Ven, 10 Giu 2011
Ritorniamo su un testo cui abbiamo già accennato nei commenti ad un post precedente: Senza Buddha non potrei essere cristiano, di Paul Knitter. Un libro importante anche se, tutto sommato, modesto. La modestia del libro dipende dalla modesta capacità di penetrazione dell’autore sia in campo cristiano che buddista. Oppure, ed ai fini di questa critica è lo stesso, dal non eccelso livello al quale l’autore prende in considerazione le due religioni. Il valore perciò non sta nell’apporto e fruizione culturale del testo (sul buddismo scrive anche vere e proprie sc…onsideratezze) ma nello spirito nel quale Knitter si è mosso.
A mio parere un buon esempio di dialogo. Non amo pensare al dialogo come “incontro parlato”, tavola rotonda tra persone di appartenenze diverse, che si incontrano per raccontarsi l’un l’altro; lo sento sterile. Per usare una metafora cristiana direi che dialogo esiste nel percorrere un tratto di strada assieme. Questo implica studio, pratica, umiltà. Soprattutto mettersi in gioco sinceramente, essere disposti a rischiare le proprie sicurezze e le proprie credenze. Allora si manifesta la parte più viva del dialogo, tra me e me secondo diverse prospettive di pari dignità. Proprio questo riesce a fare Knitter: sperimentare -almeno in qualche misura- una doppia appartenenza. Ed è questo, l’atteggiamento interiore veramente dialogico, che da valore al suo libro.
Dicevo che, tuttavia, vi sono alcuni gravi abbagli a proposito del buddismo. Direi che i principali sono due: in primis fraintende completamente il senso di śūnya (vuoto). Pensa infatti (o almeno così pare) che śūnya sia il nome di “qualcosa”. Non ha colto che śūnya indica la condizione dei fenomeni (o del “mondo”) esistenti pur in assenza proprio di un “qualcosa” che ne costituisca l’anima, il sé o una vita intrinseca indipendente dalle parti che contribuiscono a formare e a far esistere i fenomeni (cfr. per es. p. 18, 22, 23 s.). Perciò il percorso proposto da Knitter per “leggere” Dio con l’aiuto del buddismo, ovvero śūnya->Vacuità->Interessere->Dio porta a concludere che Dio pare ci sia ma in realtà non c’è. Non credo intendesse dire ciò. Il secondo grave abbaglio nei confronti del buddismo, Knitter lo evidenzia in tutta la parte in cui parla di una fantomatica “dottrina buddista della rinascita” (cfr. per es. p. 106, 112, 113, 116) intendendo proprio “qualchecosa che rinasce dopo la morte”. A me pare sempre strano sentir parlare di “dopo la morte” (cfr. Knitter 103, 106, 108, 117) perché chi ne parla non dice mai né che cosa intenda per “morte” né quanto duri la morte di cui parla, durata necessariamente limitata in modo da permettere un dopo. Comunque, non esistendo alcuna “dottrina buddista della rinascita/reincarnazione” bisognerebbe piuttosto far capo ad antiche credenze indiane -e dal XII sec. anche tibetane- che si sono “agganciate” ad alcune scuole buddiste. In ultimo notiamo che la sua possibilità di passare davvero attraverso la porta senza porta del buddismo si arena di fronte ad una irriducibile e -almeno in senso religioso- del tutto superflua fede nell’io (cfr. p. 117) che pare derivare più da un legame culturale che da un lascito cristiano. Il libro è corredato da una pre-prefazione di p. Luciano che, purtroppo, non è adeguata al testo: incomprensibilmente si limita ad enumerare luoghi comuni del buddismo meno edificante senza entrare per nulla nel merito di un’esperienza di vita che appare autentica e stimolante.
Ho avuto occasione di discorrere di questo libro con un amico, monaco di Bose, che mi ha cortesemente permesso di pubblicare qui le sue parole (in pdf).
Trovate qui il testo completo in formato normale.
240 Commenti a “Buddha al servizio di Gesù?”
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12 Giugno 2011 alle 1:55 am
Sulle considerazioni e valutazioni di mym, penso vada aggiunto che il prof. Knitter si é formato in prestigiose università, che é stato prete cattolico per qualche decennio, che si é sposato con una signora devota della linea buddhista tibetana dello Dzogchen, e siamo in ambito esoterico. Vale a dire che le considerazioni sul sunya e reincarnazione, vanno calate in quell’ambito dove la reincarnazione ha un preciso e codificato status, poi ognuno é libero di interessarsene o meno, tuttavia, per il buddhismo tibetano la reincarnazione é un fatto.
E anche sul sunya, l’elaborazione teoretica tibetana, é diversa da quella giapponese, le Tradizioni buddhiste tibetane hanno un approccio più “graduale” alla vacuità, esistono quindi passaggi intermedi. Knitter segue questa Scuola, così come sua moglie che mi sembra la vera artefice del suo interesse al buddhismo…
Sul commento dell’amico cristiano, sarebbe bello rispondergli con il famoso detto di Bodhidharma sui testi…”Una pratica che non si fonda su parole o scritti…Che non si inchina all’autorità dei testi, che mira al cuore e alla mente dell’uomo…”. E ancora sui testi, Nagarjuna, che insegnava a Nalanda, giunse a bruciarli tutti.
Io penso che la bibbia sia un testo pericoloso, molto pericoloso e non mi piace.
Knitter, secondo me ha sbagliato a prendere i voti buddhisti, perchè di fatto, non possono esserci due appartenenze, ma le mogli hanno una bella forza, soprattutto in chi le ha incontrate già avanti negli anni. Tuttavia, la sua testimonianza di cattolico, ha il pregio della sincerità e umiltà, due virtù non così scontate in quelle latitudini (non a caso c’è il detto “è falso come un prete…”). E’ in questi aspetti umani, secondo me, che bisogna cercare l’essere, non nei testi e nella loro esegesi.
Knitter é un ex prete cattolico formatosi in prestigiose università con docenti altrettanto prestigiosi, si é sposato con una signora buddhista della linea tibetana Dzogchen (esoterica).
Ma avete mai incontrato dei monaci del monte Koya? Io sì. E’ un altro mondo…
12 Giugno 2011 alle 10:29 am
Ciao Nello, grazie per la consueta prontezza nell’apparire, nei commenti. “Bisogna cercare l’essere” dici, non sono mai stato sul monte Koya (i maghi, specie se professionali mi spaventano un po’…) però di quel bisogno nel buddismo se na parla pochino, mi pare.
13 Giugno 2011 alle 1:23 am
Caro mym, il mio intervento avrebbe voluto tentare di precisare meglio i soggetti in oggetto, sempre molto velleitario…
Ho capito il senso e il taglio che hai inteso dare al tuo thread.
L’aspetto della rinascita esiste anche nel buddhismo amidista, é un tema ricorrente che si può elaborare in più modalità e comunque necessita di seri approfondimenti (Libro Tibetano dei Morti, docet).
Sul monte Koya non ci sono mai stato nemmeno io, tuttavia li ho conosciuti in più occasioni e non si possono “liquidare” come “maghi” nel senso nostrano del termine, sono tantrici, lavorano con l’energia che muove il mondo e la conoscono molto, molto bene.
Non dovrei essere io a dirtelo, ma fino a Dogen quasi tutto il buddhismo giapponese era esoterico, è Dogen che attua una rivoluzione assoluta e per questo deve lasciare Kyoto per il Fukui ed Eiheiji.
Io mi sforzo di essere un pronipote di Dogen, non mi interessa l’esoterismo, non mi interessa l’amidismo, non mi interessa il dialogo interreligioso, solo questo attimo mi prende totalmente.
13 Giugno 2011 alle 9:04 am
Grazie Nello, l’appellativo (bonario…) di “maghi” è legato al tempo di nascita dello Zhēnyán (poi Shingon in Giappone), precedente all’evoluzione mahayanica (detta genericamente Vajrayana) del buddismo tantrico per cui l’aspetto della modificazione della realtà sottile tramite le tecniche tantriche è caratteristica accentuata.
15 Giugno 2011 alle 6:08 pm
Yushin, come va? Leggo quanto scrivi su La stella del mattino circa il libro di Knitter e anche la prima parte del libro da te curato sul Sutra del Loto. Ciò che non colgo nel tuo discorrere è l’incidenza della realtà, della attualità. Come se Buddhismo o Cristianesimo avessero un’altra radice fuori dall’attualità, come fossero fuori da ciò che ora è. Non concedi l’accesso alle interrogazioni che l’attualità pone (impone), in quanto ciò comprometterebbe gli schemi ben definiti del tuo ragionare, il quale starebbe in piedi se le tue definizioni di Buddhismo e di Cristianesimo fossero ciò che realmente essi sono nella vita delle persone. Ma le definizioni non sono; invece l’esperienza reale è. Questa esperienza è più reale, più vera del Buddhismo e del Cristianesimo, intesi come serie di frasi e aneddoti. Deve il Buddhismo o il Cristianesimo rendere conto all’uomo? Oppure l’uomo al Buddhismo o al Cristinaesimo.? Ciao e auguri. Luciano
15 Giugno 2011 alle 6:33 pm
>alle interrogazioni che l’attualità pone (impone)
già, ma bisogna prendere il serpente dalla parte giusta, altrimenti si sprofonda in un mare di samsara. e il Sutra [del Diamante] questo insegna. non insegnandolo.
15 Giugno 2011 alle 7:02 pm
Ciao Luciano, grazie per il tuo commento. Mi pare che se esistessero delle entità che rendono conto all’uomo o a cui l’uomo possa rendere conto (secondo le alternative da te poste) non potrebbero che avere una radice fuori dall’attualità, avulsa da ogni vita: cristallizzazioni solidificate di qualche fantasia (divina? Umana?). Partendo da questo presupposto quello che scrivi è praticamente incomprensibile. Come pure mi pare incomprensibile che cosa c’entri il tuo commento con quello che scrivo a proposito del libro di Knitter. Per non dir nulla del tuo chiamare in causa un fantomatico libro sul Sutra del Loto da me curato: forse intendevi il Sutra del Diamante ma, tra persone che scrivono (pubblicano, studiano), confondere l’uno con l’altro anche a livello di refuso, di lapsus è… perdonabile solo abbassando di molto il livello del discorso. Forse per far capire meglio che cosa vorresti comunicare potresti fare degli esempi, invece che fare delle generalizzazioni. Se tu facessi un esempio di “un discorrere in cui si coglie l’incidenza della realtà, della attualità” come scrivi o se tu, per esempio scrivessi: “mi pare che laddove tu scrivi patapìn e patapàn non cogli l’incidenza della realtà, della attualità, che se ben osservata, capita, ascoltata dovrebbe portarti a dire/riconoscere che patpàn e patapìn…”. Oppure: “se scrivi così e cosà è evidente che per te Buddismo e Cristianesimo sono degli schemi avulsi dalla realtà delle persone”. Allora sì che ti si ascolterebbe volentieri, apprezzando la tua fatica. Un poco come ho fatto io, scrivendoti 10 pagine per spiegarti perché, secondo me, la tua pre-prefazione è inadeguata al testo di Knitter. Il cristianesimo è anche la vita dei peccatori ma questo non esclude i santi. Tra i sedicenti buddisti ci sono anche quelli che pensano che l’unico motivo della sofferenza è l’ignoranza per cui si comportano in modo sprezzante di fronte al dolore altrui. Ma se si vuole rappresentare il senso, la sostanza salvifica del cristianesimo non penso vadano portati come esempio i patiti del bunga bunga. E i buddisti aridamente ideologici non sono né edificanti né esempi da imitare. Certa attualità (assieme alla mafia, alla corruzione, ai preti pedofili, ai buddisti nazisti) nel costruire cultura religiosa non la usiamo come riferimento. Anche se c’è e numerosa al punto da sembrare tutto, grazie al cielo non è tutto.
16 Giugno 2011 alle 7:47 pm
Un caro saluto a tutti.
Con pacata convinzione cito dalla lettera di Fratel Matteo Nicolini-Zani qualche parola:
“il cristianesimo ha tante risorse “nascoste” che, qualora recuperate, nutrirebbero la vita spirituale cristiana con cibo assai solido e nutriente. Che il detour attraverso il buddhismo aiuti il cristianesimo a recuperare il suo vero nucleo … è una conferma del valore del dialogo interreligioso. Dico questo senza negare che l’apporto del buddhismo in alcuni ambiti spinga invece il cristianesimo … a superarsi in qualche modo (penso alla meditazione, ad esempio…). … perché il cristianesimo è ontologicamente relazionale. Cioè credo davvero, come dice Knitter con una bella immagine, che “senza le dita dei buddhisti vi sono parti della luna che i cristiani non vedrebbero mai, e lo stesso è vero delle dita dei cristiani per i buddhisti”.
Mi sembrano affermazioni gravide di implicazioni (“detour” – son sincero – non piace, per non parlare della meditazione citata “ad esempio”, ma queste sono solo mie emozioni).
Certo, quanto pesa il “fardello del concetto”; a noi non basta mai cercare di “mettere in ordine le parole”.
Alle considerazioni di F.Matteo mi viene da dire a mym e a p.Luciano: è possibile trarne le conseguenze a livello istituzionale per chi delle istituzioni religiose – che variamente impongono vincolo di coscienza – fa parte?
Più in breve, la mia frequentazione con l’estremo sole dell’Oriente, da sempre anche estremo Occidente, rende dirimenti le parole di Padre H.E.Lassalle (gesuita come Francesco Saverio), che riferisce un evento reale e personale, e perciò non esclusivo e privato: “La verità è che se un cristiano … pratica intensamente lo Zazen, dopo qualche tempo vede letteralmente accendersi all’improvviso le verità cristiane e le parole delle scritture”.
Più vicino ai nostri “cuori divisi” H.Le Saux/Swami Abhishiktananda: “le mediazioni devono essere pura trasparenza del mistero… La presenza di Dio a noi e la nostra a lui, più esattamente il nostro risveglio al fatto che Esso è qui, è assolutamente indipendente dall’attività dei nostri sensi e del nostro spirito”.
Doghen Sensei infatti testimonia “l’abbandonare corpo e spirito di se stesso e corpo e spirito altrui”, giacchè “il presente che si fa presente è indefinibile”.
Proprio vero, “lo Spirito soffia dove vuole” e sarebbe giunto da un pezzo il momento di adorarlo così.
Quando saremo capaci davvero di camminare sulla Via con i nostri fratelli stando puramente e semplicemente ai piedi del Maestro?
A disposizione per le citazioni, grazie come sempre per l’ospitalità,
Giorgio
16 Giugno 2011 alle 7:58 pm
Ciao Giorgio, bentornato. 日本語は もう ペラペラ ですか?
Scrivo perché ho visto che mi nomini (mym: correttamente minuscolo): le istituzioni, per quel poco che ho a che fare con le medesime, hanno come compito statutario di perpetuare sé stesse. Sino a che qualcuno non stacca la spina. Prender atto delle implicazioni di ciò che dicono fratel Matteo e Lassalle dovrebbe essere compito degli utenti: chi tenta di essere cristiano o buddista.
17 Giugno 2011 alle 12:23 am
Baron Litron sa j’à bin dit – Sia ringrassià vòstra coron-a. Mi peuss mai pi ruvé a tant: ò bon barbet, ò bon cristian.
