Lun, 7 Set 2015
Domenica 13 settembre, a Carrara una nuova puntata della Stella.
Nella cornice del Carrara Festival 2015, quest’anno intitolato Con-vivere Terra, uno sguardo al mondo globale, all’interno di un denso programma vi sarà una “tavola rotonda”. Quattro persone, accompagnate da una moderatrice che per l’occasione sarà Gabriella Caramore, riunite per immaginare un futuro comune delle religioni.
Parteciperanno Enzo Bianchi, Adel Jabbar, Vittorio Robiati Bendaud e il sottoscritto.
Il tema proposto è Religioni: quali strade per una efficacia nella storia e sarà sviluppato in due differenti sotto-temi. Il primo impegnerà ciascuno nel presentare: le differenti linee di tensione che percorrono la propria tradizione, mettendo in risalto quelli che sono i punti di maggiore criticità e nello stesso tempo le novità positive che si siano presentate negli ultimi anni. Il secondo sotto-tema sarà invece dedicato ad una riflessione a proposito di: su che cosa sarebbe opportuno far leva perché i diversi percorsi religiosi non siano barriere ma luoghi di apertura e costruzione di un mondo civile. Le speranze, ma anche realisticamente le possibilità concrete.
Sul sagrato della chiesa del Suffragio, alle 11,30, a Carrara, domenica 13 settembre.
Tutte le iniziative sono a ingresso gratuito.
Religioni: quali strade per una efficacia nella storia
34 Commenti a “A Carrara, la Stella pellegrina”
Se volete, lasciate un commento.
Devi essere autenticato per inviare un commento.
7 Settembre 2015 alle 11:29 pm
Peccato. Fino al lunedi 14 non arriverò fino Italia, ma spero che qualche eco arrivi qui.
Che vada bene.
8 Settembre 2015 alle 8:30 am
Uuuh! Perché l’eco arrivi fin lì dovremmo farne del rumore… 🙂
Se tu ci fossi stato ne sarei stato contento.
Comunque, gli altri anni c’erano TV, radio, triccheballacche… Faranno delle registrazioni che poi andranno on line.
Grazie
Ciao
mym
15 Settembre 2015 alle 6:00 pm
Fatto quello che c’era da fare, detto ciò che c’era da dire, restano le tracce, che a poco a poco si affievoliscono…
17 Settembre 2015 alle 11:02 am
Mym, ho letto l’intervento e ti do lo spunto per introdurti valido in qualsiasi situazione, vale a dire che può essere elaborato secondo la bisogna. Poi dico perchè non mi è piaciuto soprattutto per l'”introduzione” al tema.
Eccoti l’incipit dello Heike monogatari:
Il suono delle campane di Gion costituisce l’eco dell’impermanenza [mujo] di ogni cosa. Il colore dei fiori degli alberi di sara sono la manifestazione del principio in base al quale coloro che ottengono successo inevitabilmente cadono. Anche le persone che ottengono potere non ne godranno a lungo e tutto ciò si dimostrerà simile a un sogno in una notte di primavera. Anche coloro che godono di una posizione elevata presto decadranno e diventeranno simili a polvere nel vento.
Vengo all’introduzione del tuo intervento, a mio avviso sarebbe stato meglio circoscriversi al proprio ambito, vale a dire:
…Sono qui e parlo della mia esperienza nell’ambito del buddismo di tradizione zen Soto…
Aggiungo io: il fatto che non sia possibile parlare del buddhismo in termini “unitari”, per me è una ricchezza e non un limite, come potrebbe intendersi da come ne parli tu.
Dici: “Non vi è quindi…” – c’è, c’è la dottrina, c’è la pratica, c’è una lunga storia Zen, indiana, cinese, giapponese,…
Dici: “…non è un ente dottrinale…”, – lo è, lo è, e si può illustrare in molti modi.
Dici: “…non è una religione strutturata…”, – lo è, lo è, ma non lo è come il cristianesimo per fortuna…
Dici: “…non ha una forma determinata…” – c’è, c’è, e si chiama zazen…
Dici: “…è ‘i buddismi’ in senso personale…”, – come potrebbe essere altrimenti…?
Dici: “…il buddismo non ha un progetto storico…”, – potrebbe non essere chiaro il “relativo”, perchè è universale, cosmico. Quindi, ce l’ha.
Dici: “…non ha un indirizzo collettivo…”, – come sopra, oppure, perchè è logicamente deantropocentrico…quindi cosmologico.
