Mar, 23 Giu 2015
Il libro del dialogo interreligioso
Scritto da mym in Generali , Pubblicati dalla comunità[62] Commenti
Questa volta l’occasione è venuta proprio dal dialogo.
Un libro non nasce da un giorno all’altro: prima di arrivare in libreria c’è un lungo processo nascosto nel quale maturano tante cose. Alcune si perdono per strada, altre, con il contributo di molte persone divengono parole, carta, inchiostro, libro.
Tempo addietro, fra’ Matteo Nicolini-Zani, monaco di Bose, coordinatore della commissione italiana del DIM, Dialogo Interreligioso Monastico, pensò di comporre un testo che mettesse fianco a fianco l’elemento base del cristianesimo, l’amore, con quello che da molti è ritenuto essere la base etica del buddismo: la compassione. Da questa idea nasce il processo che ha condotto a produrre il libro che vi sto presentando: Incontrarsi al cuore. Un dialogo cristiano-buddhista sull’amore-compassione. Nella parte che mi compete troverete due capitoli: il primo -parzialmente mutuato dal seminario che tenni nel giugno 2014 a Camaldoli– vuole essere un riassunto del senso vitale della religione buddista, vista soprattutto sotto l’aspetto di ahimsa, karuna, maitri. Il secondo, invece, nasce dalle letture dei brani che Matteo scriveva e, a mano a mano mi inviava. Un partita di tennis verbale senza esclusione di colpi, sincera e amichevole.
L’Editore Pazzini ha poi fatto il resto: ora è una realtà che, se volete, potete acquistare on line oppure ordinare in libreria.
Un grazie particolare a Jiso Forzani, che ha accettato di scrivere la prefazione: come sempre arguto e ficcante, ed a Giordano Remondi, direttore della collana in cui è inserito il libro, che pazientemente ha messo assieme tutti i pezzi che gli abbiamo inviato, dando forma a ciò che forma -ancora- non aveva.
Matteo, idealmente, è qui a fianco a me che partecipa ai ringraziamenti.
62 Commenti a “Il libro del dialogo interreligioso”
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7 Luglio 2015 alle 10:58 am
Ho letto il testo in oggetto e dico subito che le stesse cose le sento da una ventina d’anni, magari assumono sfumature diverse ma la sostanza è la stessa.
Per tutta la parte del Padre cristiano, mi sono annoiato a morte, l’unico dato positivo è come si evidenzi in modo concreto, e per certi versi drammatico, tutto il loro errare (nel senso di “sbagliare”).
Loro sono tutto e il contrario di tutto.
Loro sono i padri fondatori del relativismo e quelli che si vorrebbero porre come risolutori del medesimo.
Loro sono quelli che hanno innescato la distruzione dell’ambiente, e oggi diventano ecologi…
Hanno lo stesso archetipo dei massoni (alchimisti, occultisti, che sono una loro filiazione), vale a dire crea il problema e proponiti come unico risolutore dello stesso e sempre con lo stesso archetipo ovvero, quando la “soluzione” che hai proposto/imposto, non è più adeguata, si può ripetere lo stesso archetipo nei secoli dei secoli.
Sostanzialmente, caro Yushin è un “dialogo” con il sordo perchè il suo udito è già riempito da altro. E’ come la storiella del professore che va visitare il maestro Zen per farsi spiegare il buddhismo…il maestro nell’offrirgli il tè versa fino a traboccare la tazza…equiparando la medesima alla sua mente già piena di altro…quindi non c’era altro da dire che questo.
Quello che risulta chiaro, peraltro da te rilevato, è che non c’è sintonia sui termini del dibattito, loro si pensano con i termini della loro ermeneutica tutta interna a loro (Gadamer è altro) e per dirla alla Masao Abe hanno il complesso di superiorità e Freud è morto da un bel pezzo e per loro forse non è mai nato…e non voglio nemmeno attribuire un valore particolare a Sigmund.
La cosidetta “Regola aurea”, non l’hanno mai praticata e quando lo hanno fatto era per una questione di rapporti di forza che lo imponevano…
Sono “amoredipendenti” senza sentire e realizzare cosa precisamente sia amore, quindi di errore in errore e i popoli pagano…
Si parla di “amore del nemico”, li voglio vedere di fronte ai tagliagole, io sono con Kodo Sawaki, se i tempi mi vogliono fare fuori mi difendo al 100%, poi quando i tempi lo permetteranno torneremo “pacifici”.
Al termine “Amore” preferisco “Saggezza”, l’amore lo trovo un prodotto commerciale, si vende sempre bene…tocca, commuove, induce, ammalia, obnubila, martirizza….
Nello Zen Compassione (karuna) fa il paio con Saggezza (prajna) e non con Benevolenza che ha un altro afflato…Personalmente, nel “dialogo” con costoro, farei tutto il tempo zazen, massimo silenzio per 20, 30, 40 minuti, questa è la forma dialogica più vera con un ambito del genere. Quando tocca al prete parli pure della sua dottrina, della sua pratica, dei suoi santi, di amore, ecc., quando tocca al buddha, silenzio.
Per me: Amore = Prajna = Ku.
Il termine amore nella loro accezione è troppo ambiguo, troppo sentimentale, commerciale…
Tralascio di entrare nel merito del loro insopportabile e ingombrantissimo dualismmo, vale a dire “l’amore per Gesù che domina tutto”, prova a immaginare cosa avrebbe detto quel burlone di Sawaki a costoro….
Mi è piaciuta la tua seconda parte, quella critica, meno la prima in quanto, secondo me, la testamentaria canonica, strutturata per favorirne la memorizzazione, non è così efficace nel dibattito con costoro, preferisco Dogen e seguito teoretico.
Concludo, per ora, con la storia dei cosidetti “Martiri giapponesi” celebrati nel calendario liturgico cattolico.
Vado per ricordi e a grandi linee: arrivano le missioni circa 500 anni fa, e iniziano il loro proselitismo, il potere militare e politico lo permette. Come si accorgono delle mire politiche, oltre a quelle teologiche, li invitano, gli ordinano, di andarsene e non tornare più. La missione ripara su Macao. Dopo alcuni decenni, ritornaro e furono tutti decapitati, questi sono divenuti i “Martiri giapponesi”…
Loro sono vocati al martirio-amore, loro vogliono assolutamente e pervicacemente realizzare l’escatologia del loro libro, ovvero, l’Apocalisse, loro non sono assolutamente con i piedi per terra ma sono già, o sognano ad occhi aperti di esserci nel loro paradiso.
Personalmente, non ho bisogno di nessun Papa che mi dica cosa è bene o non è bene, e la Regola aurea appartiene al pensiero greco per l’occidente e non a loro.
Ciao.
7 Luglio 2015 alle 12:41 pm
Ciao Nello. Torrenziale, oggi.
