Lun, 14 Mar 2011
Ebbene sì, ancora lei, la madre di tutte le regole, l’appiglio di ogni censore, il martello di ogni moralista. Questa volta però dal vivo, con persone presenti che ci mettono cuore, voce e reputazione. Mica poco. Per la Stella sarà presente il Doc in persona, chissà se darà qualche anticipazione sul futuro di Buddazot…
E poi Salvatore Frigerio, monaco camaldolese e Mouelhi Mohsen, rappresentate sufi. Tutti attorno a una tavola rotonda, seguendo il titolo: Etiche della terra: l’educazione ambientale in una prospettiva interculturale
In occasione dell’Anno Internazionale delle foreste, organizzano gli studenti dell’associazione Openhouse di Urbino e l’associazione Time for Peace and Development di Pesaro, con il contributo della Provincia di Pesaro e Urbino e dell’ATS IV.
Bravi ragazzi, sale della terra.
25 Commenti a “Ancora etica!”
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17 Marzo 2011 alle 12:49 pm
Ancora etica! » La Stella del Mattino…
Tutti attorno a una tavola rotonda: Etiche della terra: l’educazione ambientale in una prospettiva interculturale, Mercoledì 23 Marzo, ore 10.00, Sala Raffaello, Urbino…
30 Marzo 2011 alle 10:51 am
Ecco una cosa che non capisco: l’ecologia e la salvaguardia dell’ambiente.. come se la natura fosse una cosa delicata da preservare, mentre, invece, è prontissima a scatenare la sua forza e a distruggere ogni cosa umana. (vedi Giappone 11.03.2011)
30 Marzo 2011 alle 11:30 am
Ciao Hmsx, ben tornato. Un punto simile lo sostiene George Carlin in questo video. Non penso che si dovrebbe focalizzare l’etica sino a questo punto, ovvero sino a chiamare in causa le religioni per la salvaguardia dell’ambiente. È una soluzione di ripiego: l’ignoranza civica planetaria e l’avidità che depredando si fa ignoranza sono tali che giustificano il ricorso alle religioni o all’etica, un loro tipico prodotto. È vero che la radioattività del plutonio è un fatto naturale, ma è per intervento dell’uomo che a Fukushima il plutonio rischia di distruggere per sempre una vasta area.
30 Marzo 2011 alle 5:16 pm
Ciao Hmsx, quello che esprimi mi apre il punto di vista per esempio di un Leopardi (operette morali, ecc); in realtà secondo me la separazione tra uomo e natura è molto artificiosa. Non so se questo è il migliore dei mondi possibili, so però che è difficile immaginarne uno diverso che sia coerente e possa sussistere. Prendendo ad esempio proprio il caso del terremoto (lo fece anche Voltaire in Candide, a proposito di quello di Lisbona), se la Terra fosse un pianeta morto dal punto di vista geologico non vi sarebbe vita- niente terremoti, niente eruzioni vulcaniche, quindi niente CO2 in atmosfera e niente effetto serra (a quel punto il nostro mondo sarebbe una palla di ghiaccio) oppure se vuoi niente attività sismica, niete campo magnetico, quindi molte radiazioni cosmiche (e perciò friggeremmo)ecc.
Perciò direi che ampliand un po l’orizzonte quello che sembra un arbitrio intollerabile di dimostra in realtà una necessità intrinseca – stiamo qua a parlare perchè le tsunami ci sono.
Infine, secondo me ragionare nei termini “natura buona fonte di vita” o natura malvagia-matrigna” significa forzare tutto in una dicotomia non molto utile ne concettualmente ne dal punto di vista pratico- bisogna cogliere invece le complessità, le sfumature
30 Marzo 2011 alle 5:46 pm
Dal castigo di dio alla… necessità di dio? Certo che non ci facciamo mancare nulla … 😛
30 Marzo 2011 alle 6:35 pm
Che importa se il plutonio distrugge una vasta aria del pianeta? Quello che conta è che rischia di fare vittime umane. Ci si educhi all’ambiente non per salvaguardare gli uccellini o gli scoiattoli, ma per preservare noi stessi secondo il paradigma del conatum suum esse servandi (lo sforzo di conservare il proprio essere). Mi pare una ipocrisia – sapientemente smascherata da Carlin – quella di ritenere la natura fragile e bisognoso di protezione. Eppoi la separazione tra uomo e natura non è artificiosa, cioè c’è già stata una vita sulla Terra senza l’uomo …e se fosse una vita migliore?