Ci sarebbe da parlare a lungo, anche sul concetto di “storia” contemporaneo dove tutto è subito post-…quindi sistemicamente consumistico. Qui, il buddhismo ha una proposta agli esseri assolutamente UNICA e universale, appunto, cosmica.
Ripeto, in questi incontri frettolosi e tuttologi e omologi, è meglio, a mio parere, usare Dogen con un linguaggio contemporaneo.
Ciao.
17 Settembre 2015 alle 11:10 am
Oltre a ciò…se un buddhista parla in termini riduttivi, quando non discutibili e apertamente critici, della sua tradizione…bè allora, siamo meglio noialtri (laici, laicisti, cattolici, cattosinistristi, cattointegralisti, oshoisti, newageisti, framassonisti, rotaryanisti, lyonisti, roundtableisti, soroptimisti/e, ecc…).
17 Settembre 2015 alle 11:31 am
Ciao Nello, grazie per aver letto e commentato. Non sei mai banale.
C’è (quasi) sempre bisogno di modulare il discorso alle circostanze e agli ascoltatori. Avevo, in tutto, 20 minuti a disposizione, all’introduzione (che pare averti conquistato come fosse il tutto) ho dedicato meno di 3 minuti. Il numeroso e splendido pubblico era composto quasi totalmente da pensionati, di buon livello culturale ma solo pochi (pochissimi) avevano un’infarinatura di buddismo.
Potevo fare un poco di sceneggiata giapponese parlando dei fiori di “sara” (?) e delle campane di Gion (quartiere di Kyoto, I suppose…) ed alle anziane signore sarebbe piaciuto molto. Tutta la coorte degli zen europei ed americani ha costruito le sue fortune ripetendo giapponeserie.
Dovevo parlare in qualità di buddista, ovvero rappresentante del buddismo in generale e perciò far capire i limiti del ruolo che mi era attribuito: non c’è un buddismo che li rappresenti tutti, perciò, benché parli da buddista lo fo’ da una posizione personale. Il tutto, ripeto, in 3 minuti. Bisognerebbe provare per capire realmente.
Per quanto riguarda un buddista che critica il buddismo, a me non pare in errore, se non racconta falsità.
Sul fatto, invece, che siate meglio voi sono proprio d’accordo.
17 Settembre 2015 alle 11:41 am
Caro mym, a proposito di @5 in cui “erroneamente” mi includi grazie alla mia frettolosità nello scrivere, quel passo avrebbe dovuto essere scritto in questo modo:
“…bè allora LASCIA SUPPORE CHE SIANO MEGLIO TUTTI GLI ALTRI, VALE A DIRE (laici, laicisti, cattolici, cattosinistristi, cattointegralisti, oshoisti, newageisti, framassonisti, rotaryanisti, lyonisti, roundtableisti, soroptimisti/e, ecc…).”
Io con i signori di cui sopra non ho quasi nulla a che spartire.
Lo Heike monogatari, che non è un testo religioso ma storico, si presta a essere elaborato in chiave moderna e senza alcuna giapponeseria. E’ possibile. Ciao.
17 Settembre 2015 alle 11:51 am
Ah, bene.
Lasciamo supporre allora.
Che un testo giapponese del XIV secolo che parla dei fiori di sara (?) e delle campane di Gion sia rappresentabile al pubblico senza giapponeserie è uno splendido koan.
Ma ci proveremo, perbacco.
17 Settembre 2015 alle 4:31 pm
Buongiorno Nello,
rispetto al tuo @5, penso invece che un buddista che non critica il buddismo, non per partito preso o per gioco verbale, ma nele sue forme onestamente criticabili, fa un torto al buddismo. La critica è il sale del buddismo e criticare sempre gli altri è troppo facile.
Personalmente ho apprezzato la traccia dell’intervento di mym, considerando l’ambiente in cui ha accettato di intervenire, ho avuto esperienze consimili. Piuttosto mi incuriosisce sapere come l’hanno ascoltato gli altri tre interlocutori, rappresentanti, forse ob torto collo, di tre robusti assolutismi teistici.
17 Settembre 2015 alle 5:08 pm
Ciao Jf,
Ascoltato, dici…
Non lo so, ad un certo punto Vittorio Robiati Bendaud, ebreo ortodosso si definì, mentre parlavo ha annuito. Questo è stato tutto il riscontro palese che ho avuto del mio dire. Erano così occupati a parlare tra loro dei problemi “loro” che praticamente non hanno fatto caso alla mia presenza. Penso che non si rendano conto né di quanto siano obsolete, almeno nella forma, le proposte spirituali che rapprentano, né della potenziale ma reale “minaccia” futura del buddismo.
