Sebbene nella scuola Zen si insegni l’unità, all’interno di questa unità vi sono molti caratteri (differenze). Zen è la vita universale. E’ anche definito “il volto del Sé originale”. Sawaki rōshi, riguardo al volto del Sé originale, ossia riguardo allo Zen, ha detto: «Non c’è “illusione nel passato” e “illuminazione nel presente” (10). Questo è il volto del proprio sé originale». Il satori, il risveglio, non implica necessariamente l’assenza di illusioni. Questo è il motivo per cui Sawaki rōshi diceva: “Va bene non realizzare l’illuminazione, il risveglio; solamente badate bene a non smarrirvi [nelle illusioni, badate bene a non deviare dallo zazen. N. d. tr.]. Se non correte di qua e di là dietro le illusioni: ecco il volto originario. Rimanete come siete, tutto di voi, siate voi stessi così come siete.”
Badare a non smarrirsi è fare dell’illusione un sogno. Non importa quanti pensieri illusori voi abbiate, fintanto che non vi fate catturare. Questo è il motivo per cui nella scuola Zen è detto: “Non c’era illusione nel passato né satori ora.” In altre parole, nello zazen non vi è illusione, né risveglio, né persone ordinarie, né Buddha. E’ per questa ragione – sin dal principio non essendoci nello zazen né illusione né risveglio né santi né peccatori – che vi è semplicemente lo star seduti. Poiché non vi era illusione nel passato né illuminazione nel presente, non vi è alcun bisogno di cercare di diventare Buddha e neppure vi è alcun inferno nel quale si possa cadere. Per questo vi sono espressioni categoriche come: “Anche se precipitassi nell’inferno, non importa.”
Il patriarca Sekito Kisen (11) espresse in questo modo il senso di “shikantaza” (semplicemente star seduto): “Anche se, per esempio, cadessi nelle tenebre per l’eternità, giuro che non cercherei mai di ottenere la salvezza dei santi.”
Vi sono Buddha e inferno nello stare semplicemente seduti? Vi è solo lo star seduti attenti e concentrati. Sekito si è espresso in modo veramente potente. Nell’insegnamento buddista sedersi con questa forza di spirito è detto “retto sforzo” (12). Dōgen descrive questo “retto sforzo” con: “Nove per nove ottantadue.” Normalmente diciamo “nove per nove ottantuno”, tuttavia uno sforzo normale, ovvero uno sforzo distratto o negligente, non è sufficiente per trasformare le illusioni in sogni. Se fin dall’inizio vi applicate in uno sforzo sufficiente a far sì che nove per nove sia ottantadue, non sarete preda dei vostri pensieri, per quanti possano essere (13).
In un’altra occasione Sekito si espresse in modo più delicato e poetico. Riferendosi allo stesso insegnamento disse: “Il vasto cielo non ostacola le bianche nuvole fluttuanti”.
A sua volta Dōgen disse: “Tra le fronde dei pini il vento [il flusso dei pensieri, delle convinzioni, delle avversioni. N. d. tr.] fischia invano per le orecchie di un sordo (colui che pratica zazen)”. Sebbene, per le orecchie di un sordo (ottantadue) (14), il vento soffi invano tra i pini, tuttavia continua a soffiare (sebbene le illusioni siano infinite, faccio voto di liberarmi da tutte). Proprio perché in noi mai cessano le illusioni, così pure lo zazen non ha fine. E se noi ci risolviamo, ci impegniamo a praticare zazen non solo in questa vita ma in tutte le innumerevoli vite a venire, allora percepiamo un maestoso sentimento di pace (15).
Nell’insegnamento buddista pratica ed illuminazione sono un tutt’uno. Una mente che discerne solo tramite la conoscenza non può essere detta illuminata (16). Vi è un sentiero, un passaggio, per il quale il progredire verrà naturalmente con la continuità della pratica dello zazen.
Nel componimento chiamato Zuimonki, Dōgen non fa menzione di alcun tipo di auto perfezionamento naturale ma dice che attraverso la costanza dello zazen vi sarà un naturale miglioramento (17).
Vi è un poema che illustra l’insegnamento “pratica e illuminazione sono un tutt’uno”:
“Raccogli un poco d’acqua e avrai la luna nelle tue mani.
Giocherella con un fiore e sarai avvolto dalla sua fragranza.”