Più o meno, partecipare al (a un) dialogo è scordare (o far finta di non vedere) tutte le cose che evidenzi e far comunque la propria parte, per es. mostrare che può esservi un altro occhio, un’angolatura diversa, forse più ampia e più libera. E non tutto va perduto, ti assicuro. La frase finale (una citazione di Standaert) della parte di fra’ Matteo è una novità da non sottovalutare. Un’apertura ad una possibilità di ascolto, da parte cristiana, veramente a mente sgombra.
Per quanto riguarda invece quello che dici sulla responsabilità della distruzione ambientale come derivato dell’atteggiamento proprietario instillato nelle culture dalla Bibbia, sono d’accordo con te. Il Papa ora fa il verginello e parla di economia ecologicamente sostenibile, ma c’è dentro sino al collo.
11 Luglio 2015 alle 10:35 am
Caro mym, la loro “apertura” è sempre in libertà vigilata, come il centro dice no, o censura, loro si ritirano in buon ordine…
11 Luglio 2015 alle 10:54 am
Mentre, permettetemi di riprendere questo passaggio di jf del thread precedente e precisamente @98:
“Chiunque faccia da un certo tempo zazen con sincerità è in grado di mostrare come ci si siede: la descrizione (di Uchiyama o di chiunque altro) è buona solo se la ritrovo e la dimentico nella mia esperienza. Le biografie dei “maestri” sono utili e mendaci, perché quasi sempre narrano solo di episodi ed eventi edificanti: la fuffa, le bassezze, le cantonate si sottacciono. Personalmente ora preferisco chi, per usare le tue parole, “sinceramente mette in pratica la via” sottraendosi al merito di divenire un esempio preclaro. Diceva un tale: le onoroficenze non basta rifiutarle, bisogna non meritarsele.”
Le mie deduzioni sono che il maestro non deve creare una dipendenza da sè, ma evitarla nel modo più rigoroso.
Se poi pensasse: quelli che mi seguono sono abbastanza sprovveduti, come tutti, ed è meglio che pensino secondo i miei criteri del pensare che trovo più furbi…allora sarebbe un doppio errore, primo perchè genera maestrodipendenza, secondo perchè non permette ai meno furbi di sbagliare di loro e quindi, pedagogicamente, attraverso l’errore conoscersi e realizzarsi da sè, con sè. Come da Genjo koan. E’ chiaro che, fondando la relazione, maestro discepolo, o insegnante allievo, in questo modo, prima o poi si arriva al vicolo cieco di questa relazione errata e, sopratutto chi si pone come punto di riferimento o insegnante, dovrebbe azzerare ogni gerarchia nel dialogo e chiudere il suo monologo. Diversamente, resterà a monologare con i maestrodipendenti in una relazione sterile mentre quelli un poco più autonomi se ne andranno.
Nel cristianesimo, non potrai mai trovare delle risposte nel senso proposto da quanto affermato da Jiso perchè domina l’affidarsi a Dio con tutto il portato di questa posizione rispetto a tutto.
Mentre nel buddhismo puoi trovare i “maestri” “faso tuto mi” con i problemi di dipendenza e irrealizzazione di cui ho accennato.
11 Luglio 2015 alle 10:56 am
“le onoroficenze non basta rifiutarle, bisogna non meritarsele.”
E’ grande…
14 Luglio 2015 alle 8:18 am
Ciao Nello,
In superficie le cose stanno come tu dici (@ 3), gli uomini sono più profondi e intelligenti degli ordini di scuderia. Inoltre il buddismo è la “religione” dell’impossibile, l’opportunità di un fare o non fare non va decisa a fronte delle probabilità di successo.
By the way: la tesi che ci hai mandato su Dogen: tradizione, buddismo critico, realizzazione sta avendo “successo”: già circa 40 aficionados l’hanno scaricata.
14 Luglio 2015 alle 9:37 am
@6, giusto quello che dici e che condivido.
Tuttavia, non pensavo alla possibilità di successo ma al tempo eventualmente andato…ma è vero che le persone sono oltre le ipotetiche appartenenze ed è corretto relazionarsi con chiunque sia disponibile a farlo. E mi scuso anche con frà Matteo per essere stato così categorico e irrispettoso. Sbagliare è umano e sbagliando si impara.
Pensa che, l’eminente filosofo Emanuele Severino, quando ancora insegnava alla Cattolica, con la sua chiarezza ha determinato un religioso a rinunciare ai voti…
Mi piacerebbe un confronto aperto tra buddhismo e filosofia severiniana.
Non pensavo che la tesi riscuotesse tanto interesse…ti invierò una correzione non determinante ma che completa un elenco.
Oltre a ciò, il vostro libro è da leggere e anche rileggere, se non altro per non stare sulle opinioni altrui ma fondarsi, per quanto possibile, sulle proprie.
Ciao
14 Luglio 2015 alle 10:11 am
@ 7: seppure col caldo afoso, fondarsi su opinioni è buddisticamente da evitare… 😉
14 Luglio 2015 alle 3:21 pm
Penso che uno dei motivi per cui il dialogo è un’atto religioso consista nella sua vocazione all’insuccesso. Dialogo infatti con chi è talmente diverso da me che la prospettiva che intenda quel che dico e come lo dico rasenta lo zero. Il dialogo con chi crede e pensa come o similmente a me non è infatti dialogo ma conversazione. In comune fra i due dialoganti ci dovrebbe essere questa concezione del dialogo e la disponibilità teorica a non ancorarsi alle proprie opinioni: così si riduce il rischio di voler mettere le mani sui risultati e si può prospettare la possibilità di una qualche novità, per entrambi.
14 Luglio 2015 alle 5:13 pm
A proposito del libretto oggetto del post: c’è la possibilità che sia refuso-free. Sarebbe la prima volta.
Per questo -in via eccezionale- abbiamo messo in palio un premio per chi trovasse un refuso.
Buona caccia!
26 Luglio 2015 alle 4:45 pm
Salve a tutti.
Sto ancora leggendo il libro, ma per quanto riguarda certi aspetti concordo già con Nello, i cui commenti a questo thread trovo (da lettore) molto interessanti e ben esposti, anche nella parte delle scuse. Ad esempio, concordo sulla mancata pratica di reciprocità da parte di costoro 🙂 ma soprattutto concordo sul fatto che essi sian degli spacciatori incalliti di amoredipendenza, che io solitamente chiamo invece “incontinenza emotiva”.
Peraltro mi viene di considerare che dove Nello (4) parla di maestrodipendenza, magari conseguenza di un tipo di relazione maltradotta su questi lidi, si possa per l’appunto rintracciare quell’atteggiamento dell’archetipo massone: crea il problema e proponiti come soluzione. Come dire che a volte non basta vestire la tonaca zen per togliersi di mezzo quella cattolica.
Infine una nota al testo di Yushin: mi è garbata molto la parte (pag. 47) in cui si parla della fede e della sua realtà. In particolare: “[…] È un sentimento appena un passo oltre la speranza, è attraversata dal dubbio e nutrita dall’esperienza”.
26 Luglio 2015 alle 7:46 pm
Ciao Alex (accorciare ‘sto nick non si può?), grazie per leggere il libro.