(per chi non conosce il canto polare o non capisce il piemontese e volesse saperne di più
http://www.valdesi.org/Testi/Baronlitron_canto.html
http://www.valdesi.org/Testi/Baronlitron.html)
17 Giugno 2011 alle 11:20 am
Ciao Giorgio, quello che scriveva padre Lassalle è un’esperienza di molti ed è anche la mia, tuttavia penso che evidenzi soltanto un’aspetto di un interazione che è in effetti bidirezionale, reciproca. Voglio dire che secondo me la comprensione del messaggio evangelico (che non implica in alcun modo un’adesione confessionale, men che meno istituzionale) può disvelare la pienezza, la ricchezza e la fecondità di quello Buddhista. Questo secondo aspetto è più difficile da cogliere per noi occidentale, ma penso sia altrettanto importante. Perchè Buddha al servizio di Gesù e non Gesù al servizio di Buddha? Poi, quanto alle istituzioni ecc. la questione mi sembra davvero secondaria. Un saluto
17 Giugno 2011 alle 2:47 pm
Cattivo buddista vs. cattivo buddista = no dialogo
Cattivo cristiano vs. cattivo cristiano = no dialogo
Buon cristiano vs. buon buddista = nessuna necessità di ricerca di dialogo. Si va tranquillamente a bersi una birra e si parla di qualunque cosa senza problemi. Siamo in un paese libero, grazie al vasto cielo (‘Cielo’ è abbastanza bipartisan?!)
Cristianesimo e buddismo affermano di essere Vie di Verità (veicoli di salvezza, di liberazione), complete in se stesse e senza resti. Nell’ammettere un bisogno di innesti (o delle dita dell’altro), si mette implicitamente in discussione questo fatto, sostanzialmente lo si nega.
Se devo andare da Torino a Milano, posso prendere il treno o l’auto. Non posso prendere entrambi contemporaneamente. Né conviene usare parti del treno per migliorare le prestazioni dell’auto, e viceversa. Il risultato di questo tipo di operazioni rischia di produrre una sorta di New Age di casa nostra.
Resta da vedere cosa significa essere ‘buon cristiano’ e ‘buon buddista’.
Anch’io come Angelo vorrei che il cristianesimo fosse ‘il vangelo’: ma così non è.
Il ‘dimenticare mente e corpo’ di Doghen implica anche rinunciare ad ogni senso di appartenenza: altro che doppia appartenenza! E credo che molti abbiano misurato sulla propria pelle quanto costa liberarsi della ‘appartenenza’ cristiana. Può darsi che in oriente ci sia anche un lato B della faccenda; ma noi siamo qui, dove ‘cambiar religione’ è spesso ancora oggi un dramma.
17 Giugno 2011 alle 4:00 pm
Ciao Paolo; riprendiamo qui il discorso? Penso valga la pena estendere il dialogo il più possibile, a tutti gli interessati. Sul lasciar cadere le identità io sono d’accordo con te; “buon cristiano” o “buon buddhista” non significa gran che.
Esistono più vie di Verità oppure è una sola che si esprime in modi diversi? Non potrebbe tornare d’attualità il richiamo del Sutra del Loto all’Ekayana, al fatto che in realtà esiste solo un unico sentiero? Nel Sutra evidentemente le alternative possibili erano tutte all’interno di una visione buddista, ma non credo che estendere quel punto di vista al dialogo attuale sia una forzatura eccessiva. Il risceglio non è una faccenda soltanto “buddhista”.
C’è un punto nel Diamante in cui Subuti coglie la profondità del Dharma con una tale forza che ne è scosso fino alle lacrime. Secondo me è lì, nel momento in cui si percepisce questa pienezza “positiva” il punto di avvicinamento maggiore all’esperienza cristiana, il punto di convergenza.
Sul rischio di far ministroni New Age sono d’accordo con te, è un rischio reale, am secondo me l’antidoto non è tanto l’ortodossia quanto la razionalità, la capacità critica.
17 Giugno 2011 alle 4:18 pm
Quel piagnone di Subhuti. Lo sapevo che ai cristiani sarebbe piaciuto: tanto sentimento tanta audience… La doppia appartenenza è come la ruota di scorta. Una ruota è quella buona, l’altra è … l’altra. Bisogna scegliere. Ed io, modestamente, lo scelsi: con la Franza o con la Spagna…
PS: viva la Ca’ Granda!
PPS: Gesù al servizio del Buddha? Mah, non so, non vorrei fosse un po’ giovane. Però i giapponesi (alcuni) dicono che fa. Ognuno ha i suoi problemi.
17 Giugno 2011 alle 4:37 pm
La Ca Granda? Cioè l’spedale di Niguarda di Milano!?!? Ora si che mi so perso…
17 Giugno 2011 alle 4:41 pm
Con pardòn: “La Ca’ Granda” è una citazione in codice. Un’antica canzone piemontese, in sintonia con il ciclo del Baron Litron (o Barùn Litrùn).
17 Giugno 2011 alle 4:54 pm
Ciao Angelo.
‘Esistono più vie di Verità oppure è una sola che si esprime in modi diversi?’
E’ una domanda che non mi intriga: se è una via di verità…beh, abbiamo già risposto. Sennò qualcosa non funziona, o nella via o in chi la percorre.
Un buon chirurgo è uno che si dedica allo studio ed alla professione con fiducia, entusiasmo, sincerità, onestà, approfondimento, energia, senza paraocchi o dogmi scientifici inconfutabili ecc ecc Come un buon panettiere o altro. E’ chiaro che sono parole (però … preferisco un buon chirurgo, se proprio mi tocca).
Andrebbe meglio dicendo che un buon praticante è colui che vive o si sforza di vivere ‘autenticamente’? Si porrebbe il problema del termine ‘autentico’, che comunque implica, a mio avviso, che non c’è inganno o illusione.
Chi è vincolato ad una appartenenza, possiamo chiamarlo una persona autentica?
17 Giugno 2011 alle 5:17 pm
mi pare che il “vero” ecumenismo sia indicato dal Sutra del Diamante al n. 6
17 Giugno 2011 alle 5:24 pm
Ciao dhr non ho sotto mano il testo per cui sul n° 6 non ti so dire…
Doc, la domanda che fai è una specie di Koan: “persona” è un termine che in origine denotava la maschera del teatro…nel teatro tutto è finzione, eppure proprio per questo tutto è autentico
17 Giugno 2011 alle 5:42 pm
vabbè, non siamo mica qui a fare la punta al becco dei canarini…o nel film di Bergman.
…persona, persona…come non-persona è stata insegnata
17 Giugno 2011 alle 5:51 pm
Ciao dhr, mi fai capire come/dove vedi l’ecumenismo al §6?
17 Giugno 2011 alle 6:35 pm
….per questo son dette persone. Mah forse se l'”appartenenza” è un vincolo, una costrizione, no non è compatibile con l’autenticità, mentre è “autentica” quando non è vincolante, ma liberante.
Per Mym 14: non sono i più giovani a dover servire i più anziani? Chi credi che vi pacherà le pensioni a voi matusa 🙂
17 Giugno 2011 alle 6:47 pm
“… quando il buon insegnamento sarà ormai crollato, vi saranno SEMPRE dei bodhisattva, grandi esseri, dotati di buone qualità… avranno profondamente immerso buone radici presso INNUMEREVOLI CENTINAIA DI MIGLIAIA di Buddha… E perché? Perché, o Subhuti, in questi bodhisattva, grandi esseri, non nasce la concezione di io, la concezione di essere, la concezione di vivente, la concezione di persona…”
L’unica cosa importante è che non-nascano queste cose. Per il resto, non conta nulla quale “tessera” si ha, a quale “club” si è iscritti.
17 Giugno 2011 alle 6:53 pm
Capperi (23).
Angelo (22), servire non è cosa semplice.
17 Giugno 2011 alle 8:57 pm
Ben detto, o dhr, ben detto.
(Per inciso, hai rinnovato la tessera?!)
Abbiamo trovato le persone autentiche!
17 Giugno 2011 alle 9:02 pm
E quando – o Angelo (22) – una appartenenza è liberante?!
17 Giugno 2011 alle 9:09 pm
@ doc 25
ho talmente tante tessere che potrei fare un mosaico.
ma senza tèssere… sennò faccio la fine di Arachne.
17 Giugno 2011 alle 9:11 pm
… e siamo arrivati all’uomo ragno.
State bravini, por favor, che non ci sono sino a dom pom.
17 Giugno 2011 alle 10:09 pm
@ Mym 24: lo so, infatti chi serve è il più grande. Infatti chi dice che il Buddhismo serve alla comprensione ed alla realizzazione cristiana, a mio parere, fa una grande lode al valore del primo
@ Doc 26: hai ragione, forse nessuna. Ma perchè pensi che io voglia difendere il valore ed il significato di una particolare appartenenza, tutto il mio discorso voleva intendere il contrario, o mi sono espresse veramente in modo inadeguato, oppure stiamo parlando di due cose diverse
17 Giugno 2011 alle 10:27 pm
No Angelo, scusa, non mi preoccupavo più tanto di se e cosa difendi. L’occasione mi era parsa ghiotta per una considerazione a mio avviso interessante, sempre sul leitmotiv del diamante.
Pensavo che una appartenenza è liberante quando è superata, e quindi ha il carattere della non-appartenenza. Allora le possiamo dare il nome di ‘testimonianza’. A pieno titolo.
18 Giugno 2011 alle 12:07 pm
Si Paolo, capisco. Per questo, collegandomi a quanto dicevo piu sopra, ritengo che l’attestazione del valore liberante di una tradizione da parte di chi, per altri versi, si “riconosce” (mettiamoci pure mille virgolettati)in una differente, sia una testimonianza molto valida ed interessante
@ dhr 23 Il problema e’ che quella e’ un’idea di ecumenismo che va bene in ambito buddhista, ma non sarebbe ritenuta valida in altri ambiti dove se ne ha una differente(che so forse nel cristianesimo si direbbe che la base dell’ecumenismo e’ il comandamento dell’amore). E nessuno ritiene che la “propria” versione dipenda dalle tessere che ha in tasca o dal club al quale appartiene. Il criterio che usi indica il club al quale sei iscritto.
18 Giugno 2011 alle 1:11 pm
>Il problema e’ che quella e’ un’idea di ecumenismo che va bene in ambito buddhista
Mica si parlava di (pressoché inutile) ecumenismo istituzionale. Si riportava solo l’affermazione del Sutra secondo cui, ovunque c’è chi ecc. ecc., lì si è tutti uguali.
Quanto al comandamento dell’amore, se è basato sull’idea di “io” ecc., non fa altro che perpetuare il dolore. Come infatti avviene.
18 Giugno 2011 alle 4:50 pm
Sei una anguilla plurivirgolettata.
Provo a metterla così: non ci sono tradizioni liberanti se non ci liberiamo noi. In se, lo scopo delle tradizioni è quello di ingabbiare, di imprigionare: è solo quando scopri l’inganno, che inizia il reale processo di liberazione.
La classica palla di ferro rovente: finchè non la caghi, brucia.
All’inizio le tradizioni sono Tradizioni. Poi le Tradizioni sono prigioni. Poi le Tradizioni sono solo tradizioni.
Tra “non faccio più il male per paura che Gesù mi punisca (o per paura di rinascere scarafaggio)” e “non faccio più il male”, c’è in gioco almeno il libero arbitrio. E non mi pare poco.
18 Giugno 2011 alle 10:04 pm
@DHR Ok scusa, avevo inteso il riferimento all’ ecumenismo nel senso più ristretto del Vaticano II che riguarda appunto il dialogo interreligioso ecc. Dato il titolo del post, Buddha al servizio di Gesù era però abbastanza logico intendere così.
@DOC E’ vero, le tradizioni, tutte quante credo, con il tempo “si usurano”, anzichè risolvere il problema divengono una parte del problema. Di qui la necessità di un rinnovamento costante o, il che è lo stesso, di un ritorno costante alla loro origine, al motivo per cui esistono. Secondo me non esiste una religione che non si situi nel contesto di una cultura, di una storia, di una “tradizione”. Per questo a mio parere il punto non è tanto trascendere o superare, ma rinnovare ed attualizzare.
Mi spieghi meglio cosa intendi alla fine parlando del libero arbitrio?
19 Giugno 2011 alle 12:29 am
Hai ragione; probabilmente sul libero arbitrio sono stati scritti tomi e trattati.
Intendevo molto semplicemente: pensare, scegliere e agire non perchè qualcuno mi dice che si deve fare così o cosà. Senza alibi.
Quando la paura o la speranza della retribuzione ci condizionano e ci tengono in scacco, il nostro pensare è ‘sostenuto da’ queste. Non è un pensare o un agire libero, adulto.
19 Giugno 2011 alle 10:45 am
Buongiorno a tutti. Siccome mi sto sobbarcando la fatica di leggere il buon Knitter da capo a fondo, mi sento legittimato a intervenire. Vorrei dire varie cose a Luciano (5), ne accenno una sola: la questione se sia l’uomo per il sabato o il sabato per l’uomo, che so essere un tuo cavallo di battaglia, mi sembra un falso problema, presentato in modo un po’ ambiguo nei vangeli. Il sabato (la religione, il dharma, la legge…) è per l’uomo tanto quanto l’uomo è per il sabato. Se non ci fosse quel riferimento orientativo che chiamiamo religione (sabato) l’uomo non troverebbe in sé la bussola che gli permette di “usare” il sabato per e nella propria vita.
A doc vorrei dire un paio di cose. La metafora (12) del treno non regge, a parer mio, perché buddismo e cristianesimo non sono due mezzi (veicoli) diversi per andare da Torino a Milano (nel qual caso si escluderebbero a vicenda): le mete sono diverse, il nirvana non è la beatitudine eterna della contemplazione del volto del Padre, almeno così mi par di comprendere. Il dialogo ha senso proprio per questo, altrimenti sarebbe solo ozioso discettare se è meglio il treno o la macchina per andare tutti nello stesso posto.
E poi (doc 17 e a seguire anche altri) vorrei tessere l’elogio dell’appartenenza: che c’è di sbagliato nell’appartenenza? Come si fa a non appartenere? Appartenere vuol dire far parte, essere parte. L’esistenza individuale è l’incarnazione, la manifestazione di una sineddoche, una parte (la mia parte) per il tutto. La realtà che mi fa essere quel che sono è una parte che esprime tutto, è tutto che si esprime come parte. Il problema semmai sta nell’identificazione esclusiva, come se la parte che sono invece di esprimere il tutto lo esaurisse, negando le altre parti: cioè se solo la mia parte, la mia appartenenza, fosse quella che esprime autenticamente la totalità.
19 Giugno 2011 alle 11:14 am
>sarebbe solo ozioso discettare se è meglio il treno o la macchina per andare tutti nello stesso posto
Come sempre, JF individua il “punto cieco” del nostro sguardo.
Come divertissement, provo a capovolgere il discorso: sappiamo tutti di andare nello stesso posto (leggi: morte), il problema è come arrivarci nel modo giusto, ossia in modo da non… non cosa??
19 Giugno 2011 alle 1:33 pm
Ciao Jiso, grazie del tuo commento. Sulla questione dell’appartenenza, espressa nel modo e con la sensibilità da te evidenziata, sono d’accordo.