17 Settembre 2015 alle 5:19 pm
mym @10 “praticamente non hanno fatto caso alla mia presenza” – beh, mi pare il risultato pieno, presenza senza traccia: non potrebbe non piacere a Dogen, “con un linguaggio contemporaneo”, non trovi, Nello?
17 Settembre 2015 alle 5:26 pm
Buonasera jf,
seguendo il tuo @9 allora dico che mi piace quella critica, posto che si renda necessario che ve ne sia una in certi contesti, che chiaramente include anche il suo superamento, e questo deve risultare molto chiaro. Quale buddhista, in un incontro pubblico di qualsiasi genere, ci tengo ad affermare la mia fede in chiave superativa delle contingenze di qualsiasi natura, storica, teologica, sociologica…senza appesantirmi troppo con il fardello critico…che ha un suo valore ma può anche rivelarsi controproducente sotto ogni punto di vista se non effettuato nella giusta misura e nel giusto modo e momento.
Questa è solo una mia opinione…
17 Settembre 2015 alle 5:32 pm
caro jf @11, a me Dogen piace così come è. E penso che possa parlare alla contemporaneità da qualsiasi punto di vista anche così come è. Lo spirito delle persone, di qualsiasi età ed estrazione può intendere Dogen, anche i bambini possono. Sempre per mia opinione.
17 Settembre 2015 alle 5:50 pm
Non vedo la critica come un fardello (@12) semmai come liberazione da un peso inutile o dannoso. Se dico che il buddismo, in una della sue estrinsecazioni storiche, è stato usato a fini di potere temporale, non mi carico di un fardello critico, semmai cerco di liberare quella forma di buddismo (e me stesso) da un peso che la opprime e la distorce. Inoltre rilevo che anche il buddismo, come manifestazione fenomenica, è a rischio di uso improrio da parte dei buddisti medesimi, per cui si deve star sempre vigili. Opinione anche questa, certo.
17 Settembre 2015 alle 5:57 pm
Dogen così com’è… Caro Nello @13, ti confesso che a volte mi chiedo se lui stesso sapesse com’era. Lo frequento da un bel po’ con devota attenzione (nei limiti della mia comprensione, non nego) e a volte faccio fatica a seguirlo, sulle montagne russe del suo mutevole linguaggio. Io penso, invece, sia in gran parte lettura da iniziati.
17 Settembre 2015 alle 6:41 pm
@14, si può stare vigili in tanti modi. E l’uso che ne possa essere stato fatto, non ne può contaminare il cuore. Nonostante i buddhisti medesimi.
@15, Dogen così come è, non attiene alla sua espressione formale letteraria ma alla sua verità. Che è eterna e universale. Dargli espressione originale è il punto, per me.
E comunque quanto dici in può essere sviluppato in tante modalità e lo stesso vale per quanto esposto da mym al convegno.
La criticità può assumere forme non conformiste ma essere inclusa nel suo superamento.
17 Settembre 2015 alle 7:05 pm
Il buddismo nonostante i buddisti è un’astrazione, al più una tensione ideale: come il cuore senza corpo. Con questa argomentazione, non si può criticare il cristianesimo per i delitti perpetrati dai cristiani in nomine domini, le scimitarre degli islamisti sguainate per la jihad e compagnia cantante. Siamo tutti innocenti per contratto, qualsiasi cosa facciamo. Se c’è incontaminato, c’è anche contaminazione, altrimenti che stiamo a dire? Dogen docet.
18 Settembre 2015 alle 9:31 am
@17, non mi sono spiegato sufficientemente nel mio @16, tento di farlo:
Esisteva la verità del Buddha prima di Shakyamuni? Certo. Quindi per “…buddhismo nonostante i buddhisti”, si intende che se fai una conferenza sul buddhismo con tutti i limiti del caso, gli ascoltatori non buddhisti, possono attingere al buddhadharma nonostante la tua esposizione magari limitata.
Questo statuisce che resta la speranza, nel non buddhista, di poter fruire del buddhismo appunto, nonostante i buddhisti lo espongano magari limitatamente.
Vale a dire che il buddhadharma è una esperienza pratica personale che avviene nella chiarezza dello zazen, nonostante i buddhisti.
Quindi, c’è il buddhadharma (zazen) incontaminato e immacolato (ovviamente qualsiasi aggettivo può essere limitato e fuorviante ma siamo nell’ambito del linguaggio…), nonostante i buddhisti brutti, sporchi, a volte destrorsi e guerrafondai e peccatori.