Però noto una cosa: praticamente tutti quelli che me ne hanno parlato/scritto per parte buddista hanno espresso mugugni e signoramia!.
E fannosemprecosì, enoncisipuòfidare, esonsempremassoni, elareciprocità…
Non è per impicciarmi, ma non ho mai trovato in un sutra l’indicazione a mettersi a spulciare i peli altrui per trovarvi la tigna.
Nel frattempo il libretto è ancora refuso-free, tze!
Dalla parte dei non-mugugni, segnalo una bella recensione con refuso, redatta in francese da un monaco benedettino.
26 Luglio 2015 alle 9:47 pm
Certo, ma questo serve a dimostrare che noi (mah!) si sa fare retromarcia e chieder scusa per il disturbo.
Non era mia intenzione spulciare.
Ora mi metterò a spulciare sutra per vedere se è vero o no quel che ci rimproveri 🙂
27 Luglio 2015 alle 8:18 am
Seee, le scuse perché sbagliare è umano: ha detto un mare di ca…te ma, poverino, è un uomo anche lui dopotutto…
Spulcia spulcia, poi in quel sutra, alla voce “coda di paglia”, vedi se spiega che cos’è un rimprovero.
Un par d’anni con qualche buddista che dico io vi manderei.
27 Luglio 2015 alle 2:01 pm
Trovo interessante le modalità del dialogo attuato dagli autori, perchè mantiene in evidenza le differenze che però non diventano un ostacolo alla reciproca accoglienza.
Cosa non facile da attuare nella vita quotidiana dove la condizione normale, a voler essere ottimisti, è la disponibilità a senso unico.
Quante volte infatti non ci apriamo al dialogo perchè partiamo dal presupposto che ‘quello’, ‘quella’, ‘quelli’ non hanno nulla da dirci e dai quali non possimao apprendere nulla.
Sono d’accordo nel considerare il dialogo un atto d’amore e cercare di metterlo in pratica può costituire il presupposto per una reale convivenza. Purchè il dialogo sia reale e non rivolto solo all’interlocutore “giusto” nel contesto “giusto”.
Non so se è un vero refuso: pagina 100, riga 4 … con stupore sulla quella che a me…
Se è un refuso cosa vinco? (faccetta)
27 Luglio 2015 alle 3:49 pm
Aaaaaaah!
Marta ha vinto il primo premio!
Come che cosa hai vinto? Il PRIMO PREMIO!
Ora bisogna vedere se ci saranno il secondo e il terzo…
Comunque in un colpo hai sfatato due leggende: che alla Stella non si vinca mai (sai, le solite storie “perdita è guadagno” ecc.) e che esistano libri refuso-free.
Grazie.
30 Luglio 2015 alle 9:33 am
Vorrei dire questo ai sentimentalisti, nel buddhismo, i sentimenti sono considerati una illusione, quindi, non apportatori di veridicità. Quindi, dire che al termine amore=illusione, sia da preferire la saggezza quale soluzione all’illusione, è dire “qualcosa di buddhista”.
Se il tempo utilizzato nel dialogo, corrisponde a quanto esposto da jf in @9, possiamo forse dire che le modalità di dialogo utilizzate fino ad oggi probabilmente non sono le migliori o quelle adatte alla bisogna e adoperarsi per trovarne di più efficaci.
Ora, il buddhismo è qualcosa di eminentemente pratico, una esperienza diretta che consiste nella pratica dello zazen. La pratica cristiana consiste in: eucarestia (transustanziazione), preghiera, digiuno, da cui dovrebbe derivare il susseguente stile di vita. Ora, se qualche buddhista è interessato a sviluppare un dialogo su questo piano gli faccio i miei migliori auguri, a me non interessa. Per il resto, sia il buddhista che il cristiano sanno benissimo cosa sia bene e cosa sia male, poi, le risposte a questi fenomeni sono molto diverse e attengono allo specifico di ogni esperienza.
In soldoni, se un cristano, religioso o laico, capisce l’importanza dello zazen lo pratica, se poi vuole confermare la correttezza del suo fare, qui si apre il dialogo.
Come diceva il vecchio e bistrattato Deshimaru: lo zen, lo zazen, nella vita di una persona è l’ultima stazione.
Praticando si capisce in fretta.
30 Luglio 2015 alle 9:41 am
Il cristianesimo è una via religiosa “femmina”, aperta, accogliente la sostanza dei fenomeni, con tutte le derivazioni connesse a un piano del genere.
Il buddhismo è una via religiosa “maschia”, penetrativa della sostanza delle cose, quindi, per il mio punto di vista, fondata sulla saggezza e non sull’amore cristianamente inteso che per me è una assoluta illusione e produce enormi problemi. E la storia è testimone di questo.
30 Luglio 2015 alle 9:48 am
Che poi la saggezza sia la sublimazione più alta dell’amore libero da illusioni, è proprio buddhista. Confrontiamoci e dialoghiamo a partire da qui con il mondo cristiano.
30 Luglio 2015 alle 12:53 pm
Ciao Nello,
@ 17, 19: interessante la definizione che dai di saggezza (19) ma dissento. Saggezza è tale se è (come diceva Sawaki ripreso da quel buontempone di Deshimaru) l’ultima stazione, dopo la fine dei binari. Non c’è più nulla da sublimare in quel “territorio”. L’amore buddista, imho, nasce da un’altra radice, che guardata “male” può parere paternalismo supponente. È il dispiacere per la condizione umana dove manca zz. Poveracci: non possono che soffrire, producendo sofferenza e guai vivendo così…
Credo che la definizione di dialogo tratteggiata da jf sia un filino pessimista. Esclude l’intelligenza, l’intuizione, la capacità per me per te di comprendere quello che ha compreso, pensato elaborato un altro uomo. Eppoi accingersi ad un impresa attirati, vocati dall’insuccesso non è particolarmente buddista.
Tafazzismo? 🙂
30 Luglio 2015 alle 4:40 pm
D’accordo mym @20, che nella realtà non ci sia più sublimazione, tutti i termini sono troppo in quel territorio, anche sunyata, ku, vacuità, pratityasamutpada, ecc…
Il mio era un tentativo di svuotare il termine “amore” di tutta la retorica che lo avvolge e che è sempre più problematica.
Ai cattolici, in caso di dialogo, bisognerebbe chiedere di evitare assolutamente almeno due termini: 1) Dio, 2) Amore. Poi ci aggiungerei anche 3) Ecumenismo. E torniamo sempre alle parole, al loro senso storicizzato, all’ermeneutica necessaria per stabilire un minimo di realtà in un mondo, quello cattolico, completamente dominato dalle illusioni. E le illusioni creano astrazione dalla realtà, ovvero, l’unica cosa che abbiamo.
30 Luglio 2015 alle 4:50 pm
Sono d’accordo.
Se fai caso nella parabola del buon samaritano (più che discreta a mio parere) non c’è ombra né di sentimento né di sentimentalismo. Per questo ritengo che una rivisitazione di quell’apologo sia un buon inizio di dialogo.