Su quella delle vie e delle “mete”, mi restano invece alcune perplessità. Riprendendo la stessa metafora, se gli obbiettivi fossero distinti e non vi fosse un rapporto tra loro, credo che Doc avrebbe ragione al 100 %. O vado da Milano a Torino, o da Milano A Bologna (tanti auguri in entrambi i casi :-)), non posso andare in due direzioni contemporaneamente. E se anche ci vado in due momenti diversi della mia vita, che vantaggio posso avere io che sto andando in una direzione, dal confronto con te che vai in tutt’altra e per altra via? Il fatto invece, che questa sinergia esista e si crei (almeno questa è la mia-limitata-esperienza), indica a mio avviso che la direzione è la medesima – forse su due livelli diversi. Lo Zen nel Cristianesimo, a mio modesto avviso, vivifica e rivitalizza l’esperienza cristina, direi che la squote dalle radici e fa si che si torni a riversare il vino nuovo nelle otri nuove…sull’effetto del Vangelo nello Zen non so, dimmi tu. In ogni caso, l’esitenza di questa sinergia mi suscita una grande meraviglia e non cessa di interrogarmi- non mi pare ne ovvia ne scontata. Ciao
19 Giugno 2011 alle 1:38 pm
@ DOC 35:pienamente d’accordo con te. Tieni presente però che, come non cessa di farmi presente Mym in altro contesto, la questione del libero arbitrio e della volontarietà è centrale soprattutto per noi occidentali. Io, ad ogni modo, non riesco assolutamente a prescindervi
19 Giugno 2011 alle 3:27 pm
Ciao dhr, “sappiamo tutti di andare nello stesso posto (leggi: morte)”… ci andrei piano, il fatto incontrovertibile che tutti moriamo non vuole automaticamente dire che la morte è la stessa per tutti, ovvero che andiamo tutti nello stesso posto – anzi, direi piuttosto che la tua morte è incommensurabile e imparagonabile alla mia, non fosse per il fatto che quando muori tu (tu generico, beninteso) io non muoio: ovvero la mia morte, la mia meta, non coincide con la tua. La meta è in fin dei conti irrilevante, perché è fuori portata pur essendo certa e incommensurabile pur dando la misura del percorso. Il quale mi pare la sola cosa interessante (ciao Angelo) quella su cui vale la pena di confrontarsi. Un pittore e un musicista possono reciprocamente “arricchirsi” (che può voler anche dire rendere più “povera” -essenziale – la loro arte) proprio esercitando arti differenti – in comune hanno forse il cercare di vivere la loro vita come un’opera d’arte, e questo li mette in comunicazione.
19 Giugno 2011 alle 4:48 pm
>non vuole automaticamente dire che la morte è la stessa per tutti
ah-ha, non vuole “automaticamente” dirlo, ma potrebbe dirlo “de facto”.
ossia, anche la tua affermazione presuppone già una presa di posizione… una “tessera” 🙂
19 Giugno 2011 alle 5:27 pm
Quoto dhr 41: dire che la morte è la stessa meta per tutti è aleatorio (fantasioso?) quanto dire che non lo è. A meno che non si intenda “il morire” nel senso che “tutto muore”. Sul che il principe De Curtis già fece notare il livellamento universale a fronte di tale limite. Rileggendo jf 36 e l’elogio dell’appartenenza, mi vien da chiedermi se non sia più … religioso chiedersi che cosa ci sia di buono nell’avere un’appartenenza (ovvero prima di compiere l’operazione interiore che ci rende appartenenti) piuttosto che chiedersi che cosa ci sia di male. Preferisco mantenere al minimo (nessuna?) le collocazioni del mio capino, anche laddove non ci sia nulla di male. Eppoi, già che ci siamo, (sempre in jf 36) la frase “La realtà che mi fa essere quel che sono è una parte che esprime tutto, è tutto che si esprime come parte” mi sembra proprio aria fritta. Senza offesa, naturalmente. Non c’è mica niente di male… 😛
19 Giugno 2011 alle 5:31 pm
mym, ma che fai, leggi nel pensiero?? ero giusto “tornato” per aggiungere la citazione del Principe!!
19 Giugno 2011 alle 9:38 pm
Penso che l'”appartenenza” di jf sia riferibile all’essere nella sua pienezza, nel suo stare epistemico, non penso si riferisse a una sorta di “distintivo”. Certo, quando è così, “parte e tutto”, ogni dualismo, è dissolto.
19 Giugno 2011 alle 9:48 pm
E nella conclusione di jf 36 tutto è molto chiaro.
19 Giugno 2011 alle 10:06 pm
>all’essere nella sua pienezza, nel suo stare epistemico
mi ha rubato le parole di bocca.
19 Giugno 2011 alle 11:34 pm
Accipicchia, uno si assenta un giorno e guarda te… come tutto cambia.
jf (36) introduce la questione se ci sia una meta e se la meta sia uguale per tutti o no. Non mi allargo anche in questa questione. Ma ribadisco; qualunque sia il percorso ( e la mia morte è uguale alla mia morte, il mio aldilà è uguale al mio aldilà) mi risulta difficile oltreche scomodo – non impossibile, però – viaggiare su 2 veicoli contemporaneamente. Posso fare un pezzo di strada su uno e un pezzo su un altro…
La discussione se sia meglio questo o quello è un altra cosa ancora.
Comunque, se le due mete(/percorsi/veicoli) sono diversi, cioè se non si condividono nè obiettivi nè mezzi ne tempi nè modalità…, che si dialoga a fare? di che? Ne abbiamo già parlato qui: un sano confronto preliminare (o outing o reciproca testimonianza) sembra ben più opportuno. Almeno per capire se c’è qualcosa di cui meriti parlare.
Caro jf, mi parli dell’appartenenza cosmica (una parte (la mia parte) per il tutto). Così facciamo tutti contenti. Mi sembra fumo di incenso: si parlava d’altro finora.
Prova a chiedere in giro : a che religione apparteni? credo che nessuno risponderà ‘al tutto’, ma quasi tutti alzeranno la loro bella bandierina col loro bel simbolo. Atei in prima fila.
( a proposito, il tutto dei cristiani e il tutto dei buddisti, o dei bah’ai ecc, sono ‘tutti’ uguali o diversi?).
Non c’è nulla di sbagliato comunque, nella appartenenza .
Per me , possono sentirsi tutti appartenenti a quel che gli pare, finchè gli serve; fin tanto che nessuno viene a bussare alla mia porta la domenica mattina…o a farmi saltare in aria palazzo Madama.
Facendo infine l’avvocato del buddismo, visto il tema di partenza, direi con ‘non mi ricordo chi’: “non è che non ci siano pratica ed illuminazione, ma non dobbiamo contaminarli!”
Trattandosi di un blog buddista zen, direi che questa dovrebbe davvero essere la pre-occupazione rilevante.
Se non c’è contaminazione, va benissimo lo zen al servizio di Gesù, ed anche del Berlusca o di qualunque altra causa (psicanalisi, programmi tempi/metodi, danza classica). Ma sarà proprio così?!
20 Giugno 2011 alle 6:29 am
>il tutto dei cristiani e il tutto dei buddisti, o dei bah’ai ecc, sono ‘tutti’ uguali o diversi?
grande doc!
20 Giugno 2011 alle 8:51 am
Ciao Doc, volevo starmene tranquillo ma me le tiri fuori…come si possono contaminare pratica ed illuminazione? Inoltre chi può arrogarsi le royalties su di esse ed ergersi a protettore del Dharma? Esso non appartiene a nessuno in particolare, men che meno ai buddisti. Che senso ha recintare una fonte inesauribile in mezzo al deserto? Che tutti quelli che hanno sete vengano a bevano…
20 Giugno 2011 alle 9:49 am
Se lo contamini, non è più quello.
Se contamini la fonte in mezzo al deserto, lì non ci beve più nessuno. Almeno finchè qualcuno non la depura.
Nessuno ha parlato di recinti.
20 Giugno 2011 alle 11:08 am
L’inquinamento, pur difficile da dirsi, è lo sport più diffuso. A parte in un vero blog buddista zen 😎
20 Giugno 2011 alle 11:56 am
Sai, in tema di contaminazioni, non sono le altre religioni che possono intorbiride l’acqua. Quel tipo di contaminazione, a mio modesto avviso, è salutare: una religione che non cambia nel tempo per rapporto-influsso con le altre è morta o moribonda.
Le “contaminazioni” pericolose secondo me sono altre, con il commercio, la moda, i gadjet ecc. Non ti dico la serie di m…inchiate che mi propone gmail (che in qualche modo “legge” la mia posta e si è fatto l’idea che mi interessano il buddhismo e la meditazione). In questi giorni ho un link che mi propone una cena a domicilio cucinata da dei monaci tibetani, seguita da meditazione. Se vuoi ti mando il link…
20 Giugno 2011 alle 12:44 pm
Affinché si possa avverare “Che tutti quelli che hanno sete vengano e bevano” (Angelo 49) occorre proteggere, avere cura, che è tramandare. Così inquinare è facile. I gadget, le cene cictucic… quella è roba che passa con il mal di testa del giorno dopo.
20 Giugno 2011 alle 12:49 pm
Mi sbilancio rischiando la lapidazione, ma bisogna pur avere il coraggio di andare sul concreto, e quindi esporsi.
Per esempio, cosa fa la gente seduta davanti ad un muro?! come “tratta” i pensieri?
Il lasciar cadere corpo e mente che è il carattere essenziale dello (za)zen non consiste nel semplice cambiare pensiero mettendo quello precedente sotto il tappeto per riprenderlo tal quale appena finita l’ora.
Ci sono pensieri-emozioni-opinioni-pulsioni così radicati nel nostro corpo-mente che covano come brace sotto la cenere, a volte anche quando ci sembra di averli sradicati. Anche per questo la Via è pratica di tutta la vita.
Tornando al tema, se nel lasciar andare i pensieri, trattengo quelli ‘buoni’ (l’esistenza di Dio; l’eternalismo; l’esistenza dell’anima individuale; la resurrezione della carne… ecc fino alla verginità della Madonna, alla Trinità ecc) faccio una pratica che non è zazen.
Va benissimo, ma non è quella: assomiglia forse di più all’esichia (o esichiasmo, o esicasmo), ad es., lo yoga cristiano: pratica nobile e di tutto rispetto. O ad altre forme di yoga o di meditazione.
La posizione a gambe incrociate non caratterizza di per sè la qualità della pratica. Se non sono disponibile a perdere tutto, se mi tengo un angolino (nel nostro caso un angolone) ove rifugiarmi e posare il capino… beh, parliamo di due cose diverse.
Sostenere per esempio che nello zazen ci siano due corsie, una riservata ai pensieri-emozioni-opinioni da esaltare o comunque vivificare o conservare, ed una riservata a quelli da lasciar andare o sradicare, è contaminare la pratica. E’ snaturarla, minarla alle radici.
Le contaminazioni che dici tu – consumistiche – mi preoccupano molto meno.
20 Giugno 2011 alle 12:56 pm
E la madò. Papale papale.
Lo zen ecologico, mica balle.
20 Giugno 2011 alle 2:23 pm
Ma nemmeno io sono per il “doppio binario”, nonostante sia una pratica di antica e collaudata tradizione cattolica. Non trovo nulla da accepire a quello che scrivi.
Tranno per quanto riguarda la verginità della Madonna naturalmente, quella non si tocca!
20 Giugno 2011 alle 3:24 pm
Vabbe’, niente doppio binario allora. Almeno una cosa l’abbiamo chiarita.
20 Giugno 2011 alle 4:52 pm
Trenitalia si scusa per il disagio.
20 Giugno 2011 alle 4:59 pm
Il mantra del Viaggiatore…
21 Giugno 2011 alle 11:44 am
Sono fuori tempo massimo, lo so, ma essendo lento di comprendonio ho capito soltanto ora il senso di mym 53. Mi sembra un’ottima sintesi al dibattito tra me e DOC (almeno da parte mia). Preservate la purezza amici.
Grazie a tutti
21 Giugno 2011 alle 11:50 am
Preservate? Non scherziamo.
21 Giugno 2011 alle 12:17 pm
Il treno è andato oltre, ma ognuno ha la sua velocità. Torno un momento (dopo breve assenza) su doc 47 per chiarire che non ho mai inteso parlare di cosmo (ne so niente) ma di qualcosa molto più semplice: io manifesto (esprimo, recito, interpreto…) la mia parte e quella parte è l’espressione di un tutto. Faccio un esempio: vado a votare, prendo parte e mi esprimo votando – quello è il mio modo di dar corpo al tutto che possiamo chiamare il sistema del voto – ognuno che vota contemporaneamente manifesta una parte e dà forma a un tutto – l’unicità di ciascuno consiste in questo. Una banalità, se volete, ma una banalità basilare, perché ogni atto dell’esistenza di ognuno funziona così. Appartenenza è anche questo, volevo spostare il discorso dalle angustie dei distintivi a qualcosa di non confessionale. Il gioco delle parti riguarda tutti, anche chi si ritiene super partes (appartiene al club informale dei super partes). Visto che sono stati calati gli assi (non contaminare…) mi adeguo: quando Dogen dice che dalla mia prospettiva sulla barca in mezzo al mare vedo l’orizzonte marino rotondo e dico “il mare è rotondo” ciò dipende dalla mia capacità visiva del momento e devo sapere che ci sono altre infinite forme del mare, e che ognuna è tutto mare, dice in altro modo qualcosa di simile a quel che intendevo. Quanto alla morte (dhr 41, mym 42), la livella principesca (tutto muore, moriamo tutti) non modifica il fatto che la mia morte e la tua (chiunque tu sia) sono “cose” diversissime, incommensurabili.
21 Giugno 2011 alle 12:40 pm
Ciao jf, bentornato. Mica chiara questa cosa che “ogni atto dell’esistenza di ognuno funziona così”, come funzia? Trovare una definizione passepartout (il tutto, l’insieme, l’evento, l’atto, il tempo di ecc.) è dire niente sul come funziona l’esistenza. Non ci prendere in giro, papu. Per quanto riguarda la morte, invece, qui serve una domanda: che cosa intendi per “morte”? Mi ha l’aria che tu parlando di cose diversissime stai parlando di vita. O no? Oppure hai informazioni mooolto interessanti… 😕
21 Giugno 2011 alle 1:43 pm
>la livella principesca (tutto muore, moriamo tutti) non modifica il fatto che la mia morte e la tua (chiunque tu sia) sono “cose” diversissime, incommensurabili
E’ proprio il punto che contesto. Come fa osservare mym 63, per affermare il contrario occorrerebbe avere “informazioni mooolto interessanti”. Viceversa, per quel poco che ne sappiamo, l’impressione è che avesse ragione Totò.
‘Personalmente’, poi, il personalismo (l’unicità, la irripetibilità…) mi stomaca. Di cose “nuove” non se ne vede una manco a piangere, come insegnava il buon Qohelet.
21 Giugno 2011 alle 2:33 pm
Ciao mym, non mi permetterei di prendere in giro questa compagnia cui, leggendo e scrivendo, appartengo… prenderei in giro anche me (le faccine continuano a essermi precluse). Non si tratta di definizioni passepartout: si tratta che in ogni atto dell’esistere parte e tutto concorrono: ogni atto (pensiero, parola, azione) è una parte, una frazione e in essa c’è tutta la mia vita e tutto il mio mondo – e qui sta la responsabilità e la morale… o no? Certo che quando parlo di morte ne parlo da vivo, quindi parlo di vita, di che altro si può parlare? La morte è impensabile, indescrivibile ecc… Però, ho visto persone morire e non sono morto: questo mi fa dire che la morte altrui è tutt’altro dalla mia. Banalità di base, lo ripeto, certo niente di nuovo, dhr, ma l’unicità, per stomachevole che sia, è nondimeno incontrovertibile… o no?