Della necessità del castigo di Dio…
31 Marzo 2011 alle 7:34 am
Ottimi punti i nn. 2 e 4.
E’ vero che, nel caso di Fukushima, era stato l’uomo a concentrare in quel punto tutte quelle sostanze radioattive, però la storia della vulcanologia dimostra che la Natura fa stragi e disastri anche “di propria iniziativa”. Vedi Leopardi, “La ginestra”.
A proposito della Natura madre-matrigna (n. 4) sottolineerei però che non si tratta di dicotomie, perché per Leopardi le due immagini sono valide allo STESSO tempo.
In definitiva riprenderei Spinoza, per cui la Natura non esiste affatto “in vista” dell’uomo, e quindi è assurdo interrogarsi su “perché Dio permetta questo o quello”. Ho scritto anche altrove che i tentativi teisti / cristiani di spiegare queste catastrofi cadono o nel ridicolo o nell’offensivo. Era molto più coerente la religiosità greca, che definiva lo tsunami “lo schiaffo di Poseidone”.
In definitiva, va “candidamente” ammesso: “Non so se questo è il migliore dei mondi possibili, so però che è difficile immaginarne uno diverso che sia coerente e possa sussistere”. Ossia, i confini del Nirvana coincidono esattamente con quelli del Samsara.
31 Marzo 2011 alle 9:54 am
per 7: anche secondo me le categorie castigo divino-necessità divina non c’azzeccano. Dio non c’entra per niente nel discorso; il fatto è che non siamo arrivati sulla Terra da un’altra galassia, non siamo dei naufraghi giunti qui per caso. Dalla terra proveniamo e da essa dipendiamo; in realtà, come cercavo di spiegare con l’esempio del terremoto, anche le manifestazioni più terribili, i cataclismi, sono necessari per la nostra esistenza. Non perchè si debba immaginare un progetto proteso all’esitenza dell’uomo, ma perchè siamo in relazione con tutto il resto.
Pensare l’uomo senza un contesto naturale è un’astrazione arbitraria; allo stesso modo una natura senza l’uomo non è pensabile- su di essa non possiamo dire nulla. Chiedersi se sia migliore o peggiore è già una domanda che implica la presenza dell’uomo, senza il quale questo tipo di giudizio è impossibile.
Sono d’accordo invece che la questione della “preservazione” è mal posta; non si può preservare nulla in assoluto- o meglio, si mantiene (in un certo senso), solo ciò che muta.
31 Marzo 2011 alle 10:02 am
Ha senso interrogarsi su “perché Dio permetta questo o quello” (n. 7) se si crede o, peggio, si affermi l’esistenza di un dio persona buono, unico, un po’ moralista ma … comprensivo (anche dio è “uomo di mondo”, no?) ecc. ecc.
Dire che “Dio (maiuscolo) non c’entra per niente” (n.8) è una contraddizione in termini. O lasciamo stare dio (pardon: Dio) oppure c’entra, ossecentra!
31 Marzo 2011 alle 10:26 am
Vero, Mym: se “Dio c’è”, non può “non c’entare”.
Il problema è la premessa maggiore, ossia immaginare un Dio “personale” dotato di “intelletto e volontà”. Il che, ancora secondo Spinoza, è il massimo insulto che si possa fare alla divinità, dato che intelletto e volontà (che poi sono la stessa cosa) rappresentano solo uno strumento con cui noi creature limitate cerchiamo di toglierci dagli impicci. Per definizione, “Dio” NON ha questo problema, altrimenti non sarebbe Dio.
31 Marzo 2011 alle 10:30 am
P.S. La teologia teista afferma che, attribuendo a Dio la Personalità, gli si attribuisce ciò che c’è di più elevato.
Dando una rapida occhiata a ciò che costituisce la mia “personalità”, trovo l’affermazione – a dir poco – ridicola.
31 Marzo 2011 alle 10:33 am
“Dei problemi di Dio e altre storie”, bel titolo.
Comunque, a parte i problemi del Boss, sono d’accordo con Hmsx in modo sostanziale ma non concettuale. Il punto è impedire che l’uomo si autodistrugga (in parte o in toto) e non salvare un ambiente teorico, avulso. Senza salvare “l’ambiente” (quindi uccellini, fiorellini ecc.) l’uomo si autodistruggerà (in parte o in toto).
