Dom, 4 Ott 2009
Presentiamo un film realizzato una decina di anni or sono dalla SDMP, la Stella Del Mattino Productions. Azienda che non esiste, ma è un modo per dire che è di produzione propria. L’opera è stata pensata -soprattutto da Carlo, il regista- per fissare in immagini i ricordi di alcune persone riguardo a Gianni, personaggio base nello sviluppo e nel radicamento del buddismo zen in Italia, quindi in Europa. In un’epoca nella quale “zen” faceva rima soprattutto con “élite”, Gianni -improvvisamente scomparso nel 1984- rappresenta un’eccezione importante. Non per motivi politici, “di classe”, ma perché ha costituito il precedente necessario, il punto d’ingresso tramite il quale la semplicità del linguaggio, l’assenza di cultura “alta”, il tran tran quotidiano dell’operaio sono lo zen senza bisogno di mediazioni né di traduzione.
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Questo breve video narra, in cinque scene, alcuni momenti della vita di Gianni Bertolo ricavate dai ricordi di persone che l’hanno conosciuto.
– La prima scena è un sogno, forse premonitore,
ambientato e girato nel cortile di una casa di ringhiera del centro di Torino, in via Bava. Proprio in questa vecchia casa di ringhiera c’è una soffitta che Gianni prese in affitto e che per alcuni, negli anni 70 fu una sorta di rifugio dove scambiarsi impressioni ed esperienze, prepararsi un tè, discutere di buddhismo e soprattutto praticare zazen. In quegli anni a Torino il buddhismo era relegato nelle aule universitarie del dipartimento di orientalistica che per quanto interessanti sul piano intellettuale non potevano certo soddisfare l’ansia di ricerca esistenziale che caratterizzava quel periodo.
– Nella seconda scena Gianni -che ha dormito su un sofà- viene svegliato dalla moglie Iris. Durante la colazione Iris gli ricorda i suoi impegni di padre e Gianni cerca di spiegarle quello che nello zen è un ritiro di pratica intensa: un sesshin.
– Nella terza Gianni all’uscita dal lavoro incontra un giovane amico, Miki, e insieme si dirigono verso la soffitta di via Bava dove li raggiunge uno nuovo del giro, Andrea.
– Quarta scena, esterno giorno, la scena si svolge a Torino al parco Leopardi, Gianni, Andrea, Roberta ed Elena si godono il tramonto e disquisiscono sul senso della vita.
– Nella quinta Gianni purtroppo è morto e Miki ed Roberta lo ricordano.
Il video è stato girato nel 1999 con una videocamera Betacam e l’audio è stato acquisito in presa diretta. Il montaggio è stato eseguito in maniera non lineare utilizzando il software Premiere.
Interpretato da:
Giuseppe Palese – Gianni
Floriana Brozzetti – Iris
Fabrizio Odetto – Miki
Cristiano Falcomer –Andrea
Gloria Rante – Roberta
Roberta Rossi – Elena
scritto da:
Giuseppe Jiso Forzani
Mauricio Yushin Marassi
Mario Pera
Paolo Sacchi
realizzato da Carlo De mauro
musica di Alberto Braida
operatore video Marco Balestrieri
fonico Fausto Cagnazzo
traduzioni Clarissa Balaszeskul
Il filmato è stato realizzato grazie all’aiuto del Soto Zen di Tokyo.
74 Commenti a “La tana del Buddha”
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5 Ottobre 2009 alle 7:38 pm
Non è per mettere sugli altari i morti, con la scusa che “se ne vanno sempre i migliori” oppure sfruttando la tendenza a santificare e mitizzare chi non c’è più per poter brillare della sua, attribuita, luce. Gianni aveva un mare di difetti, chi lo ha conosciuto lo sa. In un’epoca in cui fare zazen, per lui, significava anche pagare di tasca propria l’affitto della soffitta dove ci riunivamo, un operaio, sposato, con due figli, ha continuato per 15 anni a sedersi e ad offrire la possibilità di sedersi a chiunque, senza mai eccepire sulla provenienza di nessuno. Non penso si possa fare molto di più.
È stato molto divertente, interessante non solo partecipare alla realizzazione del filmato ma anche vedere, udire le reazioni -anche scomposte- che hanno accompagnato questo progetto. Forse qualcuno pensava che potessimo appropriarci della sua memoria. Mah…
6 Ottobre 2009 alle 10:01 pm
Sarà strano innamorarsi a Milano, ma è carino che lo zen nasca a Torino.
😉
7 Ottobre 2009 alle 10:59 am
Torino, caro ‘lme amìs, è (era?) un posto molto particolare. A parte le storie da Codicedavinci tipo che la città è uno dei vertici del triangolo magico ecc. però sino a trent’anni fa a Torino si trovavano più gruppi esoterici che piòle. Ci saranno anche motivi storici ma penso dipenda anche dal fatto che i turinèis sono così introvertiti che il mondo dell’interiorità in qualche modo suona loro famigliare. A volte in modo un po’ grottesco, magico o misterioso ma anche in modo serio.
7 Ottobre 2009 alle 11:23 am
“Lei sa come adulare”
9 Ottobre 2009 alle 3:29 am
Sperimentando la forza divina dello zazen cybernetico esco da me stesso e divento spettatore..Il ricordo di Gianni mi sconvolge e mi getta nel Panico:Torino mi fa pensare a Milan che mi fa pensare ai cavalli..
P.S. Dio ha tentato di uccidermi.(Proprio così.DT,32,31,”Io ucciderò e farò uccidere”.Insomma un pirata mi ha investito mentre ero sulle strisce pedonali – niente di rotto.Amici:non ci sono amici).
9 Ottobre 2009 alle 3:55 am
Siccome non difendo conigli redigo la requisitoria che condannerà secondo giustizia il mondo e Dio davanti al Tribunale supremo.Per la serie fututologia dello ius publicum europeaum.