Vietare ai cattolici l’uso di Dio, amore ed ecumenismo è come chiedere ad uno spadaccino di rinunciare alle mani.
Se se ne trovasse uno (di cattolico) in grado di farlo sarebbe davvero un bell’incontro.
Però, a quel punto, di “cattolico” che cosa gli sarebbe rimasto?
31 Luglio 2015 alle 10:09 am
Se si vuole dialogare con coloro che seguono la via indicata da Gesù, credo che non si possa prescindere da quella che è la profonda motivazione del loro agire e cioé l’amore di Dio per l’uomo con quello che ne discende.
L’abuso dei termini Dio e amore è ben conosciuto anche dagli stessi cristiani. Ricordo che, al termine di un capitolo di un libro, dove appunto si parlava della necessità di non abusare di queste parole, Padre Turoldo si rammaricava del fatto di averle citate una decina di volte.
E’ chiaro che la motivazione al vivere di chi segue la via buddista nasce da tutt’altra sponda ed è appunto per questa diversità di fondo che si parla di dialogo.
A proposito di come l’amore si possa incarnare nella storia, dal punto di vista cristiano, ho letto ultimamente un libretto di Arturo Paoli, morto il 13 luglio alla veneranda età di 102 anni, che si intitola ‘La pazienza del nulla’.
Mi è sembrato molto interessante, soprattutto per come è stata vissuata l’esperienza del nulla nel deserto.
2 Agosto 2015 alle 10:28 am
Sul dialogo religioso:
premesso che condivido: “Il dialogo con chi crede e pensa come o similmente a me non è infatti dialogo ma conversazione. In comune fra i due dialoganti ci dovrebbe essere questa concezione del dialogo e la disponibilità teorica a non ancorarsi alle proprie opinioni: così si riduce il rischio di voler mettere le mani sui risultati e si può prospettare la possibilità di una qualche novità, per entrambi”.
Domanda: il dialogo è solo intellettuale-impersonale, ovvero su “tipi” (i buddisti, i cristiani)) o “credenze” (il buddismo, il cristianesimo)? Il corpo, il mondo dell’esperienza (quindi il “sentire che..” e non solo il pensare e credere che..) ci può dire qualcosa?
Simone Weil (persona a cui mi pare siano accreditati pensieri che trascendono le credenze strutturate)pare interessante al riguardo:
“Tutto ciò che io concepisco come vero è meno vero di tutte quelle cose di cui non posso concepire la verità, ma che amo”.
“La fede. Credere che niente di ciò che noi possiamo afferrare è Dio. Fede negativa. Ma credere anche che ciò che non possiamo afferrare è più reale di ciò che possiamo afferrare. Che il nostro potere di afferrare non è il criterio della realtà, ma al contrario inganna. Credere infine che tuttavia l’inafferrabile appare, nascosto”.
2 Agosto 2015 alle 11:50 am
Ho seguito il vs. dibattito con interesse, anche se frammentariamente: sono solitamente fuori città e ho accesso al computer solo ogni tanto, quando passo da casa .
Anche se non partecipo alla discussione, desidero scrivere qui qualche mia osservazione, coll’intento velleitario di sparigliare qualche gioco.
A mio avviso:
Per un confronto tra religioni – che è poi in realtà, ricordiamolo, un incontro confronto tra due o più persone che si prestano a rappresentare, incarnare quella ‘religione’ o quel ‘cammino’ – sarebbe opportuno adottare la mente del cercatore. Quindi abbandonare ogni presunta conoscenza, soprattutto riguardo alla esperienza (conoscenza) dell’altro.
Il punto di partenza dovrebbe essere quindi quello dell’andare alla ricerca delle motivazioni/ragioni dell’altro, con spirito di osservazione (ascolto) e di curiosità. Ripercorrendo insieme all’altro, per così dire, il proprio cammino formativo: da zero.
A tal fine credo potrebbe essre utile provare ad usare un metodologia di tipo più ‘scientifico’, e quindi, in particolare, partire dal ‘problema’. Perchè quella religione? A che problematica intende dare risposta? Perchè tu hai scelto quel percorso anziché un altro?.
Questo approccio permetterebbe, fra l’altro, di entrare in dialogo nel senso corrente della parola, perchè non sarebbero più due costruzioni dell’intelletto (religioni) a parlarsi, ma due persone in carne ed ossa. Due cuori, come da titolo del libro in questione. E il gioco diventerebbe più ‘scoperto’.
Si può anche scegliere di partire da altri parametri.
Ad esempio si potrebbe, anziché dal problema, partire dagli ‘obiettivi’.
Quale scopo ci prefiggiamo con questa ricerca? C’è una tesi di partenza da dimostrare? (es. le due religioni sono sostanzialmente uguali nella sostanza…..). Quale obiettivo parziale possiamo ragionevolmente raggiungere? Quale approccio metodologico è più coerente con l’obiettivo? (es. intervista?! Questionario/griglia?! ). Quali correttivi adottare? (domande chiuse o aperte?….)
Affinchè ogni asserzione-risposta sia comprensibile occorrerà comunque una definizione accettata del linguaggio, che va ri-definito nell’uso di tutte quelle parole che vengono utilizzate in difformità dall’uso linguistico corrente (es. amore; religione).
E’ da ricordare anche che la risposta dipende dalla domanda, e quindi il modo di formulare le domande sarà essenziale per la coerenza e comprensibilità della risposta.
Dai risultati di una prima ricerca di questo tipo e dall’analisi delle risposte, si potrebbe estendere successivamente il procedimento per individuare nuovi obiettivi, per correggere metodologie o introdurne di nuove (Brain storming?), per coinvolgere nuovi attori: in un processo di approfondimento ‘ a spirale’.
Sul web si trova qualche documento che può essere utile nel ragionare su come programmare un progetto di ricerca secondo le metodiche della ‘spirale della progettazione’ applicata (es. http://www.genova5.org/downloads/files/progetto_educativo.pdf)
2 Agosto 2015 alle 12:00 pm
Mym,
poroponi una borsa di studio per un progetto di tal guisa! <3
2 Agosto 2015 alle 6:09 pm
Ciao Doc, prima dovrei capire (@26) quale sarebbe l’oggetto del bando della borsa. Però allargare l’attuale borsa (solo argomenti collegati al buddismo) per gli studenti di Urbino anche a chi tratta di dialogo è un’idea.
Far progetti (@27) precisi (stato di fatto, direzione, obiettivi, strumenti ecc.) in fatto di dialogo, dici. Non sarei in grado.
Per usare parole abusate: le religioni sono modi di esprimere verità. Far progetti a proposito di discorsi che vertono su verità mi pare inadeguato.
Chiarirsi le idee su “perché il dialogo?” e su “come procediamo affinché possa avvenire?” mi pare opportuno.