Uno può scegliere di vivere il suo buddhadharma (siamo sempre nell’ambito del linguaggio, e mi riferisco al senso di “suo” che qui ha una accezione di sensibilità personale), criticandolo per tutta la vita, se crede che il buddhadharma sia quello, ovvero, criticare il finto spacciato per autentico a caro prezzo nella speranza di indicare l’originale.
Un’altro può indicare nel buddhadharma una speranza di redenzione…(siamo sempre in ambito linguistico) soprattutto ai non buddhisti, e qui la critica non serve a molto, ci pensa zazen a fare pulizia…se non si crede a questo…
E immagino la replica potenziale cui induce questo asserto, certo, uno si avvicina allo Zen, poi trova nei dojo dei filonipponici marpioni…e io penso che comunque incontra lo zazen. Forse mi illudo…ma non sarebbe poco nonostante i buddhisti brutti, sporchi…
18 Settembre 2015 alle 12:39 pm
Seguo il tuo ragionamento @18 articolato e interessante. Riconosco gli accenti della speranza, che male non fanno, se resta un’esca lanciata nel vuoto. Non vorrei essere a mia volta frainteso, come mi sentissi dalla parte dei “buoni” e potrei allora dire, parafrasando, che c’è il buddhadharma nonostante i buddisti buoni, puliti, pacifisti e santi. Se di speranza parliamo, forse meno orpelli si aggiungono e più c’è speranza di incontrare zazen sedendo in zazen. “Ci pensa zazen a fare pulizia…”: sarebbe anche bene, però, che chi siede in zazen se ne accorga.
19 Settembre 2015 alle 8:05 am
Mym, ho letto l’intervento e ti faccio i complimenti. Mi sono piaciuti gli espedienti retorici.
La questione secondo me non è tanto la critica al buddismo (jf, 14), ma la critica alle religioni. Scrive Nietzsche in Umano, troppo umano:
“Nessuna religione ha mai finora contenuto, né direttamente né indirettamente, né come dogma né come allegoria, una verità. Poiché ciascuna è nata dalla paura e dal bisogno e si è insinuata nell’esistenza fondandosi su errori della ragione.”
19 Settembre 2015 alle 8:07 am
Secondo me, Nello @ 7, sragiona
Per esempio, sto studiando Johann Georg Hamann, (Königsberg, 27 agosto 1730 – Münster, 21 giugno 1788) sfigatissimo amico di Kant, temuto e rispettato da Goethe. Influenzò Hegel e Kierkegaard.
Hamann dice di sé:
“non mi sento a casa mia in nessuna occupazione, sono inutile sia come pensatore sia come uomo d’affari… Non sopporto l’alta società né la solitudine del chiostro”, “non so pensare abbastanza male di me stesso”, “sono sempre stato stupido” etc.
Dopo il fallimento degli studi giuridici divenne teologo. Convisse con una donna semplice, analfabeta e devota, che gli diede quattro figli; predicò la via della rinuncia. Morì a cinquantotto anni probabilmente in conseguenza dei suoi eccessi alimentari… Insomma, Hamann fu un uomo oscuro e bizzarro, un “cristiano” come dice Nello, soprannominato dai suoi contemporanei il “Mago del Nord”. Quando appose l’emblema di un Pan Cornuto ad alcune sue opere passò alla storia come “il profeta cristiano dal piede forcuto”.
E gnénte, poi arriva Nello e dice @5) che con cattolici, i buddhisti duri e puri, non hanno quasi niente a che spartire. Anzi, i buddisti duri e puri non hanno quasi niente a che spartire con un sacco di altra gente…
19 Settembre 2015 alle 9:20 am
C’era uno, anni fa, che voleva pervicacemente pubblicare un libro a tema buddhista di un monaco zen, a tutti i costi, era risolutissimo. La sua cooperativa editrice era di destra e cattolicissima. Io era dubbioso…e feci presente le mie perplessità al riguardo al monaco che non ne tenne conto.
Bene, l’editrice “pubblicò” il libro per seppellirlo nei suoi magazzini e non apparve mai in nessuna libreria….
dedicato a @21.
ti inviterei ad evitare aggettivi riferiti alla mia persona, resta nel merito con altrettanto merito. Se poi non mi rilevi, lo apprezzerei al massimo.
