Dom, 13 Gen 2008
Oggi in Giappone, nella quasi totalità dei casi (1), gli appartenenti al Soto Zen, ben lungi dall’essere “monaci zen” dediti allo zazen, al lavoro manuale ed allo studio, sono preti ordinati ancora bambini dal padre da cui hanno poi ereditato la conduzione del tempio di famiglia.
Tempio nel quale l’attività principale, per non dire l’unica, consiste nella celebrazione, a pagamento, di funerali o cerimonie di commemorazione dei defunti.
Questo sistema si perpetua da molte generazioni grazie ai senmon sodo, centri di educazione del clero, in cui si svolgono le ango (2), periodi di tre mesi ciascuno dedicati all’educazione intensiva alle cerimonie e alla minuziosa etichetta di origine confuciana che governa la vita dei templi. Ogni prete deve trascorrere almeno tre mesi in un senmon sodo per ottenere la “patente”, detta kyoshi in giapponese, che gli permette di esercitare legalmente il mestiere. In base alla quantità di tempo trascorsa in quei luoghi ed ai ruoli ivi ricoperti si articola una gerarchia clericale complicatissima che ordina la piramide del clero.
Da settembre a dicembre del 2007, il Soto Zen Shumucho, braccio amministrativo di quella piramide di potere, ha organizzato in Francia la prima ango europea, pare proprio con l’intento di riprodurre in Europa lo stesso meccanismo all’interno del quale lo zen giapponese è una holding di amministrazione del lutto, le cui filiali sono i singoli templi.
Quando l’ango europea era ancora in preparazione, Jiso Forzani, Daido Strumia ed io avevamo inviato una lettera all’Ufficio europeo del Soto Zen, in cui sconsigliavamo di procedere in quella direzione. Ora, ad ango conclusa, pubblichiamo l’intervento di Jiso Forzani alla riunione di chiusura. Riunione nella quale vi è stato chi, come Pierre Dokan Crepon, dendo kyoshi (un rango tra quelli ora detti, appositamente studiato per gli occidentali) direttore del centro zen di Vannes, auspica una continuazione delle ango per contrastare “l’anarchia spontaneista” che a suo dire dilagherebbe tra i praticanti zen. Vi sono stati altri, come Jean Pierre Taiun Faure, dendo kyoshi, direttore del tempio Kanshoji a Limoges, che auspicano senz’altro che le prossime ango “rilascino attestati ai partecipanti in modo da certificarne la maestria”.
Se quello che sta accadendo proseguirà nella medesima direzione, avremo un Soto Zen europeo di rito confuciano giapponese. Il buddismo occorrerà cercarlo altrove.
1) L’unica eccezione a me nota è Antaiji. Sarei lieto di sapere che ve ne sono altre.
2) Una parola dal senso antico di “ritirarsi nella tranquillità”, che ricorda i ritiri della comunità delle origini durante il monsone: in sanscrito vārshika, “che appartiene al periodo delle piogge”.
4 Commenti a “Ultima ango a Parigi”
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14 Gennaio 2008 alle 5:02 pm
Caro mym,
di queste cose ne parlavamo già molti anni fa, ricordi? Beh, prima o poi doveva diventare palese; inutile sorprendersi oggi.
Gli uomini sono sempre uomini, in ogni latitudine, e cercano e desiderano ciò che gli esseri umani cercano e desiderano. Potere, dominio, controllo delle situazioni. E lo strumento – sul piano collettivo-sociale – è sempre uno, la logica colonialista, che si avvale di tre opzioni principali: quella economica (oggi quella più in voga) quella militare e quella religiosa.