Per il resto non pianificherei. Ma è una posizione personale: sono allergico alle regole… :-[
2 Agosto 2015 alle 6:28 pm
Ciao Dario, (@24) il dialogo tra persone di religioni diverse non è (solo) questione di come la pensano due o più persone o di quel che credono. C’è dietro qualchecosa di molto più pesante. Detto in parole è la somma tra appartenenza, identità (religiosa e spesso anche non), sicurezza, ruolo, visione della vita (e della morte) e molto altro. Siccome il dialogo è anche accettare di porsi in discussione, la posta in gioco è molto pesante. Non penso, per esempio, che tutti siano in grado. Non basta volerlo. Non basta la teoria.
Si può dialogare su ogni cosa, lo sai, ma il dialogo religioso è quello dove la posta è massima. Senza “avere” una religione penso sia impossibile, perché mancano quelle cose che ho elencato che “fanno” la posta.
La Weil era una persona di dialogo, era lei stessa ad essere un laboratorio di dialogo, come tutti coloro che scelgono, a occhi aperti, una religione diversa da quella nella quale sono nati.
2 Agosto 2015 alle 6:57 pm
Ciao Marta, (@23) sono d’accordo. Occorre accettare l’identità religiosa dell’altro per come lui stesso la presenta affinché possa iniziare un dialogo.
C’è un passo successivo di cui esiste poca esperienza, in cui per cercare di comprendere meglio l’altrui identità si “prova” ad assumerla. In questo caso certo occorre spogliarsi il più possibile della propria.
Iniziare pretendendo o sperando che l’altro si spogli della sua struttura religiosa per assumere la nostra non è un metodo di dialogo accettabile.
Grazie per la dritta sul libro di Paoli, gli ho dato un occhiata, mi ha interessato e l’ho ordinato.
Amo il “deserto” e soprattutto il silenzio del deserto. Mi incuriosisce sentire che cosa ne dice un cristiano che lo ha molto praticato.
3 Agosto 2015 alle 11:43 am
Buondì a tutti.
Trovo molto utile l’approccio “scientifico” proposto da Doc@25. In particolare il fatto di “partire dal problema”. Cos’è la religione? A che problematica intende dare risposta? Ma, soprattutto, a che problematica vogliamo NOI dare risposta attraverso di essa. Secondo me prima di partire con un dialogo interreligioso, bisognerebbe avere molto ben chiara la risposta all’ultima domanda. Per scendere nel concreto: vogliamo sicurezze o vogliamo qualcosa che ci aiuti a tenere aperte le domande? Se la mia risposta è la prima sarò sicuramente un pessimo “dialogante”. Perchè appena l’altro fa crollare una parte del mio castello di carte lo rovino di mazzate (nel migliore dei casi solo in senso metaforico).
Detto ciò, ho l’impressione che alcune religioni (perlomeno nel modo in cui sono proposte attualmente) tendano più di altre a giustificare la creazione dei suddetti castelli. Cioè, aderire ad un monoteismo in un certo senso facilita parecchio le cose. E, se uno degli scopi della religione è fare capire ai fedeli che tutto quello che possono “tenere in mano” non è “la cosa”, mi pare che sia un poco controproducente.
In particolare mi sembra che ciò rischi di trasformare la preghiera in un monologo. Mi chiedo: come fa il gioco a diventare “più scoperto” se ho a che fare con un fedele di una religione che distribuisce salvagenti a destra e a manca piuttosto che insegnare alle persone cosa (non) fare per lasciarsi “affondare”?
3 Agosto 2015 alle 3:32 pm
Come al solito non avevo capito dove volevo arrivare. Chiedo scusa, cercherò di essere breve:
-Obbiettivo del dialogo è, imho, aiutarsi vicendevolmente a lasciare andare quegli “schemi statici” di pensiero che ci precludono un agire intelligente
-Per essere disposti e “chiamati” a fare ciò bisogna essere d’accordo con la Weil @dario24
-Per essere d’accordo con la Weil è necessario praticare zz/preghiera che sia un’ “apertura” e non un monologo con se stessi/idolatria del proprio pensiero
-Se zz/preghiera ha un oggetto/”destinatario” è idolatria e non più apertura
-Religioni monoteiste danno un oggetto alla preghiera
-Religioni monoteiste rendono difficile il dialogo
E concluderei con un +case -chiese 😈
3 Agosto 2015 alle 3:58 pm
Ciao Fago, bentornato. Sei tornato in Italì anche fisicamente?
Ho esitato a rispondere a @ 30, perché, mi son detto, è da rileggere, fa caldo e i miei due neuroni tendono ad assopirsi prima di costruire un’idea… Poi l’ho riletto e: niente.
Grazie al cielo ora hai dato la spiegazione ufficiale del tuo pensiero.
Ma non sono d’accordo: la chiesa è la casa del signore! Insomma, con la crisi non è tempo di sgomberi.
Mentre pulivo il cortile dicevo tra me e me (era molto sporco per cui: meglio in due…): certo che la prossima volta che arriva un gesuita moscatello che vuol fare un dialogo sino all’ultimo sospiro c’è mica bisogno che ci vada io. A giudicare da quante persone sappiano tutto su come si fa o si dovrebbe fare ci sarà la fila di quelli che vogliono farsi santamente massacrare.
Perché quella sicurezza che mai e poi mai cercheremmo nel buddismo, nello zz o nel bel satori che ci portiamo appresso, quella uno tosto te la sfila in un attimo, ti ritrovi a guardare le suorine (agli incontri di dialogo ci son sempre le suorine) che scuotono la testa con aria di commiserazione… E se provi a farfugliare: “ma lo zazen…” Ti becchi in fronte un “mi faccia il piacere, ci risiamo con ‘sti esotismi, va bene che siete orientaleggianti ma non potete parlare in italiano? Cosa vuol dire con ‘sta parola? Sedersi? Sì sì ho capito. La preghiera è un’altra cosa (tono e voce solenne): un profondo colloquio con Dio. Non scherziamo… Ci si siede al cinema…”.
Con le suorine che applaudono anche con i piedi.
All’ultimo sospiro.
3 Agosto 2015 alle 6:02 pm
Eh sì, son tornato, nel paese delle case del signore (però neanche là scherzano a riguardo).
Che poi, come casa del signore? La storia non era mica che non sapeva dove posare il capo? Ah no, quello era suo figlio. Non ho mai capito i genitori che cacciano i figli di casa perchè “quando avevo la tua età in una settimana potevo creare il mondo e tu stai sempre seduto a non fare una mazza!”
Per quanto riguarda la fila per il massacro non penso che sarei tra gli entisiasti.
Siamo onesti, non mi beccherei nè un bel giardinetto all’inglese nè le millemila vergini. Buddy Shakyamuni poteva fare un po’ più di retto sforzo in quella direzione. Voglio dire, se una schiera di donzelle ti passa davanti e tu rimani seduto come un ebete sotto a un albero è chiaro che non ti fileranno più per il resto dei kalpa a venire.
E poi se la suorina mi fa pure crollare la sicurezza di aver lasciato aperte tutte le domande, non è proprio cosa per me!
3 Agosto 2015 alle 6:11 pm
Ben detto, ben detto!