L’immagine filmica è parte di quest’epoca sconvolta e miserabile a cui si crede come ai fantasmi;direi che il film è lo spiritismo del nostro tempo.
9 Ottobre 2009 alle 8:36 am
Ciao Homosex, bentornato allo scoperto. Lieto che tu non difenda il presidente del coniglio… Riguardo a film e spiritismo mi sovvien di popoli tuttora presenti dove la ripresa fotografica è proibita per rischio di perdere pezzi di tempo di anima. Non so se è così ma ho sempre evitato di farmi fotografare e, ancor di più, filmare. Gianni è sempre più un fantasma (una varietà di fantasmi) nelle memorie. Normale che lo si trovi in un filmato, voodoo moderno.
9 Ottobre 2009 alle 10:12 am
Bentornato anche da parte mia.
Ci erano cari i tuoi commenti… e anche le tue ossa, se è per quello.
9 Ottobre 2009 alle 10:35 am
Ma se non si è rotto niente, nemmeno un ossicino. Pensa a quel poveretto che lo ha investito, che spavento, sulle strisce per di più, sai i guai che gli farà passare…
9 Ottobre 2009 alle 11:51 am
dallo Zen allo zan-zaaannn (della serie: becca là!)
9 Ottobre 2009 alle 11:57 am
Apparire è come vestirsi da pernice in un bosco, durante la stagione della caccia
9 Ottobre 2009 alle 3:08 pm
Sparire è invece come vedere un film.Forse la paura della riproduzione tecnica delle immagini deriva dal fatto che un tempo da queste si trassero miti e religioni ora restano i film dopo che tutto questo se ne è andato.La citazione è tratta dalla versione greca della bibbia(se la vedano i bibbiomani).Comincio a pensare che il diritto subentri alla speranza(che suppone spiriti smarriti) e che il Panico aguzzi l’ingegno.Mi sovvien chi, mentre se la spassa, viene afferrato dal Panico e perciò deve pensare..
9 Ottobre 2009 alle 3:48 pm
Sì, concordo, per “godersi” un film, ma anche un libro, una poesia, un quadro, occorre sparire per il noto processo di identificazione (momentanea, plurima o antagonista) ma senza il ricomparire non vi è l’appropriazione intellettuale, il giudizio, il mi piace non mi piace, il raffronto, la critica, la valutazione estetica erotica ecc.
Idem nel far l’amore.
9 Ottobre 2009 alle 4:58 pm
Ma come la fate complicata, voi intellettuali! E’ poi solo un filmetto amatoriale. Un omaggio alla memoria (ed in questo senz’altro discutibile, perché no?).
Viviamo tempi in cui l’idolatria della personalità orienta le menti. Le ‘scienze tradizionali’ non fanno eccezione, con l’invenzione della figura del ‘Maestro spirituale’ e con tutta l’enfasi che circonda questi personaggi, che spesso sfiora appunto l’idolatria. E crea una sorta di mercato.
Il film propone, tra l’altro, una specie di figura di non-maestro, e certamente questo può disturbare. Chi si sente ‘disturbato’ e si ferma lì, perde una buona occasione per riflessioni salutari.
Mi pare che nella tradizione islamica le immagini antropomorfe siano bandite: questo però non scongiura forme di idolatria, talora anche fanatica.
Non è tanto l’immagine quanto l’occhio che la guarda, il vero punto.
9 Ottobre 2009 alle 9:43 pm
Certo che qui tra DOC, MYM, DHR sembra un salotto elettronico tra cyborg. Quando arriva C-3PO?
😛
10 Ottobre 2009 alle 3:07 am
– hic sunt leones.Siccome ho il blocco del commentatore la sparo grossa(e chi capisce è bravo).L’immagine è trasparente per cui non contano gli occhi,buoni a misurare la grandezza estensiva,ma gli echi e le sonorità del corpo.Insomma l’immagine filmica,sublime fantasma dell’artificiosità,non si vede ma si sente.Per es. se (ri)vedo Eyes wide shut sento IL CIELO SU TORINO cristallizzarsi nel ricordo di un uomo che abbracciava un cavallo..(Per la serie tecnica e subliminazione della paranoia).Onore a Gianni onesto testimone della malattia storica.Di più ad un maestro non si può chiedere.
10 Ottobre 2009 alle 3:10 am
P.S.Comm. 9.Un pirata è colui che dopo averti investito fugge lasciandoti a terra dolorante.Che guaio che sto passando..Se lo becco mica lo denuncio,gli marchio a fuoco la fronte con il logo di canale 5.
10 Ottobre 2009 alle 8:47 am
Al n. 16: notevole la “riflessione” (cfr specchio, appunto) sull’immagine che si sente.
Al n. 17: rinnovo la solidarietà. Suggerisco di marchiargli sulla fronte il ritratto del “Giudice” del film “Pink Floyd – The Wall”.
10 Ottobre 2009 alle 11:28 am
Eyes wide shut non l’ho visto, per i noti motivi. Però gli abbracci ai cavalli torinesi, magari in lacrime, mi ricordano il crucco veggente. Nonché matto come un… cavallo. Gianni era più terra-terra, per lui un cavallo era un cavallo. Anche se ammetteva volentieri di non sapere che cosa sia un cavallo.
10 Ottobre 2009 alle 2:53 pm
… ovviamente dimenticandosi che l’unica differenza tra Nietzsche e un pazzo era che Nietzsche non era pazzo.
