non è opportuno fare meteorismi in pubblico perché la civiltà moderna…
CL: Ma il guaio (tra gli altri) è che riesce a far sembrare Salvini un gigante.
CR: In questo caso non è vero, secondo me. Sono d’accordo che la qualità del piano performativo si misura con l’efficacia. In questo caso smonta un pezzettino della retorica salviniana, quella rispetto alla vita vera e al lavoro. Altre cose – i 49 milioni, il liceo milanese della borghesia… – prestano il fianco a fallacie hai ragione. Ma il piano dello scrittore radical chic e dei salotti è secondo me affrontato con efficacia.
CL: il punto è proprio non essere capaci di rispondere a Salvini se non scimmiottando i suoi modi di fare. Solo che lui è più bravo. Quindi il risultato è: fallacie meno efficaci e disastro.
20 Aprile 2019 alle 3:13 pm
COMPARSA 2: quindi stiamo dicendo che la politica non è un mestiere? quindi ci va bene quella roba lì che ha spalancato le porte agli incompetenti?
CL: Io vado a bere. (cuori)
IL SELVAGGIO: no. Stiamo(?), io sto dicendo che bisogna distinguere tra politica e demagogia, e Salvini non è un politico in senso stretto, ma un demagogo.
NB: quando dico che la Murgia non mi piace, voglio dire che plaudo al suo status, nonostante sia la Murgia, e lo preferisco a tanti status di intellettuali simpaticissimi, per carità, che fanno analisi sofisticate e lucide, ma che pare ignorino la prima regola dell’arte oratoria, ovvero conquistarsi il favore dell’uditorio.
20 Aprile 2019 alle 3:14 pm
COMPARSA 1: la Murgia non è efficace, non quando il giorno prima sbeffeggia il popolo che s’indigna per l’incendio di Notre Dame e nel contempo accusa i cuori dolenti di non indignarsi altrettanto per le morti dei migranti in mare. Il popolo bue, quello stesso popolo da cui viene anche lei che poi con gli studi si è emancipata… no non ci siamo proprio. Giudicante sempre, sempre un io e un voi e un “ora vi insegno io”.
GS: a me il problema sembra sia che qualunque cinquantenne ritenga efficace ricordarci che voto ha preso alla maturità risulta un coglione, e non sono sicura che in questo senso il più adatto a giudicare la formula sia uno che ha passato alcune deliziose ore a dire a un cretino “sono più laureato di te” (poi tifavamo tutti per te, CM, però “efficacia” è proprio un’altra roba). Peraltro sulla mozione Murgia «fare politica non è un lavoro» converge Calenda, così, tanto ci fosse rimasto qualche dubbio sui decenni di florido impero a venire.
IL SELVAGGIO: secondo me la mozione Murgia non è «fare politica non è un lavoro»; o, meglio, potrebbe essere letta, con una certa dose di benevolenza, in un altro modo. Assodato che il discorso pubblico non fa appello alla razionalità dell’elettore ma alla sua emotività, la fallacia argomentativa della Murgia è potenzialmente efficace se si declina nel senso dell’amaca di Serra di qualche giorno fa “il lavoro malfatto”. Il punto non è che la politica non sia un lavoro, ma che Salvini faccia così male il suo lavoro (raccogliere il consenso non esaurisce l’attività politica) da non sapere niente – perché non sa niente – e si può ben dire che non abbia mai lavorato. Un’iperbole.
(Fine dell’urgenza espressiva. Mi ritiro nelle mie stanze ché la questione è già esaurita)
20 Aprile 2019 alle 4:53 pm
Interessante. Ci si ‘scalda’ parlando del parlare.
Però, per favore, la prossima volta mandamele ‘en privé’ le chiacchiere di voi radical-non-chic. Rischiamo che si pensi che qui ci sia il free for all.
Una cosa che gli esperti del (solo?) linguaggio sembrano scordare è che per scrivere quel che ha scritto la Murgia occorre aver vissuto (anche un po’ più di Neruda). Intendo: non è lo stesso “essere qui” se ‘prima’ eri un sottoproletario sardo con 6 fratelli o un rampollo di famiglia. Ogni ‘qui’ ha il suo spessore.
21 Aprile 2019 alle 2:59 pm
OT: nonostante sia un giorno di festa, sono sgomento per gli attentati in Sri Lanka. Vorrei comunque fare gli auguri di Buona Pasqua agli amici della Stella, e a tutti con queste parole di Sergio Quinzio: «Dopo duemila anni che tace, è venuto il momento di credere veramente fino in fondo nella morte del Signore, cioè nell’umiliazione della sua potenza, di amarlo anche se non potesse mai più salvarci».
21 Aprile 2019 alle 4:43 pm
Grazie. Per gli auguri e aver citato lo Sri Lanka, i morti lontani.
Di Quinzio sapevo nulla sino a poco fa: Wiki mi informa che è nato e vissuto ad Alassio (quasi anch’io) e poi è venuto a vivere proprio qui vicino, nelle Marche. Ci differenzia molto quello che abbiamo fatto nel frattempo.
Il mito cristiano che gravita attorno alla Pasqua non ha un aspetto religioso che suscita il mio interesse.