Ma nel momento preciso in cui tocca a te, a me, non saper che rispondere non è IL SILENZIO DEL BUUUDDHA, ma non sai proprio che dire davanti a 2-3 cento persone che cominciano a pensare (e si vede) “ma che pirli ‘sti buddisti… E vengono pure a stracciare i cosi col dialogo…”.
Certo, non mi smuove di una virgola, da un lato.
Dall’altro …
3 Agosto 2015 alle 6:56 pm
Buonasera a tutti.
A proposito delle suorine di mym, temo che, senza avventurarsi in dialoghi interreligiosi, non poche avrebbero già qualche difficoltà con santa Teresa d’Avila: “Teresa, buscate en mi; buscame en ti” (“Teresa, cerca te, in me; cerca me, in te”).
Fortunatamente, quelle che ho conosciuto forse sono più cristiane che cattoliche 😉
3 Agosto 2015 alle 7:39 pm
Ciao Giorgio, bentornato. Sei anche tu in Italì o…?
Le suorine, per carità, tutte brave e sante, non vorrei mai…
Però non perdonano.
Grazie per la citazione
Ho modificato il secondo “buscate” in “buscame”.
3 Agosto 2015 alle 8:02 pm
@36 Grazie a te mym. La partenza imminente per http://www.untouan.com affretta le citazioni 🙂
4 Agosto 2015 alle 8:40 am
分かりました。
“I giapponesi”, come “gli italiani”, “i tedeschi” ecc., hanno un mare di difetti, ma come arredano loro una stanza lasciandola vuota…
4 Agosto 2015 alle 9:25 am
Cara Marta @23, sta emergendo in tutta la sua problematicità la possibilità di intendersi in un dialogo, per esempio, qui siamo in Italia che è assuefatta a una terminologia “religiosa” che per me, buddhista,(e anche la scrittura italiana dovrebbe rispettare la radice di questo termine che è budh, con la H), non è sufficientemente chiara. Quindi, primo, se mi dici “…l’amore di Dio per l’uomo…”, dovremmo precisarci circa il termine “amore” e circa il termine “Dio”, non è un fatto di poco conto e per me non è assolutamente scontato che siano l’uno e l’altro chiari nella loro sostanza.
Cos’ come li hai posti tu, per me, si produce una dipendenza sia dall’uno che dall’altro termine e io, come buddhista, sono per l’inter-dipendenza. E tu dovresti chiedermi, cos’è per te l’interdipendenza? E forse si potrebbe entrare con più precisione nel contesto dialogico.
Tu dici ancora: “E’ chiaro che la motivazione al vivere di chi segue la via buddista nasce da tutt’altra sponda…”, quale sarebbe secondo te questa “sponda” e che cosa intendi per “motivazione”?
Di fatto, “la via buddhista” è l’ordine dell’universo (Dharmakaya)e i buddhisti si sforzano di aderirvi, poi, realizzata questa identità, “la via buddhista” “scompare”.
4 Agosto 2015 alle 9:35 am
Poi, voglio dire polemicamente ai “buoni”, gli indios dell’Amazzonia, del Paranà, gli Yanomami…erano più felici con o senza il cristianesimo? Erano più felici con o senza i cattolicissimi spagnoli e portoghesi? Io, non ho il minimo dubbio…
Ecco, la forma dialogica che ha quella qualità ecumenica andrebbe discussa a fondo e una volta per sempre…mentre questi sognano nientemeno che di evangelizzare la Cina, l’Asia…ma ci rendiamo conto che razza di progetti hanno questi signori? E la loro miope, cieca, intrusione continua nella politica…Per fare i conti con la propria storia…non bastano le scuse di qualche Papa….
4 Agosto 2015 alle 9:39 am
Caro mym @34, alle suorine e agli altri 300, il vecchio Deshimaru, che la sapeva lunga, avrebbe imposto non le parole ma la pratica, immediata, diretta, chiarissima, fulgida, incontrovertibile.
Avrebbe piazzato il suo cuscino sul tavolo, sarebbe salito sopra, avrebbe congiunto le mani e si sarebbe maestosamente seduto. Solo a vederlo, li avrebbe convertiti tutti.
4 Agosto 2015 alle 10:44 am
Ciao Nello, (@ 41) il vecchio Deshimaru, anche, con quei teatrini ieratici che proponi ha fatto tanti danni che non basterà una generazione. Temo occorra l’estinzione.
Poi (@40) se, ponendosi in dialogo, qualcuno cominciasse a tirarti sulla schiena quello che i buddisti (senza l’acca) giapponesi in nome del buddismo (idem) hanno fatto in Cina, Manciuria ecc. o quelli Birmani stanno facendo alle minoranze indù e muslim del loro Paese, mentre tu rinfacci loro i misfatti in America o altrove, finirebbe a mazzate prima ancora di cominciare.
Sarà pure, come dici (@39), che “la via buddhista” sia l’ordine dell’universo, ma tu, come fai a saperlo? Non siamo mica personaggi nella storia dello Scimmiotto…
E poi, quel dharmakaya lì mi sa un po’ di imparaticcio: secondo me il vecchio Deshimaru ti avrebbe dato una legnata 😛
4 Agosto 2015 alle 11:13 am
Ciao Nello (@40). Nel recente viaggio a Bolivia del Papa Francisco, un gruppo di indigeni resistenti al colonialismo tentarono restituirgli una “ostia” come simbolo di rifiuto per la distruzione della sua cultura. La notizia è stato appena diffusa, ma è significativa. In qualsiasi caso il suo stile è molto più rispettoso di quello che noi, spagnoli, avemmo con essi, imponendoli la nostra religione, (questo ultimo in relazione con Nello 41: “Deshimaru… averebbe imposto”)
4 Agosto 2015 alle 11:19 am
Caro mym, @42, non so se “teatrino” sia il termine giusto, e non credo che a produrre quelli che tu definisci “danni” sia stato quel genere di proposta plateale e non piuttosto la tipologia di persone che ha incontrato in quel contesto storico della sua missione. E comunque, le persone che ha incontrato e i risultati di questo incontro stabiliscono che “ogni cosa è perfetta così come è” e questo non ha nulla a che vedere con la perfezione comunemente intesa.
Non mi risulta che al seguito delle truppe giapponesi ci fossero dei religiosi in appoggio, mentre, siccome i monaci non hanno alcun privilegio rispetto a tutti gli altri venivano arruolati di forza come tutti gli altri (Sawaki docet), o passati per le armi. Ma il punto non era questo, era l'”ecumenismo” cristianamente inteso che non esiste in ambito buddhista, il punto era quello, e sicuramente non parlerei su questo piano in un eventuale “dialogo” a meno che il tema del dialogo non verta su questo e in quel caso andrebbe affrontato con precisi dati storici.
Per ME, la Via buddhista coincide con l’ordine dell’universo o Dharmakaya, e il significato del termine Dharmakaya lo trovi nei termini che ho indicato in qualsiasi dizionario della materia. E comunque, anche lì, il tema non era il significato del termine ma la sua scomparsa….