21 Giugno 2011 alle 2:51 pm
>l’unicità, per stomachevole che sia, è nondimeno incontrovertibile… o no?
la trovo sommamente “controvertibile”.
come insegnava il buon Leibniz, sono sempre gli stessi ingredienti che si rimescolano.
21 Giugno 2011 alle 3:17 pm
…e il “prodotto” è ogni volta differente (unico?) – hai mai mangiato due nespole identiche? mi piacciono le nespole…
21 Giugno 2011 alle 3:45 pm
Vabbe’, prendiamo atto che “si tratta che in ogni atto dell’esistere parte e tutto concorrono: ogni atto (pensiero, parola, azione) è una parte, una frazione e in essa c’è tutta la mia vita e tutto il mio mondo – e qui sta la responsabilità e la morale… o no? “.
A me pare che “parte” sia un’idea e che “tutto” sia un’idea e perciò il funzionamento dell’esistenza non c’entri né punto che poco. Tralascio di considerare anche “l’atto dell’esistere” perché mi … sfugge l’atto. Non posso però ignorare che responsabilità e morale qui c’entrano come i cavoli a merenda (che ci azzeccano con il funzionamento dell’esistenza?). Però non ho fatto il militare a Cuneo e, si sa, potrei anche sbagliare. Per quanto riguarda la morte finalmente ho capito: scrivi morte ma intendi vita. Potevi dirlo subito. Altrimenti sembra una presa in giro.
21 Giugno 2011 alle 3:52 pm
>…e il “prodotto” è ogni volta differente (unico?) – hai mai mangiato due nespole identiche? mi piacciono le nespole…
nespole, appunto.
il problema – cfr in parte mym 68 – è che farsene di queste nespole… tutte diverse, tutte uniche… tutte più o meno “inutili”?
21 Giugno 2011 alle 4:22 pm
Beh, prendo atto che non riesco a farmi capire… pardon, sarà perché non ho fatto il militare tout-court? Non insisto. Però una cosa ho da chiederla: come si fa a parlare della morte? Forse che dire “tutto muore” non è anch’esso un parlare di vivi, una constatazione di viventi e dunque un parlar della vita?
21 Giugno 2011 alle 4:35 pm
Come si faccia a parlare della morte non lo so e, per quel che vale, penso che non si possa neppure sapere: è quello che dico dall’inizio (cfr 42, 63…).
21 Giugno 2011 alle 9:43 pm
Tirando le fila (come quando si mangia la pizza), ma perché ci teniamo tanto a dialogare con i cristiani, se è così divertente battibeccare tra noi?? ma che si dialoghino da soli, che si!
21 Giugno 2011 alle 10:38 pm
Ciao, facendo il medico ho visto, com’è logico, molte persone morire. Ho assistito molti vicine alla morte, e mi è capitato di dover spiegare a qualcuno che la morte era vicina e che non c’erano speranze di guarigione.
E’ chiaro che nessuno ha mai fatto l’esperienza della morte; come diceva già Epicuro, la morte non è. Non esiste un momento preciso in cui si muore, dipende dalle definizioni, che cambiano nel tempo (ieri quando non batte più il cuore, oggi quando non funziona il tronco dell’encefalo ecc.) Se vogliamo restare su questo livello, l’unica descrizione possibile sta nei volumi di anatomia patologica.
Tuttavia un discorso sulla morte e sul morire è certamente possibile, anzi necessario. Dal modo in cui si considera la morte si capiscono i valori (o la barbarie) di un epoca e di una cultura. Oggi la maggior parte delle persone muore in ospedale, in un contesto tecnico, tra certificati, cateteri e non di rado in una situazione di abbandono non migliore dei poveri di Calcutta.
Ne si può dire che tutti muoiono nello stesso modo, indipendentemente dalla patologia, dal dolore che provano ecc. Mi è capitato ad esempio di assistere alla morte di una religiosa, di una sessantina d’anni, che si è spenta senza alcuna paura e nella certezza della fede in Dio (non è questa una “scelta di parte”, non ho mai visto nessun buddhista morire). E’ stato un morire degno, pieno di senso e significato, una testimonianza. Come si muore è importante, sia per chi muore che per chi resta. Purtroppo oggigiorno moltissimi sono privati della possibilità di scegliere come morire e di dare un senso alla loro morte, e questo è un segno di barbarie.
Scusatemi il lungo intervento, spero non sia del tutto fuori tema. Se è stato di una noia mortale, pardon
22 Giugno 2011 alle 10:42 am
Temo tu abbia ragione (Angelo 73) ovvero che come si muore è importante, ma non lo so: mi occupo di/del vivere sino all’ultimo.
22 Giugno 2011 alle 11:10 am
Vorrei tornare all’oggetto di questo post: il libro di Knitter. Scrivevo nel mio commento che «il percorso proposto da Knitter per “leggere” Dio con l’aiuto del buddismo, ovvero śūnya->Vacuità->Interessere->Dio porta a concludere che Dio pare ci sia ma in realtà non c’è. Non credo intendesse dire ciò». Siccome nessuno ha “abboccato” a questo amo, abbocco io. L’etimo più accreditato di śūnya è la sua derivazione da sh, soffio/are, per cui solitamente si dice che śūnya indichi, in senso etimo, qualche cosa che appare (molto) ma che sostanzialmente è poco o nulla, come una bolla, una cosa gonfiata. Perciò intendevo dire che, suo malgrado, Knitter ha ragione ma ha torto perché intendeva dire il contrario (cheffò, lascio?). A questo proposito, cioè sul tema “qual’è la posizione dei buddisti riguardo a Dio?” penso sia interessante, almeno per gli amanti del genere hard, sentire che cosa scrive Tirupattur Ramaseshayyer Venkatachala Murti in La filosofia centrale del buddhismo, Ubaldini, Roma 1983, p. 182 s.: «Fu la necessità logica di trovare un principio di mediazione tra l’Assoluto e i fenomeni a dare origine alla religione del Mādhyamika e all’accettazione di Dio. Non può esservi religione senza la coscienza di un essere trascendente. È necessario che venga avvertito un contrasto tra l’Essere supremo (Dio) e le creature finite. Le religioni semitiche -l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islamismo- esaltano questa diversità fino al punto di creare un varco incolmabile tra le due parti, la cui diversità è univoca ed eterna. Queste religioni sminuiscono e in alcuni casi ignorano il fatto fondamentale dell’affinità di Dio e dell’uomo come spirito. Dio e l’uomo non possono essere di genere diverso, poiché questo comporterebbe un’assenza di relazione: l’uomo non può adorare un semplice altro, e Dio non acconsentirebbe a salvare l’uomo. Qualsiasi relazione, anche quella tra adoratore e adorato, presuppone un’unità fondamentale che fornisce la base a queste diversità, che sono relative. Questo aspetto della religione viene messo in risalto dalle religioni filosofiche dell’India: il Vedānta, il Buddhismo ed anche il Jainismo. Dio e l’uomo non sono diversi. Ci si potrebbe chiedere come possa verificarsi la coscienza religiosa senza diversità, senza un contrasto tra l’essere trascendente e gli esseri finiti. Ma non è necessario che la diversità sia quella tra due cose eternamente diverse nel genere, ma solo di stati o stadi dello stesso essere; a sostenere la coscienza religiosa resta la percezione di un sufficiente contrasto tra l’ideale e l’effettivo. Una necessaria implicazione della non-diversità tra Dio e l’uomo è che entrambi devono essere considerati aspetti di un ente più basilare, l’Assoluto; essi sono apparenze e non entità ultime… »
22 Giugno 2011 alle 12:45 pm
Ciao Mym, su 74 non so se sono due cose diverse, forse sono importanti entrambe.
Su quello che scrive Murti, posso dirti che la presenza e la vicinanza di Dio nel mondo e nell’uomo mi pare un elemento fortissimo del cristianesimo, benchè non annulli completamente la distanza e la trascendenza divina. Basta leggere il Vangelo di Giovanni (stupendo,lo sto affrontando in questi giorni), a cominciare dal prologo ed al discorso a Nicodemo. L’aspetto interessante del cristianesimo a mio parere sta esattamente nel tentativo, molto difficile di tenere insieme trascendenza ed immanenza, differenza ed identità, senza sacrificare uno dei due poli. Anche se, va detto, conosco assai poco l’ebraismo e la sua evoluzione, forse anche in quel contesto Dio non è solo alterità…
22 Giugno 2011 alle 12:54 pm
Interessante che si possa pensare (ipotizzare?) che vivere e morire non siano due cose diverse. Riguardo a ciò che dice Murti mi pare che tu non colga il punto. Lui parla di Dio come di qualchecosa che… pare ci sia ma in realtà non è che si possa dire che ci sia, se non come apparenza. Perché, dice, Dio non è che l’uomo ad uno stadio superiore (e viceversa). Per cui … una bolla? Una stella? Una nuvola? Una goccia di rugiada? Non mi pare che Giovanni dica qualche cosa del genere. O no?
22 Giugno 2011 alle 1:53 pm
Per darti una risposta fondata dovrei prima leggere Knitter e Murti e pensarci su, ma per allora temo che essa sarebbe un po datata.
Dire che Dio è l’uomo ad uno stadio superiore è l’idea di Fuerbach, si avvicina molto all’ateismo tout court (religione per altro rispettabilissima).
Parlare di un ente più fondamentale di Dio non mi pare, così d’acchito, che abbia molto senso. Se si ragiona in termini ontologici, non si sfugge alla conclusione che l’ente fondamentale, il più basilare è Dio. Se si vuole, lo si può chiamare “Assoluto”. Certamente nel cristianesimo c’è anche la trascendenza, l’inconoscibile, il Padre che nessuno ha mai visto altrimente non è più cristianesimo direi.
22 Giugno 2011 alle 3:56 pm
Sì, in effetti leggere Murti servirebbe. Non è un autore qualsiasi, il testo di cui parlo è tutto dedicato alla scuola di Nagarjuna (a parte i capitoli di raffronto con Hegel). Il tuo parlare è troppo grezzo, temo, per il tema. In particolare rivedi che cosa ha o non ha senso, ciò che non sfugge, che cosa significa qui ragionare in termini ontologici, cosa significa, invece, per Nagarjuna e le conseguenti logiche.
22 Giugno 2011 alle 4:01 pm
Penso che Knitter “ha ragione ma ha torto perché intendeva dire il contrario” (mym 75) perché ontologizza il vuoto, ne fa un ente negativo, un’assenza sostanza se mi si passa l’assurdo. Di questo passo il cristianesimo per salvare capra e cavoli finirà per postulare il “vuoto persona” passando dalla trinità alla quaternità (già Jung lo aveva proposto, ho sentito dire). Ebraismo e islam sono rigorosamente dualisti, qui l’uomo, là Dio, l’uomo fa la sua parte per mettersi nella posizione giusta e aspetta e spera che Dio lo salvi, ma in fondo si occupano dell’uomo (la faccio semplice). Il cristianesimo escogita Cristo come ponte relazionale e inventa la trinità, mossa geniale finchè ha funzionato. Ma nulla dura in eterno, neppure una geniale teologia. E non c’è tre senza quattro… Oggi va forte il vuoto, come quarto comodo. Il buddismo mi pare assuma tutt’altra posizione, dicendo “non-due” pone la questione in altri termini e prende posizione (propone una posizione) senza obbligare a scegliere un’opzione. Da quando l’ho sentita “non-due” mi è parsa la posizione più saggia: devi rinunciare a dire la tua, ma almeno poi non sei costretto a difenderla finendo per dire assurdità. Certo bisogna fare attenzione a non far diventare “non-due” un surrettizio tre (o uno, o zero).
22 Giugno 2011 alle 4:15 pm
Ciao per leggere quel brano in chiave Nagarjuna (ontologia in chiave non ontologica) mi servirà un po più di Murti temo. Come si dice nella bergamasca, o felè fa il tò mestè, almeno da un certo punto in poi…
22 Giugno 2011 alle 4:19 pm
Qui ci sta bene -speriamo- una citazione: “L’appellazione cessa con l’assenza dell’oggetto del pensiero. L’assoluto [dharmatā nell’originale sanscrito. mym] come essenza di tutte le cose non nasce né cessa di essere” Mādhyamakakārikā XVIII, 7, tradotta da Murti. Gnoli invece: “Distrutto l’oggetto del pensiero, l’oggetto esprimibile verbalmente è distrutto. La vera natura delle cose [idem. mym] è non prodotta e non distrutta”. E poi, sempre da Nāgārjuna secondo Murti, contestando Hegel e il Jainismo: “La sintesi delle visioni è solo un’altra visione.” E poi conclude (riassumo) con: ogni punto di vista apparecchia un conflitto.
L’argomento è la potenza liberante di prajñā in quanto śūnya (o viceversa).
22 Giugno 2011 alle 4:28 pm
E’ proprio qui (mym 82, grazie!) che i cristiani occidentali vanno in sofferenza. L’assenza di oggetto del pensiero la vivono come una castrazione, non come un refolo di libertà.
22 Giugno 2011 alle 4:31 pm
Libertà è più facile immaginarla che viverla.
22 Giugno 2011 alle 4:53 pm
>Ebraismo e islam sono rigorosamente dualisti
smorzerei quel “rigorosamente”. l’islam lo conosco poco, ma l’ebraismo lo frequento un po’ di più, ed è piuttosto molteplice e flessibile.
23 Giugno 2011 alle 10:07 am
Per rinfocolare un po’ di polemicuccia (jf 83): basandomi sulla mia limitata e non sempre benevola esperienza, penso che i cristiani (i cattolici?) quando parlano del silenzio non abbiano sufficiente penetrazione, conoscienza. Mi piacerebbe (un interlocutore valido è un piccolo grande tesoro) essere smentito ma non conosco alcun cristiano che sappia fare davvero zazen. Sarebbe forse un ossimoro?
Sul fondo del mare ci sono pesci oscuri. Sotto non più.
23 Giugno 2011 alle 11:20 am
>i cristiani (i cattolici?) quando parlano del silenzio non abbiano sufficiente penetrazione, conoscienza
Scherzi?? Enzo Bianchi è continuamente in radio e in tv a esaltare il valore del Silenzio!!
23 Giugno 2011 alle 11:28 am
Eeeeh… Sì ma… Uuuh… Ci sono certe ECCEZIONI che si potrebbero anche fare. Volendo.
23 Giugno 2011 alle 11:44 am
“Rabbi, insegnami il valore del silenzio.”
Il Rabbi non rispose.
23 Giugno 2011 alle 11:49 am
Forse perché non sta bene parlare a bocca piena…
23 Giugno 2011 alle 12:44 pm
Forse la questione non arriva fino a domandarsi se ci siano cristiani che sanno fare zazen ma si arresta a un preambolo: ci sono cristiani (cattolici? occidentali?) che vogliono (vorrebbero) davvero fare zazen? Che sono davvero disposti a buttar via il pensiero, anche quello di Dio? Che ne sentono l’urgente bisogno? In fondo all’acquario i pesci sono illuminati bene, ma sotto non c’è niente: dall’acquario prima o poi bisogna uscire.
