Sab, 6 Mag 2017
È trascorso un anno dalla scomparsa di Watanabe roshi.
Nato, nel 1942, ad Aomori, nel freddo nord del Giappone, non aveva potuto conoscere suo padre, abbattuto da un aereo americano sull’Oceano Pacifico poco prima della sua nascita. Terminato il liceo, avrebbe dovuto iscriversi all’università ma, senza avvisare la famiglia che sapeva contraria, si recò a Daijoji -monastero situato a Kanazawa, nel Giappone centrale-, dove chiese di essere accolto come novizio. Daijoji era uno dei luoghi in cui periodicamente si recava Kodo Sawaki per soprintendere alla pratica dei monaci. L’incontro con Sawaki fu fondamentale: indicò infatti al giovane Watanabe di lasciare Daijoji
e recarsi ad Antaiji, di cui Sawaki era priore e dove lo stesso Sawaki, molto anziano, si ritirò alcuni anni più tardi. Ad Antaiji Watanabe, poco più che ventenne, incontrò Sodo Yokoyama e Kosho Uchiyama, i due principali discepoli di Sawaki. Yokoyama nel 1957 aveva lasciato Antaiji per trasferirsi nel parco di Komoro, dove divenne famoso come “il monaco che suona con le foglie“. Watanabe, divenuto discepolo di Uchiyama, nel 1975 succedette al suo maestro alla guida di Antaiji e trasferì il monastero sui monti del Giappone sud occidentale, un luogo allora impervio, difficile da raggiungere, letteralmente in cima a una montagna. Dal 1987 al 1992 risiedette in Italia, dando vita alla Stella del Mattino.
In questa pagina potete trovare un’intervista a Watanabe roshi realizzata nel luglio del 2004.
🌱Nel maggio del 1978, con altri tre italiani, mi recai ad Antaiji per la prima volta. Degli altri tre compagni di viaggio uno abbandonò dopo una settimana per la severità della regola e gli altri due, Gianni e Daido, non ci sono più. Watanabe roshi era giovane, dotato di grande energia, incuteva timore. Ci colpì la sua capacità di “scomparire”: un momento prima era lì, accanto a te, alzavi gli occhi e non c’era più. Solo tempo dopo capii che questo era dovuto alla quantità di sogni, pensieri in cui eravamo presi, distratti, quindi con i tempi allungati: ci pareva fosse stato lì sino a “un attimo prima”, ma per lui di attimi ne erano trascorsi tanti e aveva avuto il tempo di andare altrove. Ora sento la sua mancanza soprattutto come interlocutore: ci son cose che non so a chi dire. mym
🌱Una sera ad Antaiji ci disse: “Anche se questo progetto dovesse fallire, ho in mente varie altre possibilità”. Rimasi interdetto, certo che il compito immenso che volontariamente si era assunto, non avesse alternative. Aveva da poco trasferito il monastero, una rivoluzione inaudita nel morto mare dello zen giapponese, stava impostando una vita nuova di zazen, lavoro e studio, che richiedeva dedizione completa a una ventina di persone giovani, piene di entusiasmo ed energia. Lui era all’opera incessantemente, presente in ogni momento della vita comunitaria con attenzione ferrea. E la responsabilità continua e l’impegno totale non gravavano sulla sua mente, che manteneva sgombera. Così è stato sempre, nell’alternarsi delle vicende della vita. Un uomo a volte terribile, mai opprimente, capace di accollarsi enormi pesi senza diventare pesante. gjf
🌱Watanabe roshi trascorse il primo anno della sua permanenza in Italia presso la comunità dei Missionari Saveriani di Reggio Calabria, di cui allora io facevo parte. Ogni giorno condividevamo lo zazen, la preghiera e l’ascolto delle scritture cristiane e buddiste. All’ascolto seguiva spesso un breve scambio di considerazioni. Era il giorno di Pasqua e Watanabe roshi mi disse. “La Bibbia per pagine e pagine narra l’insegnamento di Mosè e dei profeti. Ma poi ad annunciare la risurrezione fu scelta una donna della strada, la Maddalena, la quale aveva una sola via per annunciare la risurrezione: risorgere lei stessa.” Di Watanabe roshi ricordo la sobrietà del discorso, e la domanda di comportamenti reali: annunciare la risurrezione risorgendo. Luciano Mazzocchi, s.x.
7 Commenti a “Ricordando Koho Watanabe roshi”
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30 Maggio 2017 alle 11:56 am
Dopo tanti anni -quasi 40!- è “tornato” Mario, il quarto uomo del nostro primo viaggio ad Antaiji. Mi ha chiesto di pubblicare un suo breve scritto, una memoria che gli è rimasta di quei cinque giorni di tanto tempo fa.
Trovate qui il suo testo.
Chissà se un giorno avrà voglia di spiegarci che cos’è “lo stile monaco zen” di cui parla nel suo scritto…
31 Maggio 2017 alle 8:50 pm
Lo scritto di Mario è coraggioso e mi sento di dire citando il vecchio Sawaki e incorrendo nelle ire di Yushin e Jiso, che non apprezzano le citazioni in quanto si prestano sempre e comunque a uno scollamento con il momento, l’attuale, assumendo concetti e sfumature tutte del citante e che nulla hanno a che vedere con il citato, tuttavia…mi prendo questa responsabilità e dico a Mario che Sawaki raccomandava di “non cercare il successo” che non significa non realizzarlo in qualche forma o attribuirgli una qualche importanza.
1 Giugno 2017 alle 7:51 am
Ciao Nello, bentornato.
Sull’avvicinare a Sawaki (rispetto a ciò che facciamo) “l’attribuirgli una qualche importanza” temo si stia palesando il paventato “concetti e sfumature tutte del citante”. Per il resto concordo: privatamente ho scritto a Mario che non mi pare il caso di considerarsi (o vedersi considerato) un fallito in toto per un episodio, per quanto importante, della sua vita. Se non potessimo modificare -anche profondamente- il corso delle cose della nostra vita il buddismo non avrebbe senso.
1 Giugno 2017 alle 11:46 am
PS: ho riletto ora quello che ha scritto Nello e il mio commento sull’attribuzione di importanza. Può anche essere che io abbia preso fischi per fiaschi: la doppia negazione mi ha fatto interpretare l’attribuire una qualche importanza (al successo) come un prolungamento del pensiero di Sawaki. Se non è così mi scuso con Nello per avergli attribuito una tale grossolanità.
1 Giugno 2017 alle 11:48 pm
Sawaki è virgolettato, segue la mia riflessione che lascia il tempo che trova…non mi permetterei di prolungare Sawaki…Nello sì, all’infinito…per la durata del “finito”.
A voi stellamattinieri vi voglio bene.
2 Giugno 2017 alle 7:28 am
Grazie per la comprensione.
Ciao,
mym
2 Giugno 2017 alle 11:48 am
Ciao Nello, grazie del richiamo, non ho nulla contro le citazioni, che non siano surrettizie appropriazioni indebite. Nel caso di cui parliamo, penso che il richiamo di Sawaki sia a non applicare al campo religioso una categoria cara all’amor proprio come il successo: con quale metro di misura si può valutare il successo in religione? Infatti Sawaki, ci dicono ancora, indirizzava alla perdita, più facile da verificare del guadagno, sempre in terra di religione, se si è alieni da civetteria. Quanto al testo di Mario, che se ci legge saluto, non mi pare richieda consolazioni di sorta: dice chiaro che poco gli importa se qualcuno lo considera un fallito dello zen (?) e non mi pare proprio che lui si consideri tale, buon per lui.
A tutti, buona festa della Repubblica, povera cara…