Sapevamo bene che saremmo diventati strumenti della logica colonialista giapponese, nel momento in cui abbiamo preso il bambino (il buddismo zen/lo zazen) con l’acqua sporca (tutto l’ambaradan che ci ruota attorno). Per questo – ognuno a modo suo – abbiamo cercato di mantenere vivo lo spirito critico senza abboccare troppo a facili allettamenti e coinvolgimenti che facessero leva sulle nostre fragili emozioni umane, cioè sul nostro ego. Certamente nel cercare di separare il bambino dall’acqua, abbiamo (ho) fatto molti errori; molti li abbiamo (ho) pagati, altri li pagheremo… Ma sono altresì certo che ben più pesanti errori sono quelli che siamo riusciti ad evitare, per noi stessi e per tutti coloro che sinceramente e senza secondi fini – se non il proprio ed altrui risveglio – desiderano avvicinarsi alla pratica tramite nostro. Ciò non per merito, ma per pura fortuna: considero infatti un mero ‘colpo di culo’ l’essere capitato in quel filone ‘zen’ che fa riferimento ad Antaiji, ad Uchiyama. E l’esserci capitato in anni in cui la ricerca non era ancora condizionata da tanti ‘dottorini in carriera’ che, come avviene in sanità, più che dalla consapevolezza del dolore e dall’impulso di portare aiuto sono mossi dal desiderio di carriera personale: entrare nelle grazie del primario, guadagnare visibilità, esibirsi su palcoscenici prestigiosi (conferenze, simposi, magari la TV!) per arrivare infine a gestire un reale potere di comando o di controllo su altri; e giocare un po’ a risko, infine. E’ questo il meccanismo con cui i colonialismi attecchiscono nei territori di conquista.
Ecco, se dovevo buttare un sassolino nello stagno, l’ho fatto. Ciò non toglie però che esistano problemi reali anche sul versante opposto: è vero che c’è una certa improvvisazione (la parola anarchia viene sempre usata a sproposito, come sinonimo di disordine, ed anche questo uso è indicativo di un atteggiamento di potere da parte di quel sig. Crepon, anche se magari mi sbaglio non conoscendolo); è vero che nascono come funghi monaci ‘saputi’ senza una sufficiente esperienza e preparazione ecc. Basta pensare a quanti anni di preparazione sono richiesti per esercitare la psichiatria, la medicina o analoghe arti, mentre i ‘dottori dello spirito’ si sentono spesso ‘abilitati’ dopo training preparatori di pochi anni, di pochi mesi, a volte addirittura di poche settimane…Forse che lo spirito è meno delicato/importante della materia?
Già anni fa, ricordi?, proponevo di ragionare sul tema di una Verifica Qualità delle scuole e dei (se-dicenti o detti da altri) maestri. E’ un tema importante, che certo non può, a mio avviso, essere affrontato in modo gerarchico secondo parametri giapponesi, tibetani coreani o altri.
Per ora grazie a te, a Jiso e a Daido che avete entusiasmo e voglia per spendere le vostre energie anche partecipando a situazioni formali ed ambigue come quella oggetto dell’editoriale. Grazie per il vostro lavoro e per la netta presa di posizione che, ovvio, condivido pienamente.
Saluti
doc
14 Gennaio 2008 alle 5:08 pm
Grazie.
Non ce l’ho con nessuno in particolare. Però se ci fosse qualcuno che non è interessato al rito giapponese e cercasse “solo” un po’ d’aria pura è bene che sappia che da qualche parte esiste un’alternativa.
Ciao
mym
14 Gennaio 2008 alle 5:21 pm
Aggiungo una cosa che mi è rimasta nella penna, a proposito del discorso ‘verifica-qualità’: penso che per iniziare sarebbe oltremodo utile una profonda riflessione (anche collettiva) su ciò che distingue, in ambito ‘religioso’, il principio di “autorità” da quello di “autorevolezza”.
14 Gennaio 2008 alle 5:32 pm
Questa verifica non s’ha da fare. O meglio c’è già: è demandata al tempo, prima o poi le fesserie si perdono nel vento. Sostituirsi al tempo non è cosa. Ognuno, dal basso deve armarsi di solide motivazioni (chi cerca le pinzillacchere se si perde… fa la sua strada) pazienza, studio, costanza, senso critico e un po’ di fortuna.
Poi poi poi…
ci chiamavano teddy boy… 🙂
Ciao,
mym