23 Giugno 2011 alle 12:51 pm
Non si è mai visto un pesce, ma che fosse davvero un pesce, che aspirasse ad uscire dall’acqua(rio).
La parabola della sparizione dei pesci.
E dell’acquario.
23 Giugno 2011 alle 1:57 pm
Buongiorno, se uno mi chiedesse se sono cristiana o buddista non saprei proprio cosa rispondere, ma occidentale penso di esserlo ( non fosse altro che per nascita e residenza), come penso lo siano i frequentatori abituali di questo sito…. Mi sorge allora spontanea questa domanda curiosa: o ben che jf e mym, non so come, non sono più occidentali, o ben che non sanno o addirittura non vogliono fare davvero zazen..
La qual cosa mi darebbe da pensare non poco!!
23 Giugno 2011 alle 2:36 pm
Buongiorno, Marta. Pour ce qui me concerne, laddove ho scritto “occidentali” (91) lo intendevo come ulteriore specificazione di “cristiani”, ergo nel senso di “cristiani occidentali”, ritenendo che “noi” occidentali siamo più affezionati all’ equazione essere=pensiero di quanto lo siano gli orientali e dunque meno disposti almeno teoricamente all’abbandono del pensiero per paura di “perdere” l’essere, soprattutto se cristiani, non di rado coinvolti anche nella problematica del “pensiero di Dio”, inteso non solo nel senso di “pensiero su Dio”.
23 Giugno 2011 alle 3:05 pm
Personale, no, brutto.
Morte, no, brutto.
Io, no, solo se a perdere.
Occidentale, no, ma anche si.
Buddista, dipende.
Pensiero, no, solo se non-pensiero.
Cristiano, per forza, ma anche no.
Vita, si, quale?
Azione, si ma…
Attaccamento, proprio no, eppure sì
Un’etica che procede per scarto semantico fa male. Un’ignoranza, la mia, che isola.
Allora zazen, dove c’è l’isola che non c’è.
Ehhh, sì, pare facile. Dipende come.
Come, come, come. Un vita intera.
Saluti.
23 Giugno 2011 alle 3:26 pm
Occidentale?
cristiano?
buddista?
mym?
Ciao AHR.
Su, dai le carte che toccatté!
23 Giugno 2011 alle 10:06 pm
Citazione per citazione,
Nell’eremo del sesto patriarca Hui Neng si disputava se fosse la bandiera a muoversi o il vento, Hui Neng disse “E’ la vostra mente che si muove”.
24 Giugno 2011 alle 10:16 am
Ciao Nello. Anche secondo me siamo (eravamo?) da quelle parti.
Ciao Marta. Quando dicevo “penso che i cristiani (i cattolici?) quando…” mi riferivo a “loro”. Che distingue e separa da “noi”: i giusti, gli illuminati, gli esperti del silenzio. La cosa non è bella e giustamente tu ci rimetti assieme.
Però, anche se s’usa dire che “di notte tutti i gatti son bigi” sappiamo che non è proprio così. In particolare
Cosa stavo dicendo?
AHR, mannaggia, le voi dà ‘ste carte onnò?
24 Giugno 2011 alle 10:33 am
Le carte le darei pure ma, ahimé! (me proprio, personalmente, e non altri) il tresette, la briscola e la scopa, è cultura (dalle mie parti proprio, altrove non so) che comporta bevuta, malaparola e un affettività che scivola facilmente nell’attaccamento. Insomma tutto un dolore. E quindi: No, brutto. E poi magari dopo ci si scambia pure amicizia su FB. No, no.
Cmq a parte gli scherzi, volevo dire, anche se questo non è il post giusto forse, che ho terminato la prima lettura del librocommento su Sutra del Diamante (altrove noto, evidentemente, anche come Sutra del Lotto) e, dunque, volevo ringraziare. Ben fatto. Ora si tratta di passare allo step 2, quello in cui l’espressione dovrebbe diventar corpo. Lettura bellissima. E faticata. Intanto vado a comprare le carte e preparo i secchi dell’acqua.
24 Giugno 2011 alle 10:34 am
Scusate, pare una battuta ma è un refuso. Intendevo Sutra del Loto, ovviamente.
24 Giugno 2011 alle 10:49 am
Caricaaaaaaaaaaaaaaaaa!
(101)
24 Giugno 2011 alle 10:50 am
@AHR 100
naaa, perché lo hai corretto? era favoloso! (da “rivendere”, ovviamente)
24 Giugno 2011 alle 10:51 am
Ben detto subbutti, ben detto.
AHR: appena son pronti i secchi avvisa, eh!
Comunque: non esiste lo step 2.
Op op op!
24 Giugno 2011 alle 10:53 am
Grazie Dhr, come sempre mi tiri fuori dai casini. Rischiavo il cartellino rosso ma ora dopo la carica dei 101, be’ …
24 Giugno 2011 alle 11:04 am
Appunto! e poi mi ci vedi, a me? Passo incerto di default (se ricordi la mia gamba a 100gradi!) 😉
24 Giugno 2011 alle 11:09 am
Il commento 105 è annullato.
Peccato. Dipendesse da me anche l’autore sarebbe a rischio.
24 Giugno 2011 alle 9:36 pm
Certo che ne fate di confusione quando vi mettete!
Vorrei tornare un attimo al discorso precedente, giusto per togliermi un sassolino dal piede..
Scusate, ma avete voi, esperti di ..ecc ecc., il metro per misurare quando si fa ‘davvero’ zazen?!?
Mi vergogno un po’ a dirlo, ma messa così la cosa, comincio ad avere qualche serio dubbio su quello che faccio quando ‘mi siedo’. Per fortuna non c’è nessuno a controllarmi!
26 Giugno 2011 alle 10:25 am
mi spiace non poterti ripondere, Marta. è che le uniche occasioni in cui sono “seduto, profondamente concentrato” è quando……………..
26 Giugno 2011 alle 12:25 pm
Dhr… Ti metto dietro alla lavagna.
Marta non ci fossi occorrerebbe inventarti. E dico poco se dico poco. Noi “esperti di ecc. ecc.” non solo non abbiamo il metro per misurare quella cosa lì ma neppure possiamo dire come si misurerebbe. E neppure possiamo dire se una persona “fa” davvero zazen oppure no. Il problema è inverso: ascoltando parlare una persona di CERTI ARGOMENTI (chi ha occhi per leggere legga) si capisce (almeno noi “esperti di ecc. ecc.” siamo convinti di capire) se quella persona parla come uno che “fa” davvero zazen oppure no.
26 Giugno 2011 alle 5:02 pm
Ah bè, allora, se è così, sto ‘quasi’ tranquilla!!
Ciao
26 Giugno 2011 alle 6:48 pm
è nato il Bohddismo zen.
26 Giugno 2011 alle 7:31 pm
Quello c’era già, come si sa. In questo caso, seppure sembri, è un’altra cosa. Fare zz è cosa privatissima, nessuno può vedere lo zz di un altro. Però si possono valutare le sue parole a proposito. Nessuno può dire se qualcun altro è stato davvero in piazza de la Contrescarpe ma se mi si racconta che la vista sul mare che se ne gode è splendida…
26 Giugno 2011 alle 7:58 pm
… in compenso il torracchione medievale è uno spettacolo.
ora vado a fare zzzzzzzz…
26 Giugno 2011 alle 8:02 pm
Non ci sei stato! non ci sei stato! Pappappero
26 Giugno 2011 alle 8:54 pm
E pensare che gli bastava digitare il nome della place su google per vedere che di torracchioni medievali manco l’ombra, ma forse si è fidato del nome, contrescarpe, dunque una specie di contrafforte, dunque torracchione medioevale. O forse è un detournement nel detournement, chissà. Comunque, pensa te che si può combinare straparlando di zazen, che se lo digiti su google non esce neppure una foto o una piantina…
26 Giugno 2011 alle 9:20 pm
Grazie jf. Prezioso il richiamo a google. Riporta il senso al punto.
A capo.
26 Giugno 2011 alle 9:30 pm
116: chiedo soccorso all’Aci!
27 Giugno 2011 alle 10:27 am
Buongiorno, l’arrampicata al Gran Sasso di ieri mi regala l’audacia per dire qualcosa. Poco, in verità. La metafora della piazza non mi convince molto. Se esiste una piazza con quel nome e l’esperto è esperto perché ci sta, allora potrebbe benissimo indicare il percorso per poterla raggiungere, ammesso che l’interlocutore lo abbia chiesto. Certo il rischio di importunare è grande. Comunque se l’interlocutore chiede com’è la tale piazza, non è vero che l’esperto non può dirlo. Tant’è che a dhr abbiam risposto che non c’è stato.
Saluti.
P.S.
Spero che l’arrampicata al Gran Sasso (non la cima ma fino 2700m) mi valga come il su e giù per le scale con i secchi d’acqua.
27 Giugno 2011 alle 10:41 am
I secchi tienli lì, che non si sa mai.
Per non dirti (non mi piace ripetermi troppo spesso) che in certi casi il silenzio è d’oro, ti consiglio di rileggere il trend che ci ha portati in quella tal piazza.
-Non ci sono cristiani (a mio dire) che sappiano davvero fare zz.
-Come si può dir così? Gli esperti hanno un metro per misurare una cosa del genere? (Marta).
-No, rispondo, gli esperti non hanno quel metro né sanno dire se una persona sa fare davvero zz. Però se qualcuno parla di zz, da come ne parla si capisce se lo sa fare davvero oppure no (dico io).
-Al che Marta mi pare perplessa.
-dhr la butta in burla.
-Specifico che cosa intendo con la metafora della piazza famosa ma sconosciuta ai più: se uno dice (di fronte a chi c’è stato davvero) monate sulla sua collocazione chi c’è stato capisce che non c’è stato (spiegazione della metafora: ecco perché si capisce che non ci sono cristiani che sappiano fare davvero zz: quando ne parlano dicono mon… tagne di imprecisioni).
-Ora dimmi, che cosa c’entra: “l’esperto è esperto perché ci sta”, “potrebbe benissimo indicare il percorso per poterla raggiungere”, “non è vero che l’esperto non può dirlo”?
La metafora andava bene per spiegare quello che avevo detto. Come ogni similitudine/metafora non va bene per ogni spiegazione. Quando Gesù diceva “lascia che i morti seppelliscano i morti” faceva un riferimento alla macumba?
Comincia a riempire i secchi: una bella andata e ritorno sul Gran Sasso…
27 Giugno 2011 alle 11:05 am
Pardonnez moi.
I secchi sono pronti. Quando ho finito, a quel punto, faccio pure un salto a Parigi cerco la piazza e svuoto nella fontana le “pommes de pin” che affardellano la mia testolina.
27 Giugno 2011 alle 11:08 am
Pardonét. (Il barese a Parigi)
27 Giugno 2011 alle 12:10 pm
però, mentre noi si sta qui ad ammazzare il tempo (che non è un crimine, in assenza della vittima), un bel giorno arriverà anche la contro-risposta di p. Luciano o che?
27 Giugno 2011 alle 12:36 pm
Il problema è anche questo. Nel dialogo una parte importante è accettare il confronto pubblico. Se facciamo l’elenco dei preti cattolici disposti ad accettare un confronto pubblico… non abbiamo bisogno di usare la seconda facciata del francobollo.
Forse se qualcuno postasse qui un commento invitando p. Luciano… Sarei felicemente smentito.
27 Giugno 2011 alle 12:54 pm
vado ed eseguo!
27 Giugno 2011 alle 12:58 pm
che???!!! occorre farsi dare un’ALTRA password per poter inserire commenti nel sito Vangelo e Zen???
che se ne andassero pure al diavolo, loro e il dialogo.
27 Giugno 2011 alle 4:11 pm
dhr non fare lo sciocchino. Perché stupirsi e mandarli? È un altro sito, come qui serve la pass.
La pigrizia…
27 Giugno 2011 alle 4:38 pm
Però anche provandoci e cliccando “subscribe to posts” o “subscribe to comments” si spalancano pagine di caratteri e ideogrammi in marmellata che non danno adito a procurarsi una pass. Le vie del dialogo sono imper-vie. Dov’è finita la pace agli uomini di buona volontà…?
27 Giugno 2011 alle 5:01 pm
Vabbe’, trote, delfini… tutti all’acqua pazza.
Chi si vuole loggare nel sito Vangelo e Zen può passare di qui.
28 Giugno 2011 alle 4:36 pm
Visto che Luciano non viene alla Stella, la Stella va a Luciano. Vi è qui un articolo -intitolato Cristiano… buddhista diviso in 7 parti separate, sul dialogo cristiano-buddista. Lo trovate anche qui, completo, in formato pdf. È incrollabile in Luciano la convinzione che «Noi chiamiamo cammino religioso la ricerca verso il senso ultimo della realtà. L’uomo percepisce che l’esistenza è imperniata nella tensione all’ultimità» e quindi che nel buddismo e nel cristianesimo vi è «l’identica serietà con cui ambedue perseguono il senso ultimo della realtà». Ed ancora «L’uomo odierno è maturato alla convinzione che la realtà non è dicibile con il solo concetto di persona; ma c’è un’alta presenza fondante, più profonda dello stesso aspetto personale. E, questa, la natura: il riferimento santo della spiritualità orientale» per cui: «oggi, l’umanità non ritiene più l’impermanenza come una negatività o un difetto che rimanda a un altrove e a un altronde, dove invece le cose sarebbero eterne e perfette. Piuttosto, l’impermanenza è compresa come una qualità materna della natura stessa che, come madre, invita ad apprezzare ogni attimo fuggente come una foglia che danza la vita. L’impermanenza dice colorito, mutevolezza, spontaneità, umiltà; dice soprattutto calore». L’impermanenza come qualità materna della natura. Soprattutto calore. Molto bello.
Ma il buddismo…
Non posso dire nulla altrimenti Marta me ne dice di tutti i colori.
28 Giugno 2011 alle 4:57 pm
>L’impermanenza come qualità materna della natura
… che è il lato A. poi c’è il lato B.
cfr Leopardi, Giacomo, “Dialogo della Natura e di un Islandese”.
28 Giugno 2011 alle 5:41 pm
Ne facessi una giusta.
Dicevano al pastore errante…
28 Giugno 2011 alle 9:12 pm
Non so perchè, ma ho come la sensazione di essere chiamata, sia un po’ ‘velatamente’, in causa…
Sarà per le mie ‘frequentazioni’ cristiano-buddiste !?! ( Ma.. chi ha fatto la spia?? )
Scherzi a parte, l’ arogemento mi interessa, anche perchè torna ripetutamente acnhe negli incontri a cui partecipo, ma mi rendo conto che non riesco ad avere ‘opinioni’ intorno a ciò …
E mi viene in mente quello che mym ha scritto nel post all’ inizio e cioè ‘ …direi che il dialogo esiste nel percorrere un tratto di strada assieme ecc..’ e a questo mi sento di aderire …
28 Giugno 2011 alle 9:33 pm
Ben detto, dhr 130. Merci, non conoscevo il testo leopardiano che citi, che, verso la fine, recita:
“Natura. Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest’universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera, che ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento.
Islandese. Cotesto medesimo odo ragionare a tutti i filosofi. Ma poiché quel che è distrutto, patisce; e quel che distrugge, non gode, e a poco andare è distrutto medesimamente; dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell’universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono?”