19 Settembre 2015 alle 9:41 am
“Non so pensare abbastanza male di me stesso” (secondo il finora a me sconosciuto Hamann in @21) non mi dispiace: è un filino egocentrica come formulazione, ma non sarebbe male se ognuno si esercitasse a pensarlo almeno una volta al giorno, come pratica allo specchio.
In qualità di moderatore per interposta persona ed esplicita delega (mym è offline fino a lunedì) invito a evitare apprezzamenti e battibecchi personali nei commenti: della loro assenza si giova la discussione comune, anche nella marcata diversità delle opinioni.
19 Settembre 2015 alle 9:56 am
Nello, “sragiona” non è un aggettivo, ma la terza persona singolare del verbo “sragionare”.
Dedicato a @22.
Dunque, “restando nel merito con altrettanto merito”… se non rilevi la distinzione tra un verbo e un aggettivo della lingua italiana, forse, prima di commentare, sarebbe gradito che studiassi un po’ di grammatica.
19 Settembre 2015 alle 10:35 am
Caro HMSX, ribadisco l’invito di cui al mio @23. Le diatribe a due dai toni personalizzati fanno passar la voglia di intervenire (e anche di leggere) agli altri frequentatori del blog, e fan perdere di vista il merito di cui si discute e, perché no, del contendere.
21 Settembre 2015 alle 8:16 am
Ciao jf, grazie per l’aiuto.
Purtroppo l’abitudine di screditare l’interlocutore, con verbi e aggettivi, è diventata cultura di massa. Ed è una pessima abitudine da almeno due punti di vista: quello etico e quello dei contenuti. Riguardo al primo spetta a ciascuno, per conto proprio, la valutazione di opportunità. Riguardo al secondo spetta anche a chi “cura” questi commenti. Oltre ad aggiungere queste parole, per garantire il rispetto personale a chi interviene qui, non ho altro modo che la censura. Ovvero cancellare commenti oppure impedire l’accesso ai recidivi.
Un poco mi spiacerebbe doverlo fare: è una sorta di fallimento del mediatore, dall’altro l’esercizio del potere, seppur in minimalia, concede un poco di piacere.
21 Settembre 2015 alle 8:22 am
Nello 12@: forse non hai colto una cosa nel programma. La prima parte della prima parte era dedicata a “le differenti linee di tensione che percorrono la propria tradizione, mettendo in risalto quelli che sono i punti di maggiore criticità”. Il superamento, che a mio parere c’è stato, l’ho evidenziato valorizzando quello che fai tu e tanti altri nello scorrere del quotidiano.
Non potevo mica fare nomi e cognomi… 😛
21 Settembre 2015 alle 8:30 am
Ciao hmsx, bentornato.
@ 20: questa volta Nietzsche ha preso una solenne cantonata, imho. Laddove dice “ciascuna [religione] è nata dalla paura e dal bisogno e si è insinuata nell’esistenza fondandosi su errori della ragione” visto che il buddismo, quello vero inesistente e puro, fattuale e splendido, efficace e leggero, non ha nulla a che vedere con la ragione, avrebbe dovuto scrivere “ciascuna, a parte almeno il buddismo, è nata dalla paura e dal bisogno e si è insinuata nell’esistenza fondandosi su errori della ragione”.
21 Settembre 2015 alle 11:32 am
@jf, 23 e 25.
Hamann scrisse poco, disordinatamente e in modo oscuro. Nei suoi scritti le enunciazioni essenziali sono annegate in un mare di riferimenti biblici e culturali, citazioni, allusioni, ironie e fatti personali che lo rendono ostico finché un lampo non rischiare le tenebre. Egli diventa chiaro se lo si considera non a partire dagli scritti ma dalla personalità, potente e misteriosa che ispirò lo strurm und drang, il classicismo, lo storicismo, l’idealismo e il romanticismo. Infati, se nelle opere era oscuro, era cristallino nelle amicizie e nelle lettere agli amici, e col cemento della sua personalità Hamann seppe riunire intorno a sé una cerchia di spiriti eletti.
Questo per dire che comprendere la personalità di un uomo spesso aiuta a fare chiarezza sul suo pensiero (altro che “evitare aggettivi riferiti alla persona”).
Nello, sostenendo al contrario di mym che il buddhismo è un ente dottrinale(@4), si colloca ipso facto nella grande famiglia dei parrucconi, ovvero di coloro che nel ‘700 indossavano la parrucca da dotto e scrivevano l’enciclopedia. Hamann lottò tutta la vita contro quelli che, compiacendosi di parole raffinate, derivate e vuote, finiscono con l’ arzigogolare all’infinito.