10 Ottobre 2009 alle 5:00 pm
Leggo i commenti e, con pardon, mi viene voglia di aprire la finestra, di far circolare un po’ d’aria nella soffitta di questo cybercenacolo così “torinese”. Lo so, non sono il più adatto, son della banda dei c’ero anch’io e dunque da che pulpito…
Però il film è in rete oggi, sono molto contento che ci sia, senza memoria il presente è solo funzionamento fisiologico e la memoria è tanto ricordo quanto oblio. Il ricordo di Gianni interessa il presente – il Gianni che ricordo al presente si interessava. Per questo mi piacerebbe sapere cosa ci vede chi vede il film adesso, senza avere l’immagine del Gianni che fu. Qualcuno per cui ci sono solo queste immagini, immediate e innocenti. Io posso fare lo sforzo (artificioso, ma di arte stiamo parlando) di usare la memoria per non ricordare ciò che fu e non scordare ciò che è. Vedo un uomo normale, in luoghi, situazioni normali, che cerca di spiegare con parole normali quel che non può spiegare pur essendo l’unica cosa che vorrebbe e varrebbe la pena spiegare. Lo vedo dirigersi verso un muro e un cuscino, per sedersi e invitare a sedersi. Si può fare di più facendo di meno?
Passato, presente, manca una ruota al triciclo del tempo – anch’io vorrei lasciare il vuoto sul cuscino per potersi continuare a sedere.
Non posso scordare di più e non voglio ricordare di meno.
10 Ottobre 2009 alle 7:09 pm
E così ecco JF (senza K), l’ultimo dei cyborg 😀
Ti dirò la verità (“No! Perché?” – Massimo Troisi). Ho guardato diciamo i due terzi del cortometraggio, ma poi ho spento. Il tema era interessantissimo (nel senso di “inter-esse”) e il personaggio meritevole ma… orrore!… questa produzione alternativa aveva la stessa cadenza, gli stessi ritmi, in sostanza i difetti, del cosiddetto “cinema impegnato” italiano e francese: gente che chiacchiera in casa e per strada. Parole difficili appiccicate su immagini banali.
Non si poteva, che so, ricostruire visivamente il mondo di Gianni? Non inquadrare “lui” (un attore) ma immagini, scene, sequenze, colori, oggetti, con relativi suoni, che facessero percepire qualcosa del suo vissuto, del suo cammino, della sua “mahatma”?
Scusate i giudizi tagliati con l’accetta. Lo scopo è solo contribuire al dibattito.
10 Ottobre 2009 alle 7:21 pm
Lo sapevo, ecco i “mai cuntènt”. Quelle SONO le immagini le scene del suo vissuto. Sono riproduzioni quasi registrate, intercettazioni filmate del suo vissuto. Anche lo sfondo: il luogo da cui esce l’attore è davvero l’azienda in cui lavorava Gianni, la “casa di ringhiera” è proprio quella dove c’era la soffitta… e poi il film è bellissimo.
10 Ottobre 2009 alle 8:48 pm
Per rappresentare BENE una realtà, ciò che un’immagine NON deve assolutamente fare è copiare para-para quella realtà. Regole basilari della comunicazione, monsù.
Oppure si decide che lo zen è apofatico, e si rinuncia in partenza a filmeggiarlo.
sgrunt
10 Ottobre 2009 alle 8:53 pm
p.s. anche i filmini delle vacanze sono bellissimi, per chi ci è stato. Ma per comunicare a terzi quelle sensazioni serve altro…
11 Ottobre 2009 alle 1:05 am
Ignoro i motivi per cui mym non ha visto E.W.S.(non avrai mica paura del fantasma di Kubrick?).Ai ‘disturbati’ dal fantasma di Hitler suggerisco Inglourious Bastards(a cui devo l’ispirazione della truculenta immagine del comm.17).
A proposito di fantasmi..A Torino nel 1889 il ‘veggente’ era attenzionato dai servizi segreti americani,inglesi,francesi pontifici.Dopo 2 anni di vuoto esistenziale il nostro,ritrovando una seconda giovinezza, editava libri di caratura internazionale e portata storica.La forza emotiva era al suo apice perchè egli intendeva modificare alcuni “fatti” politici c.d. Realpolitik di Bismark, agendo in modo risoluto sul piano europeo per cambiare il corso della storia.E, dato l’uomo, direi che se non fosse “capitata” la follia sarebbe stato
sicuramente un fatto plausibile.Mi fa specie che alcuni storici non specifichino che i fatti che indicano la “follia” non sono così folli, considerato l’uomo, la sua storia e la sua forza.Assecondato nelle conversazioni personali da abili spie, l’autostima del filosofo strabordò sviluppando comportamenti poco comprensibili a occhi quotidiani,eccezionali in linea con la sua visione del mondo e con la sua sensibilità. Presto i suoi comportamenti sarebbero risultati talmente “anomali” da ricevere una repentina certificazione clinica(paralysis progressiva)con tanto di firma del dottore.N passerà dall’apice della sua potenza a una situazione in cui verrà guardato da tutti con pietà..e se per caso regge per qualche tempo alla follia poi diviene davvero folle per la depressione..Capirete come i servizi inglesi e americani si impanicarono quando tutto il loro lavoro di mungitura-spremitura passò ai nazisti..Dunque una filosofia che ha i suoi postulati all’interno della realtà e che attraversa il reale con una forza sferzante e risoluta,capace di far sorgere un sistema alternativo all’attuale( i suoi postulati impongono al mercato di essere solo un mezzo e non il fine)viene bandita per la folle testimonianza che ne da la Storia. Ovvero perchè appena dichiarato folle venne prelevato dall’odiatissima sorella E.(coniugata ad un ufficiale nazista)e rinchiuso nella clinica di Jena.Non c’è che dire una bella fortuna ereditare il suo ‘pensiero’.Un tesoro così composto: manoscritti tipo l’Anticristo (25),quaderni di varie dimensioni(176) da cui trarre aforismi a iosa,appunti filosofici(64) etc. Insomma abbastanza per fare la gran dama alla corte di Hitler.Da allora niente.In realtà il filosofo è “morto” nel 1889 perchè in nessun modo egli ha potuto esporre nuovamente il suo pensiero.La vulgata della follia di N è stata creata ad arte per mantenerlo lontano dai vari sessantottini e forze di alternativa proprio da coloro che hanno speculato su ricerche inglobate al sistema che si stava progettando.