La Natura non risponde. Il buddismo neppure, men che meno con l’ideologia naturista cara a Luciano. Zazen si situa qui, in questa non risposta, altro che colorito calore.
29 Giugno 2011 alle 10:13 am
Una volta (quando ancora si ascoltava la radio perché la tivì a casa non c’era) vi era una pubblicità con un ritornello che (più o meno) faceva: “che calor, che calor che passare fa il dolor: con TermoZen!”.
Per tornare ai leopardiani rovelli, all’islandese (chissà che ci azzecca…) chiederei: ma perché “cotesta vita ecc. ecc.” dovrebbe piacere o giovare a qualcuno?
Marta: ribadisco e concordo volentieri, percorrere un tratto di strada assieme. Senza stravolgere o distorcere per far apparire secondo la propria ricetta religiosa.
29 Giugno 2011 alle 10:54 am
>ma perché “cotesta vita ecc. ecc.” dovrebbe piacere o giovare a qualcuno?
La risposta può non esistere, ma la domanda è legittima. Se Shakyamuni non se la fosse posta, non avrebbe formulato le 4 nobili verità.
29 Giugno 2011 alle 11:00 am
Naaaa. Tutta ‘naltra storia. Non si tratta di perché. Ma: visto che c’è “danno e morte di tutte le cose” vediamo di darci ‘na mossa. Se interessa. Altrimenti potete pure andare a sbroccolare l’anima a qualcun altro…
(Si sa, i bodhisattva di 2500 anni fa usavano un linguaggio molto “alla mano”…)
29 Giugno 2011 alle 11:07 am
In francese “zen” è diventato un aggettivo di uso comune, indica l’atteggiamento noncurante (insoucieux) di chi non fa problemi e prende tutto come viene… Chissà perché… non ho mai conosciuto gente meno “zen” (alla francese) degli zen, e ne conosco parecchi a est e a ovest… degli autentici rompi…zen! Dev’essere questo vezzo spontaneista naturista che tanto piace ai cristiani nostrani, stanchi di diopadreonnipotente che prima li crea e poi li castiga in quanto creature.
29 Giugno 2011 alle 11:15 am
Proprio ‘nooso com’è. Però mo’ che famo il monastero ggiusto pe’ li tipi ggiusti la prima reggola sarà: vietato immaginare lo zen. Altrimenti chiamo il diopadreonnipotente, che ti fa tottò!
29 Giugno 2011 alle 1:36 pm
Considerando mym136, allora, è possibile delineare la differenza etica dell’operare dell’uomo cristiano e buddista?
1 Luglio 2011 alle 5:45 pm
Domanda:
Pessimismo cosmico e idee romantiche (così mi sembra interpretato qui il “calore” espresso da Luciano)non sono entrambe prese di posizione?
1 Luglio 2011 alle 7:44 pm
il silenzio che ha accolto i post nn. 139 e 140 è sicuramente da attribuire ad arcana saggezza apofatica…
1 Luglio 2011 alle 10:50 pm
@141: oggi lo chiamano mobbing 🙂
forse dovremmo smettere con le domande oziose (ad esempio nel mio caso) e magari fare, se proprio necessario, le domande giuste (da tipi ggiusti). Oppure il silenzio. Ma spesso nu’ je la faccio. Je la farò.
Cmq credo che tu, dhr, possa dare indicazioni in proposito. Intanto mi ascolterò Curami (CCCP), chissà…
2 Luglio 2011 alle 6:44 am
Caro AHR, incoraggiato dal fatto che condividiamo il 66,6% del nickname, ci provo…
A 139: boh
A 140: no, sono due prese per il…
2 Luglio 2011 alle 12:10 pm
a 143
Forse, penso dipenda dalle intenzioni..
Dopotutto anche questo spazio potrebbe essere una presa…di posizione:-)
3 Luglio 2011 alle 3:24 pm
Buondì a tutti. Sono silente perché scollegato (sto usando PC e linea del giornalaio…). Tornerò, tornerooooo
3 Luglio 2011 alle 4:00 pm
Ossetornerò
3 Luglio 2011 alle 4:14 pm
abbiamo ufficialmente la prova che mym non è uno di “coloro che non più ritornano”. tsk tsk, lo abbiamo fatto studiare tanto, per cosa?
3 Luglio 2011 alle 4:17 pm
@dhr: cosa gli dai da mangiare alla tua mente?
3 Luglio 2011 alle 5:52 pm
@AHR: vado direttamente in endovenosa
4 Luglio 2011 alle 4:08 pm
Gesù.
Mi sa che non torno.
4 Luglio 2011 alle 4:29 pm
ossapeve ie! scusa mym. non posto più nulla ma torna.
4 Luglio 2011 alle 5:01 pm
dall’edicola votiva cattolica all’edicola dei giornali buddista… questa secolarizzazione che avanza…
6 Luglio 2011 alle 2:32 am
Infatti.
Credendo uomo veramente spirituale chi non aderisce a nessuna Religione o Chiesa fare il ‘monastero ggiusto’ sarebbe la fantastica utopia di una civile secolarizzazione della società. Un ritrovo di amici dove consolarsi della “verità” ed evitare al prossimo l’amarezza della conoscenza contemplativa: un gigantesco orfanotrofio per adulti!
Però la “socialità” di un individuo dipende dall’apparato economico di provenienza a cui non interessa l’individuo.
Silenzio
Buddha-Gesù
Società del frastuono
6 Luglio 2011 alle 7:25 am
oh, bentornato homosex.
ero lì-lì per fare un (ennesimo) OT e chiedere al mondo che fine avessi fatto.
6 Luglio 2011 alle 1:26 pm
Grazie, dhr.
Sono diventato un lurker da quando mi sono disintossicato e
liberato degli ipnotici sofismi di un vecchio mago. Il venir meno del sentimento religioso produce “squilibri filosofici” e conduce a personalismi deteriori e personalità storicamente decadute. I concetti giuridici derivano storicamente da quelli teologici e rendono visibili, incarnandoli, i rapporti teologici. Però la tradizione religiosa ignora il contrasto sempre più stridente tra l’uomo elementare e la complessa macchina moderna. Il futuro non si identifica più con il luogo della redenzione e del compimento del perfezionamento: i “singolari collettivi” – concetto storico fondamentale – hanno subito un mutamento semantico…
6 Luglio 2011 alle 3:37 pm
Ciao homosex! Nonècche mi mancavi però…. dove mai avremmo trovato (se lo leggevo prima lo usavo al posto della Pantomima) il “gigantesco orfanotrofio per adulti”….
Eppoi “Però la tradizione religiosa ignora il contrasto sempre più stridente tra l’uomo elementare e la complessa macchina moderna” è vero. Pare banale, non è cosa dappoco. E se per vivere il fatto religioso -hm hm…- fosse necessario risolvere questo contrasto?
PS: è da molto che lurkavi?
PPS: 139 e 140, tempi tecnici e li accudisco.
PPPS: sono tornato.
6 Luglio 2011 alle 4:41 pm
Ciao homosex, mi sono documentato (su wikipedia, dove se no?) ignoravo cosa fosse un lurker, mi pare una figura nobile, una specie di testimone silente e responsabile, presente senza invadenza. Mi piacerebbe essere un lurker. Orfanotrofi per adulti ce n’è di ogni taglia, si va dal bilocale in su, e gli adulti per orfanotrofi abbondano.
6 Luglio 2011 alle 5:49 pm
@156
Giustappunto.
Vorrei patteggiare uno sconto di pena.
Dopo la scalata montanara, le scale con i secchi, ho aggiunto lo scarico di un container di 40hq.
Che faccio lascio? O prenoto un monolocale nell’orfanotrofio per lurker?
6 Luglio 2011 alle 5:56 pm
Prenota, prenota, ‘unsisammai…
6 Luglio 2011 alle 6:43 pm
E’ da un po’ che lurko. Il ’libbro non l’ho letto ma pare la solita zolfa: tramonto della metafisica, crisi dell’ideologie, mancanza dell’ assoluto etc.
OT
La società del frastuono è inimaginabile per un qualsiasi uomo del mondo antico.Il patrimonio concettuale futurologico si è capovolto in fattore di accelerazione del tempo storico orientato all’annientamento della vita e alla paralisi dell’azione. Le ‘verità’ riposte nel domani non fanno presa sull’”oggi” ma coartano l’individuo a spostare continuamente la prospettiva su un orizzonte-futuro (costantemente-rinviato) . Le religioni assecondano questa tendenza annichilendo un concetto alternativo di azione programmatica verso il futuro (non si sa come potrebbero intervenire sul corso degli eventi)
PS: nella società del frastuono la solita sirena coi baffi canta in sirenese un verso non proprio da sirena:
‘Pryntyl, smack smack glu glu !!!’
7 Luglio 2011 alle 12:36 am
Il rapporto tra l’uomo elementare e la complessa macchina moderna segna il punto in cui passato e futuro divengono inconciliabili.
Là dove la rammemorazione diventa incontrollata il futuro è soffocato dal passato che nel ricordo continua ad essere presente frenando ogni articolazione dell’agire.
Insomma, il capitano dalla testa di morto ha la pretesa di trasformare la potenza tirannica in sapienza filosofica, la forza fisica in fortezza morale, la vitalità dionisiaca in temperanza apollinea e la sopraffazione sui deboli in giustizia regale (la vecchia storia della colonizzazione dell’avvenire con progetti incoerenti, irrelati e non futuribili).
Mentre l’attuale apparato economico monopolizza l’agire al “successo” professionale e all’accumulo tendenzialmente illimitato, fine a se stesso, un generale svuotamento di senso e di disumanizzazione del mondo, privo di un senso trascendentale, attesta i tratti della irrazionalità ben più di quelli della razionalità.
PS: non è che volessi scrivere un commento inadeguato al topic: è che non ho letto il libro!
Buddha al servizio di Gesù al servizio del capitalismo? Meglio se continuo a lurkare…
7 Luglio 2011 alle 6:59 am
>Insomma, il capitano dalla testa di morto
Capitan Harlock?
… o il Teschio Rosso?
7 Luglio 2011 alle 9:19 am
Il libro io ho finito di leggerlo con gran fatica, dovuta non solo e non tanto alla mole e alla prosa scanzonata eppure prolissa, quanto a un disagio di fondo che il commento di hmsx, che pur non l’ha letto, rende bene: “Buddha al servizio di Gesù al servizio del capitalismo”. In fondo è solo un tentativo di restare nel giro, non di uscirne né men che meno di spezzarlo: davvero è meglio continuare a lurkare…
7 Luglio 2011 alle 2:10 pm
Ma chi dice di lurkare, lurka?
Urca!
7 Luglio 2011 alle 2:51 pm
Pienamente d’accordo con jf 163 e indirettamente con HMSX.
Non ho finito la lettura, ma credo proprio che il finale non mi riserverà grandi sorprese nè mi svelerà l’identità dell’assassino.
Solo due cose:
1) la frase riportata sul retro copertina, firmata J. Ratzinger, è semplicemente esilarante. La ricopio per chi di Voi non abbia il libro sottomano: “Knitter opta per una semplificazione radicale del dialogo interreligioso e al fine di renderlo effettivo lo fonda su un unico principio: “il primato dell’ortoprassi rispetto all’ortodossia”. Questo modo di porre la prassi al di sopra della conoscenza è una chiara eredità marxista.”
7 Luglio 2011 alle 2:53 pm
2) MA CHE COSA INSEGNANO NELLE PRESTIGIOSE FACOLTA’ DI TEOLOGIA CRISTIANA ?!?!?
7 Luglio 2011 alle 4:50 pm
già, doc, guarda com’è ridotto chi ci è passato…
7 Luglio 2011 alle 4:59 pm
Teschio Rosso vs capitan Harlock.
TR tutte le cose grandi sono caricature mostruose e terrificanti
CH infatti una tale mostruosa caricatura è stata la filosofia dogmatica, per es., la dottrina dei Vedanda in Asia e il platonismo in Europa
TR yawohl! L’errore peggiore, ostinato, pericoloso è errore da dogmatici
CH già… l’invenzione platonica del puro spirito e del bene in sé, la ridicola credenza in un mondo ideale puramente spirituale più vero di quello che vediamo e che sperimentiamo con i nostri sensi…
TR ..posto a fondamento e a guida del grossolano mondo terrestre! Ahahaha..’
7 Luglio 2011 alle 5:02 pm
Non sono (più) uno studioso di Marx, però nella cultura marxista di una trentaquarantina d’anni or sono il richiamo alla prassi che supera la teoria e quindi la ricerca di un’ortodossia, era pane comune…
Tra l’altro, l’anno scorso, mi venne mossa la stessa “accusa” da parte di un marxista quando parlai della importanza primaria dello zazen rispetto a tutto il resto.
7 Luglio 2011 alle 5:25 pm
Il tratto che accomuna il capitalismo alla prospettiva cristiana è l’aver riposto il significato ultimo delle cose in una dimensione che, comunque la si concepisca, non coinciderà mai in senso pieno con il presente. Per la prospettiva cristiana il senso dell’agire si perfeziona in un altrove oltremondano e trascendentale (il Paradiso); per la prospettiva capitalista in un futuro mondano, ma sempre differito, dunque anch’esso, a suo modo, trascendentale.
In entrambe le prospettive la dimensione del presente, della piena contemporaneità con se stessi e il proprio agire hic et nunc, ingloba il ‘non ancora’, il mondo platonicamente chiamiamo Essere, Bene, Verità, Giustizia, e che biblicamente ha assunto il volto personale di Dio, il quale, lungi dal “risvegliare”, ha precipitato l’umanità in un lunghissimo sonno dogmatico.
Non c’è niente da svelare e scoprire per essere svegli, nessun eureka a garanzia dell’egregora.
7 Luglio 2011 alle 5:50 pm
168: un Dialogo quale Platone non avrebbe mai osato immaginare (peggio per lui)
7 Luglio 2011 alle 6:58 pm
Teschio Rosso vs Capitan Harlock 2
CH la falsa credenza di un mondo più vero oltre quello sensuale è l’eredità platonica del cristianesimo; l’oppio usato come instrumentum regni per tenere a bada il popolo e per tenere a freno i potenti; per esercitare sui pretesi superuomini di ogni tempo una funzione moderatrice di (in)trattenimento e di calmante, l’unica in grado di trasformare un tiranno feroce in un saggio sovrano..
TR ahahah! se il cristianesimo è il platonismo per il popolo, a maggior ragione il platonismo è l’oppio per il superuomo!
7 Luglio 2011 alle 7:16 pm
>il platonismo è l’oppio per il superuomo!
L’intervallo nell’attesa spasmodica della controreplica di p. Luciano sta regalando chicche preziose.
Internet è l’oppio del platonismo.
8 Luglio 2011 alle 12:37 am
Il Dharma del vangelo inquinato dal platonismo?!
L’ortoprassi del Cristo posta al di sotto della conoscenza?!
Il Regno dei cieli è un altro modo di dire Nirvana?!
Sembrerebbe un buon assist: ma non passa un cristiano da queste parti!
8 Luglio 2011 alle 12:51 am
ma non passa, un cristiano, da queste parti!
8 Luglio 2011 alle 12:39 pm
@ 139 La differenza principale tra la morale cristiana e quella buddista è che in area mentale cristiana si pensa che ci sia un Dio mentre in area mentale buddista… si tergiversa sino a che si passa oltre. Così i cristiani credono che la morale sia contenuta in quelle fantasie? Idee? Ispirazioni? che chiamano il “volere di Dio”, il “pensiero di Dio” ecc. e che pare tutti i preti conoscano: specialisti nello spiegare quello che Dio vuole e pure quello che non vuole da noi. Irritante.