31 Marzo 2011 alle 11:00 am
Chiere a Dio di dar conto del proprio operato è tipico della religiosità ebraica, basta considerare come paradigmatico l’esempio di Giobbe; la risposta di Dio com’è noto è “dov’eri tu quando ponevo le fondamenta del mondo?” Concepire un mondo privo del male è possibile, ma non è un mondo che possa effettivamente esistere.
Il 99,9% delle specie animali si è estinta, evidentemente tutte quelle attualmente presenti, in un futuro più o meno lontano, faranno lo stesso. Il problema è evitare un’estinzione di massa indotta da noi stessi; in effetti a questo punto l’interesse “umanistico”- il benessere dell’uomo” ed ecologico -ecosofico tendono a coincidere.
Secondo voi perchè nonostante tutto stiamo continuando come nulla fosse sulla stessa falsariga degli ultimi 20-30 anni? Il problema è di tipo culturale, scientifico-conoscitivo (non abbiamo le tecnologie necessarie ecc) o politico-economico?
31 Marzo 2011 alle 11:05 am
Religioso.
31 Marzo 2011 alle 11:25 am
Davvero? Non mi pare che i cristiani, i buddisti, i musulmani abbiano comportamenti poi molto diversi sul piano dell’impatto ambientale. Che facciamo in concreto allora “no artri”, smettiamo di usare l’automobile, di prendere l’aereo, di usare materie plastiche, i cellulari, i computer (produrre i microprocessori inquina) ecc.? Il mio impatto ambientale è di 3 (se tutti al mondo vivessero come me ci vorrebbero 3 pianeti terra). Secondo me ci vuole la politica per cambiare strada, la volontà del singolo non è sufficiente
31 Marzo 2011 alle 11:29 am
Siamo come pomodori in una serra: ogni tanto ne cade uno a terra, morto: splaffete. Se, per di più, la serra è pure inquinata… è una fetenzia ancora peggiore. Prendere atto di ciò è già religione.
31 Marzo 2011 alle 11:34 am
oh finalmente una bella, ricca discussione su questi temi, e nello stile tipico della Stella. Ultimamente si sonnecchiava un po’, me per primo.
31 Marzo 2011 alle 12:47 pm
per 16 Già ma se la serra si surriscalda e rischia di diventare una pentola a pressione, la strada della presa di coscienza individuale dei singoli pomodori rischia di essere troppo lenta, a quelo punto diverremmo tutti conserva…inoltre non è detto che anche se uno vuol cambiar strada ci riesca. Se non hai a disposizione i mezzi pubblici per esempio, ti tocca prendere la macchina ecc. ecc.
31 Marzo 2011 alle 12:59 pm
Zì zì. Il freddo il caldo la suocera le mezze stagioni… Il punto è che fra un po’ siam tutti morti. Nel frattempo continuiamo a vedere l’isola dei famosi perchè “hai visto mai che lì ci fosse la soluzione”? Quello è inquinamento da cui salvare l’ambiente. Poi gli uccellini, i fiorellini…
31 Marzo 2011 alle 1:21 pm
… e pensare che qualche ingenuo disse “Nessun uomo è un’isola” (e bazzicava pure il buddismo).
31 Marzo 2011 alle 6:35 pm
Nessun uomo è un’isola, nessuna donna è un promontorio, nessun… 😛
7 Aprile 2011 alle 6:41 am
In is analysis of shoaku-makusa(“not to commit any evil”), wich is ordinarily construed as a negative imperative, “Do not commit any evil” (shoaku wa tsuruku koto nakare or shoaku wa nasu koto nakare), Dogen reads it as an indicative: shoaku wa tsuruku koto nashi or shoaku wa nasu koto nashi (“[The enlightened one]does not commit evil).” His message here is that shoaku-makusa is not to be taken as a moral imperative, “whether self-imposed by autonomus conscience or inculcated by heteronomus imposition, but rather as the transformative reality of realization, whose mystery lies in one’s resolve “never to commit any evil.” This in turn means, however paradoxical it may sound, that realization both transcends good and evil and is at the same time profoundly involved with good and evil. In this way, for Dogen morality and ethics, as well as language and intellect, become an integral component of spirituality.