In ‘Gianni’ (ri)vedo,meraviglie delle meraviglie,me stesso.
P.S.Devo partecipare ad una seduta spiritica silicet vado al cinema.Good night.
11 Ottobre 2009 alle 1:08 am
P.S.Non t’arrabbiare per le lungaggini ma non sono portata per la storia(e manco per la sintesi).
11 Ottobre 2009 alle 9:45 am
Grazie di cuore a homosex che ci ha restituito il vero Nietzsche. Consigliabile anche il bellissimo saggio “Nietzsche e il circolo vizioso” di Pierre Klossowski (fratello del pittore Balthus, tra parentesi).
Sembreremmo scantonare da Gianni. Eppure, se tutto è interdipendente, co-generato, simultaneo…
E se tutto si svolge tra le nebbie (mitologiche) di Torino…
11 Ottobre 2009 alle 2:32 pm
Vorrei fare una riflessione da “esterna” ( ohibò, sono l’unica che non è o non è stata dentro al “giro”? Mi sento un po’ sola!) riguardo al filmato. Ciò che mi comunica non può essere chiaramente il ricordo di qualcuno, ma è qualcosa che, per me, a che fare con il modo di essere di chi percorre la via.
Sotto sotto, qualche volta o spesso, magari si coltiva l’idea che praticare lo zen possa portare a dei cambiamenti ( in meglio naturalmente ) di vita, per sè o per chi ci vive accanto. Il filmato ( e leggendo di chi si stava parlando )mi sembra sottolinei che la vita ( almeno apparentemente ) scorre proprio come se non ci fosse nessuna pratica: rimangono le difficoltà di farsi comprendere, rimane la routine del lavoro quotidiano, rimangono i tramonti…
Non so se è poco, ma io la sento come una cosa importante, perchè talvolta, quando le cose proprio non vanno, si può essere portati ( almeno a me è successo )ad allontanarsi dalla pratica, quasi “addebitando” ad essa la mancata capacità di essere …di fare… ecc.
Forse è una stupidaggine…. ma tant’è, mica sono del giro!! Ciao…
11 Ottobre 2009 alle 10:42 pm
Vi assicuro che non ho dubbi sulla natura dell’agire.Ho raggiunto la pace.La coscienza ‘buona’ fissa ciò che accade dandolo in pasto alla responsabilità e distinguendo colpevoli da innocenti(Certo dalla riflessione sull’agire si pretenderebbe altro).Dunque N muore nel 1889,nasce il cinema e Torino è il set.E Gianni?.”Entro in scena senza una prova”mi dice un attore.”Come nella vita”aggiunge.Ciao.
12 Ottobre 2009 alle 9:23 am
Cara Marta, grazie. Basta il tuo commento per compensare tutta la fatica e le difficoltà e le piacevolezze che è “costato” realizzare il film. Lo zazen non è un toccasana che ti fa diventare più… intelligente, buono, saggio, accorto ecc. ecc. Caso mai, nel caso migliore, è una modalità di vivere serenamente non ostante i proprio limiti.
Gianni in gioventù, dopo essere stato nella Legione Straniera ed esserne fuggito fu attore, a teatro.
12 Ottobre 2009 alle 10:21 am
Marta coglie nel segno due volte con un colpo solo, non male. Del primo centro ha già detto mym – aggiungerei solo che di quando in quando tutti coltiviamo la speranza che zazen ci renda un pochino migliori, di noi stessi e degli altri. Smascherare quest’alibi senza banalizzare lo zazen a passatempo, mantenendone la meravigliosa unicità, è essenziale per fare zazen per bene: e in questo Gianni era veramente maestro.
Il secondo centro di Marta è antropologico. Hai ragione, c’è un sentore di conventicola, una specia di invisibile cerchio che delimita chi è dentro e chi è fuori. Penso sia un difetto dello zen nostrano (e forse non solo) che ci portiamo dietro nonostante le dichiarazioni di incondizionata apertura e di indiscriminata accoglienza. Il “nostro zen” è molto poco cattolico, nel bene e nel male, e forse questo sito è l’occasione di rompere il cerchio magico e di far ciò che caratterialmente abbiamo tanta difficoltà a fare, vale a dire accogliere altri senza pretendere che diventino come noi. Penso che la nascita torinese dello zen nostrano, che qualcuno ha rivendicato, abbia a che fare con questo marchio di fabbrica. Gran Torino! Anch’io mi son sempre sentito un po’ forestiero, ai tempi, pur facendo “parte del giro”. Mi piace allora qui ricordare un altro polo degli albori dello zen italiota (sceneggiatura di un prossimo film?) in una città non meno caratterialmente chiusa ma geograficamente spalancata sul mare e sconosciuta alle nebbie. Del resto lì il tedesco profeta incazzoso non veniva perseguitato dal ludibrio e dal sospetto, fin a doversi consolare abbracciando i cavalli (a questo proposito consiglio una deliziosa pagina di Kundera nell’Insostenibile leggerezza dell’essere, dove si afferma che N. abbraccia piangendo il cavallo per chiedergli scusa del modo in cui Cartesio parlava degli animali, macchine viventi senza coscienza di essere). Lì scrisse la Gaia Scienza, concepì Zaratustra ed era talmente gentile ed amato da essere chaimato, nei vicoli, “il Santo”. Cosicché ebbe a scrivere, prima di salire a nord e nelle nebbie: “Quando uno va a Genova è ogni volta come se fosse riuscito ad evadere da sé: la volontà si dilata, non si ha più coraggio di essere vili. Mai ho sentito l’animo traboccante di gratitudine, come durante questo mio pellegrinaggio attraverso Genova.”