I buddisti paiono più liberi nel sapere volta per volta come fare, basta evitare il male e, prima di compiere il bene ripulire ben bene le proprie sciocche intenzioni.
Come si fa per sapere qual è il male, e quindi quello che è da evitare e il bene, e quindi ciò che è da compiere con attenzione?
@ 140, sei molto generoso. Comunque anche le smanie e le fantasie possono essere definite “prese di posizione”.
8 Luglio 2011 alle 7:40 pm
La razionalizzazione che diversifica l’Occidente dalle altre civiltà è la “secolarizzazione” (il processo storico-religioso di disincantamento del mondo).
Nel passaggio alla modernità la dimensione storica si trasforma in una necessità processuale assoluta, onnipervasiva della realtà, orientata unidirezionalmente verso un futuro assiologicamente positivo (l’accadere si configura come un progresso lineare).
La fede in Dio favorisce questa struttura del tempo postulando un alto ottimismo (si crede che Dio è destinato a trionfare essendo l’inizio, la fine e il fine – insomma, un giorno il redentore dovrà venire..)
I confini dell’empiria si valicano nella misura in cui la storia cessa di configurarsi come NARRAZIONE VERIDICA DEGLI EVENTI PASSATI e si trasforma in CORSO STORICO in atto, che procede “vettorialmente” dal passato al futuro transitanto per il ”ponte mobile” del presente” (l’attimo vissuto in funzione del futuro indebolisce l’uomo moderno incapace di agire pienamente nel presente e di produrre nuova storia)
Nell’ “oltre” buddista si immanentizza la centralità del presente – fuso con la decisione e la volontà – in una in una completa inversione del ”futuro-centrismo” della concezione cristiana-capitalista.
PS: Buddha sarebbe al servizio di tutto questo?!
10 Luglio 2011 alle 7:07 pm
aspettiamo fino al n. 200, poi condanniamo il Grande Assente in contumacia (anzi, senza tumacia, così impara)
10 Luglio 2011 alle 9:50 pm
Ciao Paolo, sono stato in ferie per un paio di settimane e ho perso un po il filo del discorso ma raccolgo il tuo ultimo assist sulla similitudine tra Regno dei Cieli e Nirvna. Secondo me le convergenze ci sono, non credo che la libertà di Dio nella quale si immerse Francesco uscendo dalla prigione sia diversa della libertà del Buddha. Inoltre credo si possa dire che il Regno di Dio sia il mondo stesso visto alla luce della fede.
Io credo però che quando si usa questo termine nel cristianesimo vi sia in realtà una duplice accezione, a secondo dei contesti. Da un lato il Regno è una dimensione intima presenta in ogni uomo (forse in ogni cosa?) ed alla quale per i Cristiani si accede tramite l’incontro con il Signore risorto; quest’ultima è un’esperienza molto difficile da spiegare a chi non l’ha fatta, ma forse mutatis mutandis potrebbe avere una qualche somiglianza con la scoperta ed il realizzarsi della natura di Buddha nel buddismo.
La seconda accezione, che invece si discosta nettamente, mi pare, da Nirvana è di tipo escatologico, come faceva notare Hmsx. Il Regno di Dio non coincide con il mondo, c’è uno scarto insanabile che si colmerà solo alla fine del tempo; il Regno c’è già pienamente nello Spirito, ma sarà compiutamente solo quando Dio sarà tutto in tutti. Anche questa seconda accezione non mi pare disprezzabile, poiché sottolinea il dinamismo ed il carattere aperto ed in evoluzione del cosmo. Infatti il regno di Dio si realizza compiutamente solo nella libertà dell’uomo e nella sua capacità di compiere il bene, dipende quindi in piccolissima parte anche dal mio o dal tuo agire.
Perciò penso che si possa dire che per i Cristiani il regno di Dio è sia intessuto nella trama del divenire e nella storia sia al di là ed oltre di essa; per quanto possa capire questo non si può dire del Nirvana…o no?
Solo un ultima osservazione: attenzione a non confondere la teologia con l’esperienza reale dei cristiani. Per quanto sia scandaloso od irragionevole, per Cristo Dio si trova in mezzo alla sofferenza, tra i poveri, i malati ed i peccatori ed è lì che andrebbe cercato.
Scusatemi per la lunghezza, ho cercato di condensare il più possibile. Se il ruolo di interprete del Cristianesimo in un dialogo col Buddhismo spetta a me vuol dire che siamo messi proprio male…aspettando il Grande Assente (chi è Godot?)
11 Luglio 2011 alle 10:24 am
Ucci ucci…
È davvero passato un angelo.
Complimenti per il coraggio.
11 Luglio 2011 alle 10:37 pm
Mi permetto alcune puntualizzazioni all’intervento di angelo #179, restando in “ambito buddhista”.
– Il “Regno dei Cieli” è il Regno dei Cieli.
– Il “Nirvana” è il Nirvana.
– Francesco è Francesco.
– Buddha è il Buddha.
– La “natura-di-buddha” non si “scopre” e non si “realizza”.
– Nessun “divenire” non solo nel Nirvana, anche per Severino…
12 Luglio 2011 alle 11:37 am
Ciao Nello, anch’io potrei dirti lo stesso restando in “ambito cristiano”, però non vedo come si possa intraprendere un dialogo autentico senza arrischiarsi in accostamenti inediti e senza ricercare dei parallelismi travalicando i confini. Naturalmente la ricerca del dialogo non è obbligatoria, anche se a mio parere arricchisce molto. Non so se Severino c’entri qualcosa col buddismo, col cristianesimo secondo me non c’entra per niente.
12 Luglio 2011 alle 9:08 pm
Ciao angelo,
gli accostamenti, i parallelismi e tutto il resto che associ, sono molto pericolosi e rischiano di ridurre, relativizzare, assimilare esperienze che resteranno sempre distinte.
Personalmente, trovo molto più appropriato precisare il proprio ambito di ricerca e di studio, questo a dire che non credo in nulla che sia presentato come “dialogo interreligioso”, lo trovo un artificio fuorviante e deleterio e il mio intervento era appunto per dire “questo è questo” e “questo è questo”, nessuna commistione o parallelismo o accostamento…
A margine…Emanuele Severino non é liquidabile con qualche formuletta…e comunque, è già nell’Olimpo e tra i grandi filosofi di ogni tempo.
Come vedi, qui ed ora, è, e sarà sempre diverso per ognuno, per questo non credo nelle associazioni, negli accostamenti, nei parallelismi inediti e che travalicano i confini. Viva i confini.
Ciao.
12 Luglio 2011 alle 9:21 pm
angelo (nonostante il nome etereo) ha meno puzza sotto il naso.
12 Luglio 2011 alle 10:05 pm
elencala
13 Luglio 2011 alle 11:24 am
Ciao Angelo.
Anch’io sono stato via, e presto ripartirò. Ma c’è tempo per un ulteriore scambio di vedute.
In questo contesto (179 e segg.) mi pare il caso di dire, con Nello, che qui ed ora è diverso per ciascuno, e fare paragoni tra esperienze un azzardo. Comunque la tua è una ipotesi suggestiva e davvero coraggiosa in ambito cristiano.
Natura di Buddha , niente. Spirito di Cristo, niente.
Siamo al capolinea.
Rimane il problema escatologico: che divide. Dio, Regno di Dio. Volontà di Dio; il bene, il male. Possiamo considerarle costruzioni mentali, elaborazioni a fini socio politici (?!)
E qui viene il problema del dialogo interreligioso. In effetti lo scopo del dialogo mi pare esclusivamente socio-politico: diminuire i conflitti determinati da quelle costruzioni mentali che chiamiamo religioni. Che sono poi le religioni del Libro, mi pare.
Ecco perché insisto nel dire che il buddismo non è una religione e che il termine budd-ismo è improprio.
Che poi si usi il buddhadharma come una chiave per il dialogo tra religioni, può andar bene. Ma attenzione a non contaminarlo.
13 Luglio 2011 alle 11:52 am
Panikkar si avventura(va) in una distinzione fra cristianità, cristianesimo e cristianìa, per indicare aspetti concomitanti ma non sovrapponibili completamente (aspetto storico-socio-politico-geograficodell’ecclesia cristiana, aspetto dottrinale dell’insegnamento e del messaggio cristiano, aspetto spirituale dell’esperienza cristica). Si può dire, a mio parere, che il buddismo non è una religione solo se lo si identifica completamente con buddhadharma, come mi pare facci doc (186) ma allora come chiamare l’esperienza storico-religiosa di interi popoli e intere epoche, dai tibetani ai birmani, dai srilankesi ai cambogiani, dai cinesi ai coreani, vietnamiti, giapponesi… Forse bisognerebbe, parlandone, fare qualche distinguo fra l’uso dei termini buddismo, buddhadharma, zen… Non sono intercambiabili, e nessuno è ormai eliminabile, temo.
13 Luglio 2011 alle 12:29 pm
Eeee… là là. Volevo fare una battuta sull’utilità del dialogo tra lurker (vulgo: guardoni) che scrivono 200 e spingi commenti a proposito del dialogo ma… dopo la cristianìa, come fo?
13 Luglio 2011 alle 1:05 pm
Abbiamo inventato la categoria del lurker interventista, ovvero il voyeur dalla mano morta…
13 Luglio 2011 alle 1:50 pm
187-188
alle pagine sulla cristianìa non sono ancora arrivato… tempo e paglia!
🙂
13 Luglio 2011 alle 2:46 pm
Ciao Paolo, a me la ricerca delle congruenze e delle affinità sembra un modo eccellente per evidenziare le differenze. L’ipotesi che non vi sia alcun punto di contatto o di sovrapposizione, cioè che buddhismo e cristianesimo siano completamente estranei l’uno dall’altro mi sembra altrettanto insostenibile di quella opposta, cioè che siano identici. E poi cheffai mi fai degli assist che al confronto Xavi è un terzino è poi tiri indietro il piede? Se mi poni un interrogativo mi sento in dovere di cercare di rispondere, anche per la stima che ho della fonte da cui mi proviene la domanda…ed anche per cercare di contraccambiare, in piccola parte, di quanto ho ricevuto e ricevo. Bon voyage…
13 Luglio 2011 alle 4:43 pm
Sì, un assist è un assist e una montagna è una montagna. Certo non si può dire che due montagne siano completamente estranee una dall’altra. Però, una montagna non è un’altra e, soprattutto, salire su una non ha nulla a che vedere con salire su un’altra. È impossibile dire persino se il colore che tu vedi rosso sia lo stesso colore che vedo io o se il colore che tu chiami rosso io lo vedo come tu vedi il blu. Una volta tolto tutto si comincia a parlare di nirvana e subito non siamo più d’accordo. Figurati se possiamo fare un parallelo col regno dei cieli. In più, e questo è dirimente, se tu, cristiano, cerchi qualche cosa di diverso e in modo diverso da quello che cerco io, buddista, come si può dire che troviamo la “stessa cosa”. E anche fosse, come possiamo saperlo?
13 Luglio 2011 alle 5:10 pm
Ragazzi, è pronto il tè!
13 Luglio 2011 alle 5:11 pm
Grazie Marta, uno splendore. Ancora un goccia di latte per favore…
13 Luglio 2011 alle 6:39 pm
Per Angelo. Non era certo mia intenzione fare come Lucy con Carlie Brown.
Dice bene mym 192, a mio parere.
Non dobbiamo nè possiamo dimostrare niente.
Credo che il dialogo – se è di quello che stiamo parlando – possa porsi come obiettivo una più pacifica convivenza in questo mondo: non potremo mai dire però se il risveglio di Buddha sia uguale a quello di Cristo, o altre amenità del genere.
L’escatologia cristiana (o dei cristianesimi) non trova un corrispondente nei buddismi. (Parlare di buddismi al plurale mi sembra già un piccolo passo avanti verso jf 187, o no?)
E la prospettiva escatologica, se sostiene una pretesa di Verità, pesa come un macigno sui processi di pacifica convivenza.
14 Luglio 2011 alle 10:38 am
Questo blog ha come insegna che compare a caratterizzarlo quando lo si cerca con un motore web, tipo Google, la frase: “Comunita’ di dialogo fra buddismo e cristianesimo fondata sulla certezza che i valori coltivati dallo Zen e annunciati dal Vangelo si illuminano e si ravvivano a vicenda”. Penso che questo aspetto del dialogo, lo stesso di cui un poco grezzamente parla Knitter, vada analizzato con attenzione. È una sorta di interessante e sorprendente valore aggiunto che può far modificare sia le modalità stesse del dialogo sia il suo valore intrinseco.
14 Luglio 2011 alle 11:23 am
ecco, appunto, ma finora mi è parso che gli interventi fossero del tenore: “che ci azzecca… con…?”
14 Luglio 2011 alle 11:25 am
Ciao boss, come dirlo meglio e con più chiarezza di così? Io sono convinto che se per assurdo tutta l’umanità venisse accomunata da un’unica religione, qualunque essa fosse, nessuno sarebbe più in grado di coglierne l’intima essenza ed il valore. Avrebbe potuto il buddismo svilupparsi in tutta la sua grandezza, bellezza e varietà se non si fosse dovuto confrontare con l’induismo prima e con le religioni asiatiche poi? Senza i bramini indù non credo ci sarebbe stato un Nagarjuna. Lo stesso dicasi per il Cristianesimo rispetto ad Ebraismo e (questo va fortemente sottolineato) Islam.
Forse io ho una percezione particolarmente forte di questo aspettopoichè viviamo in Italia, dove purtroppo la cattolicità è quasi un assioma. Uno dei pochissimi luoghi dove ha un senso che io mi dichiari cristiano è proprio questo, perchè altrove questa affermazione susciterebbe un interesse ed una ricerca di comprensione pari alla frase “a me piace la pizza”.
La prospettiva escatologica cristiana dovrebbe realizzarsi secondo le modalità che Gesù indicò nel Getsemani quando i discepoli avrebbero voluto estrarre la spada. Chi segue un altro percorso non può dirsi cristiano. Non tutti quelli che dicono Signore entreranno nel Regno, ma chi compie le opere del Padre (mi sembra notevole che non si affermi chi crede in Dio).
14 Luglio 2011 alle 11:28 am
Un conto è fare il timballo, si mischia, si trita s’inforna e alé. Diversamente, mantenere le cose chiare, separate permette
Che cosa permette?
Tango!
14 Luglio 2011 alle 12:19 pm
@199: sul dialogo, a partire da @196, provo a “dire qualcosa”.
– il dialogo è sempre incontro-confronto con l’altro
-a tema del dialogo “religioso” è il senso dell’esistere
-il linguaggio è lo spazio comune, lo sguardo strutturalmente intersoggettivo, universale,nel quale gli uomini si incontrano e (a volte)si comprendono, o confliggono, in ragione della possibilità di prender parte al SENSO dell’altro.
