da “LA REPUBBLICA” di MARTEDI 18 APRILE 2006
* Le inutili guerre e l’allarme ambiente di JEFFREY D. SACHS
La GUERRA in Iraq è una tragedia non solo per via dei morti, della distruzione e delle centinaia di miliardi di dollari buttati in spese inutili, ma anche per la direzione sbagliata che dà agli sforzi umani nel mondo.
Le sfide più importanti che abbiamo sulla terra non sono gli scontri di civiltà, “noi contro loro”, ma le sfide che “noi tutti insieme” dobbiamo affrontare per prevenire le catastrofi ecologiche e sanitarie che sono in agguato dietro l’angolo. Se il presidente George W. Bush vuole avere la sia pur minima possibilità di conquistare le “menti e i cuori” delle genti in Medio Oriente, dovrà necessariamente condurre non una campagna militare ma una campagna ecologica per aiutare la regione ad affrontare le innumerevoli sfide causate dalla mancanza d’acqua, dalle emergenze sanitarie e dalla disoccupazione che la pervadono e che sono al fondo della sua instabilità.
Forse, il problema maggiore in questi giorni è che i nostri politici operano alla superficie degli eventi senza comprenderne le realtà sottese. Il disastro dell’uragano Katrinah ha rivelato più della sola povertà di NewOrleans: ha rivelato anche un governo incapace di affrontare gli shock ecologici causati dall’intensificarsi degli uragani nei Caraibi o le sfide della ingegneria ambientale in un eco sistema fragile sottoposto a un’enorme pressione umana e naturale. Il disastro di Darfur è una crisi di natura ecologica dovuta alla crescente mancanza d’acqua, che è il risultato del conflitto sempre più forte tra pastori e agricoltori sedentari, almeno quanto lo è di natura politica per il governo del Sudan.
In modo del tutto insolito, l’ amministrazione Bush ignora ed è ostile alla scienza, soprattutto alle scienze ambientali e biologiche, ma i problemi hanno un’origine molto più profonda per riguardare solo gli Stati Uniti e l’attuale amministrazione. I governi di tutto il mondo non sono attrezzati ad affrontare le sempre crescenti sfide dello “sviluppo sostenibile” cioè come far quadrare il desiderio di condizioni di vita migliori con le crescenti pressioni imposte ai fragili ecosistemi della terra dalle attività economiche.
Il governo americano è esigente con gli altri Paesi e li invade persino, senza mostrare di rendersi conto che questi Paesi già devono fronteggiare sfide decisive causate dai mutamenti climatici, dalla deforestazione, dalla carestia, dalle malattie infettive, dalle carenze delle infrastrutture, dal!’impoverimento del terreno, dalla crescita della popolazione e dalla mancanza d’acqua, tutte realtà che incidono profondamente sulla loro possibilità di trovare stabilità, prosperità e democrazia.
Per quanto terribile sia, la semplice verità è che praticamente ogni principale ecosistema del pianeta è sotto una pressione tremenda e senza precedenti causata dall’uomo. Pesci, coralli e altri tipi di vita marina stanno scomparendo dagli oceani a una velocità terrificante. Il cambiamento climatico non è un timore per il futuro ma un processo già ben avviato. Le foreste tropicali vengono abbattute con la conseguente perdita di specie e di habitat, con una rapidità così sbalorditiva che il processo potrebbe essere irreversibile. Scorie tossiche stanno distruggendo coste, estuari e altre aree vulnerabili.
Tutto ciò accade in un mondo con un Prodotto lordo di circa 50 miliardi di miliardi (trilioni) di dollari e circa 6,5 miliardi di persone. Eppure, l’attività economica mondiale potrebbe aumentare almeno di quattro volte e forse di più entro il 2050, risultato di una continua crescita della popolazione combinata agli aumenti sbalorditivi e auspicabili del reddito pro-capite in Asia e forse in altre parti del mondo. Mala cattiva notizia è che questi guadagni saranno un incubo ecologico se ottenuti con gli attuali criteri di sfruttamento delle risorse e della tecnologia.
Non ci sarà nessuna “vittoria” in una democratizzazione del Medio Oriente imposta militarmente sotto il comando degli americani. La democrazia arriverà in Medio Oriente e altrove ma non sotto la minaccia delle armi o per ordine di Washington. Il cambiamento politico sarà interno e sarà accelerato dalla mancanza di una qualunque ingerenza americana diretta. L’ approccio più sicuro alla democrazia in Medio Oriente e in altre regioni instabili è attraverso uno sviluppo sostenibile e vincente che aumenti il reddito, riduca la vulnerabilità ai pericoli naturali e rafforzi la società civile e la classe media.
Per portare avanti questo sforzo sono necessari tre passi. Primo: gli Stati Uniti e gli altri governi dovrebbero rinfrescarsi la memoria e ricordare le promesse solenni di combattere l’estrema povertà e di prevenire i cambiamenti climatici, l’estinzione delle specie e l’ulteriore degrado degli habitat marini e terrestri, fatte al Earth Summit di Rio nel 1992, al Millennium Summit delle Nazioni Unite del 2000 e al Summit mondiale sullo Sviluppo Sostenibile a Johannesburg nel 2002.
Secondo: il presidente americano e le sue controparti in altri Paesi dovrebbero trascorrere un po’ di tempo proficuo con i loro scienziati più importanti. Riceverebbero una sfilza di rivelazioni che metterebbero il conflitto in Iraq e la guerra al terrore nella necessaria prospettiva.
Gli scienziati insisterebbero sul pericolo delle minacce ambientali, e spiegherebbero che le sfide ecologiche globali uniscono il mondo in modi che sono di gran lunga più importanti delle istanze superficiali che ci dividono.
Terzo: lo spreco enorme e quasi inimmaginabile di vite umane e di denaro in Iraq dovrebbe essere rincanalato, in maniera rapida e decisiva, verso progetti comuni mirati alla riduzione della povertà e alla sostenibilità ambientale. Ogni anno, la guerra costa agli Stati Uniti più di 100 miliardi di dollari. Questa somma enorme, se indirizzata verso progetti per combattere l’estrema povertà, controllare la malaria e l’influenza aviaria, assicurare acqua potabile in Medio Oriente e reintregrare sostanze nutritive del terreno nelle fattorie africane impoverite, salverebbe milioni di vite ogni anno.
Questi sforzi placherebbero anche rapidamente l’auto-appagante incubo che è lo scontro di civiltà, rivelando la verità più grande e cioè che le persone sono pronte a cooperare al di là delle spaccature religiose, nazionali e sociali per proteggere il pianeta e lasciare ai nostri figli un mondo sicuro e prospero.
(Jeffrey D. Sachs, autore di “Economics for a Crowded Planet” di prossima uscita, è professore di politica e gestione della salute alla Columbia University di New York, dove è anche direttore dell ‘Earth Institute, e ha il ruolo di consulente del Segretario Generale delle Nazioni Unite, KofiAnnan, per una serie di iniziative tese ad alleviare la povertà chiamate Millennium Development Goals)
(distribuito dal New York Times Syndicate (traduzione di Valeria Garrassini Garbarino)
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