12 Ottobre 2009 alle 11:27 am
Insomma, se ho capito bene, la qualità filmica dell’opera (al di là dei contenuti, su cui nessuno ha niente da ridire) è intoccabile?
12 Ottobre 2009 alle 11:49 am
Giusto, mon chère, soprattutto non mi toccate la qualità filmica, veh…
12 Ottobre 2009 alle 1:46 pm
A me, proprio volendo, chiedendo permesso e ottenutolo, la qualità filmica si può anche toccare – a difesa della quale c’è da dire che più che un film l’opera è una pièce teatrale (del resto quanti film eccellenti sono stati tratti da opere teatrali, uno per tutti Chi ha paura di Virginia Wolf?). Se cerchi l’azione in un film sul non fare sei nel posto sbagliato. E’ una pièce teatrale con personaggi e atmosfere degli anni settanta – riguardalo un pò così se hai voglia e tempo, e poi sappici dire.
12 Ottobre 2009 alle 3:23 pm
Chi ha parlato di azione? Racconta più cose un quadro di Giorgio Morandi che cento puntate di Walker Texas Ranger.
12 Ottobre 2009 alle 9:30 pm
,,,non so da che punto di quel che voglio dire posso iniziare, perchè è lunga, per me è un film visto e rivisto! ho avuto il mio passato mistico, ho creduto ai sogni, ho combattuto i cinici a spada tratta, e sono certo del valore di alcune frasi contenute nel filmato. Ma oltre che pensare che sia un pò come dare perle ai porci, ho la consapevolezza che il tutto (cioe quel che di buono è stato messo in bocca agli attori) per quanto possa essere una possibilità di stile di vita, non potrà mai essere messa in pratica da occidentali, per lo più viventi in un tempo inesistente dal punto di vista” uomo collegato all’universo” che in linea di massima non riesce a collegarsi neanche con il pianeta in cui vive. Dalle mie esperienze ho capito che l’uomo non può sfuggire a se stesso,( cioè dalla sua parte negativa che c’è sempre) anche se riesce a volte a convincere gli altri a farlo. ma gli altri si sà….sono manipolabili basta schiacciare il tasto giusto, ed è facile…troppo facile tenere una carota in mano, dolce, amara,arancione scuro o chiaro, ben matura, piccola o grande …sempre di carota si tratta, il film l’ ho già visto nella mia vita e più volte. C’è sempre qualcuno che ha qualcosa in più di te…,che la sa molto lunga…, che fugge dalle sue responsabilità,creando vittime sul suo cammino, che ti fotte la donna come è successo a me,certamente fà e dice anche di buono ma fondamentalmente un opportunista.E che ad una certa età perdendo il suo fascino e la sua tonicità, psicofisica si trova perso, e tutti i suoi insegnamenti? Benchè una buona parte abbiano motivo valido d’essere,umanamente e spiritualmente, si perdono in una nuvola. Troppo facile dire agli altri di vivere aspettando la casualità delle cose, magari potessi farlo, è tutta la vita che ci provo, infatti sono nella M….(cacca).Atteggiarsi a santoni è un lusso!! almeno qui in occidente, pena rischio esagerato dell’esserlo veramente, magari bruciati vivi in qualche panchina di un parco qualunque.NON SCHERZIAMO CON LA REALTA’ dei nostri tempi.Ormai i tempi sono cambiati, ne ho conosciuti troppi di Gianni, e guardacaso tutti poi hanno cambiato idea e modo di vivere.Allora!! Dov’è la verità? E di quale verità si parla? si ho capito e anche troppo che c’è e ci deve essere un motivo per tutto, ma non capisco per quale motivo mi devo affannare a cercarlo per forza, sono stanco…esageratamente stanco.Anche il nulla mi stanca ormai e anche il riposo.
13 Ottobre 2009 alle 7:21 am
Mi vorrei scusare se con le mie parole ho offeso qualcuno,o se qualcuno pensa che abbia in qualche modo criticato Gianni, io come lui vivo da sempre in una zona degradata, conosco bene certe realtà e la voglia di evasione che ne deriva a viverci in mezzo, la tristezza e l’amarezza di un mondo cieco, che forse ha accecato anche me.In alcuni punti mi sono un lasciato andare alla rabbia, ma è una rabbia onesta, e se qualcuno pensa che il mio scritto abbia infangato il nome di Gianni gli faccio le mie scuse.Io non so che cosa gli sia successo, nè come in realtà ha vissuto, il film mi ha dato degli imput e mosso ricordi della mia vita passata, che mi hanno portato a reagire così,anch’io sono operaio da sempre, ho 50 anni, ho provato e riprovato a praticare buddismo, ad essere in simbiosi con la natura,e l’universo, ed ho sempre cercato di capire gli altri anche coloro che hamnno commesso grossi errori: C’è sempre un perchè delle cose, ma ho visto almeno per me, che alla fine, solo il distacco da tutto e da tutti è la salvezza dalla sofferenza.Ma ho visto che l’uomo non è fatto per la solitudine, o per auto annullarsi, deve interagire con gli altri esseri,da lì gli inevitabili compromessi ai quali dobbiamo assoggettarci ma non riesco a darmene una ragione:… sempre col dubbio che mi ha portato a riscrivere queste righe, vi pongo e mi pongo un’ultima domanda: Secondo voi l’abolizione dell'”IO” è possibile per un uomo? Non potrebbe essere il contrario? E se lo fosse, sarebbe meglio credere il più possibile in se stessi, fino anche a decidere di trascinare gli altri, ma non c’è il rischio che troppi si credano pastori? Visto che non c’è un giudice che può dare certe facoltà, o che le pecore finiscano in un burrone che non hanno fatto in tempo a scorgere. Non per incolpare il pastore, ma a volte la situazione può sfuggire di mano e potrebbe non avere il tempo di avvisarle tutte, specie se credentogli ciecamente si sono moltiplicate. E se ci riesce per forza di cose ha creato un’organizzazione, che a sua volta deve essere gestita da altre pecore (ma sempre esseri umani)che se fossero perfetti non sarebbero pecore! ecc. ecc…..mi scuso ma stanotte ho dormito poco!! Sarebbe bello se qualcuno mi togliesse qualche dubbio, sulla domanda: …alla fine c’è sempre qualcuno che ci rimette di suo per salvare gli altri?