-il dialogo nel suo aspetto critico diventa lo spazio in cui ognuno può cogliere i propri e altrui limiti e possibilità
-se la verità, ciò di cui sono convinto,non è qualcosa che penso di aver afferrato definitivamente, ma il senso che guida il mio procedere, allora essa è un “simbolo” che rimane aperto ad ulteriori correzioni e non una forma a-temporale da applicare all’esperienza qualunque sia ciò che essa mi “dice”
-Quindi: se ognuno si apre alla possibilità costitutiva dell’esperienza dialogante(sia il “qui e ora” o l’escatologia..), dove porti il dialogo lo “dice” solo il dialogo stesso, ai soggetti che si aprono ad esso
14 Luglio 2011 alle 12:27 pm
Ehilà Dario, forse eri propio tu il Grande Assente che si materializza solo al 200.
Io penso addirittura che in un certo senso il dialogo preceda e sia più vero dei dialoganti.
Complimenti per la proprietà e la profondità con cui ti sei espresso
14 Luglio 2011 alle 12:52 pm
Il dialogo che precede i dialoganti.
‘Sti preti, non cambieranno mai… 😛
14 Luglio 2011 alle 1:04 pm
Perchè dicon così i preti? Quelli della maggior parte delle parrocchie vanno un po più sul pratico in genere…nessuno vien più a messa, e i dico non van bene, niente sesso prima del matrimonio ecc. ecc.
14 Luglio 2011 alle 1:12 pm
>Ehilà Dario, forse eri propio tu il Grande Assente
no, più su, più su, guarda nei primi commenti a questo thread 😉
14 Luglio 2011 alle 1:42 pm
La sorprendente insegna “Comunita’ di dialogo fra buddismo e cristianesimo fondata sulla certezza che i valori coltivati dallo Zen e annunciati dal Vangelo si illuminano e si ravvivano a vicenda” va sottoposta a un rigoroso vaglio critico, per evitare, almeno tentativamente, che questo non sia che uno slogan che banalizza e vanifica in partenza (siamo sempre in partenza) l’eventualità interessante di “modificare sia le modalità stesse del dialogo sia il suo valore intrinseco” (mym 196). Mi pare si pongano, a chi interessa, interrogativi propedeutici e metodologici. Ne propongo alcuni: “Comunita’ di dialogo fra buddismo e cristianesimo”: quale buddismo? (abbiamo scoperto che ce ne sono tanti, forse uno per ogni buddista, ammesso che ci sia qualche buddista disposto a definirsi tale senza negarlo un attimo dopo) quale cristianesimo? (il ventaglio è sconcertante…). Su che si fonda la “certezza” che fonda la comunità? E’ una fede, al modo della lettera gli Ebrei (11,1)? E’ una tautologia? E’ mettere il tetto a fondamenta della casa? “I valori coltivati dallo Zen e annunciati dal Vangelo?” Lo zen coltiva valori? E nel caso, sono gli stessi di quelli annunciati dal vangelo? O sono altri? Stante la metafora ignea, due fuochi “s’illuminano e si ravvivano a vicenda” o piuttosto si spengono entrambi (fuoco scaccia fuoco)? Knitter, da quel che ho capito, non si pone seriamente nessuno di questi interrogativi ma parte da delle conclusioni che trae a partire dalla sua personale esperienza e che quindi divengono premesse. Chiama dialogo un circolo monologico, e così fan (quasi) tutti. Il dialogo dell’insegna del blog implica un confronto rischioso (bisogna buttar via acqua, bambino e pure la vasca), polemico (da polemos, conflitto, non per prevalere e sconfiggere, ma per non svilire e non svendere) imprevedibile e non necessariamente gratificante.
14 Luglio 2011 alle 2:36 pm
Va bene, basta, mi avete convinto.
Perchè non fondiamo una nuova comunità sulla seguente base: “comunità per il rigoroso isolamento tra buddhismo e cristianesimo fondata sul dubbio che i valori che lo Zen non coltiva ed il Vangelo non annuncia potrebbero ottenebrarsi od estinguersi a vicenda”. ..chissà può essere che il non dialogo funzioni meglio…sono certo che tra i cattolici si troverà un enorme numero di aderenti, fidatevi 🙂
14 Luglio 2011 alle 2:45 pm
206
yeah! 😀
14 Luglio 2011 alle 2:50 pm
in effetti dovreste vedere le botte che ci si dà sul sito ebraico (dal nome ingannevole) leragazze.wordpress.com … però se si dialogasse, ci si divertirebbe mooooooolto meno, quindi… taca banda!
14 Luglio 2011 alle 3:20 pm
Il guaio è che è difficile…bisogna fare la massima attenzione che quello che dico non possa accidentalmente costituire per te una forma di dialogo religioso…chesso potremmo parlar di fumetti e fantascenza, ma una cosa tira l’altra…la cosmologia potrebbe essere religione, l’uomo ragno magari ha un che di cristologico…
14 Luglio 2011 alle 3:56 pm
Sì, jf 205, capisco, ma possiamo lasciare agli specialisti di definire il definibile (poco, temo) seguendo l’antica tradizione che la freccia si estrae e non si definisce. Lo slogan c’è, denuncia tutta la sua età e la mano che lo confezionò. Però, Asoka pare lo avesse capito e scritto in stele, guardarsi l’ombelico da un’altra prospettiva rende il solito guardare…
Ecco non saprei, l’importante -direi- è che la prospettiva sia altra e, potendo, affidabile.
So mica io se quello che si chiama zen è certificabile come tale. Meglio non rischiare.
14 Luglio 2011 alle 4:31 pm
>la cosmologia potrebbe essere religione, l’uomo ragno magari ha un che di cristologico…
questo non l’ho scritto perché lo davo per scontato
B-)
14 Luglio 2011 alle 4:56 pm
La posizione che esprime Angelo (es. 206) mi pare ‘viziata’ da una sorta di pragmatismo tecnicistico: una specie di fretta, di desiderio di pervenire ad un risultato di qualche genere.
Mentre mi pare si stia facendo strada la posizione che, se il ‘dialogo’ ha un senso non solo politico (ove si possono effettivamente ottenere risultati spendibili), questo stia proprio nel dipanarsi dello stesso (cfr mym 196, jf 205 e dario 200) e nulla più.
Di conseguenza credo che jf colga nel segno quando osserva – riguardo alla ‘certezza’ dell’insegna del blog – che è un po’ come mettere il tetto a fondamenta della casa.
Fra l’altro qui manca qualunque testimonianza di segno opposto: voglio dire manca completamente il punto di vista di buddisti o ex buddisti ‘vivificati’ dal cristianesimo. Cosa che giustificherebbe quel ‘a vicenda’.
Per quel poco che ho letto al proposito, mi pare che gli autori orientali tendano a liquidare la questione con osservazioni di questo tipo: “Cristo è stato un grande uomo, un vero bodhisattva” e poco più. Confesso la mia ignoranza. Può darsi che, in qualche sito buddista, ci sia qualcuno che sta esplorando l’altro versante di questo dialogo.
14 Luglio 2011 alle 5:14 pm
Il dialogo HA un senso anche politico. Per questo: “a vicenda”.
Gli autori orientali, purtroppo non fanno testo, o almeno non più, da quando è venuto a mancare Uchiyama. A sostegno della tesi che “a vicenda” più che una certezza è una pia speranza si possono citare le percentuali di cristiani in Cina, Corea, Vietnam e Giappone. Ma non facciamo questioni di quantità. Il problema non è se approfondire la pratica, la comprensione del cristianesimo (uno qualsiasi, eh!) faccia bene ai buddisti (tutti). O se faccia bene di più o di meno della situazione opposta.
Il problema è che lo zen occidentale (quasi tutto) praticamente non esiste, al punto che se una o più comunità cristiane volessero compiere un esperienza di dialogo trasformante non saprebbero né dove né con chi. Se i pretesi zen occidentali trascorressero un par d’anni (almeno!) in una trappa forse forse…
14 Luglio 2011 alle 5:33 pm
Western Zen Buddhists: Trapped
14 Luglio 2011 alle 6:26 pm
Ovviamente 206 è un pò una boutade, ma in effetti l’unico modo per non dialogare è non dirsi nulla in assoluto.
Riguardo a quanto dice Mym in 213, c’è anche da aggiungere che la comunità cristiana interessata forse non c’è. Il sito della Stella non è facilissimo da individuare in assoluto, ma è molto semplice trovarlo se uno fa una ricerca web con keywords tipo dialogo cristianesimo buddhismo ecc.
Perciò escludendo un problema di visibilità, il fatto che di cristiani che intervengono ce ne siano pochissimi (almeno, che si dichiarino tali..) forse bisogna concludere che l’interesse da parte cristiana è scarso. Il che mi sorprende perchè se uno guarda gli scaffali di una libreria qualsiasi si fa l’idea che la “domanda” di Buddhismo in Italia sia grandissima…
14 Luglio 2011 alle 6:32 pm
Qui si danno parecchio da fare.
Eppoi il testo del post non è solo mio, metà è stato composto da un monaco cristiano.
14 Luglio 2011 alle 6:58 pm
Giusto. Un’osservazione su un punto che Doc ha toccato di sfuggita, ma che mi sembra interessante. Se un buddista orientale dice che il Cristo è stato un vero bodhisattva, o non ha capito il Vangelo in tutta la sua portata, oppure dice una cosa molto impegnativa. Non è forse il bodhisattva colui che realizza pienamente il risveglio? Nel dire così si spinge sullo stesso terreno nel quale mi avventuravo io parlando di Regno e Nirvana e sottintende che quanti prendono Gesù per Maestro e ne tentano la sequela realizzano anch’essi il risveglio. Non è che se è un buddista sinogiapponese a fare il passo in qua il passo è più corto che se lo fa un cristiano andando in là…
14 Luglio 2011 alle 7:39 pm
217@: “il passo in qua il passo è…” Ecco la soluzione
14 Luglio 2011 alle 7:51 pm
Tango?
14 Luglio 2011 alle 7:52 pm
Esattoooo! Hai vinto il primo premioooo!
15 Luglio 2011 alle 10:37 am
@ 217: quando si nomina il bodhisattva si cammina su ghiaccio molto sottile. Meglio evitare di tirarlo per la giacca. Ovvero: cercar di capire che cosa intenda il tale quando lo nomina piuttosto che stabilire noi chi il bodhisattva sia per poter decidere che il tale ha voluto dire questo o quello. Nei casi dubbi (se possibile, per es. perché il tale è in grado di rispondere): chiedere.
Dialogo, perbacco.
15 Luglio 2011 alle 11:40 am
222
o meglio: non-due, non-due, non-due.
Advaita, la vida bonita!
15 Luglio 2011 alle 11:45 am
Chiss’èsciutopazz!
Andale, andale!
15 Luglio 2011 alle 11:48 am
Non è che il premio è in denaro? Tremonti m’ha bloccato gli aumenti salariali fino al 2014…questo è fare riferimento all’attualità!
Riguardo al Tango…attorno a cosa girano i danzatori? Dev’essere un Koan….
15 Luglio 2011 alle 11:51 am
@mym 223
ma come? t’ho offerto su un piatto di (dario) argento la soluzione del problema dei rapporti tra bodhisattvi e poveri cristi…
15 Luglio 2011 alle 11:55 am
Seeee…. I bodhisattvi non sono dei poveri cristi, sono i poveri cristi che sono bodhisattvi.
@ 224: beato te che hai aumenti salariali da bloccare.
17 Luglio 2011 alle 8:42 am
In tema di advaita, riprendendo la rubrica “l’angolo del sincretista”, l’affermazione più forte in cui mi sia imbattuto del concetto, espressa direi con violenza rispetto al contesto in cui si situa, è Gv 8,58. A me verrebbe spontaneo un accostamento con “anche tu sarai un Buddha, gioiscine”, del Loto.
L’unico altra affermazione a mia conoscenza altrettanto distruttiva rispetto alla cornice di riferimento del proprio tempo di quella di Gesù è l’anatman del Buddha.
I Maestri avevano un’idea del dialogo piuttosto particolare, tiravan bordate da sfondare. Non stupisce che gli interlocutori di Gesù cercassero le pietre…
17 Luglio 2011 alle 10:37 am
>“anche tu sarai un Buddha, gioiscine”, del Loto
una bella vincita al Lotto
(c) AHR
17 Luglio 2011 alle 11:06 am
Un giro gratis sul Lotto volante…in compagnia con il bodhisattva che si fa tirare per la giacchetta, il Prodisattva
Adesso Mym mi butta fuori lo so…
17 Luglio 2011 alle 11:13 am
il Puddingsattva
17 Luglio 2011 alle 12:34 pm
il Puddingsattva sballottato sulla giostra…poveretto…
Vado a snaturare la pratica, così per un pò evito fesserie (forse)
17 Luglio 2011 alle 4:34 pm
Se ci fosse un fuori ci sareste già, come i balconi per intenderci.
17 Luglio 2011 alle 5:01 pm
Prof è DHR che ha cominciato! 227 magari è una c***ata, ma detta seriamente
17 Luglio 2011 alle 5:31 pm
Il fatto è che (227) GV 8,58 recita: «Rispose loro Gesù: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono”». Poi fai un accostamento con «sarai un buddha gioiscine» dal Loto ed infine brandisci la clava di anatman per dire che tutti e due picchiavano duro. Il tutto sotto il segno dell’advaita. Che, ci fai sapere, tu frequenti neanche fosse tuo cugino.
Dire “fuori come un poggiolo” è niente…
17 Luglio 2011 alle 5:57 pm
In effetti dire che è l’espressione più forte suppone la pretesa di capire le altre, hai ragione. Ma non ti sembra che l’equazione YWH=uomo sia nel segno dell’advaità? Oppure secondo te non c’entra per niente?
17 Luglio 2011 alle 6:01 pm
Così, a naso, non c’entra per niente.
Potrei essere più preciso se mi spiegassi che cosa vuol dire “YWH=uomo”.
18 Luglio 2011 alle 7:33 pm
Mi sono evidentemente messo in un guaio. Comunque faccio uno sforzo di precisare l’idea che avevo in testa, chissà che non emergano spunti interessanti. La questione mi pare questa: come può un essere umano sano di mente affermare un identità tra se è il Dio ebraico dell’antico testamento (Io sono è il modo in cui Dio definisce se stesso)? Non bisogna essere PAscal per comprendere la distanza abissale che separa i due termini dell’equazione: la fonte ed il fondamento del cosmo (per quello che sappiamo costituito almeno da 100.000 miliardi di galassie) ed un mammifero bipede? A meno che la frase non voglia intendere che qualunque distinzione tra io e non io è scorretta…Perciò mi sembrava che fosse un esempio fortissimo di prospettiva da advaitin: unisce due termini che più agli antipodi di così non si può in un’identità. L’unico modo di esprimersi in modo ancora più advaita mi sembra non dire niente….
18 Luglio 2011 alle 7:38 pm
Pardon, il punto di domanda dopo bipede non ci va…questo è quello che capita a tentare di scrivere di advaita mentre tua figlia cerca di rubarti il portatile…
19 Luglio 2011 alle 11:07 am
Grazie Angelo (@237). Il fatto è che il non dualismo di advaita non è un tentativo di unire le cose più lontane, ossia non è un escamotage dialettico-filosofico per far stare assieme i cavoli e le merende. Advaita è una sorta di “posizione di mezzo furbetta”, dice che non si può dire che questo e Quello siano la stessa cosa, però… Per questo la tua considerazione non era chiara, essendo un corto circuito che presupponeva un’interpretazione inusitata di advaita.
19 Luglio 2011 alle 1:27 pm
Grazie a te per il chiarimento; dopotutto qualcosa di utile in effetti è venuto fuori