Una legnata da Deshimaru non si rifiuta mai.
4 Agosto 2015 alle 11:28 am
Ciao RobertoP, @43, grazie per questa testimonianza bellissima.
4 Agosto 2015 alle 11:29 am
@ 44: “Non mi risulta che al seguito delle truppe giapponesi ci fossero dei religiosi in appoggio”??? Proprio tu che (mi pare) citasti Lo Zen alla guerra, mi dici ciò? Portavano il dharma ai barbari, che dovevano essere convertiti volenti e nolenti, e la maggior parte dei preti buddisti che accompagnavano le truppe non erano per nulla forzati a fare ciò. Neppure Sawaki, anche se lui ci andò come soldato (quindi coscritto) e non come prete al seguito. In quel libro, Lo zen alla guerra, c’è quasi un intero capitolo dedicato a Sawaki: da far accapponare… lo zafu.
Mi pareva che del dharmakaya ne parlassi come di qualche cosa preso dai libri. In effetti, non è possibile diversamente.
Deshimaru ha incontrato e coltivato la tipologia di persone adatta al suo insegnamento.
4 Agosto 2015 alle 11:39 am
(@43) Ciao Roberto desde España! Non sapevo (e sì che ho ascoltato con attenzione i resoconti del viaggio…) questa cosa dell’ostia restituita. Hai fatto bene a segnalarla (e complimenti per il montaggio del video).
Sì, imporre l’ostia, oppure la pratica come farebbe Deshimaru nella fantasia di Nello (@41), non è molto differente.
Gli zen giapponesi come esempio di dialogo…
4 Agosto 2015 alle 4:43 pm
(@39)Ciao Nello, premetto che sono una praticante zen e nutro una ‘certa’ diffidenza per chi, tra i praticanti cristiani, si avvicina alla pratica dello zz. Ho poca esperienza in merito, ma mi sembra che lo zz venga utilizzato come pratica prevalentemente per ‘migliorare’ la pratica cristiana. (Niente di male ma..)
Date per sapute le ragioni per cui è difficile dialogare ‘alla pari’ con i cristiani(e direi con gli appartenenti alle religioni monoteiste), penso però, che si possa riconoscere all’interno della Chiesa (intesa in senso allargato)la presenza di persone che mettono in pratica il messaggio evangelico al di là della dottrina. Alcune conosciute, altre anonime.
Con queste persone, secondo me, è possibile dialogare anche perchè a quel Dio ( che viene così spesso citato quando si parla dela dottrina) son disponibili a non dare alcuna definizione e a considerare l’amore, non in termini sentimentalistici ma come la possibilità di esistere che ci viene data in modo gratuito.
Certo, sono solo parole se poi non hanno una ricaduta nella vita quotidiana, vero banco di prova per qualsiasi modalità di intendere la vita.
Anche parlare di Unico Veicolo, di impermanenza, di interdipendenza,(a proposito, cosa intendi con questa parola in concreto? )comporta la stessa necessità, cioè di essere calate nella vita.
Per me la motivazione a seguire la via buddhista nasce dall’esperienza dello zz, dove mi imbatto in quel me, che molto spesso non mi piace, ma che posso lasciar cadere. E con quel che mi rimane posso cercare di vivere le varie situazioni per quello che sono, manifestazioni di questa mia vita che fa parte di quell’unica Realtà (chiamata in più modi) che non si può definire.
E forse proprio su come ‘stare’ (parola secondo me pregnarte che, scrivendo, usavi spesso qualche tempo fa) nelle varie situazioni, ci si potrebbe confrontare in un dialogo sincero mirante alla salvezza dell’uomo. (Naturalmente prima ci si mette d’accordo su cosa si intende con salvezza!!)
4 Agosto 2015 alle 4:52 pm
Ecco perché tengono le donne fuori dai ruoli ecclesiastici.
Paura che gli facciano le scarpe… 😯
4 Agosto 2015 alle 8:35 pm
(@48) Proprio – forse solo – attraverso lo stare, nella pratica, passa un tentativo di “dia-logo”.
Ad esempio, da “un’altra sponda”, in Giovanni 8,31b-32: “se rimanete nella mia parola, sarete veramente miei discepoli e conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”.
5 Agosto 2015 alle 8:21 am
Sullo “stare” in senso cristiano è laddove ho i maggiori dubbi. Proprio a partire dalla constatazione di come sia difficile imparare/fare zz anche applicandosi anni e anni. Quel “rimanere nella parola”, che per forza di cose è vago o quantomeno difficile da spiegare in termini di “si fa così”, mi sembra così labile che… Mah!
Quello che ho verificato molte volte in valenti uomini di religione cristiana è che questo essere liberi si risolve, nel migliore dei casi, in un atteggiamento mentale verso la realtà e in un modo di pensare plasmato sulla scrittura negli altri casi. La differenza con lo zz è palese, non si tratta né di atteggiamenti né di pensieri. Un’altra base.
Chissà se Nello sarà così gentile da rispondere alla domanda di Marta (@48)…
5 Agosto 2015 alle 9:23 am
Ciao mym, @46, non ho mai letto “Lo zen alla guerra” e non l’ho mai citato, mi sembra strano che i giapponesi volessero “convertire” i cinesi al buddhismo visto che da quelle parti il medesimo era diffuso e praticato almeno da 400 anni prima di loro, e mi riesce ancora più difficile pensare che i giapponesi possano ritenere “barbari” i cinesi visto che hanno ricevuto da loro il taoismo, il buddhismo, il confucianesimo e susseguente neoconfucianesimo…nonchè la scrittura!! Quindi, penso che quanto scritto dagli autori di quel testo sia tutto da verificare.
Sulla nostra “trinità”, Dharmakaya, Sambhogakaya, Nirmanakaya, si potrebbe parlare a lungo su molti registri linguistici, semantici, didattici….che rappresentano una cosmogonia che i libri possono provare a descrivere ma è solo l’esperienza diretta di quella/e dimensioni che può rivelarne la reale sostanza…Quindi, per te, la mia citazione di Dharmakaya “puzza” di libresco ed è una tua opinione. Per me è solo un termine e in definitiva scompare anche quello, quindi, si realizza.
5 Agosto 2015 alle 9:48 am
(@51) Concordo. È questione di pratica.
5 Agosto 2015 alle 10:10 am
Ciao Marta, in riferimento al tuo @48 (così soddisfo anche la curiosità di mym che mi aspetta al varco…), dico questo, io sto molto attento, contrariamente a quello che fanno in tanti, ad assumere terminologia e frequentazioni cristiane, non vorrei diventare un cattobuddhista nè assomigliare troppo ai nostri amici, ho la nausea del mondo cristiano. Un mondo che in duemila anni non ha risolto il corpo, la sessualità, la sua problematica dimensione nel pianeta (indios docet), e mi limito agli aspetti del loro stare più grossi, ma ce ne sarebbero tanti altri. Poi, ovviamente i santi ci sono dappertutto…
Tu mi chiedi cosa intendo per “interdipendenza”, il termine “Dharmakaya” del mio @39 è già una ipotesi di risposta. Ma la risposta, intesa con la concretezza che richiedi tu, quindi posta su questo piano dialettico, potrebbe essere tutto mi riguarda e sono, sto, a mia volta, riguardo tutto. Ma questo stare non ha codici, non è preordinato nè indottrinato, semplicemente è. Quindi è necessario provare a precisare l’essere originale. Parafrasando un celebre koan si potrebbe dire, che faccia avevi prima di nascere?