13 Ottobre 2009 alle 3:39 pm
Vabbène, o presépio nun te piace.
13 Ottobre 2009 alle 7:09 pm
Certo che si! te ce metto a fa er lupacchiotto, cò a gallinella en bocca, e speramo che nun te vada de traverso, ce arresterebbe maluccio, e io direbbe che avrebbe stato molto più assai migliore che nun ce fummo mai conobbi. a Mymmo!!… te saluto. ce vedemmo a Natale.
14 Ottobre 2009 alle 10:57 pm
Salve a tutti.
mi intrometto ormai a partita conclusa direi.
vorrei però dare la mia impressione, prescindendo dalla qualita filmica e dalla scelta delle immagini.
personalmente è interessante, io classe 1978, in cui le proposte dell’esperienza zen sono in un certo senso “incanalate”, vedere come poteva essere inizialmente.
In maniera spontanea in una soffitta in città, un posto per fare zazen, prendere un the e parlare.
direi “bella storia”…
tanto di capello a chi si è prodigato …..
15 Ottobre 2009 alle 10:07 am
Quello di cui parla Alessandro è un altro aspetto -o motivazione- del film e dell’averlo pubblicato qui. Il mondo, noi, il modo di “fruire” quello che c’è è molto cambiato. Per dire: all’epoca di cui si parla nel film non solo in Italia c’erano sì e no tre posti in cui si poteva fare zazen, ma non esisteva neppure una pubblicistica, una letteratura (a parte il professor Suzuki), anche la parola “buddismo” era pura immaginazione. Non c’era neppure il modello (errato) costruito in seguito dagli imitatori dei giapponesi. La spontaneità era una necessità e per questo molto autentica. Non vuol dire non vi fossero difetti: la tentazione di fare il santone o cedere alla deriva di trasformare lo zen in una propaggine del beat o del freak era talmente facile che per molto tempo Castaneda e Zen sono andati a braccetto, trasgressione e buddismo si sono spesso incontrati.
15 Ottobre 2009 alle 10:27 am
Caro Efheso (un operaio con nick così mi fa pizzicare lì, nella scatola della curiosità), sì sì ci si può sempre lamentare e le cose non andranno mai bene, nessuno è perfetto e non ci sono più nemmeno le mezze stagioni. Sei sicuro di aver praticato davvero una forma di buddismo? Da come fai le domande direi che più che altro ti parli un po’ addosso. Poi, capisco che sei un operaio (una volta gli si perdonava tutto in nome della cultura proletaria…) ma l’espressione “C’è sempre qualcuno …che ti fotte la donna come è successo a me” è più da utilizzatore finale che da buddista. Dove la tenevi ‘sta donna, nell’armadio pronta all’uso? Poi hai dimenticato la porta aperta e ‘sto santone l’ha fottuta… mah, po’ pure esse, a Centocelle, fuori da un ambito buddista, tra i burinacci… 🙂
15 Ottobre 2009 alle 12:52 pm
Vorreri fare una piccola osservazione a margine di questo dibattito che – prescindendo dal filmato – ha toccato temi di grande interesse. L’osservazione è relativa al ruolo del cercatore, del ‘discepolo’ (uso questi termini fuorvianti per semplicità), : chi, alla ricerca della via, si imbatte in un presunto ‘maestro’, non è scevro di responsabilità. Non c’è nessun maestro. C’è un detto che dice che è il discepolo che fa il maestro. Ora, è compito del discepolo mettere alla prova il (presunto) maestro, fino all’esasperazione, onde verificarne la affidabilità ed eventualmente fino a smascherarne il ruolo, qualora questo abbia divorato l’Uomo. Certo, oggi il Buddhismo è essenzialmente ‘square’, la ‘forma’ ha ripreso il suo dominio; ciò da un certo punto di vista è/vorrebbe essere una sorta di garanzia contro ciarlatani, esaltati ed impostori. D’altra parte impone però le regole dell”organizzazione’, il che significa scollamento, gerarchia, ritualità d’importazione, distanza tra il cercatore e l’oggetto della sua ricerca (tant’è vero che siamo qui a parlarci per internet…!). Per cui diventa sempre più difficile entrare in contatto così intimamente da mettersi reciprocamante alla prova e da porre le condizioni necessarie ad un reale travaso di esperienza da un contenitore all’altro. La ‘spontaneità’ cui accena mym diviene affettata, falsa. Nell’era del beat-zen le cose erano profondamente diverse, forse più vicine a quel che poteva essere il buddhismo delle origini (forme ancora vive, per quanto ne so e mi auguro, in molte tradizioni, non solo buddhiste). Quel tempo è passato: ciò comporta che sia ulteriormente necessaria una attenta ed approfondita verifica della persona cui ci affidiamo. Non basta che un medico abbia laurea e titoli accademici, per farne un medico davvero affidabile anzichè un buon funzionario. Le organizzazioni religiose, tutte, rispondono a ben altre esigenze e c’è effettivamente il rischio che, nel mondo dello ‘square’, i rappresentanti titolati trovino più gratificazioni ed interesse in queste che non nel rapporto ‘cuore a cuore’ con chi si rivolge loro con sincerità.