“We must realize that when heard as “not to commit any evil,” it is the Buddha’s true Dharma. This “not to commit any evil” does not mean that an ordinary person first contrives and then brings about like this. When we hear the teaching of enlightenment expounded, it is heard like this. It is heard like because it is the expression which supreme enlightenment itself is speaking. It is already the talk of enlightenment; therefore, it talks about enlightenment. Supreme enlightenment propounds itself and is heard in such a way that one is moved to desire”not to commit any evil” and to go on practicing “not to commit any evil.” Wher evil is no longer being committed, the power of training is realized at once.” (SHOAKU- MAKUSA)*
*William R. LaFleur,ed., Dogen Studies, Honolulu, University of Hawaii Press, 1985, pp. 76-77.
11 Aprile 2011 alle 7:55 pm
Ciao Nello, scusa il ritardo, son tempi veloci…
Grazie per la citazione (meglio tradurre in italiano però…).
La citazione è dal libro di LaFleur, come dici, ma l’articolo è di Hee-Jin Kim, autore tra l’altro del famoso Dôgen Kigen – Mystical Realist (1975); riedito poi come Eihei Dôgen: Mystical Realist (2004) oltre che traduttore di trenta sezioni dello SBGZ pubblicate nel 1985 e del più recente Dogen on meditation and thinking: a reflection on his view of zen (2007). Il problema (volendo sollevarne uno) è che -mi dicono gli esperti- “nel testo originale di Dogen (ed. Iwanami Bunko) non si trova nulla che assomigli alla frase che Kim sembra citare (shoaku wa tsukuru koto nashi o shohaku wa nasu koto nashi), men che meno nell’accezione che gli dà nella traduzione [The enlightened one]. Mentre si trova shoaku wa tsukuru koto nakare. La traduzione di Kim è una traduzione a tesi, che non si evince dal testo, come del resto si può verificare leggendo le traduzioni sia di Bodiford (Stanford) che di Nishijima“.
Per esperienza (ed antica frequentazione) ho imparato che gli esperti di SBGZ della Stella son da prender sul serio…
13 Aprile 2011 alle 1:53 am
Ciao mym,
può darsi che Kim non abbia fatto l’opportuno lavoro filologico, tuttavia, non si può dire che non conosca Dogen…al di là delle parole.
Quasi tutti ormai dovrebbero sapere che Dogen usa le parole per andare oltre le parole.
E comunque il suo parlare è un continuo rimando all’eterno processo delle cose che coproduce al di là di qualsiasi registro linguistico.
Qui, il prof. Tollini è molto caustico sulle parole…ma per me, non è cogliere il vero spirito di Dogen che ritengo intraducibile a parole. Taiten dice che Dogen si può tradurre solo seduti di fronte al muro e io sono d’accordo con questa interpretazione.
Nello specifico, l’intenzione era quella di dare uno spunto al tema del thread che fosse della massima semplicità e verità sul medesimo. Tutto qui.
Il tutto può ricondursi a poche parole:
“[…], but rather as the transformative reality of realization, whose mistery lies in one’s resolve ‘never to commit any evil'”
“[…], ma piuttosto come/quale transformativa realtà di realizzazione, il cui mistero risiede nella propria risoluzione di ‘non commettere alcun male'”.
Mai messi in dubbio gli esperti di SBGZ della Stella le cui traduzioni ho utilizzato nella mia tesi in comparazione a quelle (poco chiare a mio avviso) del prof. Tollini (non me ne voglia…).
13 Aprile 2011 alle 5:10 pm
No, non penso che il buon Tollini te ne voglia. In effetti (già che ci siamo gli do un colpetto anch’io 8) …) anni fa gli dissi che secondo me essendo il bravo filologo che è dovrebbe dedicarsi a “spiegare gli ideogrammi”. Per esempio la storia e la composizione di ideogrammi quali 佛 (buddha) o 禅 (zen/chan) ci fanno capire moltissimo su come quelle parole siano (state?) intese in cinese e perciò, in qualche misura, anche in che senso vengano utilizzate. Per il linguaggio di Dogen questo lavoro è ancora in buona parte da fare e se non lo fanno gli specialisti chi…? Poi, la traduzione, si sa, come dice Taiten, davanti al muro.