L’interdipendenza è il cosmo, è la Ruota del Dharma, è l’Ottuplice Sentiero, le Quattro Nobili Verità, i Dodici Anelli di concatenazione causale, le Paramita, la vita stessa. Ma dicendo “vita stessa” non è per nulla chiaro di cosa si tratti nella sua reale sostanza, quindi concretezza, come chiedi tu.
Di fronte a una domanda del genere, la Tradizione zen ha dato innumerevoli risposte tutte assolutamente, quindi veritatamente, non esaustive. L’interdipendenza è l’inesauribile, e qui ancora può sorgere, cos’è che è inesauribile? e si torna sempre al punto di partenza, che è anche quello di arrivo, ovvero, qui ora. Di fronte all’inesauribile,
Joshu si è messo i sandali in testa…Un monaco viene cacciato dal maestro che gli intima di uscire, si dirige verso la porta, il maestro dice, non da lì, il monaco si dirige verso la finestra, il maestro dice, non da lì, il monaco si inchina in sanpai, il maestro gli dice, così si esce. Gensha alzava il pollice sia in caso affermativo che negativo, un allievo ha fatto la stessa cosa e glielo ha tagliato. E’ infinita l’interdipendenza e qualsiasi aspetto dell’educazione zen li contiene tutti, e tutti rappresenta l’infinito in questo caso.
Le parole non possono contenere il qui ora.
5 Agosto 2015 alle 10:33 am
Nello @ 52: 1) si vede proprio che non conosci i giapponesi: pretenderebbero di insegnare alle galline a far le uova, se (loro) ne fossero capaci. 2) Quel libro è documentato che di più non si può. Forse conviene che lo leggi prima che ti sfugga qualche giudizio azzardato. Senza leggere quel libro parlare di storia (recente, ma con riverberi lontani) dello zen/buddismo giapponese è favolistico.
Mi pareva lo avessi citato tu, se non è così… sarà stato qualcun altro.
@54: “L’interdipendenza è il cosmo, è la Ruota del Dharma, è l’Ottuplice Sentiero, le Quattro Nobili Verità, i Dodici Anelli di concatenazione causale, le Paramita, la vita stessa”, sarà il caldo ma … insomma è un po’ quello che fanno i monocosi quando gli chiedi che cosa intendono per “Dio”.
Pensare che è un concetto così semplice: quello c’è perché questo c’è. Cessando questo cessa anche quello.
PS: “Dharmakaya, Sambhogakaya, Nirmanakaya…” sei sicuro che se non ne avessi letto sui libri ne sapresti qualcosa?
5 Agosto 2015 alle 11:25 am
@55, per me, semplice, contiene anche complesso. Semplice, rispetto a che cosa? Anche “dire” semplice, non semplifica nulla. E dipende dall’interlocutore/trice. Uno è libero di scegliere il registro linguistico che ritiene più opportuno al suo comunicare, per me, quanto detto, era la massima semplificazione, per te no. Come ho già detto in altre occasioni, qui e ora è diverso per ognuno, e per fortuna nostra. Non esiste uno standard che statuisca cosa è semplice perchè c’è sempre un margine di soggettività sia in chi pone la domanda sia in chi risponde al soggetto proponente la domanda.
Possiamo dire che Shinran e il buddhismo della Pura Terra abbiano le visioni? E prima di loro in Cina…e in India…
Tutta la teoretica può essere oggetto della domanda che poni tu in P.S., il punto non è se io abbia saputo qualcosa attraverso i libri, il punto è se ho capito quanto letto oppure esperito.
Relativamente al testo da te indicato, sono abbastanza prevenuto perchè chi lo cita ai vari convegni (a Venezia quelli della Fondazione Maitreya per esempio), dimostrano una analisi del problema molto parziale. Un dramma del genere, necessita una lettura ampia e profonda di tutti i fattori che lo hanno determinato, non ultimo, la presenza violentissima dell’America a partire dalle navi di Perry e seguito colonialista…
Comunque lo leggerò.
5 Agosto 2015 alle 11:33 am
ma tu mym, che faccia avevi prima di nascere?
5 Agosto 2015 alle 11:34 am
(@ 56): Brian Victoria, l’autore, era ed è prevenuto che di più non si può. Ma siccome i giapponesi lo avrebbero fatto a pezzi (ci hanno provato comunque ma hanno perso tutte le cause) se avesse pubblicato un rigo che non fosse documentato, ha fatto un lavoro inoppugnabile. Per di più ha usato, nella stragrande maggioranza dei casi, materiale prodotto ufficialmente (!) dagli stessi giapponesi.
Che poi qualcuno, nella Maitreya o altrove lo citi a sproposito… be’, è la solita storia.
Che lo zen giapponese sia stato (e in gran parte sia ancora) coinvolto nei crimini di guerra, nel sostegno al nazionalismo religioso, nelle discriminazioni nei confronti dei fuori casta -braku- giapponesi, a denti strettissimi hanno dovuto riconoscerlo gli stessi dirigenti del Soto zen shu. Salvo poi continuare imperterriti.
5 Agosto 2015 alle 11:38 am
@ 57: semplice (con tutte le sue implicazioni e anche di più): la stessa di ora.
5 Agosto 2015 alle 4:05 pm
Purtroppo non è una novità che l’essere (ma anche il non essere) praticante di una religione (qualsiasi essa sia) non metta al riparo l’uomo dal suo poter essere comunque belligerante sia pure con diverse gradazioni di violenza.
Forse è un dato di fatto da tenere presente e da non sottovalutare.
Nello @54, credo di aver capito cosa intendevi dire e sono d’accordo con il primo capoverso di @56. Grazie
7 Agosto 2015 alle 10:13 am
Per non dimenticare…
è passato il 6 agosto nel silenzio…una casa editrice ha pubblicato 4 racconti di una sopravvissuta che oggi è una affermata scrittrice, potrebbe sembrare un post “fuori tema” ma questo non lo è mai.
Hayashi Kyoko, Nagasaki, traduzione di Manuela Suriano, Gallucci, Alta Definizione, Roma, 2015
http://www.galluccihd.com/index.php?c=scheda_bibliografica&id=629
9 Agosto 2015 alle 6:05 pm
Gran brutta storia.
Pare (ma non so quanto sia attendibile) che Hirohito fosse pronto a firmare la resa ma le abbiano lanciate lo stesso.
Per esperimento?
All’epoca i giapponesi erano considerati poco più che scimmie dagli americani.