Tutto ciò dal filmato non si evince: è un limite delle immagini, che pongono l’accento sul ‘protagonista’ anzichè sul ruolo dinamico delle relazioni, esaltando involontariamente il culto della persona.
15 Ottobre 2009 alle 12:53 pm
Nel mondo dell’immagine, dei media, di internet, ci pare di essere più vicini perchè siamo tanti: ma siamo certamente più lontani. E’ il regno della quantità, che non può che generare sconforto e pessimismo. Urgono provvedimenti.
15 Ottobre 2009 alle 2:47 pm
@doc
n. 44: “è compito del discepolo mettere alla prova il (presunto) maestro, fino all’esasperazione”. Allora sono sulla buona strada!
n. 45: sottoscrivo il Manifesto della lotta al regno della quantità.
15 Ottobre 2009 alle 5:37 pm
n. 44: lo saresti se bastasse quello… 🙂
15 Ottobre 2009 alle 9:04 pm
Lo vedi, lo vedi che sei esasperato??? yu-huuuuuUUUUUUUU
15 Ottobre 2009 alle 11:55 pm
Galeotto fu il 44 e chi lo scrisse.
16 Ottobre 2009 alle 8:10 am
Ciao mym, si hai ragione, al tempo della donna ancora non praticavo e la persona in questione “era un falso predicatore”, come si è rivelato e non ovviamente zen.Ed io sono stato anche se per qualche anno un fraquentatore dei gruppi che praticano” il buddismo di nichiren, che conoscerai”,che è un buddismo non buddismo, una vera e propria setta. Sono capitato per caso in un sito che mi ha aperto gli occhi definitivamente, facendomi capire quanto tempo ho perso si chiama”no soka gakkai,sito di carlo”, un’amico mi ha parlato di cristianesimo-zen, per questo sono finito nel tuo sito.E ne ho sparato un pò. Ma come dici tu un pò mi piango addosso, un pò marcio con luoghi comuni, e vorrei aggiungere che oltre alle mezze stagioni, non si trova neanche il posteggio.Ciao sono certo di non aver inciso negativamente sui tuoi umori, e se fosse perdona questo operaiaccio. Tra l’altro oggi dolorante per un lavoro fatto ieri su di un terrazzo nel centro di genova.Beh un piccolo lamento ci voleva, P.S. avrei giurato che quel che ho scritto lo avresti cancellato,ma cosi non è stato! Grazie e a presto. e dimentica le mie domande è meglio!!
16 Ottobre 2009 alle 9:33 am
Belìn che pittima… 🙂
Fai pure tutte le domande che vuoi, chi pensa di poter rispondere lo farà. Questo in parte è avvenuto, se ne hai altre o di non pienamente soddisfatte per una volta dedicati solo alla domanda: la censura la rischi se invece di postare un commento (sui 500 caratteri) scrivi una filippica da 2500 (37, 38 e 44) o più. Salutami il Righi…
17 Ottobre 2009 alle 8:39 am
Daccordo con in buona parte…stabilire ruoli non è cosa facile,tutti possiamo essere l’uno il maestro dell’ altro.Ma forse è un punto di arrivo, non alla portata di tutti.Ricerca? A volte mi domando di cosa? Di un respiro profondo e duraturo,in un mondo caotico?Il distacco: essere al di sopra delle parti, pur uniti al tutto, o al nulla, non rischia d’essere una pura e semplice vita non vita? O solo una via per darsi una ragione, nell’esserci? O semplicemente non ho capito un tubo?Vai doc! Dai una compassionevole risposta a questa entità virtuale vagante.
17 Ottobre 2009 alle 10:42 am
Però! 559 caratteri. Disciplina forense o del battilastra? L’animo umano è una miniera di misteri. Vai Doc, si puedes, altrimenti qualcuno finisce che conferma il suddetto tubo…
17 Ottobre 2009 alle 11:04 am
Hai un pallottoliere sulla scrivania?
Temo di essermi un po’ perso…
Ricerca? Non so bene cosa si dovrebbe cercare. Personalmente la metto più sul ‘lavoro’ indirizzato a ricomporre le tendenze di opposizione/antagonismo con la realtà che mi circonda.
Probabilmente Hui-neng ha tutte le ragioni: non c’è nè polvere nè specchio. Tuttavia a me tocca pulire lo specchio per vagamente intuire, ogni tanto, un barlume di pacificazione.
Ciò si ricollega ai commenti sulla frase evangelica citata da dhr nel post Cosa c’è dopo la morte.
17 Ottobre 2009 alle 11:22 am
oh finalmente un po’ di interdipendenza anche nei blog
17 Ottobre 2009 alle 11:25 am
A dire il vero non ho proprio la scrivania.Io pensavo ad una ricerca in se stessi,per capire meglio come ci si rapporta nei confronti di tutto ciò che ci circonda “umani” compresi, e forse forse scoprire se c’è troppa arroganza, o autostima… o se ce nè poca, non mi sembra cosa da poco. Riguardo al lavoro la ricerca è continua visto che lavoro saltuariamente con ditte interinali.”Lo specchio”?…ne ho uno solo, e non lo pulisco molto, tranne che nel punto dove mi si vede la faccia.L’idea del pallottoliere però non è male Grazie.Ora me lo compro!
17 Ottobre 2009 alle 12:23 pm
Scusa, la frase sul pallottoliere era rivolta a mym che ormai ha preso il vezzo di contare i caratteri…
Quanto al lavoro, ovviamente intendevo il lavoro su se stessi, intesi come corpo-mente, lavoro che trova un eauriente paradigma nella pratica (ad es.) dello zazen. Sono dell’idea che procedere sul piano del ‘capire’ sia assolutamente insufficiente, se non mettiamo anche in relazione i processi mentali e percettivi con quelli corporei.