In particolare Nello, nella sua tesi di laurea “Dōgen: tradizione, Buddhismo critico, realizzazione“, prende lo zazen, una specifica visione umana, ( “che non serve a niente ed è una inutile perdita di tempo” – Abe Masao) per farne una fonte pseudo-oggettiva di autorità: una cosa dell’uomo che viene immaginata come eterna, immutabile, universale.
Mi viene in mente l’ aneddoto di Hamann che rimase allibito quando Kant, nel 1768, disse nel giardino del mercante inglese Green che l’astronomia aveva raggiunto una tale perfezione da escludere ogni nuova ipotesi. Per questo Goethe ricorda Hamann come «la testa più lucida del suo tempo».
21 Settembre 2015 alle 11:33 am
@mym, 28
Non sono sicuro che Nietzsche abbia preso una cantonata perché non sono sicuro di cosa debba intendersi per Dharma. E se fosse solo la proiezione della coscienza umana sull’universo?
Hamann non mi è d’aiuto: “Non esiste una ragione universale come non esiste una lingua universale. In una traduzione si perde ciò che distingue una esperienza da un’altra”.
21 Settembre 2015 alle 11:40 am
@hmsx, 30: se fosse solo la proiezione della coscienza umana sull’universo non sarebbe dharma.
Certamente, comunque, non è un errore della ragione.
21 Settembre 2015 alle 5:49 pm
@hsmx, 29 e 30
Zazen è una porta, la si può dire universale, non fosse che per il fatto che chiunque può varcarne la soglia, ma lo è solo per chi lo fa. Come una lingua, che è esperienza significante per chi la parla.
16 Ottobre 2015 alle 2:22 am
Dharma (in devanāgarī: “धर्म”) può essere tradotto come “Dovere”, “Legge”, “Legge cosmica”, “Legge Naturale”, oppure “il modo in cui le cose sono” o come equivalente del termine occidentale “Religione”. (fonte wikipedia)
Eppure il Dharma, la legge morale, è una antropomorfizazione che ribalta nel disordine esterno l’ordine interno. Una barriera fittizia contro l’onda caotica dell’universo. Il dharma non arresta il caos, non gli impedisce di irrompere fra gli uomini e dentro gli uomini e di spingerli a combattersi ferocemente per àmbiti ma non sovrabbondanti beni della vita, a strapparsi lo spazio, il tempo, e la materia. La legge dell’universo, il nomos basileus o legge sovrana, è la forza selvaggia, il caos.
Per esempio, @32, una mia amica non può varcare la soglia dello zazen perché è paraplegica! Eppure il Dharma è universale.
Lo zazen di Dōgen mi sembra fanatico e morboso. Alla fine tutto si riduce al complesso rapporto tra mente e corpo che le varie tradizioni religiose devono indagare mediante il dialogo.
Si deve dialogare “… affinché sia consentito ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità.” (Editto di Costantino)
16 Ottobre 2015 alle 7:58 am
Ciao Hmsx, si medita, vedo. Grazie.
Il significato della parola dharma è, in parte, anche quello che tu dici. Quindi anche antropomorfizzazione, barriera fittizia ecc. Questo soprattutto se il termine viene letto secondo la sua origine hindù. Tuttavia laddove venga usato secondo il buddismo, con quella parola si intende un insegnamento che non consiste né in una parola né in una formula (verbale o di altro genere) ma in un atto dello spirito. Come sai, le azioni parlano solo quando noi cominciamo a pensare e a descrivere, altrimenti sono mute.
Quando diciamo “lo zen di Dōgen”, se per un momento leghiamo il senso di zen a quello di dharma, siamo già fuori sia dallo zen che dal suo sinonimo-per-un-momento.
Anche i paraplegici possono fare zz. Anni di sciatica e di conseguenti sedute su una sedia (non era a rotelle, ma penso non vi siano sostanziali differenze in quel caso) mi hanno insegnato che, benché con qualche difficoltà in più (sia fisica che mentale) si può fare zz anche su una sedia.
In ogni caso l’universalità del dharma/zazen non significa che tutti siano in grado di accedervi. Ma che è offerto a tutti e a nessuno è impedito di accedervi.
L’editto di Costantino, scritto se ricordo bene per garantire anche i cristiani sino ad allora discriminati, da per scontata la divinità che sta in cielo (Cielo?), dubito che garantisse anche quelli che in cielo (Cielo) non vedono nessuna divinità.