Anche nella pratica del kendō non si insegna ad impegnarsi solo nella vita presente ma, piuttosto, a decidere risolutamente di praticare per tutte le innumerevoli vite future, e questo dona un maestoso sentimento di pace.
Ancora, a proposito di shikantaza, zazen, stare semplicemente seduti:
“Zazen: una persona comune, così com’è, diventando un buddha” (18)
Note alla traduzione:
10) Questa affermazione va intesa: “Non c’è illusione nel passato sostituita da illuminazione (risveglio) nel presente” ovvero non bisogna pensare che “prima” vi sia un momento in cui siamo preda dell’illusione e “poi” l’illusione scompaia e vi sia solo risveglio. La presenza del sogno è necessaria perché vi sia risveglio.
11) Shitou Xiqian (700–790) ricevette l’ordinazione da Dajian Huineng, sesto patriarca della trasmissione Chan. E’ autore del Can Tong Qi, Armonia dell’uno e molteplice che è tuttora recitato giornalmente nei monasteri giapponesi, dove è noto col nome di Sandōkai.
12) E’ nuovamente un riferimento al Mahasatipatthanasuttanta dove, dopo l’enunciato del Nobile ottuplice sentiero (retta visione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retti mezzi di sostentamento, retto sforzo, retta presenza mentale, retta concentrazione) se ne spiega il sesto ramo con: “E che cos’è o monaci il retto sforzo? Qui, o monaci, in questo insegnamento […] egli sviluppa la volontà, si sforza, alimenta l’energia, applica la mente e si impegna.” Cfr. La rivelazione del Buddha, a c. di C. Cicuzza, cit., 368.
13) Non è una questione di quantità di sforzo. Si parla invece di cambiare in modo talmente radicale la nostra visuale per cui anche “nove per nove ottantadue” non sia di scandalo, ovvero non si sia catturati dai pensieri riguardo alla possibilità o meno della cosa. Quando “nove per nove ottantadue” va bene pure per noi allora non siamo più ostruiti, catturati dalle nostre convinzioni, dai nostri pensieri, per quanto abbondanti essi siano. Ovviamente non si tratta di convincerci o di pensare che nove per nove è ottantadue: questo sarebbe uno “sforzo normale”. Basta abbandonare la necessità di “nove per nove ottantuno” e mantenere con viva energia il nostro sforzo. Da un altro punto di vista: “nove per nove ottantuno” è altrettanto strano di “nove per neve ottantadue”. Troviamo in queste parole attualizzato in modo plastico e moderno l’insegnamento di Nagarjuna detto “posizione di mezzo”, dove “posizione di mezzo” significa “nessuna posizione”, neppure la posizione di “nessuna posizione”.
15) A volte capita di trovare persone che ritengono che lo zazen sia la famosa “zattera” da abbandonare una volta raggiunta l’altra sponda, zattera di cui si parla nello Alagaddupamasutta (Majihima Nikaya 22). E’ un grave errore. Proprio l’abbandonare la zattera, qualsiasi essa sia, è lo zazen. Ovvero: zazen consiste proprio nell’abbandonare “la zattera”. Abbandonare la pratica di zazen pensando di abbandonare la zattera corrisponde a quello che si rappresenta con: gettar via il bambino al posto dell’acqua sporca. Risolversi a praticare zazen “ non solo in questa vita ma in tutte le innumerevoli vite a venire” è proiettarsi in una dimensione eterna, per cui si può dire: “allora percepiamo un maestoso sentimento di pace”.
16) E’ un altro modo di offrire l’insegnamento della “posizione di mezzo”. Troviamo analoghe formulazioni in 1 Cor 3,18: “Nessuno s’illuda,. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente”. 1 Cor 8, 2: “Se alcuno crede di sapere qualche cosa, non ha ancora imparato come bisogna sapere”. Zhuang – zi: “La rana in fondo al pozzo non può parlare dell’oceano, rinchiusa com’è nel suo buco. L’insetto che vive una sola estate non può parlare del ghiaccio, limitato com’è ad una sola stagione. Il letterato confinato nella sua saccente arroganza non può parlare del Dao, prigioniero di quanto appreso.”
17) Sino a che non si inizia a fare veramente zazen (ottantadue) non si può parlare di progresso. Ed una volta che si faccia davvero zazen, non c’è più né progresso (ottantadue) né stagnazione (ottantuno).
18) Un altro modo di interpretare la frase di Puyuan citata nella nota 2.
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