In un certo senso, non ‘Il distacco: essere al di sopra delle parti’, ma proprio il suo opposto: essere completamente (dentro) le cose, il momento che viviamo. Corpo-mente, appunto.
17 Ottobre 2009 alle 1:22 pm
“il lavoro su se stessi, intesi come corpo-mente”
… cos’è corpo e cos’è mente? (al di là di ciò che viene dato per scontato nel linguaggio ordinario)
17 Ottobre 2009 alle 1:42 pm
Furbacchiotto!
Se non ci vedi (più) alcun dualismo, allora…’tutto è nella luce’.
Una volta le montagne erano montgne, i fiumi erano fiumi: poi le montagne non erano più montagne…
La storia a l’è bela, a fa piasì cuntela…
17 Ottobre 2009 alle 1:43 pm
ebbene sì, ogni tanto mi piace pisciare fuori dal vaso.
17 Ottobre 2009 alle 2:20 pm
No problem doc, ho realizzato,è il mio complesso di inferiorità che ogni tanto affiora, inoltre mi piace ironizzare,… ma con senso.Vorrei dire a dr che corpo è corpo e mente è mente. possiamo non dar senso a nulla o credere importante tutto, comunque di sicuro corpo è quello che ci fa stare diritti. Mente è quello che ci frega,o ci aiuta, o tutte due insieme.Perdona il mio linguaggio ordinario ma con i miei limiti non vedo altre possibilità.Dimmi tu….Caro doc di certo essere dentro alle cose implica il fatto che c’è da girare con paraocchi e tappi negli orecchi se non si è al di sopra delle parti,o “distaccati”, si rischia l’influenza (A). Anzi… già accuso dei sintomi, speriamo che non si attacchi virtualmente.
17 Ottobre 2009 alle 2:49 pm
C’è un tempo per i tappi e per i paraocchi; e c’è un tempo per l’influenza. Siamo sempre noi, la vita che si manifesta.
Ognuno ha i suoi percosi e le sue esperienze, a prosito delle quali – soggettive ed aleatorie come sono – meno si dice, in fondo, meglio è.
Personalmente ritengo che prendere rifugio nel buddha che è me stesso, raccogliendo corpo e mente in una adeguata postura, sia una buona medicina. Meglio se in compagnia.
17 Ottobre 2009 alle 4:07 pm
n. 59: “Se non ci vedi (più) alcun dualismo, allora…’tutto è nella luce’”.
Per citare un maestro che non cito (ma inizia per M): “Il buddismo comincia quando smetti di chiederti: Che cos’è?”
17 Ottobre 2009 alle 11:26 pm
Che c’entra il buddismo? O:-)
18 Ottobre 2009 alle 9:46 am
Che ne so, chiedilo a lui!
😀
18 Ottobre 2009 alle 2:34 pm
Oppure quando smetti di chiederti perchè ? Ma forse c’è poca differenza.Di certo sai perchè!… ma non è altrettanto certo che puoi sapere cos’è,senz’altro saprai che è solo una cosa tua,e come tutte le cose nostre, difficile da spiegare, in questo dò ragione a doc, meno si parla e meglio è. Grazie per l’insegnamento… anche se io purtroppo sono un chiacchierone, ed ho deciso di accettarmi così.
18 Ottobre 2009 alle 4:29 pm
Nonnonnò, né perché né cos’è. Insomma, siete proprio una disperazione. L’unica cosa che conta è realizzare il come e continuare per sempre. Quale come? Il come uscirne. Il resto son chiacchiere perse, che sian tante o che sian poche non fa differenza. Se poi avete la bontà di rivedere il film, alla fine vi è una famigliola di criceti in una gabbietta. Chi non si identifica o chi si identifica “solo” per chiedersi perché et similia…
18 Ottobre 2009 alle 9:18 pm
..si hai ragione,e mi scuso ancora una volta.Il fardello è individuale,e le risposte non possono esserci.Il mio uscir dal tema in origine di questo sito, come ormai hai compreso, e causato dalla mia difficoltà a dare un senso minimo alla mia esistenza,così è da sempre.E mi ritrovo a cercar domande, senza risposte possibili.Avevo notato i criceti ma senza dar loro molto peso.Ora credo di aver capito.Ma non credo di farcela.Almeno non in questo periodo.(Tra i peggiori).
20 Ottobre 2009 alle 10:14 am
I periodi peggiori… fanno star male. Mi spiace. A mio parere dovresti lasciar perdere (almeno per un po’) il buddismo e pensare in termini più liberi, ariosi. Chi te lo fa fare di cercar domande? I peggiori periodi hanno, almeno, il pregio di preludere ai migliori.
13 Novembre 2009 alle 6:03 pm
questo film mi riporta in luoghi e tempi di cui non so dire…
13 Novembre 2009 alle 7:23 pm
Il ricordo dei semi scomparsi sono gli alberi del nostro tempo
14 Novembre 2009 alle 1:39 am
focalizzarsi sui semi perdendo di vista gli alberi… forse è un “male”
22 Novembre 2009 alle 3:20 pm
semi e alberi sono la stessa cosa, uno dipende dall’altro.il “male” ? é la parte povera dell’uomo che ha avuto il dono della ragione, ma aimè… troppo spesso ne è vittima, perchè il sacco è troppo grande rispetto a quel che può metterci dentro, e sembra sempre vuoto.
29 Novembre 2009 alle 11:42 am
Se semi ed alberi sono “la stessa cosa” allora anche bene e male sono la stessa cosa. Quando parlavo del “ricordo dei semi passati” intendevo, in metafora, il loro lascito: gli alberi. Invitavo a vedere nell’albero anche il seme che lo ha prodotto. Fuor di metafora: il periodo di frontiera, spontaneità e fantasia di cui si “parla” nel film La Tana del Buddha è padre di questo presente, quindi un po’ si assomigliano.